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Full text of "I vicerè, romanzo"

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Bnn)IN&  LIST  AUGI     1922: 


I  VICERÉ. 


OPERE  DI  FKDEKICO  DE  ROBERTO 

(Edizioni  Treves). 

Le  donne,  i  cavalier'....    Edizione   di  lusso,  in-8, 

illustrata   da    loo  incisioni   .  .  L.    io  — 

Una  pagina  della  storia  dell'amore ...     2  — 

L'illusione,   romanzo.   Nuova  edizione      ■      •      2  — 

La  SOI  te,   novelle.   4."  migliaio 

La  jìiessa  di  nosze,  romanzo.  2.°  migliaio  ■ 
L'albero  della  scienza,  novelle.  Nuova  edizione 
Al  rombo  del  cannone.  2°  migliaio   •      • 

GiacoMio  Leopardi 4  — 

/   Viceré,  -z  vi io    — 


5  — 

4  — 

5  — 


FEDERICO  DE  ROBERTO 


I  VICERÉ 


ROMANZO 


Nuova   edì zìone   Treves 

(in  2  volumi) 


VOLUME   PRIMO 


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MILANO 

Fratelli    Treves,    Editori 

1 920 

Secondo  miglialo. 


0 


PKOPRIETA    LETTERARIA. 


/  diritti  di   riproduzione   e  di   traduzione  sono  riservati 
per  tutti  i  paesi,  compresi  la  Svezia,  la  Norvegia  e  l'Olanda. 

Si  riterrà  contraiiatto  qualun<ine  esemplare  di  quest'opera  che  hoh 
porti  il  doppio  tiuibni  a  secco  delia  Società  Italiana  degli   Autori. 


Milaao,  Tip.   Trcvcs. 


I  VICERÉ 


PARTE  PRIMA 


Giuseppe,  dinanzi  al  portone,  trastullava  il  suo  bam- 
bino, cullandolo  sulle  braccia,  mostrandogli  lo  scudo 
marmoreo  infisso  al  sommo  dell'arco,  la  rastrelliera  in- 
chiodata sul  muro  del  vestibolo  dove,  ai  tempi  antichi, 
i  lanzi  del  principe  appendevano  le  alabarde,  quando 
s'udì  e  crebbe  rapidamente  il  rumore  d'una  carrozza 
arrivante  a  tutta  carriera  ;  e  prima  ancora  che  egli 
avesse  il  tempo  di  voltarsi,  un  legnetto  sul  quale  pa- 
reva fosse  nevicato,  dalla  tanta  polvere,  e  il  cui  ca- 
vallo era  tutto  spumante  di  sudore,  entrò  nella  corte 
con  assordante  fracasso.  Dall'arco  del  secondo  cortile 
affacciaronsi  servi  e  famigli  :  Baldassarre,  il  maestro 
di  casa,  schiuse  la  vetrata  della  loggia  del  secondo 
piano,  intanto  che  Salvatore  Cerra  precipitavasì  dalla 
carrozzella  con  una  lettera  in  mano. 

—  Don   Salvatore?...    Che   c'è?...    Che   novità?... 
Ma  quegli  fece  col  braccio  un  gesto  disperato  e  salì 

le   scale  a  quattro  a  quattro. 

Giuseppe,  col  bambino  ancora  in  collo,  era  rimasto 
intontito,  non  comprendendo  ;  ma  sua  moglie,  la  mo- 
glie di  Baldassarre,  la  lavandaia,  una  quantità  d'altri 
servi  già  circondavano  la  carrozzella,  si  segnavano 
udendo   il   cocchiere   narrare,    interrottamente  : 

—  La  principessa —  Morta  d'un  colpo —  Stamat- 
tina, mentre  lavavo  la  carrozza — 

De    Roberto.    I    Viceré    -    I  1 


—  Gesù  !...   Gesù  !... 

— .  Ordine  d'attaccare —  il  signor  Marco  che  cor- 
reva   su   e    giù —    il    \'icario    e    i    vicini appena    il 

tempo  di  far  la  via 

—  Gesù!  Gesù  !...  Ma  come?,..  Se  stava  meglio? 
E   il   sig-nor  Marco?...    Senza  mandare  avviso? 

—  Che  so  io?...  Io  non  ho  visto  niente;  m'hanno 
chiamato....    lersera  dice  che  stava  bene 

—  E  senza  nessuno  dei  suoi  figli  !...  In  mano  di 
estranei  !...  Malata,  era  malata;  però,  cosi  a  un  tratto? 

Ma  una   vociata,    dall'alto   dello   scalone,    interruppe 
subitamente   il   cicaleccio  : 
— .  Pasquale  !...    Pasquale  !... 

—  Ehi,    Baldassarre  ? 

—  Un   cavallo  fresco,   in  un  'salto!... 
— ■  Subito,  corro 

Intanto  che  cocchieri  e  famigli  lavoravano  a  staccare 
il  cavallo  sudato  e  ansimante  e  ad  attaccarne  un  altro, 
tutta  la  servitù  s'era  raccolta  nel  cortile,  commentava 
la  notizia,  la  comunicava  agli  scritturali  dell'ammini- 
strazione che  s'affacciavano  dalle  finestrelle  del  primo 
piano,    o    scendevano    anch'essi    giù    addirittura. 

—  Che  disgrazia!...  Par  di  sognare!...  Chi  se  l'a- 
spettava, cosi  ?... 

E  specialmente  le  donne  lamentavano  : 

—  Senza  nessuno  dei  suoi  figli  !...  Non  aver  tempo 
di  chiamare  i   figli  !... 

—  Il  portone?...  Perchè  non  chiudete  il  portone? 
—  ingiunse  Salem i,  con  la  penna  ancora  all'orecchio. 

Ma  il  portinaio  che  aveva  finalmente  affidato  alla 
moglie  il  Piccolino  e  cominciava  a  capire  qualcosa, 
guardava  in  giro  i  compagni  : 

—  Ho  da  chiudere?...    E  don   Baldassarre? 

—  Sst  !...   Sst!... 

—  Che  c'è? 

I  discorsi  morirono  ancora  una  volta,  e  tutti  s'im- 
palarono cavandosi  i  berretti  ed  abbassando  le  pipe, 
perchè  il  principe  in  persona,  tra  Baldassarre  e  Salva- 


tore,  scendeva  le  scale.  Non  aveva  neppure  mutato  dì 
abito  !  Partiva  con  g\ì  stessi  panni  di  casa  per  arrivar 
più  presto  al  capezzale  della  madre  morta  !  Ed  era 
bianco  in  viso  come  un  foglio  di  carta,  volgeva  sguardi 
impazienti  ai  cocchieri  non  ancora  pronti,  intanto  che 
dava  sottovoce  ordini  a  Baldassarre,  il  quale  chinava 
il  capo  nudo  e  lucente  ad  ogni  parola  del  padrone  : 
«  Eccellenza  sì  !  Eccellenza  si  !  )>  E  il  cocchiere  affib- 
biava ancora  le  cinghie  che  il  padrone  saltò  nella  car- 
lozza,  con  Salvatore  in  serpe  :  Baldassarre,  afferrato 
allo  sportello,  stava  sempre  ad  udire  gli  ordini,  se- 
guiva correndo  il  legnetto  fin  oltre  il  portone  per  ac- 
chiappare le  ultime  raccomandazioni  :  «  Eccellenza  si  ! 
Eccellenza  si  !  " 

—  Baldassarre!...  Don  Baldassarre!...  —  Tutti  as- 
sediavano ora  il  maestro  di  casa  ;  poiché,  lasciata  la 
carrozza  che  scappava  di  corsa,  egli  rientrava  nel  cor- 
tile :  —  Baldassarre,  che  è  stato?...  E  ora  che  si  fa?... 
Don    Baldassarre,    chiudere?... 

Ma  egli  aveva  l'aria  grave  delle  circostanze  solenni, 
s'affrettava  verso  le  scale,  liberandosi  dagli  importuni 
con  un  gesto  del  braccio  e  un  «  Vengo!...  »  spazientito. 

Il  portone  restava  spalancato;  tuttavia  alcuni  pas- 
santi, scorto  lo  straordinario  movimento  nel  cortile, 
s'informavano  col  portinaio  dell'accaduto;  l'ebanista, 
il  fornaio,  il  bettoliere  e  l'orologiaio  che  tenevano  in 
affitto  le  botteghe  di  levante,  venivano  anch'essi  a  dare 
una  capatina,  a  sentir  la  notizia  della  gran  disgrazia, 
a  comimentare  la  repentina  partenza  del  principe  : 

—  E  poi  dicevano  che  il  padrone  non  voleva  bene 
alla  madre  !...  Pareva  Cristo  sceso  dalla  croce,  povero 
figlio  !... 

Le  donne  pensavano  alla  signorina  Lucrezia,  alla 
principessa  nuora  :  sapevano  nulla,  o  avevano  loro  na- 
scosto la  notizia?...  E  Baldassarre,  Baldassarre  dove 
diamine  aveva  il  capo,  se  non  ordinava  di  chiudere 
ogni  cosa?...  Don  Gaspare,  il  cocchiere  maggiore, 
verde  in  viso  come  un  aglio,  si  stringeva  nelle  spalle  : 


- — ■  Tutto  a   rovescio,   qui  dentro. 
Ma  Pasqualino  Riso,  il  secondo  cocchiere,  gii  spiat- 
tellò chiaro  e  tondo  : 

—  Non   avrete   il   disturbo  di    restarci   un   pezzo  ! 
E   l'altro,   di   rimando  : 

—  Tu  no,  che  hai  fatto  il  ruffiano  al  tuo  padrone  ! 
E  Pasqualino,  botta  e  risposta  : 

—  E   voi  che  lo  faceste  al  contino!... 

Tanto  che  Salemi,  il  quale  risaliva  all'ammiinistra- 
zione,  ammonì  : 

— ■  Che  è   questa   vergogna  ? 

Ma  don  Gaspare,  a  cui  la  certezza  di  perdere  il  po- 
sto  toglieva   il  lume   degli   occhi,  continuava  : 

—  Quale  vergogna?...  Quella  d'una  casa  dove  ma- 
dre e  figli  si  soffrivano  come  il  fumo  negli  occhi?... 

Molte   voci  finalmente   ingiunsero  : 

—  Silenzio,    adesso  ! 

Però  quelli  che  s'eran  messi  troppo  apertamente  con 
la  principessa  avevano  il  cuore  piccino  piccino,  sicuri 
di  ricevere  il  benservito  dal  figlio.  Giuseppe,  in  quella 
confusione,  non  sapeva  che  fare  :  chiudere  il  portone 
per  la  morte  della  padrona  era  una  cosa,  in  verità,  che 
andava  con  i  suoi  piedi  ;  ma  perchè  mai  don  Baldas- 
sarre non  dava  l'ordine  ?  Senza  l'ordine  di  don  Bal- 
dassarre non  si  poteva  far  nulla.  Del  resto,  neppure 
gli  scuri  erano  chiusi  su  al  piano  nobile  ;  e  poiché  il 
tempo  passava  senza  che  l'ordine  venisse,  qualcuno 
cominciava  ad  accogliere  un  timore  e  una  speranza, 
nella  corte  :  se  la  padrona  non  fosse  morta  ?  «  Chi  ha 
detto  che  è  morta?...  Il  cocchiere!...  Ma  non  l'ha  ve- 
duta!... Può  aver  capito  male!...»  Altri  argomenti 
convalidavano  la  supposizione  :  il  principe  non  sarebbe 
partito  così   a   rotta   di   collo,    se   fosse   morta,    perchè 

non  avrebbe  avuto  nulla  da  fare  lassili E  il  dubbio 

cominciava  a  divenire  per  alcuni  certezza  :  doVeva  es- 
serci un  malinteso,  la  principessa  era  soltanto  in  ago- 
nia, quando  finalmente  Baldassarre  affacciossi  dall'alto 
della   loggia    gridando  : 


—  5  — 

—  Giuseppe,  il  portone  !  Non  hai  chiuso  il  por- 
tone ?  Chiudete  le  finestre  della  stalla  e  delle  scude- 
rie    Dite  che  chiudano  le  botteg'he.   Chiudete  tutto! 

—  Non  c'era  fretta  !  —  mormorò  don  Gaspare. 

E  come,  spinto  da  Giuseppe,  il  portone  girò  final- 
mente sui  cardini,  i  passanti  cominciarono  ad  accroc- 
chiarsi  :  «Chi  è  morta?...  La  principessa?...  Al  Bel- 
vedere?...» Giuseppe  si  stringeva  nelle  spalle,  avendo 
perso  del  tutto  la  testa  ;  ma  domande  e  risposte  s'm- 
crociavano   confusamente   tra   la  folla  :    «  Era   in   cam- 

pag"na?...    Ammalata    da    quasi    un    anno Sola?... 

Senza  nessuno  dei  figli  !...  »  I  meglio  informati  spie- 
gavano :  «  Non  voleva  nessuno  vicino,  fuorché  l'ammi- 
nistratore     Non    li    poteva    soffrire »    Un    vecchio 

disse,  scrollando  il  capo  :  «  Razza  di  matti,  questi  Fran- 
calanza  !  » 

I  famigli,  frattanto,  sbarravano  le  finestre  delle  scu- 
derie e  delle  rimesse;  il  fornaio,  il  bettoliere,  l'ebanista 
e  l'orologiaio  accostavano  anch'essi  i  loro  usci.  Un  al- 
tro crocchio  di  curiosi  radunati  dinanzi  al  portone  di 
servizio,  rimasto  ancora  aperto,  guardavano  dentro  alla 
corte  dove  c'era  un  confuso  andirivieni  di  domestici; 
mentre  dall'alto  della  loggia,  come  un  capitano  di  ba- 
stimento, Baldassarre  impartiva  ordini  sopra  ordini  : 
— ■  Pasqualino,  dalla  signora  marchesa  e  ai  Bene- 
dettini     ma   da'    la   notizia   al   signor    marchese   e   a 

Padre  don  Blasco,  hai  capito?...  non  al  Priore!...  A 
te,  Filippo:  passa  da  donna  Ferdinanda Donna  Vin- 
cenza? Dov'è  donna  Vincenza?...   Prendete  lo  scialle  e 

andate  alla  badia parlate  alla  Madre  Badessa  perchè 

prepari  la  monaca  alla  notizia Un  momento!   Salite 

prima  dalla  principessa  che  ha  da  parlarvi —  Salemi?... 
Giuseppe,  ordine  di  lasciar  passare  i  soli  stretti  pa- 
renti—  È  venuto  Salemi?...  Lasciate  ogni  cosa;  il 
principe  e  il  signor  Marco  v'aspettano  lassù,  che  c'è 
bisogno  d'aiuto.  Natale,  tu  andrai  da  donna  Gra- 
ziella e  dalla  duchessa.  Agostino,  questi  dispacci  al^ 
telegrafo —   e  passa  dal  sarto 


Secondo  che  ricevevano  le  commissioni,  i  servi  usci- 
vano, aprendosi  la  via  in  mezzo  alla  folla;  passavano 
con  l'aria  affrettata  di  altrettanti  aiutanti  di  campo  tra 
i  curiosi  che  annunziavano  :  «  Vanno  ad  avvertire  i  pa- 
renti   i  figli,  i  cognati,  i  nipoti,  i  cugini  della  mor- 
ta  »  Tutta  la   nobiltà   sarebbe   stata   in  lutto,   tutti   i. 

portomi  dei  palazzi  signorili,  a  quell'ora,  si  chiudevano 
o  si  socchiudevano,  secondo  il  grado  della  parentela.  E 
l'ebanista  la   spiegava  : 

—  Sette  figliuoli,  possiamo  contarli  :  il  principe  Gia- 
como e  la  signorina  Lucrezia  che  è  in  casa  con  lui  : 
due;  il  Priore  di  San  Nicola  e  la  monaca  di  San  Pla- 
cido: quattro;  donna  Chiara,  maritata  col  marchese 
di  Villardita  :  e  cinque  ;  il  cavaliere  Ferdinando  che  sta 
alla  Pietra  dell'Ovo  :  sei;  e  finalmente  il  contino  Rai- 
mondo che  ha  la  figlia  del  barone  Palmi....  Poi  ven- 
gono i  cognati,  i  quattro  cognati  :  il  duca  d'Oragua, 
fratello  del  principe  morto  ;  padre  don  Blasco,  anch'e- 
gli  monaco  benedettino  ;  il  cavaliere  don  Eugenio  e 
donna  Ferdinanda  la  zitellona 

Ogni  volta  che  lo  s.portello  si  schiudeva  per  dar  pas- 
sa,ggio  a  qualche  servo,  i  curiosi  cercavano  di  guar- 
dare dentro  il  cortile  ;  Giuseppe,  spazientito,  esclamava  : 

— -  Via  di  qua  !  Che  diavolo  volete?  Aspettate  i  nu- 
meri  del  lotto  ? 

Ma  la  folla  non  si  moveva,  guardava  per  aria  le  fi- 
nestre ora  chiuse  quasi  aspettando  l'apparizione  della 
stampiglia  coi  numeri. 

E  la  notizia  correva  di  bocca  in  bocca  come  quella 
d'un  pubblico  avvenimento  :  «  È  morta  donna  Teresa 
Uzeda....  »,  i  popolani  pronunziavano  Auzeda,  «la  prin- 
cipessa  di  Francalanza È  morta  stamani  all'alba — 

C'era  il  principe  suo  figlio....  No,  è  partito  da  un'ora-  » 
L'ebanista  frattanto,  in  mezzo  a  un  cerchio  di  gente 
attenta  come  alla  storia  dei  Reali  di  Francia,  conti- 
nuava a  enumerare  il  resto  della  parentela  :  il  duca 
don  Mario  Radali,  il  pazzo,  che  aveva  due  figli  maschi, 
Michele   e   Giovannino,    da   donna  Caterina   Bonello,    e 


—  7  — 

apparteneva  al  ramo  collaterale  dei  Radali- Uzeda  ;  la 
S'ignora  donna  Graziella,  figlia  d'una  defunta  sorella 
della  principessa  e  moglie  del  cavaliere  Carvano,  cu- 
gina 'Carnale  perciò  di  tutti  i  figliuoli  della  morta;  il 
barone  Grazzeri,  zio  della  principessa  nuora,  con  tutta 
la  parentela;  e  poi  i  parenti  piìi  lontani,  gli  affini, 
quasi  tutta  la  nobiltà  paesana  :  i  Costante,  i  Raimonti, 
i  Cùrcuma,  i  Cugino...  A  un  tratto  s'interruppe  per 
dire  : 

—  To'  !  Guardate  i  lavapiatti  che  arrivano  prima  di  > 
tutti  ! 


Don  Mariano  Grispo  e  don  Giacinto  Costantino  ar- 
rivavano, come  ogni  giorno,  all'ora  della  colazione, 
per  far  la  corte  al  principe,  e  non  sapevano  niente  : 
scorgendo  la  folla  ed  il  portone  chiuso,  si  fermarono 
di  botto  : 

—  Santa  fede!...   Buon  Dio  d'amore!... 

E  a  un  tratto  affrettarono  il  passo,  entrarono  inter- 
rogando costernati  il  portinaio  che  dava  le  prime  no- 
tizie :  «Non  mi  sembra  vero!...  Un  fulmine  a  ciel  se- 
reno!... »  Poi  salirono  per  lo  scalone  con  Baldassarre 
che  risaliva  anch'egli  in  quel  punto  dalla  corte  e  fa- 
ceva loro  strada  mormorando  : 

—  Povera  principessa!...  Non  potè  superarla!...  Il 
signor  principe   è   subito   partito. 

Traversando  la  fila  delle  anticamere  dagli  usci  do- 
rati ma  quasi  nude  di  mobili,  don  Giacinto  esclamava 
a  bassa  voce,  come  in  chiesa  : 

—  È  una  gran  disgrazia!...  Per  questa  famiglia  è 
una  disgrazia  piia  grande  che  non  sarebbe  per  ogni 
altra.... 

E  piano  anch'egli,  don  Mariano  confermava,  scrol- 
lando il  capo  : 

—  La  testa  che  gaiidava  tutti,  che  aggiustò  la  peri- 
colante baracca!... 

Introdotti  nella  Sala  Gialla,  si  fermarono  dopo  qual- 


—  8  — 

che  passo,  non  distinguendo  nulla  pel  buio  ;  ma  la  voce 
della  principessa  Margherita  li   gnidò  : 

—  Don  Mariano!...   Don  Giacinto!... 

—  Principessa!...  Signora  mia!...  Com'è  stato?... 
E    Lucrezia?...    Consalvo?...    La   bambina?... 

Il  principino,  seduto  sopra  uno  sgabello,  con  le 
gambe  penzoloni,  le  dondolava  ritmicamente,  guar- 
dando per  aria  a  bocca  aperta  ;  discosta,  in  un  angolo 
di  divano,  Lucrezia  stava  ingrottata,  con  gli  occhi 
asciutti. 

—  Ma  com'è  avvenuto,  cosi  a  un  tratto?  —  insi- 
steva don  Mariano. 

E  la  principessa,   aprendo  le  braccia  : 

—  Non    so —    non   capisco È   arrivato    Salvatore 

dal    Belvedere,    con    un   biglietto   del    signor   Marco 

Li,  su  quella  tavola,  guardate Giacomo  è  partito  su- 
bito. —  A  bassa  voce,  rivolta  a  don  Mariano,  intanto 
che  l'altro  leggeva  il  biglietto  :  —  Lucrezia  voleva  an- 
dare anche  lei,  —  aggiunse  ;  —  suo  fratello  ha  detto  di 
no....  Che  ci  avrebbe  fatto? 

—  Confusione  di  più  !....  Il  principe  ha  avuto  ra- 
gione  

—  Niente  !  — ■  annunziava  frattanto  don  Giacinto, 
finito  di  leggere  il  biglietto.  —  Non  spiega  niente!... 
E    hanno    avvertito   gli    altri?...    hanno    dispacciato?... 

—  Io  non  so —  Baldassarre 

—  Morire  cosi,  sola  sola,  senza  un  figlio,  un  pa- 
rente !  —  esclamava  don  Mariano,  non  potendo  darsi 
pace  ;   ma   don   Giacinto  : 

—  La  colpa  non  è  di  questi  qui,  poveretti!...  Essi 
hanno  la  coscienza   tranquilla. 

—  Se  ci  avesse  voluti — •  cominciò  la  principessa, 

timidamente,  piii  piano  di  prima  ;  ma  poi,  quasi  im- 
paurita,  non  fini  la  frase. 

Don  Mariano  tirò  un  sospiro  doloroso  e  andò  a  met- 
tersi vicino  alla  signorina. 

—  Povera  Lucrezia  !  Che  disgrazia  !...  Avete  ra- 
gione !...    Ma   fatevi   animo!...    Coraggio!,.. 


—  9  — 

Ella  che  se  ne  stava  a  guardare  per  terra,  battendo 
un  piede,  levò  la  testa  con  aria  di  stupore,  quasi  non 
comprendendo.  Ma,  come  udivasi  un  frastuono  di  car- 
rozze che  entravano  nel  cortile,  don  Mariano  e  don 
Giacinto  tornarono  ad  esclamare,  a  due  : 

—  Che  sciagura  irreparabile  ! 

Arrivavano  la  marchesa  Chiara  col  marito  e  la  cu- 
gina  Graziella  : 

—  Lucrezia,    la    mamma!...    Sorella!...    Cugina!... 
Subito  dopo  entrò  la  zia  Ferdinanda,  a  cui  le  donne 

baciarono  le  mani,   mormorando  : 

— •  Eccellenza!...    Ha    sentito?... 

La  zitellona,  asciutta  asciutta,  scrollava  il  capo; 
Chiara  abbracciava  Lucrezia  piangendo  ;  il  marchese 
salutava  mestamente  i  lavapiatti  ;  ma  la  più  commossa 
era  donna  Graziella  : 

—  Non  mi  par  vero!...  Non  volevo  crederci!...  Che 
si  muore  cosi?...  E  il  povero  Giacomo?  Dice  che  è 
corso  subito  lassij?...  Povero  cugino!...  Se  almeno 
avesse  potuto  arrivare  a  chiuderle  gli  occhi!...  Che 
dolore,  non  aver  tempo  di  rivederla!...  —  Udendo 
Chiara  singhiozzare  in  seno  alla  sorella  Lucrezia, 
esclamò  :  —  Hai  ragione,  sfogati,  poveretta  !  Mamma 
ce  n'è  una  sola  !... 

Ella  pareva  tanto  addolorata  della  digrazia  dei  cu- 
gini da  dimenticare  perfino  che  la  morta  era  sorella 
della  sua  propria  madre.  Si  profferiva  alla  principessa  ; 
le   diceva,   traendola  in  disparte  : 

—  Hai  bisogno  di  nulla?...  Vuoi  che  ti  dia  una 
mano?...  Come  sta  la  mia  figlioccia?...  Che  ha  la- 
sciato detto  il  cugino?... 

—  Non  so....  Ha  ordinato  a  Baldassarre  il  da  fare 

Baldassarre,  infatti,  andava  su  e  giù,  mandando  an- 
cora messi,  ricevendo  quelli  che  tornavano  dall'aver 
eseguito  le  ambasciate.  Tutti  i  parenti,  oramai,  erano 
avvertiti  :  soltanto  il  famiglio  mandato  ai  Benedettini 
venne  a  dire  che  Padre  don  Lodovico  stava  per  arri- 
vare, ma  che  Padre  don  Blasco  non  era  nel  convento. 


—  Va'  dalla  Sigaraia....  a  quest'ora  sarà  da  lei.... 
Corri,   digli  che  è  morta  sua  cognata — 

Don  Lodovico  arrivò  con  la  carrozza  di  San  Nicola; 
e  nella  Sala  Gialla  tutti  s'alzarono  all'apparire  del 
Priore.  Chiara  e  Lucrezia  gli  andarono  incontro,  gli 
presero  ciascuna  una  mano,  e  la  marchesa,  cadendo  in 
ginocchio,    proruppe  : 

—  Lodovico!...  Lodovico!...  La  nostra  povera 
mamms  ! 

Tacevano  tutti,  guardando  quel  gruppo  :  la  cugina, 
con  gli  occhi  rossi,   mormorava: 

—  È   una  cosa  che  strazia  l'anima  ! 

Il  Priore,  chinatosi  sulla  sorella,  la  rialzò  senza  guar- 
darla in  viso,  e  nel  silenzio  generale,  rotto  da  brevi 
singhiozzi  repressi,  disse,  alzando  gli  occhi  asciutti  al 
cielo  : 

—  Il  Signore  l'ha  chiamata  a  sé...  Chiniamo  la 
fronte  ai  decreti  della  Provvidenza  divina....  —  e  poi- 
ché Chiara  voleva  baciargli  la  mano,  egli  si  schermi  : 
—  No,  no,  sorella  mia....  —  e  la  strinse  al  petto,  ba- 
ciandola in  fronte. 

—  Perchè  si  nasce!...  —  esclamò  dolorosamente 
don  Giacinto  all'orecchio  di  don  Mariano;  ma  questi, 
scrollando  il  capo,   si  fece  innanzi  con  piglio  risoluto  : 

— ■  Basta  adesso,  signori  miei  !...  I  morti  son  morti, 
e  il  pianto  non  li  risuscita Pensate  alla  vostra  sa- 
lute, adesso,  che  è  l' importante.... 

— ■  Coraggio,  poveretti!...  —  confermò  la  cugina 
Graziella,  prendendo  per  mano  le  cugine,  costringen- 
dole amorosamente  a  sedere  ;  mentre  il  marchese  ba- 
ciava sua  moglie  in  fronte,  le  asciugava  gli  occhi,  le 
parlava  all'orecchio,  e  donna  Ferdinanda,  poco  por- 
tata alle  scene  patetiche,  si  metteva  il  principino  sulle 
ginocchia. 

Il  biglietto  del  signor  Marco  passava  di  mano  in 
mano;  il  Priore  manifestava  anch'egli  l'intenzione  di 
partire  per  il  Belvedere,  ma  i  lavapiatti  protestarono. 

—  Per  far  che  cosa?...  Angustiarsi  per  niente?...  Se 
si  potesse  dar  aiuto — 


— •  Partirei  io  !   —   soggiunse   la  cugina. 

—  Aspettiamo,  piuttosto;  —  propose  il  marchese. 
—  Giacomo  manderà  certo  a  dire  qualcosa — 

L'arrivo  di  un'altra  carrozza  fece  infatti  supporre  die 
venisse  qualcuno  dal  Belvedere.  Era  invece  la  duchessa 
Radali.  Poiché  ella  aveva  il  marito  impazzato  e  non 
faceva  visite  a  nessuno,  il  suo  pronto  accorrere  intenerì 
più  che  mai  la  cug-ina,  che  la  chiamava  zia,  quantunque 
non  ci  fosse  parentela  tra  loro  ;  ma  il  ritorno  di  donna 
A'incenza  da  San  Placido  segnò  il  colmo  della  commo- 
zione. La  cameriera  non  trovava  parole  per  esprimere 
il  dolore  della  monaca,  giungeva  le  mani  dalla  pietà  : 

—  Figlia  mia  !  povera  figlia  !...  Come  una  pazza,  fa 
come  una  pazza!...  E  chiama:  «  Sorelle  mie!  Sorelle 
mie  !...  » 

Lucrezia  piangeva  anch'ella,  adesso;  Chiara  disse 
tra   i  singhiozzi  : 

— •   Io   vado   alla   badia 

— .  Vostra   Eccellenza  farà   un'opera  santa Anche 

la  Madre  Badessa  piangeva:  «  Povera  principessa!... 
Degna    serva    di    Dio  !   » 

La  cugina  s'offerse  d'accompagnarla;  ma  poi,  visto 
che  la  principessa  non  sapeva  dove  dar  del  capo  : 

—  Resto  piuttosto  ad  aiutar  Margherita  —  disse  a 
Chiara;  e  questa  s'alzò,  m-entre  le  raccomandavano:  — 
Baciala  per  me —  e  per  me —  Dille  che  domani  andrò 
a  trovarla —  E  don  Giacinto  chiamava:  —  Mar- 
chese, marchese!...  accompa,gnate  vostra  moglie 

In  mezzo  alla  confusione,  mentre  la  marchesa  andava 
via  col  marito,  spuntò  finalmente  don  Blasco,  col  fac- 
cione sudato  che  luceva  e  il  tricorno  in  capo.  Entrò 
senza   salutar  nessuno,    esclamando  : 

— •  L'avevo  detto,   eh?...   Doveva  finire  così!... 

Non  gli  risposero.  Il  Priore,  anzi,  chinò  gli  occhi  a 
terra  quasi  cercando  qualcosa  ;  donna  Ferdinanda,  per 
suo  conto,  pareva  non  essersi  neppure  accorta  dell'arrivo 
del  fratello.  Il  monaco  si  mise  a  passeggiare  da  un 
capo  all'altro  della  sala,  asciugandosi  il  sudore  del  collo 
e  continuando  a  parlar  solo  : 


— .12    

—  Che  testa!...  Che  testa!...  Fin  all'ultimo!...  An- 
dare a  crepare  in  mano  di  quell'imbroglione!...  Io 
l'avevo  profetato,  ah?...  Dov'è?...  Non  è  venuto?... 
È    lui    il    padrone,    qui    dentro  ! 

Poiché  nessuno  fiatava,  la  cugina  credè  d'osservare  : 

—  Zio,    in    questo   momento 

—  Che  vuol  dire,  in  questo  momento?...  —  rispose 
il  monaco,  piccato.  —  È  morta,  Dio  l'abbia  in  gloria  !... 
Ma  che  s'ha  da  dire?  che  ha  fatto  una  gran  cosa?...  E 
Giacomo?...  È  andato?...  È  andato  solo?...  Perchè  non 
va  nessun  altro?...   Ha  proibito  agli  altri  di  andare?... 

— •  No,     Eccellenza —    rispose    timidamente    la 

principessa.  —  È  partito  appena  saputa  la  notizia. 

— •     Io  volevo  accompagnarlo —  disse  Lucrezia; 

ma  allora  il  Benedettino  saltò  su  : 

— .  Tu  ?  Per  far  che  cosa  ?  Sempre  voialtre  femmine 
tra  i  piedi  ?  Vi  pare  che  sappiate  sole  aggiustare  il 
mondo?...  Dov'è  Ferdinando?...  Non  è  venuto  ancora? 

Soprav^^enivano  in  quel  momento  il  cavaliere  don  Eu- 
genio e  don  Cono  Canalà,  altro  dei  lavapiatti.  Don  Cono 
entrò  in  punta  di  piedi,  quasi  per  paura  di  schiacciar 
qualcosa,  e  fermatosi  dinanzi  alla  principessa  esclamò, 
gestendo  col   braccio  : 

— ■  Immensa  iattura!...  Catastrofe  immensurabile!... 

La   parola    spira    sul   labbro —   mentre    il   cavaliere 

leggeva  il  biglietto  del  signor  Marco. 

Frattanto  don  Blasco,  girando  come  un  trottolone, 
soffermavasi  dinanzi  agli  usci,  gnardava  in  fondo  alla  sfi- 
lata delle  stanze,  pareva  fiutasse  l'aria,  borbottava  : 
«Che  fretta!...  Che  affezione!...  »  ed  altre  parole  in- 
comprensibili. 

Nel  crocchio  dei  parenti,  ciascuno  adesso  diceva  la 
sua  :  il  Priore,  a  bassa  voce,  accanto  alla  duchessa  ed 
alla  zia  Ferdinanda,  parlava  della  «  dolorosa  ostinazio- 
ne »  della  madre  ;  ma  tratto  tratto,  quasi  pavido  di  far 
male  discutendo  anche  rispettosamente  la  volontà  della 
morta,  s'interrompeva,  chinava  il  capo;  la  cugina  era 
inquieta  per  la  mancanza  di  notizie  dal  Belvedere  : 


—  13  — 

—  Giacomo  avrebbe  potuto  mandar  qualcuno!... 
Per  questo  don   Eugenio  offrivasi   di   salir  lassù,    se 

gli  facevano  attaccare  una  carrozza;  ma  allora  la  prin- 
cipessa, imibarazzata,  confusa,  non  sapendo  che  fare, 
osservò   all'orecchio   della   cugina  : 

—  Non  so forse  può  dispiacere  a  Giacomo 

E   donna   Graziella   intervenne  : 

—  Aspettiamo  un  altro  poco  ;  forse  il  cugino  tornerà 
egli  stesso. 

Il  Priore  e  la  duchessa  tornarono  a  domandare  : 

—  Ferdinando  ?   Non   viene   più  ? 

I  lavapiatti  corsero  a  interrogar  Baldassarre  ;  il  mae- 
stro di  casa   rispose  : 

—  Non  ho  mandato  nessuno  dal  cavaliere,  perchè  il 
signor  principe  m'ha  dettO' che  pajssava  lui  a  chiamarlo. 

—  Sarà   andato   anch'egli   al   Belvedere Se   no   a 

quest'ora  sarebbe  qui. 

Per  arrivare  dalla  Pietra  dell'Ovo  ci  voleva  a  ogni 
modo  del  tempo  ;  tornò  infatti  prima  dalla  badia  la 
marchesa,  alla  quale  la  sorella  monaca  aveva  conse- 
gnato un  abitino  della  Madonna  perchè  lo  mettessero 
indosso  alla  morta. 

—  Toccante  tratto  di  pietà  filiale  !  —  sussurrò  don 
Cono   a   don   Eugenio. 

Nessun  altro  parlava,  in  quei  momenti  di  commozione  ; 
solamente  la  cugina,  asciugandosi  gli  occhi  rossi,  pro- 
pose all'orecchio  della  principessa  : 

—  Io  vorrei  profittare  di  questo  momento  per  indurre 
lo  zio  Blasco^  a  far  pace  con  la  zia  Ferdinanda  e  con 
Lodovico.   Che   ne   dici,    Margherita? 

—  Come  credi se  credi....   fa'   tu 

E  la  cugina  andò  in  cerca  del  monaco.  Non  si  tro- 
vava, era  scomparso.  Baldassarre,  incaricato  di  rintrac- 
ciarlo, lo  scoperse  in  fondo  alla  casa,  dinanzi  all'uscio 
serrato  che  metteva  nelle  stanze  della  morta.  Udendo 
rumor   di   passi,   il   monaco   si  voltò   di   botto  : 

—  Chi    è   là? 

—  Aspettano  Vostra  Paternità  nella  Sala  Gialla. 


-^  14  -^ 

Il  Benedettino  tornò  indietro,  soffiando,  e  come  la 
cucina,  andandogli  incontro  con  aria  di  mistero  : 

—  Eccellenza  —  gli  disse  —  venga  ad  abbracciare 

sua  sorella —  Lodovico  le  bacerà  la  mano —  egli  le 

voltò  le  spalle,  esclamando  forte,  in  modo  che  lo  udirono 
sino  nella  corte  : 

— ■  Non    facciamo    pulcinellate. 

Donna  Graziella  si  strinse  nelle  spalle,  con  un  gesto 
di  rassegnazione   dolente. 

E  il  monaco,  scorto  il  marcb.ese  che  era  tornato  con 
la  moglie  dalla  badia,  l'andò  ad  afferrare  per  un  braccio 
e  lo  trascinò  nella  Galleria  dei  ritratti  : 

— •  Che  stai  a  far  qui?...  Perchè  non  parti?...  Quel- 
l'altro è  scappato 

—  Per  far  che  cosa.   Eccellenza  ? 

—  E  sarai  sempre  minchione?...  Quell'altro  è  scap- 
pato!  A  quest'ora  fa  scomparire  ogni  cosa!... 

—  Eccellenza  !...  —  protestò  il  nipote,  scandalizzato. 
Don  Blasco  lo  guardò  nel  bianco  degli  occhi,  quasi 

volesse  mangiarselo.   Ma,  come  passava  in  fretta  e  in 
furia   Baldassarre,   girò   sui   tacchi,    tonando  : 

—  Ah,  no  ?  E  andate  un  poco  a  farvi  friggere, 
tutti   quanti  !... 

Finito  di  dar  ordini  alla  servitij,  Baldassarre  aveva 
adesso  un  altro  gran  da  fare,  poiché  cominciavano  a 
venire  ambasciate  dei  parenti  più  lontani,  degli  amici, 
dei  conoscenti  che  mandavano  ad  esprimere  le  loro  con- 
doglianze e  a  prender  notizie  dei  superstiti.  Il  maestro 
di  casa  riceveva  nell'anticamera  dell'amministrazione  le 
persone  di  riguardo,  lasciando  al  portinaio  i  servitori  ; 
ma  parecchi  fra  questi  portavano  1  regali  funebri  :  vassoi 
pieni  di  dolci,  di  forme  di  marmellata  o  di  cioccolata, 
di  frutta  candite,  di  pan  di  Spagna,  di  bottiglie  di 
moscato  o  di  rosolio,  e  allora  Baldassarre  si  faceva  in 
quattro  per  riporre  quella  roba,  e  annunziare  i  doni  ai 
padroni,  e  ringraziare  i  donatori,  e  dare  udienza  ai  so- 
pravvenienti.   La  cugina   Graziella,   con  le  chiavi   delle 


credenze  alla  cintola,  faceva  da  padrona  di  casa,  per  ri- 
sparmiare la  principessa  ;  il  cavaliere  don  Eugenio  dava 
anch'egli  una  mano,  e  quantunque  i  lavapiatti  che  la- 
voravano come  domestici  protestassero  :  «  Lasciate  fare 
a  noi  ;  »  egli  vuotava  i  vassoi  da  restituire,  trasportava 
la  roba  nella  sala  da  pranzo  e  tratto  tratto  si  ficcava  in 
tasca  una   manata   di    dolci. 

Per  la  duchessa  Radali  che  era  andata  via,  non  po- 
tendo lasciare  a  lungo  il  marito  solo,  dieci  altre  visite 
erano  sopravvenute  :  il  barone  Vita,  il  principe  di 
Roccasciano,  i  Giliforte,  i  Grazzeri,  don  Carlo  Car- 
vano,  marito  della  cugina.  Secondo  che  la  giornata 
s'inoltrava,  lettere  e  biglietti  di  condoglianza  piovevano 
da  tutte  le  parti  :  l'Intendente  mandava  a  esprimere  il 
suo  dolore  per  il  lutto  d'una  famiglia  devota  al  Re  ed 
alla  buona  causa  ;  Monsignor  Vescovo  associavasi  al  do- 
lore dei  suoi  cari  figli  ;  dall'Orfanotrofio  Uzeda,  dal- 
l'Ospizio dei  Vecchi,  dagli  altri  istituti  di  beneficenza 
che  i  Francalanza  avevano  fondato  o  sussidiato,  veniva- 
no i  rettori,  i  cappellani,  una  quantità  di  tonache  nere, 
oppure  i  poveri  ospitati  ;  ma  questi  non  eran  lasciati 
salire  ed  esprimevano  il  loro  rammarico  al  portinaio  o 
al  sotto-cocchiere.  Il  comandante  della  guarnigione,  il 
presidente  della  Gran  Corte,  tutte  le  autorità,  tutta  la 
città  si  condoleva  con  la  famiglia.  Gruppi  di  mendicanti  • 
aspettavano,  con  la  speranza  che  avrebbero  distribuito 
elemosine  ;  molte  persone  domandavano  con  insistenza 
del  signor  Marco  :  udendo  che  ancora  non  era  sceso  dal 
Belvedere,  alcuni  andavano  via  per  tornare  più  tardi  ; 
altri  si  mettevano  a  passeggiare  su  e  giìi  dinanzi  alla 
casa,  aspettando  d'acchiapparlo  al  varco,  pazientemente. 

I  due  cortili  parevano  una  fiera,  dalle  tante  carrozze 
allineate  all'  ombra  :  ,i  cavalli,  con  le  teste  dentro  le 
coffe,  ruminavano  raspando  tratto  tratto  il  selciato  con 
l'unghia.  Ad  uno  ad  uno,  poiché  imbruniva,  arriva- 
vano i  servitori  dei  parenti,  aspettando  i  padroni;  e  la 
conversazione  della  servitù,  animatissima,  aggiravasi 
intorno   all'avvenimento    ed    alle    sue    conseguenze.    Le 


—   ib  — 

donne,  vedendo  quella  gran  confusione,  quell'andirivieni 
di  gente,  quel  succedersi  d'ambasciate  e  di  lettere,  com- 
piangevano vivamente  la  principessa  nuora  :  «  Povera 
signora!  A  quest'ora  dev'essere  sulle  spine!...  »  In- 
fatti, ella  soffriva  d'una  specie  di  malattia  nervosa 
per  la  quale  non  tollerava  di  star  pigiata  tra  la  gente, 
di  toccar  cose  maneggiate  da  altri  :  fortunatamente  la 
cugina  era  li  ad  aiutarla.  E  alcuni  facevano  riflessioni 
filosofiche  :  «  Se  invece  d'oggi  la  madre  del  principe 
fosse  morta  sei  anni  addietro,  la  cugina,  adesso,  invece 
di  aiutar  la  padrona,  sarebbe  lei  la  padrona  qui  dentro.  » 
Non  era  stato  permesso  dalla  principessa  vecchia,  quel 
matrimonio  ;  e  il  padrone  aveva  obbedito  alla  madre, 
sposando  donna  Margherita  Grazzeri  ;  però,  bisognava 
dire  la  verità,  la  cugina  s'era  diportata  benissimo  : 
maritata  col  cavaliere  Carvano,  era  rimasta  affeziona- 
tìssima  alla  zia  che  non  l'aveva  voluta  per  nuora,  e 
aveva  trattato  come  una  vera  sorella  la  moglie  del- 
l'antico suo  innamorato.  «  E  il  principe?  Forse  che 
pare  si  rammenti  d'averle  voluto  bene  in  un  certo 
anodo?...»  Per  tanto,  molti  lodavano  l'opera  della 
morta  :  ella  aveva  ben  fatto  ad  opporsi  a  quel  matri- 
monio, (poiché  i  due  antichi  innamorati  is'eran  messo  il 
cuore  in  pace.  «  Gran  donna,  la  principessa!  Basti  dire 
che' rifece  la  caisa  già  fallita!»  E  tutti  domandavano: 
«  A  chi  lascerà?...  »  ma  come  saperne  nulla  se  non 
si  era  confidata  mai  con  nessuno,  neppure  coi  figli?... 
«  Se  ci  fosse  stato  il  contino  Raimondo,   però!...  » 

Allora  i  partigiani  del  principe,  senza  tanti  riguardi  : 
«  La  roba  dovrebbe  andare  al  padrone,  se  quella  pazza 
non  ne  avrà  fatta  un'altra  delle  sue!...  »  Infatti  non 
aveva  potuto  soffrire  il  primogenito,  prediligendo  il  con- 
tino Raimondo  ;  e  il  contino,  quantunque  chiamato  e  ri- 
chiamato dalla  madre  che  sentiva  vicina  la  propria  fine, 
non    s'era    mosso   da    Firenze!... 

All'arrivo  di  Fra  Carmelo,  spedito  dall'abate  di  San 
Nicola  per  aver  notizie  di  don  Lodovico  e  di  don  Blasco, 
il  discorso  prese  un'altra  piega.  Fra  Carmelo  sapeva  la 


vìa  del  palazzo,  dalle  tante  volte  che  ci  aveva  accom- 
pagnato don  Lodovico  novizio  ;  e  tutta  la  servitij  lo  co- 
nosceva e  gli  voleva  bene,  tant'era  buono,  con  quel  suo 
faccione  che  pareva  scoppiare,  grasso  fin  sulla  nuca. 

— •  Povera  principessa!...    Che   gran   disgrazia! 

Egli  lodava  la  morta  e  rammentava  i  tempi  del  no- 
viziato di  Padre  Lodovico,  quando,  conducendo  a  casa 
il  ragazzo  in  permesso,  le  portava  regalucci  di  frutta 
che  ila  buona   signora  degnavasi   di   accettare. 

— .  Alla  mano  con  tutti!...  Affezionata  con  tutti!... 
Povero  Padre  Lodovico  !  Deve  aver  pianto  ! 

Le    donne   esclamarono  : 

— ■  Figuriamoci!    Un  santo  come   lui!... 

E   Fra   Carmelo  : 

—  Un  vero  santo  !  Non  c'è  monaci  che  gli  possano 
stare  a  paragone.  Non  per  nulla  l'han  fatto  Priore  a 
trent'anni  ! 

— ■  Suo  zio  don  Blasco  non  gli  somiglia?...  —  disse 
improvvisamente  il  cocchiere  maggiore,  con  una  striz- 
zatina  d'occhi. 

—  È  un'altra  cosa.  Tutti  gli  uomini  possono  esser 
formati  a  un  modo?...  Ma  bravo  anche  lui!...  Signore 
anche    lui  !... 

E  giusto  il  discorso  era  a  quel  punto,  quando  un 
lontano  rumore  di  carrozza  con  le  sonagliere  fece  tacer 
tutti.  Giuseppe,  guardando  dallo  sportello,  spalancò  il 
portone  :  il  carrozzino  della  mattina  entrò  a  rotta  di 
collo  e  ne  scesero  il  principe  e  il  signor  Marco  che  te- 
neva una  valigia  in  mano,  mentre  tutti  si  scoprivano  e 
dalla  loggia  del  piano  nobile  affacciavasi  don  Blasco. 

Il  ritorno  del  capo  della  famiglia,  nella  Sala  Gialla, 
produsse  una  nuova  commozione  :  sospiri,  singhiozzi, 
mute  strette  di  mano.  Il  principe  era  sempre  pallido  e 
parlava  a  stento,  con  gesti  larghi  di  sconforto  : 

—  Troppo  tardi!...  Più  nulla  da  fare!...  Fino  a  ier- 
sera  stava  benissimo,  mangiò  anzi  con  appetito  due  uova 
e  bevve  una  tazza  di  latte —  All'alba  di  stamani,  im- 
provvisamente,   chiamò    e —    e    tacque,    quasi    non 

potendo   proseguire. 

De   Roberto.    I    Viceré    -    I  3 


—  i8  — 

Il  signor  Marco,   deposta  la  valigia,  confermava  : 

—  Impossibile    prevedere    questa    catastrofe....    Nel 

primo  momento,  speravo  fosse  soltanto  una  sincope 

ma  pur  troppo  la  triste  verità 

Chiara  e  la  cugina  piangevano  ;  il  Priore  deplorava 
specialmente  che  nessun  sacerdote  l'avesse  assistita 
negli  ultimi  istanti  ;  ma  il  signor  Marco  assicurò  che  ella 
erasi  confessata  due  giorni  innanzi,  che  il  vicario  Ra- 
gusa era  arrivato  in  tempo  a  darle  l'assoluzione  ;  mentre 
il  principe  da  canto  suo  riferiva  ; 

—  Abbiamo  improvvisato  una  cappella  ardente — 
tutti  i  fiori  della  villa....  ne  hanno  mandati  da  ogni 
parte.... 

—  E  Ferdinando?  —  domandò  Chiara. 

—  Non  è  venuto?...  Ah  !  —  Egli  si  battè  a  un  tratto 
la  fronte.  —  Dovevo  passar  io  ad  avvertirlo!...  Me  ne 
sono   scordato!...    Baldassarre!...    Baldassarre!... 

Ma,  sul  più  bello,  don  Blasco,  il  quale  aveva  tenuto 
d'occhio  la  valigia  quasi  ci  fosse  dentro  roba  di  con- 
trabbando, lo  tirò  per  la  manica,  domandando  : 

—  E  il  testamento  ? 

Il  principe,  con  un  altro  tono  di  voce,  non  più  do- 
lente,   ma   premuroso,    pieno  di   scrupoli  : 

— •  Il  signor  Marco  qui  presente  —  rispose  —  m'ha 
comunicato  che  le  ultime  volontà  di  nostra  madre  sono 
depositate  presso  il  notaio  Rubino.  Noi  aspetteremo,  se 
credete,  l'arrivo  di  Raimondo  e  dello  zio  duca —  Frat- 
tanto, abbiamo  suggellato  tutto  quel  che  s'  è  trovato, 
per  renderne  stretto  conto,  a  suo  tempo,  a  chi  di  ra- 
gione.... Il  signor  Marco  possiede  però  un  documento 
che  riguarda  i  funerali....  Credo  che  di  questo  si  debba 
dar  subito  lettura — 

E  il  signor  Marco,  tratto  di  tasca  un  foglio,  lesse  in 
mezzo  a  un  profondo  silenzio  : 

«  In  questo  giorno,  ig  maggio  1855,  trovandomi  sana 
di  mente  e  non  di  corpo,  io  sottoscritta.  Teresa  Uzeda 
principessa  di  Francalanza,  raccomando  l'anima  a  Dio 
e  dispongo   quanto  appresso.    Il  giorno  che   piacerà  al 


—    iq  ^ 

Signore  chiamarmi  con  se,  ordino  che  il  mio  corpo  sia 
aflìclnto  ai  RcAcrendi  Padri  Cappuccini  aflìnchè  sia  da 
essi  imbalsamato  e  nella  necropoli  del  loro  cenobio  cu- 
stodito. \'oglio  che  il  funerale  sia  celebrato,  con  quel 
decoro  che  compete  alla  famiglia,  nella  chiesa  dei  detti 
Padri  in  segno  della  mia  devozione  alla  Beata  Ximena, 
nostra  gloriosa  parente,  la  cui  salma  nella  loro  chiesa 
si  venera.  Durante  il  funerale  e  dopo  che  il  mio  corpo 
sarà  imbalsamato,  voglio,  ordino  e  comando  che  esso 
sia  vestito  della  tonaca  delle  Religiose  di  San  Placido, 
e  che  alla  cintura  mi  sia  messa  la  corona  del  Santis- 
simo Rosario  donatami  dalla  mia  diletta  figlia  Suor 
Maria  Crocifissa  il  giorno  della  sua  monacazione,  e  che 
sul  petto  mi  sia  posto  il  crocifisso  d'avorio,  memoria 
del  mio  amato  consorte  principe  Consalvo  di  Franca- 
lanza.  In  segno  di  particolare  penitenza  ed  umiltà, 
espressamente  impongo  che  il  mio  capo  sia  appoggiato 
sopra  una  semplice  e  nuda  tegola  :  così  voglio  e  non 
altrimenti.  Per  la  necropoli  dei  Cappuccini  ordino  che 
si  costruisca  una  cassa  a  cristalli,  dentro  alla  quale 
sarà  posto  il  mio  corpo  nel  modo  di  cui  sopra;  essa 
avrà  una  serratura  con  tre  chiavi  delle  quali  una  ri- 
marrà a  mio  figlio  Raimondo  conte  di  Lumera,  la  se- 
conda, in  segno  di  speciale  benevolenza  pei  servigi 
prestatimi,  al  signor  Marco  Roscitano,  mio  procuratore 
e  amministratore  generale,  e  la  terza  al  reverendo  Pa- 
dre Guardiano  di  esso  cenobio  dei  Cappuccini.  Nel 
caso  però  che  il  detto  signor  Roscitano  dovesse  lasciare 
l'amministrazione  della  mia  casa,  ordino  che  la  chiave 
passi  all'altro  mio  figlio  Lodovico,  Priore  nel  mona- 
stero di  San  Nicola  dell'Arena.  Questa  è  la  mia  volontà 

e   non  altra. 

«  Teresa  Uzeda  ». 

Il  signor  Marco,  che  s'  era  rispettosamente  inchinato 
al  passaggio  relativo  alla  sua  persona,  abbassò  il  foglio  ; 
il  principe  disse  guardando  in  giro  gli  astanti  : 

—  Le  volontà  di  nostra  madre  sono  leggi  per  noi. 
Sarà   fatto   secondo   ha   prescritto. 


->-.   20   — 

■ —  In  tutto  e  per  tutto....  —  confermò  il  Priore, 
chinando  il  capo. 

Don  Blasco,  che  sotHava  come  un  mantice,  non  aspettò 
neppure  che  1'  adunanza  si  sciogliesse.  Afferrato  il  mar- 
chese per  un  bottone  del  soprabito,  esclamò  : 

—  Sempre  pulcinellate?...  Fin  all'ultimo?...  Per  far 
ridere   la  gente?... 

E  il  signor  Marco  era  appena  salito  al  primo  piano, 
nelle  stanze  dell'  amministrazione  contigue  al  suo  quar- 
tierino,  per  dare  ai  dipendenti  gli  ordini  opportuni,  che 
le  persone  venute  a  cercarlo  si  presentarono  a  lui.  II 
ceraiolo  di  San  Francesco  veniva  a  offrire  cera  di  prima 
qualità,  lavorata  all'uso  di  Venezia,  a  sei  tari;  il  mae- 
stro Mascione  portava  una  lettera  dell'  avvocato  Spe- 
dalottl,  il  quale  pregava  il  signor  Marco  di  far  eseguire 
la  mesaa  di  requiem  del  giovane  compositore;  Brusa,  il 
pittore,  sollecitava  l'appalto  della  decorazione  pel  fune- 
rale solenne  della  principessa.... 

— ■  Come  sapete  che  ci  sarà  un  funerale  solenne  ? 

—  Per  una  signora  come  la  principessa  ! 

—  Ripassate  domani 

E  Baldassarre  chiamava  : 

—  Signor  Marco!  signor  Marco  !..^  Il  principe!... 
Ma  nuovi  postulanti  sopravvenivano.  Nessuno  1'  aveva 

ancor  detto,  ma  si  sapeva  che  la  principessa  di  Fran- 
calanza  non  poteva  andare  all'  altro  mondo  senza  una 
gran  cerimonia,  senza  un  gran  scialacquo  di  quattrini, 
e  ognuno  sperava  di  guadagnarne.  Raciti,  il  primo  vio- 
lino del  Comtinaìe,  voleva  offrire  la  messa  funebre  di 
suo  figlio  ;  saputo  che  Mascione  aveva  ottenuto  una 
lettera  di  Spedalotti,  era  corso  a  sollecitare  la  racco-, 
mandazione  più  valevole  del  barone  Vita  ;  Santo  Ferro, 
che  aveva  la  manutenzione  del  giardino  pubblico,  spe- 
rava gli  commettessero  la  camera  ardente,  e  poiché 
Baldassarre,  dal  cortile,  tornava  a  chiamare  : 

—  Signor  Marco!  signor  Marco!...  Il  principe!...  — 
il  .signor  Marco  si  sbarazzò  bruscamente  dei  postulanti  : 

—  Ma  andate  al  diavolo  !...  Ho  altro  da  fare,  adesso! 


Un  formicaio,  la  chiesa  dei  Cappuccini  nella  mattina 
del  sabato,  che  neppure  il  Giovedì  Santo  tanta  gente 
traeva  a  visitarvi  il  Sepolcro.  Tutta  la  notte  era  venuto 
dalla  chiesa  un  frastuono  di  martelli,  d'asce  e  di  seghe, 
e  le  finestre  erano  state  abbrunate  fin  dal  giorno  pre- 
cedente. A  buon'ora,  dinanzi  alla  folla  curiosa  che  gre- 
miva la  terrazza  e  le  scalinate,  avevano  inchiodato  sulla 
porta  maggiore  il  drappellone  di  velluto  nero  con  frange 
d'argento,   sul  quale  leggevasi  a  caratteri  d'oro: 

PER    l'  AXl.MA 

DI 

DONNA   TERESA    UZEDA    E   RIsA 

PRINCIPESSA     DI     FRANCALANZA 

ESEQUIE 

Verso  sedici  ore,  don  Carlo  Canalà,  col  naso  in  aria, 
sotto  la  porta,  spiegava  al  principe  di  Roccasciano,  tra 
le  gomitate  di  quelli  che  entravano  continuamente  : 

—  Veda:  all'esterno  non  giudicai  conveniente....  di- 
lungarmi   del    sover'chio —    Massima    semplicità:    per 

ranima esequie Penso  che  nella  sua  concisione..., 

per  avventura.... 

Ma  gli  urti,  le  pestate  di  piedi,  le  esclamazioni  dei 
curiosi  non  gli  consentivano  di  filare  il  discorso  ;  la 
gente  sbucava  a  torrenti  da  tutte  le  parti,  sospingevasi 
in  chiesa,  calpestava  i  mendicanti  venuti  a  mettersi  ac- 
costo alle  porte  ed  ai  cancelli  per  far  baiocchi. 

—  Sol  esso  il  nome onde  i  concetti,  per  avven- 
tura.... 

Alla  fine,  don  Cono  si  decise  anch' egli  ad  entrare; 
ma,  separato  dal  compagno,  fu  travolto,  come  un 
chicco  di  caffè  nel  macinino,  dal  turbine  umano  che  per 
il   troppo  angusto  passaggio   s' ingolfava   nella  chiesa. 

Essa  era  buia,  pei  veli  delle  finestre,  pei  manti  neri 
che  rivestivano  le  pareti  e  pendevano  dalle  arcate  delle 
cappelle  e  si  stendevano  lungo  il  cornicione.  Sopra  una 
piattaforma  alta  sei  o  sette  gradini  dal  pavimento  e 
girata  da  una  triplice  fila  di  ceri,  sorgeva  il  catafalco  : 


una  piramide  tronca  le  cui  quattro  facce,  tappezzate 
d'ellera  e  di  mortella,  portavano  nel  mezzo,  disegnati 
a  fiori  freschi,  quattro  grandi  scudi  della  casa  di  Fran- 
calanza.  Al  sommo  della  piramide,  due  angeli  d'  argento 
inginocchiati  da  una  sola  gamba  aspettavano  di  reg- 
gere il  feretro.  Ad  ogni  angolo  inferiore  del  catafalco, 
su  tripodi  d'argento,  erano  confitte  quattro  torce  grosse 
quanto  le  stanghe,  con  uno  scudo  di  cartone  legato  a 
mezz'asta;  sei  valletti  con  le  livree  del  secolo  XVIII, 
rosse,  nere  e  dorate,  impalati  come  statue,  con  le  facce 
rase  di  fresco,  reggevano  ciascuno  una  delle  antiche 
bandiere  d'alleanza;  dopo  i  valletti  dodici  prefiche,  ve- 
stite di  neri  manti,  coi  capelli  scarmigliati,  stavano 
tutt'  intorno  al  catafalco  coi  fazzoletti  in  mano,  per 
asciugarsi  le  lacrime.  Ma  bisognava  lavorar  di  gomiti, 
camminare  sui  piedi  dei  vicini,  lasciarsi  ammaccare  le 
costole  e  pestare  i  calli  e  sudare  una  camicia  prima 
d'arrivare  a  quell'apparato,  intorno  al  quale  una  folla 
d'  operai,  di  servi,  di  donnicciuole  stava  estatica  ad  am- 
mirare, in  attesa  del  corteo,  il  finto  marmo  della  piatta- 
forma, le  urne  di  cartone  scaglionate  sui  gradini,  le  la- 
crime di  carta  argentata  gocciolanti  dai  veli  neri  : 
«  Una  galanteria!...  Una  cosa  mai  vista!...  Per  questo 
sono  signoroni!...  Lasciate  fare  a  loro!...  E  dodici 
piangenti  !...  Neanche  pel  funerale  del  papa!...  Ma  il 
cadavere  è  già  posto  al  colatoio  per  l'imbalsamazione.  » 
E  Vito  Rosa,  il  barbiere  del  principe,  spiegava  :  «  Ap- 
pena sceso  dal  Belvedere  fu  portato  a  palazzo  e  .gli 
fecero  girare  gli  appartamenti  per  1'  ultima  volta,  come 
usano Il  cataletto  era  portato  a  spalla,  senza  stan- 
ghe.... e  tutta  la  parentela  dietro,  la  servitù  con  le 
torce  accese,  come  una  processione!...  »  Le  comari 
esclamavano:  «E  una  tegola  sotto  il  capo!...  Che  gli 
mancavano  forse  cuscini  di  velluto?...  Anzi,  questo  è 
per  maggior  penitenza,  con  la  tonaca  di  San  Placido  : 
non  capite  ?  » 

Ma  la  gente   incalzava   alle   spalle  e   i   discorsi   s' in- 
terrompevano, i  primi  arrivati  dovevano  cedere  il  posto, 


—   23   — 

se  ne  andavano   sotto  il  palco  dell'orchestra,   eretto  a 
ridosso  dell'org-ano,  con  quattro  ordini  di  panche  e  i  ma- 
nichi dei  contrabbassi  che  spuntavano  dal  più  alto,  ma 
ancora  vuoto  ;  o  giravano  dalla  parte  opposta,  verso  la 
cappella   della   Beata   Uzeda,    tutta  splendente   di   lam- 
pade votive;  e  si  fermavano,  una  volta  fuor  della  ressa, 
a  g-uardare  l'altare  scavato  dove  si  vedeva,  attraverso 
un  vetro,  la  cassa  antica  rivestita  di  cuoio,  che  racchiu- 
deva il  corpo  della  santa  donna  ;  poi  tentavano  tornare 
verso  il  centro  della  chiesa  per  legg'ere  le  iscrizioni  at 
taccate  agli  altri   altari  ;    ma  la  folla  era   adesso  coni 
patta  come  un  muro.   Don  Co'uo  Canalà,   data  un'oc 
chiata  all'apparato,  aveva  tentato  tre  o  quattro  volte 
per  conto  suo,  d'  avvicinarsi  a  qualcuno  degli  epitaffi! 
ma  non  era  riuscito  a  spingersi  tanto  innanzi  da  leg- 
gerli ;  e  col  capo  rovesciato,  il  cappello  ammaccato  dai 
continui   urtoni,    i   piedi   pestati,    la  camicia   in   sudore 
tangheggiava  come  una  barca  in  mezzo  alla  tempesta 
Con  belle  maniere,  dicendo  :  «  Di  grazia  !...  La  prego  !.. 
Mi  scusi  !...  »  arrivò  finalmente  a  tiro  della  prima  ta 
bella,  dove  leggevasi  : 

SOTTO    MULIEBRI    SPOGLIE 

CUORE     GAGLIARDO     PIETOSO 

ANIMO  ELETTO  MUNIFICO 

SPIRITO    SVEGLIATO    FECONDO 

ONNINAMENTE    DEGNA 

DELLA     MAGNANIMA     STIRPE 

CHE     LA     FE'     SUA. 

—  Onninamente?...  —  disse  il  barone  Carcaretta 
che  si  trovava  a  fianco  di  don  Cono.  —  Che  cosa  si- 
gnifica? 

—  Importa  interamente,  o  vogliam  dire  del  tutto 

Onninamente  degna  della  stirpe —  Come  le  piace  questo 
concetto  ?... 

—  Eh,  va  bene;  ma  non  capisco  perchè  si  divertano 
a  pescar  le  parole  difficili  ! 

—  Veda....   —  spiegò  allora  don  Cono,   insinuai;ite  : 


—    24    — 

• —  lo  stile  epigrafico  tiene  al  sommo  grado  del  nobile 
e  del  sostenuto —   Io  non  potevo  adoprare 

—  Ah,   r  avete  scritta  voi  ? 

—  Sissig"nore —    ma  non   solo,    veramente:   di   unita 

col  cavaliere  don  Eugenio Io  ho  curato  sovra  tutto  la 

forma....  Bramerei  vedere  le  altre:  temo  non  abbian 
preso  un  qualche  abbag'lio,  in  copiando 

Ma  la  chiesa  era  talmente  gremita  che  potevano  ap- 
pena fare  due  passi  ogni  quarto  d'ora;  e  tutt' intorno 
la  gente  che  non  riusciva  ad  andare  né  avanti  né  indietro 
né  a  veder  altro  fuorché  la  cima  della  piramide,  ingan- 
nava l'impazienza  dell'attesa  chiacchierando,  dicendo 
vita,  morte  e  miracoli  della  principessa  :  «  Adesso  I  suoi 
figli  potranno  respirare  !  Lì  ha  tenuti  in  un  pugno  di 
ferro —  —  I  suoi  figli  :  quali?...  —  Costrinse  don  Lodo- 
vico, il  secondogenito,  a  farsi  monaco  mentre  gli  toccava 
il  titolo  di  duca;  la  primogenita  fu  chiusa  alla  badia  !... 
Se  campava  ancora  ci  avrebbe  messo  anche  l'altra!... 
Maritò   Chiara   perché   questa   non   voleva   maritarsi  !... 

Tutto  per  amor  d'un  solo,  del  contino  Raimondo — 

Ma  il  padre?...  —  Il  padre,  ai  suoi  tempi,  non  contava 
più  del  due  di  briscola  ;  la  principessa  teneva  in  un 
pugno  lui  e  il  suocero!...  » 

Però  tutti  riconoscevano  che,  se  non  fosse  stata  lei, 
a  queir  ora  non  avrebbero  avuto  più  niente.  Ignorante, 
sì  ;  ma  accorta,  calcolatrice  ! 

—  È  vero  che  non  sapeva  leggere  né  scrivere  ? 

— •  Sapeva  leggere  soltanto  nel  libro  delle  devozioni 
e  in  quello  dei  conti  ! 

Frattanto  don  Cono  avvicinavasi,  a  passo  di  formica, 
alla  seconda  iscrizione  : 

ORBATA 

DEL    TUO    FIDO    CONSORTE 

NEL   MORTALE  VIAGGIO 

VECE    FACESTI 

AI     TUOI     FIGLI 

DEL     PADRE     LORO, 


Prima  ancora  di  scorgere  i  caratteri,  don  Cono  che 
la  sapeva  a  memoria,  recitò  l'epigrafe  al  barone,  fer- 
mandosi un  poco  a  ciascuna  parola,  più  a  lungo  ad  ogni 
capoverso,  gestendo  con  la  mano  come  se  spruzzasse 
acqua  benedetta,   per  sottolineare  i  passaggi  salienti  : 

—  Ignoro  se  approvate  questo  concetto  :  orbata.... 
vece  facesti 

Ma  nuove  ondate  della  folla  lo  divisero  la  seconda 
volta  dal  compagno.  Veniva  ora  dalla  terrazza  e  dalle 
scalinate  un  vasto  sussurro,  perchè  i  rintocchi  del 
mortorio  annunziavano  finalmente  la  partenza  del  corteo 
dal  palazzo. 

Intorno  alla  casa  Francalanza  c'era  sempre  una  fiera, 
per  le  tante  carrozze  aspettanti,  pel  tanto  popolo  fre- 
mente d'impazienza.  Dal  portone  socchiuso  vedevasi 
un'altra  folla  ragunata  nei  due  cortili,  uno  sciame  di 
servi  con  le  livree  nere  che  andavano  e  venivano,  il 
maestro  di  casa  senza  cappello  che  s'affannava  a  dar 
ordini,  la  carrozza  di  gala  a  quattro  cavalli  che  sarebbe 
servita  da  carro  funebre.  Quando  finalmente  le  due  pe- 
santi imposte  girarono  sui  cardini,  tutte  le  teste  si  vol- 
tarono, tutte  le  persone  s'  alzarono  sulle  punte  dei 
piedi.  Veniva  innanzi  la  fila  dei  frati  cappuccini  con  la 
croce,  poi  la  carrozza  funebre,  dentro  alla  quale  si  ve- 
deva il  feretro  di  velluto  rosso,  fiancheggiata  da  tutta 
la  servitù  con  le  torce  in  mano;  poi  l'Ospizio  Uzeda 
dei  vecchi  indigenti,  tutti  a  testa  nuda;  poi  le  ragazze 
dell'Orfanotrofio  coi  veli  azzurri  pendenti  fino  a  terra; 
poi  tutte  le  carrozze  di  famiglia  :  altri  due  tiri  a  quattro, 
cinque  tiri  a  due,  e  poi  ancora  un  altro  gruppo  di  gente  : 
una  quarantina  d'uomini,  la  più  parte  barbuti,  con  le 
giubbe  di  velluto  nero,  anch'  essi  coi  ceri  in  mano. 

—  Chi  sono?...  Di  dove  spuntano?... 

Erano  i  zolfai  delle  miniere  dell'  Oleastro  chiamati 
a  posta  da  Caltanissetta  per  l'accompagnamento  della 
padrona  :  quest'ultimo  accessorio  finiva  di  sbalordire 
tutti  quanti  :  ancora  non  s'era  vista  una  cosa  simile  !... 
Ma  gli  equipaggi  che  s'  avanzavano  da  ogni  parte  per 


mettersi  in  fila  sbaragliavano  la  calca  :  tiri  a  quattro 
che  venivano  a  prendere  i  primi  posti,  tiri  a  due  che 
rinculavano  scalpitando  tra  un  fitto  schioccar  di  fruste  ; 
e  i  curiosi,  a  rischio  di  lasciarsi  pestare  sotto  i  piedi 
delle  bestie,  li  venivano  riconoscendo  dagli  stemmi  degli 
sportelli  e  anche  dai  cocchieri  : 

—  Il  duca  Radali il  principe  di  Roccasciano —  il 

barone   Grazzeri....     i    Cùrcuma i    Costante —     non 

manca  nessuno  !... 

Di  repente  tutti  si  volsero  a  un  lontano  vocio  : 

—  Che  è?...  Che  cos'è  stato?...  La  carrozza  di  Tri- 
gona !...  Il  cocchiere  non  vuole  andare  in  coda,  gli  altri 

non   cedono   il    posto Ha   ragione!...     Questi    sono 

soprusi  !... 

Il  cocchiere  del  marchese  Trigona,  appunto,  quan- 
tunque guidasse  un  trespolo  tirato  da  due  ronzinanti, 
non  voleva  mettersi  in  coda  dove  e'  erano  le  carrozze 
dei  non  nobili  più  belle  della  sua.  E  Baldassarre,  tutto 
in  sudore  per  la  fatica  sostenuta  nell'  ordinare  il  corteo, 
nel  far  rispettare  le  precedenze,  s'  avanzava  per  dar  ra- 
gione al  cocchiere,  aprendosi  a  stento  il  varco  tra  la  folla, 
allungando  ceffoni  ai  .monelli  che  gli  si  mettevano  fra 
i  piedi,  ingiungendo:  «Largo!...  largo!...»  mentre 
una  buona  metà  dell'accompagnamento  s'  era  avviata. 

Il  mortorio  sonato  da  tutte  le  chiese  della  città  chia- 
mava gente  da  ogni  parte  sul  suo  passaggio  ;  ma  spe- 
cialm.ente  il  campanone  della  cattedrale  sospingeva  a 
frotte  i  curiosi.  Sonava  a  morto  solo  pei  nobili  e  i  dottori, 
e  il  suo  nton-iitvn  grave  e  solenne  costava  quattr'onze 
di  moneta;  talché  la  gente,  udendo  la  gran  voce  di 
bronzo,  diceva  :  «  Se  n'è  andato  qualche  pezzo  grosso  !  » 

E  ancora  buon  numero  di  carrozze,  dopo  quella  di 
Trigona,  aspettavano  d' incamminarsi,  che  già  la  testa 
del  corteo  fermavasi  ai  Cappuccini. 

Impossibile  portare  in  chiesa  la  bara  dalle  scale.  Non 
già  che  pesasse  molto,  che  anzi  era  vuota  ;  ma  la  ressa, 
sulle  scale,  cresceva,  nessuno  poteva  andare"  né  avanti 
né  indietro,   solo  il  cannone  avrebbe  potuto  far  luogo. 


—    27    — 

Bisognò  girare  la  situazione,  aprire  un  varco  fra  la 
turma  che  gremiva  la  salita  del  Santo  Carcere  e  di 
San  Domenico  e  portare  il  feretro  dal  convento  e  dalla 
sacrestia  :  trascorse  quasi  un'ora  prima  che  fosse  posto 
sul   catafalco. 

I  sonatori  avevano  già  preso  posto  sul  palco  e  sfo- 
derato i  loro  strumenti,  i  frati  accendevano  con  le 
canne  lunghe  i  ceri  dell'  aitar  maggiore.  E  i  curiosi 
stipati  nella  chiesa,  continuando  a  parlar  della  morta, 
si  rivolgevano  insistentemente  una  domanda  e  si  pro- 
ponevano una  quistione  :  «Chi  sarà  l'erede?...»  No- 
bili e  plebei,  ricchi  e  poveri,  tutti  volevano  sapere  che 
direbbe  il  testamento,  come  se  la  morta  avesse  potuto 
lasciar  qualcosa  a  tutti  i  suoi  concittadini.  Aspettavano, 
al  palazzo,  l'arrivo  del  contino  da  Firenze  e  del  duaa  da 
Palermo  per  leggere  le  ultime  volontà  della  princi- 
pessa; e  le  opinioni,  nel  pubblico,  erano  diametral- 
mente opposte  :  alcuni  sostenevano  che  tutto  sarebbe 
andato  al  contino;  ma,  quantunque  la  defunta  odiasse 
il  primogenito,  era  proprio  possibile  che  lo  diseredasse  ? 
«  Nossignore  :  tutto  andrà  al  primogenito  :  è  vero  che 
non  lo  poteva  soffrire,  ma  è  il  capo  della  casa,  l'erede 
del  principato  !...  » 

Un  nuovo  pigia  pigia  troncò  di  botto  ogni  discorso, 
infitti  la  folla  in  fondo  alla  chiesa  :  entravano  le  orfa- 
nelle  del  Sacro  Cuore  con  le  vesti  verdi  e  gli  scialletti 
bianchi  ;  Baldassarre,  tutto  vestito  di  nero,  le  dirigeva 
verso  l'aitar  maggiore,   ingiungendo  : 

—  Largo,   largo,   signori  miei!... 

Un  bambino,  mezzo  soffocato  tra  la  calca,  si  mise  a 
strillare  ;  un  mendicante,  riuscito  ad  entrare,  inciampò 
contro  un  gradino  d'altare  e  cadde  per  terra. 

BENEFICENTE 

CO!     DERELITTI 

L'  obolo  DELLA  CARITÀ 

TI  PIA  RESO 

CENTUPLICATO 

CON    l'  ESPIATORIE   PRECI. 


—    28    — 

Don  Cono  declamava,  a  bassa  voce,  1'  altra  iscrizione 
al  canonico  Sortini  che  aveva  pescato  tra  la  folla  : 

—  Conciliar  l' invenzione  del  concetto  con  la  venustà 

della  forma:  difficoltà  precipua  dello  stile  epigrafico 

L'obolo centuplicato non    so    se   mi    appongo 

Adesso  l'aitar  maggiore  era  tutto  una  fiamma,  dai 
tanti  ceri  ;  il  movimento  dei  frati  e  dei  sagrestani  cre- 
sceva ;  sul  palco  della  musica  accordavano  gli  stru- 
menti, un  clarino  sospirava,  gli  archetti  stridevano,  un 
contrabasso  borbottava  ;  e  Baldassarre,  aiutato  dai 
camerieri  di  tutta  la  parentela,  vestiti  di  nero  anch'essi, 
faceva  disporre  due  file  di  sedie  pei  vecchi  e  le  orfa- 
nelle  :  le  sedie,  tenute  alte  sulla  folla,  parevano  navigare 
sul  mar  delle  teste,  e  poiché  sempre  nuova  gente  entrava 
a  furia,  la  ressa  era  terribile.  I  fiati,  l'odor  di  mocco- 
laia, il  caldo  della  giornata  facevano  della  piccola  chiesa 
una  bolgia  ;  alcune  donne  erano  già  svenute,  in  due  o 
tre  punti  si  litigava  fra  chi  voleva  spingersi  avanti  e  chi 
non  voleva  tirarsi  indietro;  ma  nessuno  si  decideva  ad 
andarsene;  e  negli  angoli,  lungo  i  muri,  avanti  agli 
altari,  i  curiosi,  gli  scioperati  rifacevano  la  storia  della 
morta  e  della  famiglia,  ne  commentavano  le  stra- 
vaganze : 

—  La  cassa  con  tre  chiavi!...  Sarà  tanto  più  diffi- 
cile tornare  a  questo  mondo!...  E  la  tonaca  e  il  ro- 
sario!...   Tanta  penitenza  con  un  funerale  da   regina! 

A  voce  pila  bassa  le  male  lingue  aggiungevano  : 

—  Dopo  l'allegra  vita!... 

Accanto  alla  pila  dell'acqua  santa,  in  mezzo  a  un 
crocchio  di  nobilastri  invidiosi  e  a  corto  di  quattrini, 
don  Casimiro  Scaglisi  annunziava  : 

—  E  il  principe  ?  Non  sapete  che  ha  fatto  il  prin- 
cipe ?  Quand'ebbe  la  notizia  della  morte  della  madre, 
scappò  al  Belvedere  senza  far  cTìiudere  il  portone,  per 
avere  il  tempo  d'arrivar  solo  alla  villa,  e  senza  avvertir 
Ferdinando  alla  Pietra  delI'Ovo 

Alcuni    protestarono  ;    don    Casimiro    confermò  : 

—  Se  ve  lo  dico  io!...  Per  aver  tempo  di  maneg- 
giarsi, di  far  sparire  carte  e  denari  ! 


-  29  - 

Tutt'  Intorno  scrollavano  il  capo  :  don  Casimiro  par- 
lava cosi  per  astio,  giacché  fin  a  tre  giorni  addietro 
era  stato  lavapiatti  di  casa  Francalanza,  ma  fin  da 
quando  la  principessa  era  andata  in  campagna,  il  prin- 
cipe non  l'aveva  piij  ricevuto,  credendolo  iettatore. 

—  Del  resto,  scusate,  —  gli  facevano  osservare  — 
che  bisogno  aveva  mai  il  principe  d'allontanare  Fer- 
dinando ? 

—  Sissignori,  fa  la  vita  del  Robinson  Crusoè  alla 
Pietra  dell'Ovo,  non  s'occupa  d'affari  e  in  famiglia  lo 
chiamano  il  Babbeo,  col  soprannome  messogli  da  sua 
madre.  Ma  che  vuol  dire  ?  Babbeo  o  no,  il  principe 
non  voleva  nessuno  dei  suoi  tra  i  piedi  !...  Vi  dico  che 
lo  so  di  sicuro  ! 

Un   altro   osservò  : 

—  Non  parlate  male  di  Ferdinando  ;  con  le  sue 
manìe  non  fa  ,male  a  nessuno;  è  il  migliore  di  tutta 
la   casata. 

—  Tanto  che  non  parrebbe  dello  stesso  seme —  — 
rispose  don  Casimiro. 

—  Sst,    sst  !    Siamo   in   chiesa,   —   gì'  ingiunsero. 
— •  Passa  don  Cono. 

Don  Cono  adesso  traversava  la  chiesa  per  leggere 
l'iscrizione  posta  sulla  pila  dell'acqua  benedetta;  come 
fu  giunto  vicino  al  crocchio,  lo  fermarono  : 

—  Don  Cono  !...  Don  Cono  !...  Voi  che  avete  la  vista 
lunga;  come  dice  lassù? 

E   don   Cono  compitò  : 

IN  QUESTO  TEMPIO 

OVE  IL  FRALE  SI  ACCOGLIE 

DELLA  BEATA  UZEDA 

CORROBORATE 

FIENO  LE  PRECI 

dall' INTERCESSORA  PARENTE 

—  Bellissimo!  Bravo!...  Bene  V  intercessora....  - — 
esclamarono  in  coro  ;  ma  un  sst  prolungato  passò  di 
repente  di  bocca  in  bocca  :  il  maestro  Mascione,  appol- 


^  30  — 

laiato  in  cima  al  palco  dell'orchestra,  aveva  picchiato 
Ire  colpi  sul  leggio;  e  le  conversazioni  morirono,  tutte 
le  teste  si  volsero  verso  i  sonatori.  In  mezzo  all'atlen- 
zione  generale  don  Casimiro  urtò  a  un  tratto  col  gomito 
i  vicini,  esclamando  piano  : 

—  Guardate  !    Guardate  ! 

Entrava  in  quel  punto,  protetto  contro  la  folla  dal 
servitore,  il  vecchio  don  Alessandro  Tagliavia  :  nono- 
stante l'età,  reggeva  ancora  diritta  l'alta  persona  e 
dominava  la  folla  con  la  bella  testa  bianca  e  rosea,  dagli 
occhi  chiari  com'acqua  marina  e  dai  baffi  bionditi  dal 
tabacco.  Non  potendo  avanzare,  guardava  da  lontano  il 
catafalco,  il  palco  della  musica,  le  tabelle  degli  epitaffii  ; 
e  intanto,  nel  silenzio  fattosi  come  per  incanto,  l'or- 
chestra intonava  il  preludio  :  un  lungo  gemito,  suoni 
rotti  in  cadenza  come  da  brevi  singulti  si  diffondevano 
per  la  chiesa,  e  le  piangenti  riprendevano  a  lacrimare, 
mentre  i  monaci,  dinanzi  all'altare,  cominciavano  le 
genuflessioni.  Molti  capi  si  chinarono,  al  sordo  vocio 
sottentrò  un  raccoglimento  profondo. 

—  Guardate!...  —  ripetè  don  Casimiro,  nel  gruppo 
accanto  alla  pila.  — •  È  venuto  a  dirle  l'ultimo  addio  ! 

Tutti  avevano  gli  occhi  fìssi  sul  vecchio  :  il  lava- 
piatti a  spasso  continuò,  interrompendosi  quando  l'or- 
chestra taceva  : 

—  Ed    io   che    me   lo   rammento   piangere   come    un 

bambino come  un  disperato quando  la  morta  lo 

lasciò    per    Felice   Cùrcuma dopo   quello  che   c'era 

stato  fra  loro  !...  Adesso  lei  è  a  marcire  al  colatoio — 
Lui  camperà  vent'anni  ancora:  una  salute  di  ferro.... 
—  A  voce  più  bassa,  mentre  le  trombe  tratto  tratto 
squillavano  e  le  voci  cantavano  Requiem  aeternam  dona 
eis,  aggiunse  :  —  Ed  ha  la  sua  brava  ragazza,  in  una 
villetta  al  Borgo —  Tutte  le  sere  le  passa  con  lei  !... 

Il  vecchio  tentava  ancora  di  avvicinarsi  ad  una  iscri- 
zione; ma  poiché,  principiata  la  messa,  nessuno  più  si 
moveva,  tornò  indietro.  Giunto  sulla  porta  della  chiesa, 
colpendogli  l'aria  fresca  la  fronte,  si  calcò  il  cappello 
sulla  testa  che  non  era  ancor  fuori. 


_  31  — 

—  Sic  tnnisit  gloria  mundi  l... 

Però,  passato  il  primo  effetto  della  musica,  le  conver- 
sazioni andavano  qua  e  là  riappiccandosi  ;  e  Raciti,  il 
primo  violino  del  Comunale,  borbottava  in  mezzo  agli 
sconosciuti  : 

—  Bell'apparato,  non  c'è  che  dire;  bella  funzione!... 
La  quistione  è  di  sapere  chi  pagherà  ! 

Era  furente,  dopo  che  il  signor  Marco  aveva  prefe- 
rito la  messa  di  Mascione  a  quella  di  suo  figlio  ;  ma  si 
consolava  sparlando  della  casata  :  non  c'era  l'eguale 
per  la  stitichezza  nel  pa,gare  ;  e  Titta  Caruso,  il  bollet- 
tinaio  del  teatro,  ne  sapeva  qualcosa,  costretto  com'era 
ogni  anno  a  far  cento  volte  le  scale  del  palazzo  prima 
di  vedersi  pagato  l'appalto  del  palchetto  :  oggi  non 
c'era  il  principe,  domani  non  c'era  la  principessa, 
vm 'altra  volta  mancava  pel  signor  Marco,  poi  erano 
tutti  in  campagna 

—  Mio  figlio  Salvatore  non  voleva  offrir  loro  la  sua 
messa  ?  Meglio  sonarla  gratis  per  le  anim^e  del  Purga- 
torio ;  almeno  se  ne  guadagna  altrettanta  salute  al- 
l'anima ! 

E  voltò  le  spalle,  furioso,  per  andarsene,  mentre 
intonavano  il  Tuha  mirum  rubato  al  Palestrina  !...  Come 
lui,  erano  venuti  in  chiesa  quanti  eran  corsi  nei  primi 
momenti  al  palazzo  per  offrire  i  loro  servigi  ;  ma  i 
rimasti  a  mani  vuote  tiravano  adesso  in  ballo  le  storie 
d'avarizia  e  d'intima  spilorceria  di  quella  famiglia  il 
cui  lusso  era  solo  apparente  :  la  principessa,  una  volta, 
non  aveva  fatto  citare  dinanzi  al  giudice  il  suo  calzo- 
laio perchè  le  restituisse  il  prezzo  di  un  paio  di  scarpe 
non  riuscite  di  suo  gradimento?  E  in  cucina,  il  ciioco 
non  aveva  l'ordine  di  scolar  l'olio  rimasto  nella  pa- 
della dopo  la  frittura  pel"  riconsegnarlo  alla  padrona  ? 

—  Più  sono  ricchi,  cotesti  porci,  più  sono  spilorci  !... 
Un  sitti!  imperioso  troncò  le  chiacchiere  :  l'orchestra 

intonava  il  Che  dirò  io  misero  ?  e  la  gente  che  stava 
attenta  alla  musica  non  voleva  esser  disturbata.  Ma 
dopo    un    momento    le    conversazioni    si    riannodarono. 


^  3à  ^- 

In  certi  crocchi  di  liberali,  vantavano  il  patriottismo 
del  duca  Gaspare,  sotto  voce,  però,  e  guardandosi  in- 
torno per  paura  che  qualche  spia  non  udisse. 
/  —  Un  colpo  al  cerchio  e  un  altro  alla  botte  !  — 
esclamava  don  Casimiro  accanto  alla  pila.  —  In  questa 
casa  chi  fa  il  rivoluzionario  e  chi  il  borbonico  ;  cosi  sono 
certi  di  trovarsi  bene,  qualunque  cosa  avvenga  !  La  ra- 
gazza Lucrezia  non  fa  la  liberale  per  amore  di  quello 
sciocco  di   Benedetto  Giulente?... 

Il  barone  Carcaretta,  imitosi  ai  maldicenti,  protestò  : 

—  Non  daranno  mai  un'  Uzeda  a  un  Giulente  ! 
E  don  Casimiro  : 

—  Per  questo  io  dico  che  il  Giulente  è  uno  sciocco.... 

—  Silenzio,  eccoli  li. 

Il  giovanotto  infatti  entrava  in  quel  momento  insieme 
con  suo  zio  don  Lorenzo,  il  celebre  liberale  lavapiatti 
de]  duca. 

—  E  cosi  ?  —  domandò  don  Casimiro  —  quando  la 
farete   questa   rivoluzione  ? 

— ■  Non  lo  diremmo  a  voi,  in  ogni  caso  !  —  rispose 
Benedetto   sorridendo. 

Allora  l'altro  si  rivolse  allo  zio  : 

—  E  il  vostro  amico,  il  duca  ?  Gli  muore  la  co- 
gnata, i  suoi  nipoti  l'aspettano,  e  non  parte  subito? 
Che   sta   macchinando  ? 

—  A  voi  che  importa  ? 

—  A  me  ?  Un  fico  secco  !  Io  non  faccio  il  lavapiatti 
a   nessuno  ! 

—  I  lavapiatti  —  rispose  don  Lorenzo  —  dovete  sa- 
pere che  io  li  ho  tenuti  sempre  in  cucina 

—  Silenzio!...  Siamo  in  chiesa. 

La  preghiera  ieratica  diceva  giustamente  :  «  Serbami 
un  posto  nel  gregge.  »  Ma  don  Casimiro  non  voleva  ri- 
conoscere che  il  dispiacere  di  non  goder  più  dell'  inti- 
mità degli  Uzeda  lo  animava  contro  di  loro. 

—  Bestioni  !  —  esclamò,  quando  i  due  Giulente  si 
allontanarono.  —  Mi  diranno  poi  come  finirà  loro, 
con  quei  birbanti  ! 


—  33  — 

Il  principe  di  Roccasciano,  che  aveva  girato  per  la 
chiesa  sballottato  dalla  folla,  fu  sospinto  in  mezzo  al 
gruppo;  tutta  la  sua  persona,  cosi  piccola  e  magra  che 
pareva  fatta  in  economia,  esprimeva  uno  straordinario 
stupore  : 

—  Signori  miei,  che  funerale!  che  spesa!...  Ci  sa- 
ranno per  Io  meno  cent'onze  di  cera!  E  l'apparato  !  La 
messa  cantata  !  Io  vi  so  dire  che  per  la  felice  memoria 
di  mio  padre  spesi  sessantotto  onze  e  tredici  tari,  e 
che  feci?  Niente!...  Qui  vi  dico  che  ci  sono  spese  cen- 
t'onze di  sole  torce 

— .   Sst il  Lux  aeterna. 

Ad  ogni  passaggio  della  messa  operavasi  un  rime- 
scolamento nella  folla  :  alcuni  tentavano  uscire,  la  più 
parte  mutavan  di  posto,  giravano  intorno  al  catafalco, 
andavano  a  leggere  le  iscrizioni.  Restava  a  don  Cono 
da  verificar  l'ultima;  don  Casimiro  gli  si  pose  alle  co- 
stole, seguito  da  parecchi  della  comitiva. 

ahi   dura    morte 

il  pianto 

d'una  illustre  prosapia 

d'  un  popolo  intero 

a  disarmare  il  tuo  braccio 

non  valse. 

— .  Benissimo  !  —  fece  don  Casimiro.  —  La  prosapia 
è  illustre:  discende  difilato  dall'anche  d'Anchise.  Il  po- 
polo piange  :  non  vedete  le  lacrime  ?  —  e  mostrava 
quelle  d'argento  che  frangiavano  l'addobbo  funebre.  — 
Piangono  anche  le  ragazze  dell'Orfanotrofio pen- 
sando che  andranno  a  finir  cameriere  dell'  illustre 
principe 

—  Farmi   sconvenga —  obbiettò  don   Cono. 

—  E  v'accerto  io  che  sono  tutti  disperati  per  questa 
morte,  dal  gran  bene  che  si  vogliono  in  casa.  Poh  !  Non 
possono  stare  un  giorno  senza  abbracciarsi  e  baciarsi.... 

— •  Farmi   sconvenga.... 

—  Prudenza,  signori  miei....   siamo  in  chiesa! 

Di    Eobeito.    I    Vicerì;    -    I  3 


—  34  — 

Giusto,  ]a  ripresa  del  Dies  irae  assordava  tutti  ;  i 
frati  erano  scesi  verso  il  catafalco,  benedicendo  ;  la 
musica  intonava  il  Libera  me,  riprendeva  le  frasi  del 
principio,  implorava  il  Requiem.  «È  finito?...  Se  Dio 
vuole  !»  E  un  rimescolamento  generale  :  chi  era  rimasto 
lontano  dal  catafalco  e  dalle  iscrizioni  vi  si  dirigeva  ; 
molti  che  non  reggevansi  più  in  piedi  dalla  stanchezza, 
s'avvicinavano  alle  porte;  ma  lì  la  confusione  e  la 
ressa  ricominciavano  più  grandi  ;  perchè  tutta  la  gente 
rimasta  fuori,  credendo  che,  finita  la  messa,  fosse  age- 
vole entrare,  s'affollava  tumultuosamente,  cozzando 
contro  quelli  che  volevano  uscire,  travolgendo  gili 
storpi,  i  ciechi  e  i  mutilati  che  arrischiavano  nuova- 
mente di  tender  la  mano  ai  passanti.  «Adagio!...  I 
piedi  !...  Che  maniera  !  »  e  dominando  quel  vocio  veniva 
dalla  piazza  un  incessante  scalpitar  di  cavalli  :  le  car- 
rozze del  corteo  funebre  che  sfilavano  una  dopo  l'altra, 
andandosene. 

Il  principe  di  Roccasciano,  affacciato  dalla  terrazza, 
le  veniva  numerando  : 

—  Sette  tiri  a  quattro,  sessantatre  carrozze  padro- 
nali, dodici  di  rimessa  —  disse,  quando  passò  l'ultima. 
E  fece  il  conto:  —  A  dodici  tari  l'una,  tolte  quelle 
di  famiglia,   sono  trentaquattr'onze  !... 

Allora  l'onda  degli  spettatori  cominciò  a  disperdersi. 
I  poveri  rimasti  accoccolati  lungo  i  muri  poterono  final- 
mente trascinarsi  ai  loro  posti  ;  ma  oramai  non  passava 
più  nessuno. 


II. 


Verso  sera,  mentre  la  servitù  raccolta  nel  cortile 
commentava  ancora  la  magnificenza  del  funerale,  arrivò 
dalla  via  di  Messina  il  conte  Raimondo  con  la  contessa 
Matilde.  Baldassarre,  udendo  il  tintinnio  delle  sona- 
gliere,   si    precipitò   giù    per   lo    scalone   e    arrivò   allo 


—  35  — 

sportello  della  corriera  giusto  nel  momento  che  questa 
arrestavasi  e  che  il  padrone  saltava  giù. 

— •  Chi  c'è?  —  domandò  il  contino,  troncando  con 
voce  breve  le  cerimonie  di  Baldassarre  e  mostrando  le 
carrozze  allineate  nella  corte. 

—  Visite  pel  signor  principe,  Eccellenza —  e  su- 
bito il  maestro  di  casa  prese  l'aspetto  grave  e  triste 
conveniente  alla  circostanza  luttuosa. 

II  conte  s'avviò  per  lo  scalone  senza  curarsi  della 
moglie  né  del  bagaglio.  Baldassarre,  a  capo  chino, 
offerse  il  gomito  alla  signora  contessa,  ma  ella  smontò 
senza  appoggiarsi.  «  Più  bella  che  mai  !  »  giudicavan 
le    donne    che    le    si    appressavano    rispettosamente, 

«  quantunque  un  po'  dimagrata,  in  verità »  La  moglie 

del  portinaio  osservò  anche  :  «  Pare  più  afflitta  lei  del 
contino —  »  E  con  che  dolce  voce  pregava  che  portas- 
sero su  le  valige  e  i  sacchi  da  notte,  e  rispondeva  al  : 
«  Benvenuta,  Eccellenza  !  »  dei  servi,  informandosi  della 
loro  salute,  domandando  a  Giuseppe  se  il  suo  bambino 
stava  bene  e  a  donna  Mena  se  la  sua  figliuola  s'era 
maritata  !... 

Su,  nelle  anticamere,  il  principe  e  Lucrezia  vennero 
incontro  al  fratello  ed  alla  cognata.  Raimondo  si  lasciò 
baciare  dalla  sorella,  e  stretta  la  mano  che  Giacomo 
gli  tendeva,  entrò  nella  Sala  Gialla,  zeppa  di  gente  al 
pari  della  Rossa,  poiché,  tolto  il  divieto  di  lasciar 
salire  i  soli  prossimi  parenti,  ora  i  cugini  in  quarto  e 
in  quinto  grado,  gli  affini,  gli  amici  venivano  in  pro- 
cessione a  condolersi  della  gran  disgrazia.  Tutti,  all'ap- 
parire della  contessa  Matilde,  si  levarono,  ad  eccezione 
di  don  Blasco  e  di  donna  Ferdinanda.  Quest'ultima, 
quando  la  nipote  le  baciò  la  mano,  borbottò  un  :  «  Ti 
saluto  »  freddo  freddo  ;  quanto  a  don  Blasco,  non  le 
rispose  neppure.   Egli  vociava,  gesticolando  : 

—  Vogliono  il  resto?  Ah,  vogliono  il  resto?  Se  vo- 
gliono il  resto,  non  hanno  da  far  altro  che  chiederlo  !... 

L'incontro  del  Priore  con  Raimondo  fu  osservato  da 
tutti  :  il  Priore  che  stava  seduto  accanto  a  monsignor 


-  36  - 

Vescovo  col  Vicario  e  parecchi  canonici,  appena  scorto 
il  fratello  s'alzò  e  gli  aperse  le  braccia  :  Raimondo  si 
lasciò  abbracciare  un'altra  volta,  ma  quelle  dimostra- 
zioni d'affetto  lo  seccavano  visibilmente.  Poi  il  prin- 
cipe lo  condusse  via,  e  tutti  ripresero  i  loro  posti  e  i 
discorsi   interrotti. 

In  un  g^ruppo  di  pezzi  grossi  dove  c'erano,  fra  gli 
altri,  il  presidente  della  Gran  Corte,  il  generale  e  alcuni 
senatori  municipali,  don  Blasco  continuava  a  fiottare 
contro  i  rivoluzionarli  e  i  quarantottisti  che  minaccia- 
vano d'alzar  la  coda.  Non  era  bastata  loro  la  famosa 
lezione  spiegata  da  Satriano?  Volevano  il  resto?  Sa- 
rebbero stati  immediatamente  serviti  ! 

—  Ma  la  colpa  più  grande  credete  forse  che  sia  dei 
sanculotti  o  di  quel  ladro  di  Cavour  ?  È  di  quei  ruffiani 
che  per  la  loro  posizione  dovrebbero  sostenere  il  Ck)- 
verno  e  invece  si  mettono  coi  morii  di  fame  ! 

Egli  l'aveva  principalmente  col  fratello  duca  che  s'era 
fitto  in  capo  di  fare  il  liberalone,  lui,  il  secondogenito 
del  principe  di  Francalanza  !  Il  marchese  di  Villardita 
approvava,  chinando  la  testa,  giudicando  però  che  i  ri- 
voluzionarii,  con  o  senza  l'aiuto  dei  signori,  sarebbero 
rimasti  cheti  almeno  per  un  altro  mezzo  secolo  :  la  città 
portava  ancora  i  segni  della  terribile  repressione  del- 
l'aprile Quarantanove  :  non  erano  del  tutto  scomparse 
le  tracce  del  fuoco  e  del  saccheggio,  e  mezza  popolazione 
piangeva  i  morti,  i  condannati  all'ergastolo,  gli  esiliati. 

Il  Priore,  tornato  a  sedere  accanto  a  Monsignore, 
nel  gruppo  delle  tonache  nere,  deplorava  anch'egli,  a 
bassa  voce,  l'iniquità  dei  tempi  per  via  della  legge  pie- 
montese contro  le  corporazioni  religiose  ;  e  don  Blasco, 
nel  crocchio  opposto  :  ^ 

—  Adesso  fanno  la  guerra  senza  denari  !  Rubando 
la  Chiesa  di  Cristo!  E  quel  celebre  d'Azeglio?  Avete 
letto  il  suo  sproloquio?... 

Dalla  parte  delle  donne  la  principessa  se  ne  stava  in 
un  angolo,  un  po'  alla  larga,  per  evitar  contatti.  Donna 
Ferdinanda,   seduta  vicino  al  principe  di   Roccasciano, 


—  37  — 

parlava  con  lui  d'affari,  del  raccolto,  del  prezzo  delle 
derrate,  mentre  la  principessa  di  Roccasciano  raccon- 
tava alla  baronessa  Cùrcuma  un  suo  sogno,  la  madre 
che  le  era  apparsa  con  tre  numeri  in  mano  :  6,  39  e 
70,  sui  quali  avea  giocato  dodici  tari  di  nascosto  del 
marito.  Le  ragazze  Mortara  e  Costante,  amiche  di  Lu- 
crezia, parlavano  d'abiti  a  quest'ultima,  per  divagarla, 
quantunque  ella  non  desse  loro  ascolto  e  rispondesse  a 
sproposito,  com'era  sua  abitudine;  ma  la  cugina  Gra- 
ziella teneva  da  sola  animata  la  conversazione,  rivol- 
gendosi a  tutti  ed  a  ciascuno,  passando  da  una  sala  al- 
l'altra, chiacchierando  d'abiti,  di  sarte,  della  Crimea, 
del  Piemonte,  della  guerra,  del  colera.  Stanca  del  viag- 
gio, la  contessa  Matilde  parlava  poco,  aspettando  di 
ritirarsi  nelle  sue  camere  ;  don  Cono,  venuto  a  metter- 
sele vicino,  le  recitava  tutte  le  epigrafi  da  lui  composte 
pel  funerale:  «  M'è  sovvenuto  d'una  variante;  bramo 
il  giudizio  della  contessa »  E  il  cavaliere  don  Eu- 
genio giudicava  povertà  il  lusso  dei  moderni  funerali  a 
paragone  di  quello  di  un  tempo  :  «  Nel  1692  fu  perfino 
emanato  un  bando,  in  via  di  prammatica,  per  impe- 
dire l'eccedente  sfarzo  delle  cerimonie  mortuarie!» 

Tutti  s'alzarono  al  sopravvenire  di  donna  Isabella 
Fersa  con  suo  marito  don  Mario  e  con  Padre  Gerbini  : 
il  Benedettino  reggeva  galantemente  sul  braccio  un  velo 
della  dama.  Questa  baciò  tutte  le  Uzeda,  fuorché  la 
principessa,  la  quale,  schivandosi,  presentò  : 

— •  Mia  cognata  Matilde.... 

Donna  Isabella  strinse  forte  la  mano  alla  contessa  e 
le  si  mise  a  sedere  a  fianco,   sospirando  : 

—  Che  grande  disgrazia  !  Ma  bisogna  fare  la  volontà 
di  Dio!...  Siete  stati  a  Firenze?...  Anche  noi  ci  fummo 

l'anno  scorso;  ma  voialtri  allora  eravate  a  Milazzo 

Una  sola  bambina  finora?...  Il  conte  aspetta  un  m.a- 
schietto,  naturalmente.  Felice  voi  che  avete  una  figlia  : 
v' invidio,  contessa,   sapete 

Padre  Gerbini  faceva  intanto  il  giro  delle  signore, 
discorrendo  a  lungo  con  le  più  giovani  e  belle,  dicendo 


—  38  - 

loro  cose  galanti  e  proibite.  Egli  prendeva  le  morbide 
e  bianche  mani  femminili,  le  teneva  un  poco  fra  le  sue 
egualmente  bianche  e  inanellate,  poi  le  baciava.  Ve- 
dendo rientrare  il  principe  col  fratello,  lasciò  le  dame 
per  condurre  Raimondo  dinanzi  alla  Persa. 

—  Il  conte  di  Lumera,...  donn'  Isabella  Persa,  la 
piij   bella  dama  del  regno.... 

—  Non  gli  creda,  dice  a  tutte  cosi —  esclamò  ella 

sorridendo.  —  Sono  dolente  di  conoscerla  —  riprese,  con 
altro  tono  di  voce  e  stringendogli  la  mano  —  in  questa 
triste  circostanza —  —  Sospirò  un  poco,  poi  ricominciò  : 
—  Giusto,  la  contessa  mi  diceva  che  arrivate  da  Fi- 
renze..., 

—  Direttamente.  Ci  siamo  fermati  appena  a  Messina. 

—  Per  lasciar  la  bambina  a  vostro  suocero.  Avete 
fatto  bene  !   Com'  è   questa   Milazzo  ? 

— ■  Non   me  ne  parli. 

Per  fortuna,  egli  ci  stava  il  meno  che  poteva,  sempre 
attirato  a  Firenze,  dove  aveva  tante  amicizie.  Come  egli 
citava  i  grandi  nomi  di  Toscana,  donna  Isabella  chinava 
ripetutamente  il  capo  in  atto  affermativo  :  «  I  Morsini, 
sicuro i   Realmente » 

La  contessa  volgeva  supplici  sguardi  al  marito,  quasi 
per  dirgli:  «  Portami  via »  ma  Raimondo  non  ces- 
sava di  parlare  del  suo  tema  favorito.  Persa  gli  s'avvi- 
cinò un  momento  per  stringergli  la  mano  ed  esprimergli 
il  proprio  rammarico. 

— .  Tuo  zio  il  duca  arriva  domani  ? 

—  Cosi  m'ha  detto  Giacomo. 

—  E   del   testamento  ? 

—  Non   si  sa  nulla. 

Tra  i  discorsi  di  politica,  di  moda,  di  viaggi,  quella 
domanda  curiosa  era  sussurrata  qua  e  là,  otteneva  sem- 
pre la  stessa  risposta.  II  presidente  della  Gran  Corte, 
testimonio  della  consegna  del  testamento  .segreto  fatta 
dalla  principessa  al  notaio  1'  anno  innanzi,  non  sapeva 
nulla  intorno  al  contenuto  della  carta  di  cui  aveva  fir- 
mato la  busta,  e  i  figli  della  morta  erano  al  buio  peggio 


—  39  — 

degli  estranei.  Forse,  se  Raimondo  fosse  venuto  a 
tempo,  quando  sua  madre  lo  aveva  insistentemente 
chiamato,  egli  avrebbe  saputo  qualcosa  ;  ma  il  conte, 
divertendosi  a  Firenze,  aveva  fatto  orecchio  da  mercante, 
quasi  non  si  trattasse  dei  suoi  stessi  interessi.  Possi- 
bile, allora,  che  la  principessa  non  si  fosse  confidata 
proprio  a  nessuno  ?  a  qualcuno  dei  cognati  ?  a  un  uomo 
d'affari,  almeno?  Di  botto  don  Blasco,  lasciando  in 
pace  Cavour  e  la  Russia  : 

—  E  allora,  che  sugo  ci  sarebbe  stato  ?  —  esclamò. 
—  Cosi  fanno  tutti  coloro  che  ragionano,  eh?...  Ma  in 
questa  casa  la  logica  era  un'altra!...  Nessuno  doveva 
saper  niente  !  tutto  si  doveva  fare  a  loro  capriccio;  sem- 
pre chiusi,  sempre  misteriosi,  come  se  fabbricassero 
moneta  falsa  ! 

Il  presidente  scrollava  il  capo  con  bonomia,  per 
acquietare  il  monaco  focoso  ;   ma  questi  proseguiva  : 

—  Volete  sapere  che  dirà  il  testamento  ?  Domanda- 
telo al  confessore!  Sissignori  :  al  confessore!...  Voi  al 
confessore  di  che  parlate  ?  Dei  peccati,  eh  ?  delle  cose 
di  coscienza?...  Degli  affari,  naturalmente,  incaricate 
gli  avvocati,  i  notai,  i  parenti,  si  o  no?...  Qui  invece 
il  confessore  scriveva  il  testamento  :  forse  il  notaio 
impartiva  1'  assoluzione  ! 

Alcuni  sorridevano  a  quelle  sparate,  e  le  supposizioni 
avevano  libero  corso.  Il  presidente  era  sicuro,  checché 
si  dicesse  in  contrario,  che  l'erede  sarebbe  stato  il  prin- 
cipe, con  un  forte  legato  al  conte  ;  e  il  generale  confer- 
mava :  «  Sicuramente,  l'erede  del  nome  !  »  ma  il  barone 
Grazzeri  scrollava  il  capo  :  «  Se  non  andarono  mai 
d'accordo?  »  Don  Mario  Fersa,  infatti,  piano  al  cava- 
liere Carvano,  manifestava  la  sua  opinione,  secondo  la 
quale  l'erede  sarebbe  stato  Raimondo.  Forse  il  contegno 
di  lui  durante  la  malattia  della  madre,  il  costante  ri- 
fiuto di  venire  a  vederla,  potevano  avergli  un  poco 
nociuto  ;  ma  la  prediilezione  dimostrata  dalla  principessa 
a  quel  figliuolo  era  stata  troppo  grande  perchè  in  un 
momento  ne  andassero  dispersi  gli   effetti,    «   Non   di- 


mentichiamo,  »  rammentava  il  cavaliere  Pezzino,  «  che 
la  felice  memoria  non  volle  mai  chiedere  l'istituzione  del 
maiorasco  appunto  per  esser  libera  di  fare  a  modo  suo.  » 
Dunque  si  sarebbe  proprio  visto  questa  enormità?  Il 
capo  della  casa  diseredato  ?  erede  Raimondo  che  non 
aveva  figli  maschi?  diseredato  il  principe  che  aveva  g-ià 
nel  piccolo  Consalvo  il  successore?...  I  lavapiatti,  come 
familiari  della  defunta,  erano  richiesti  della  loro  opinio- 
ne, ma  essi  che  ne  sapevano  meno  di  tutti,  rispondevano 
evasivamente,  per  non  far  torto  a  nessuno.  «  E  gli  altri 
figli?  Ferdinando?  Le  donne?...  »  La  curiosità,  benché 
contenuta  ed  espressa  sotto  voce,  era  vivissima.  Il  con- 
fessore, questo  famoso  Padre  Camillo,  non  aveva  par- 
lato ?  «  Non  c'è,  è  a  Roma  da  parecchi  mesi  ;  e  anche 

ci  fosse,  non  parlerebbe:  è  volpe  fina »  E  tutti  gli 

sguardi  si  volgevano  naturalmente  a  Giacomo  ed  a 
Raimondo.  Questi  chiacchierava  ancora  con  donna 
Isabella,  e  pareva  che  il  testamento  materno  fosse 
r  ultimo  dei  suoi  pensieri,  anzi  che  egli  ignorasse  perfino 
la  morte  della  madre  ;  il  prìncipe  invece  aveva  un  aspetto 
più  grave  del  consueto,  quale  conveniva  alla  tristezza  di 
quei  giorni  ;  egli  riceveva  con  espressioni  di  gratitudine 
le  reiterate  condoglianze  delle  persone  che  si  congeda- 
vano. Alcune  di  queste  però  non  riuscivano  a  trovarlo, 
andavano  via  senza  .poterlo  salutare  ;  e  i  familiari  si 
guardavano  con  la  coda  dell'  occhio,  comprendendo. 
Egli  aveva  una  folle  paura  della  iettatura,  attribuiva 
a  una  gran  quantità  d' individui  il  funesto  potere;  stava 
sulle  spine  in  loro  presenza,  evitava  di  salutarli,  con  le 
mani  iu  tasca.  Ma  il  presidente  della  Gran  Corte, 
appena  alzatosi,  se  lo  vide  vicino  : 

—  Se  lo  zio  arriverà  domani,  presidente,  fisseremo 
per  posdomani  la  lettura  ? 

—  Quando  credete,  principe  mio  !  Sono  agli  ordini 
vostri  !,.. 

— .  Veramente....  —  aggiimse,  abbassando  la  voce  — 
io  non  avrei  tanta  fretta —  anzi  mi  parrebbe  una  scon- 
venienza verso  la  memoria  di  nostra  madre....   Ma  sa- 


-,  41  — 

pete  come  succede  quando  si  è  in  molti —  quando  bi- 
sogna dar  conto  a  tanti —  E  poiché  suo  fratello  il 

Priore  se  ne  andava  anche  lui,  insieme  col  Vescovo,  li 
avverti  entrambi,  essendo  Monsignore  un  altro  dei 
testimone. 

—  Fate,  fate  voialtri —  disse  il  Priore,  disinteres- 
sato.  —  Che   bisogno  avete  di   me  ? 

Ma  Giacomo  protestò  : 

—  No,  no  ;  che  vuol  dire  !  Bisogna  fare  le  cose  in 
regola,   per   soddisfazione   di   tutti 

Siccome  annottava,  molti  andavano  via.  Padre  Ger- 
bini,  quantunque  il  Priore  avesse  dato  1'  esempio,  restò 
ancora  un  poco  a  cicalare  con  le  signore  ;  poi  se  n'  andò 
anche  Jui.  Restò,  sbraitando  contro  i  rivoluzionarli  e  la 
cognata  morta,  don  Blasco,  che  rientrava  sempre  Vu\^ 
timo  al  convento. 

Adesso  i  servi  accendevano  le  lampade;  e  con  le  fine- 
stre chiuse,  il  calore  diveniva  intollerabile  nella  sala. 
La  contessa  si  sentiva  mancare  e  non  vedeva  più  il 
marito  che  aveva  seguito  donna  Isabella  nella  Sala 
Rossa  a  discorrere  di  Parigi.  Ancora  una  volta  aveva 
accanto  lo  zio  Eugenio  e  don  Cono,  i  quali  continuavano 
a  sviscerare  le  antiche  cronache  cittadine  e  citavano 
con  linguaggio  fiorito  roba  latina. 

—  I  funeri  di  Carlo  V  furono  celebrati  a  presenza 
del  Viceré  Uzeda 

—  La  real  cappella  tolse  luogo  nel  nostro  Duomo, 
ove  vi  fu  eretta  un'  altissima  piramide  ornata  di  busti 
e  personaggi,  fra  i  quali  1'  Italia,  la  Spagna,  la  Ger- 
mania e  r  India 

— •  Per   lo   appunto  ;   anzi   la  epigrafe   suonava  cosi  : 

India  ntoesta  sedei  Caroli  posta  funera  Quinti.,.. 

—  E  il  disvenamento  del  corsier  favorito  ? 

—  Pei  funerali  di  nostro  nonno,  alla  più  corta  ! 
Quando  mori  il  principe  nostro  nonno,  si  svenò  il  suo 
cavallo   di   coscia 

— ■  Uso   barbarico   anziché    no.    Il   nobil   corsiere   ri- 


—  42  — 

g-ava  di  sangue  la  via  finché  cadeva  spirando  l'ul- 
timo fia — 

A   un   tratto   don   Cono  esclamò  : 

—  Contessa,  gran  Dio  ! 

Tutti  accorsero.  Era  pallida  e  fredda,  con  gli  occhi 
rovesciati  e  le  labbra  dischiuse.  Suo  marito,  accorso 
anche  lui  con  donna  Isabella,  disse  : 

—  Non  è  nulla la  fatica  del  viaggio —  E  piano, 

quasi  tra  sé,  mentre  la  portavano  via  :  —  Le  solite 
smorfie  !... 

Giorni  di  continue  novità,  quelli  !  Il  domani,  come 
s'  aspettava,  arrivò  il  duca.  Mancava  da  cinque  anni,  e 
nel  primo  momento  la  servitù  e  gli  stessi  parenti  quasi 
non  lo  riconobbero  :  quand'  era  partito  per  Palermo 
aveva  un  bel  collare  di  barba  alla  borbonica,  adesso 
invece  s'  era  lasciato  crescere  il  pizzo  che  dava  un  altro 
carattere  alla  sua  fisonomia.  Tutti  i  nipoti  gli  baciarono 
la  mano;  egli  s'informò  della  disgrazia  e  si  scusò  per 
non  esser  venuto  più  presto;  si  scusò  anche,  pel  di- 
sturbo che  gli  dava,  col  principe,  il  quale  gli  aveva  fatto 
preparare  al  terzo  piano  le  stanze  da  lui  occupate  nella 
casa  paterna  prima  di  lasciarla.  Ma  il  nipote  protestò  : 

— •  Vostra   Eccellenza  non  mi  disturba,   mi  aiuta 

E  in  questo  momento  ho  più  bisogno  dei  suoi  consigli. . . 

—  Sai   nulla  ? 

—  Nulla  ! 

— .  Tua  madre  non  avrà  fatto,  spero,  una  delle  sue 
pazzie — 

—  Quel  che  ha  fatto  mia  madre  sarà  ben  fatto  ! 
Fu  cosi  stabilita  la  lettura  pel  domani,  a  mezzogiorno, 

e  il  signor  Marco  ebbe  ordine  d'  avvertire  il  notaio,  il 
giudice  e  i  testimonii  perchè  si  tenessero  pronti.  Intanto 
la  notizia  dell'arrivo  del  duca  s'era  subito  diffusa  per 
la  città,  e  le  prime  visite  gli  furono  annunziate  che  egli 
non  s'era  neppur  riposato  del  viaggio.  Venivano  a  cer- 
carlo una  quantità  di  persone  che  non  si  sapeva  chi  fos- 
sero :  donna  Ferdinanda,  a  udire  i  nomi  annunziati  da 


—  43  — 

Baldassarre  :  Raspinato,  Zappag-lione,  sgranava  tanto 
d'occhi;  don  Blasco,  da  canto  suo,  soffiava  come  un 
mantice  ;  ma  il  peggio  fu  verso  sera,  quando  cominciò 
una  vera  processione  «  di  tutti  i  sanculotti  morti  di 
fame,  »  gridava  il  monaco  al  marchese  «  che  hanno 
scroccato  o  vogliono  scroccar  quattrini  a  quell'  animale 
di  mio  fratello  !  »  Mentre  il  duca  dava  udienza  agli 
amici,  r  Intendente  Ramondino  venne  a  far  la  sua  visita 
di  condoglianza  al  principe,  il  quale  lo  ricevè  nella  Sala 
Rossa,  insieme  col  marchese  di  Villardita  e  don  Blasco. 
Questi,  dimenticando  che  a  San  Nicola  stavano  per  ser- 
rare i  portoni,  fece  una  terribile  sfuriata  contro  1'  agita- 
zione dei  quarantottisti  ;  ma  il  rappresentante  del  go- 
verno, stringendosi  nelle  spalle,  pareva  non  desse  im- 
portanza ai  sintomi  di  cui  si  buccinava  :  in  verità,  a 
Palermo  avevano  arrestato  qualche  facinoroso  ;  ma,  al 
fresco,  le  teste  calde  si  sarebbero  subito  calmate. 

—  Perchè  non  fate  venire  altra  truppa  ?  Perchè  non 
date  un  esempio?...  Il  bastone  ci  vuole  :  sante  nerbate  ! 

Il  monaco  pareva  inferocito  ;  ma  il  capo  della  pro- 
vincia stringevasi  nelle  spalle  :  bastavano  i  soldati  della 
guarnigione;  non  c'era  paura  di  niente!  Del  resto,  più 
che  sulle  baionette,  il  governo  faceva  assegnamento  sul- 

r  influenza    morale    dei    benpensanti L'elogio    era 

diretto  al  principe,  che  se  lo  prese  ;  ma  don  Blasco 
girava  gli  occhi  stralunati  come  se,  avendo  un  boccone 
di  traverso,  facesse  sforzi  violenti  per  inghiottirlo  del 
tutto  o  vomitarlo. 

—  E  il  testamento  della  felice  memoria  ?  —  disse 
r  Intendente,  curioso  anche  lui  come  tutta  la  città. 

—  Sarà   aperto  domani 

Entrò  a  un  tratto  il  duca  che  strinse  la  mano  al- 
l' Intendente  e  gli  si  mise  a  sedere  a  fianco.  Allora  don 
Blasco  s'  alzò  rumorosamente  per  andar  via.  E  nell'  an- 
ticamera, al  marchese  che  lo  accompagnava  : 

—  Capisci?  —  gridò.  —  Tutto  il  giorno  coi  sancu- 
lotti e  adesso  si  strofina  all'autorità!  Son  cose  che 
mi  rivoltano  lo  stomaco!...  In  questa  casa  non  metterò 
più  piede  ! 


—  44  — 

Anche  donna  Ferdinanda,  nella  stanza  di  lavoro  della 
principessa,  dov'  era  raccolto  tutto  il  resto  della  famiglia 
e  alcuni  lavapiatti,  fiottava  contro  il  fedifrago;  ma 
quando  Baldassarre  annunziò,  suU'  uscio,  credendo  che 
il  duca  fosse  lì  : 

—  Don  Lorenzo  Giulente  e  suo  nipote  cercano  del 
signor  duca — 

— .  Non  se  ne  può  più  !  —  proruppe  la  zitellona, 
arrossendo  fin  nel  bianco  degli  occhi.  —  È  uno  scan- 
dalo !  Dovrebbe  pensarci  la  polizia  ! 

Don    Mariano,    con    aria   costernata,    esclamò  : 

—  xA.desso  anche  il  ragazzo  !...  È  una  cosa  veramente 
dispiacevole!...  Passi  lo  zio,  che  è  morto  di  fame; 
ma   il   nipote?... 

—  Il  nipote  ?  —  incalzò  la  zitellona.  —  Voi  non 
sapete  che  la  volpe,  quando  non  potè  arrivare  all'  uva, 
disse  che   era   acerba  ? 

Lucrezia,  impallidita,  teneva  gli  occhi  bassi,  strap- 
pando la  frangia  della  poltrona  ;  il  principino  Consalvo, 
seduto  vicino  alla  zia,   domandò  : 

— •  Perchè  l'uva? 

—  Perchè?...  Perchè  pretendevano  il  consenso  reale 
all'  istituzione  del  maiorasco  !  E  non  avendolo  ottenuto 
si  sono  buttati  coi  sanculotti!...  Il  consenso  reale!... 
Come  se  non  ci  fosse  un  certo  articolo  948  nel  Codice 
civile  che  canta  chiaro  !  —  E  sempre  rivolta  al  ragazzo 
il  quale  la  guardava  con  gli  occhi  sgranati,  recitò,  ge- 
stendo con  un  dito  e  cantilenando  :  —  Potrà  doman- 
darsene r  istituzione  (del  maiorasco)  da  quegl'  individui 
i  di  cui  nomi  trovansi  inscritti  sia  nel  libro  d' oro  sia 
negli  altri  registri  di  nobiltà,  da  tutti  coloro  che  sono 
neir  attuale  legittimo  possesso  di  titoli  per  concessione 
in  qualunque  tempo  avvenuta,  e  finalmente  da  quelle 
persone  che  appartengono  a  famiglie  di  conosciuta  no- 
BiL-TÀ   nel  Regno   delle  Due   Sicilie.... 

—  Io  credo  che  i  Giulente  sono  nobili  —  disse  Lu- 
crezia, prima  che  la  zia  finisse  e  senza  alzare  gli  occhi. 

—  Io  credo  invece  che  sono  ig^nobili  —  ribattè  secco 


—  45  — 

donna  Ferdinanda.  —  Se  possedevano  documenti  da  far 
valere,  avrebbero  ottenuto  I'  approvazione  reale. 

—  Nobili  di  Siracusa —  cominciò  don  Mariano. 

—  O  Siracusa  o  Caropepe,  se  avevano  i  titoli  non 
gli  avrebbero  negata  l' iscrizione  nel  Libro  rosso  ! 

—  Il  Libro  rosso  è  chiuso  dal  1813  —  annunziò 
don  Eugenio  col  tono  di  chi  dà  una  notizia  grave. 

Lucrezia  era  rimasta  a  capo  chino,  guardando  per 
terra.  Quando  la  zia  potè  credere  d'averla  ridotta  al 
silenzio,   la  ragazza   riprese  : 

—  I  Giulente  sono  nobili  di  toga. 

Un  risolino  fine  fine  della  zitellona  le  rispose  : 

—  Gli  asini  credono  che  la  nobiltà  di  toga  sia  para- 
gonabile a  quella  di  spada!...  Che  differenza  passava 
tra   i   sei   giudici   del   Real   Patrimonio,   don   Mariano  ? 

I  tre  di  cappacorta,  erano  nobili  —  nobili  !  —  e  i  tre 

di   cappalunga,    giurisperiti giurisperiti.'...    Adesso 

sapete  com'è?...  Tutti  ì  mastri  notai  si  credono  al- 
trettanti principi!...  Un  tempo  c'erano  i  baroni  da 
dieci  scudi,  oggi  ci  sono  quelli  da  dieci  baiocchi — 

Allora  la  ragazza  s'alzò  e  andò  via.  Donna  Ferdi- 
nanda continuava  a  sorridere  finem.ente,  guardando  la 
contessa  Matilde. 

Frattanto  il  signor  Marco  faceva  disporre  ogni  cosa 
nella  Galleria  dei  ritratti  per  la  lettura  del  testamento. 

II  principe  era  stato  un  poco  esitante  sulla  scelta  del 
luogo  dove  compiere  la  cerimonia  :  la  Sala  Rossa,  di- 
scretamente addobbata,  capiva  poca  gente  :  il  Salone 
dei  lampadari,  vastissimo,  non  aveva  altri  mobili  fuorché 
le  lampade  antiche  pendenti  dalla  volta  e  gli  specchi  in- 
castrati nelle  pareti  ;  la  Galleria,  invece,  conciliava  la 
grandezza  con  la  sontuosità,  perchè  era  vasta  come  due 
saloni  messi  in  fila,  e  arredata  di  divani  e  sgabelli  e 
mensole  e  tripodi  dorati,  e  finalmente  più  degna,  per  le 
generazioni  d'  avi  pendenti  in  effige  dai  muri,  della  so- 
lennità che  radunava  i  nipoti.  Nel  mezzo  di  quella  specie 
dì    grande    corridoio,    l'amministratore    generale    fece 


—  40  — 

disporre  una  gran  tavola  coperta  da  un  antico  tappeto 
e  provveduta  d'un  monumentale  calamaio  d'argento. 
Intorno  alla  tavola  dodici  seggioloni  a  bracciuoli  aspet- 
tavano i  testimonii  e  gì'  interessati  :  quello  del  principe, 
più  alto,  volgeva  la  spalliera  al  grande  ritratto  centrale 
del  viceré  Lopez  Ximenes  de  Uzeda,  a  cavallo  e  in  atto 
di  frenare  la  bestia  con  la  sinistra  e  d'  appuntar  l' indice 
destro  al  suolo  come  dicendo:  «  Qui  comando  io!...  » 
Torno  torno,  in  alto  e  in  basso,  quanto  la  parete  era 
lunga,  quant'  eran  larghi  i  vani  tra  finestra  e  finestra 
nella  parete  di  contro,  una  moltitudine  d'  antenati  :  uo- 
mini e  donne,  monaci  e  guerrieri,  vescovi  e  dottori, 
dame  e  badesse,  ambasciatori  e  viceré,  di  faccia,  di  pro- 
filo e  di  tre  quarti;  vestiti  d'acciaio,  di  velluto,  d'armel- 
lino;  col  capo  coronato  d'alloro,  o  chiuso  negli  elmi,  o 
coperto  dai  cappucci  ;  con  scettri  e  libri  e  bacoli  e  spade 
e  fiori  e  mazze  e  ventagli  in  mano. 

Il  giorno  stabilito,  prima  del  notaio,  del  giudice  e  dei 
testimonii  e  d'ogni  altro  parente,  spuntò  don  Blasco, 
rodendosi  le  unghie.  Entrato  che  fu,  si  mise  a  girare 
per  la  casa  ficcando  gli  occhi  dappertutto,  con  le  orec- 
chie erte  come  un  gatto,  con  le  narici  aperte  quasi  a 
fiutare  la  preda.  Subito  dopo  apparve  donna  Ferdinan- 
da; e  la  servitia,  giù  nella  corte,  osservava  che  i  cognati 
della  morta,  pei  quali  il  testamento  non  aveva  nessun 
interesse,  erano  più  impazienti  di  conoscerlo  che  gli 
stessi  figliuoli.  Ma  oramai  la  curiosità  di  tutti  era 
divenuta  insofferente  e  quasi  nervosa  :  i  lavapiatti  so- 
praggiungendo per  aiutare  il  principe  al  ricevimento, 
scambiavano  esclamazioni  :  «  Oramai  ci  siamo  !  Fra 
qualche  mezz'ora!...  »  Il  Priore  venne  con  Monsignor 
\"escovo,  riprotestando  che  la  propria  presenza  era 
inutile  ;  il  principe  ripetè  che  voleva  tutti.  Il  giudice 
col  notaio  Rubino  arrivò  nello  stesso  tempo  che  il 
marchese  con  la  moglie  e  don  Eugenio.  Poi  il  presi- 
dente della  Gran  Corte  col  principe  di  Roccasciano, 
altri  testimonii  ;  poi  la  cugina  Graziella  col  marito, 
poi  ancora  la  duchessa  Radali,  poi  i  parenti  più  lontani. 


—  47  — 

i  Grazzeri,  i  Costante,  poi  l'ultimo  testimonio,  il 
marchese  Motta  ;  ma  Ferdinando  non  si  vedeva  ancora. 
E  don  Blasco,  pigliando  pel  bottone  del  soprabito  il 
marchese,   gli   diceva  : 

—  Scommettiamo  che  hanno  dimenticato  un'altra 
volta  d'  avvertirlo  ? 

L'attesa  fu  penosa.  Nessuno  parlava  più  del  testa- 
mento, ma  tutti  gli  sguardi  erano  rivolti  alla  cartella 
del  notaio.  I  più  indifferenti,  tuttavia,  parevano  il  conte 
Raimondo  che  chiacchierava  con  le  signore  e  il  prin- 
cipe che  parlava  col  presidente  d'una  causa  relativa 
alla  dote  della  moglie.  Mentre  il  fratello  minore,  però, 
saltava  da  un  discorso  all'altro  con  grande  disinvoltura, 
il  principe  faceva  lunghe  pause,  durante  le  quali  i  suoi 
occhi  si  fissavano,  corrugati,  e  un  pensiero  modesto  gli 
velava  la  fronte. 

Quando  finalmente  Ferdinando  spuntò,  stralunato, 
assonnato,  come  caduto  dalle  nuvole,  fu  uno  scandalo  : 
mentre  perfino  la  servitù  era  già  vestita  di  nero,  egli 
portava  ancora  l'abito  di  colore,  e  a  don  Blasco  il  quale 
gli  diceva  :  «  Che  diavolo  hai  fatto?  »  rispondeva,  bal- 
bettando :     «Scusate —     scusate non     ci     pensavo 

più )) 

All'invito  del  principe,  passarono  tutti  nella  Galleria  : 
il  principe,  il  duca,  il  conte,  il  marchese,  il  cavaliere,  il 
signor  Marco,  il  giudice  col  notaio  e  i  quattro  tes.ti- 
monii  presero  posto  alla  tavola  ;  gli  altri  sederono  sui 
divani  tutt'  intorno  :  la  principessa  appartata  in  un  an- 
golo :  donna  Ferdinanda  con  Chiara  e  la  cugina  Gra- 
ziella da  una  parte  ;  Lucrezia  con  la  duchessa  e  la  con- 
tessa Matilde  da  un'altra  :  il  Priore,  seduto  sopra  uno 
sgabello,  incrociò  le  mani  in  grembo  e  alzò  gli  sguardi 
al  soffitto  con  moto  di  rassegnata  indifferenza;  don 
Blasco,  appoggiato  in  piedi  allo  stipite  della  finestra 
centrale,  dominava  l'adunanza  come  uno  spettatore  dif- 
fidente dinanzi   a  una  prova  di   prestigio. 

— •  Vostra  Eccellenza  permette  ?  —  domandò  il  no- 
taio,  e  ad  un  gesto  d'assenso  del  principe  cavò  dalla 


—  4fi  - 

cartella  un  plico  sul  quale  tutti  gli  occhi  si  fermarono. 
Accertata  1'  incolumità  dei  sug-gelli,  riscontrate  le  firme, 
egli  apri  la  busta  e  ne  tolse  un  quadernetto  di  due  o 
tre  fogli.  Dopo  un  breve  scambio  di  cerimonie  col  giu- 
dice, questi,  in  mezzo  a  un  religioso  silenzio,  cominciò 
finalmente  la  lettura  : 

«  Io,  Teresa  Uzeda  nata  Risa,  principessa  di  Fran- 
calanza  e  Mirabella,  vedova  di  Consalvo  VII,  principe 
di  Francalanza  e  Mirabella,  duca  d'Oragua,  conte  della 
Venerata  e  di  Lumera,  barone  della  Motta  Reale,  Gi- 
bilfemi  ed  Alcamuro,  signore  delle  terre  di  Bugliarello, 
Malfermo,  Martorana  e  Caltasipala,  cameriere  dì 
S.    M.    il   Re   (che  Dio  sempre  feliciti). 

«  In  questo  giorno  19  di  marzo  dell'anno  di  grazia 
1854,  sentendomi  sana  di  'mente  ma  non  di  corpo,  rac- 
comando l'anima  mia  a  Nostro  Signore  Gesia  Cristo, 
alla  Beata  Vergine  Maria  ed  a  tutti  i  gloriosi  Santi  del 
Paradiso  e  dispongo  quanto  segue  : 

«  I  miei  amati  figli  non  ignorano  che  nel  giorno  in 
cui  entrai  in  casa  Francalanza  ed  assunsi  l'ammini- 
strazione del  patrimonio,  tali  e  tante  passività  obera- 
vano la  sostanza  del  mio  consorte,  che  essa  poteva  con- 
siderarsi, anzi  era  effettivamente  distrutta  ed  alla  vi- 
gilia di  venire  smembrata  tra  i  molteplici  suoi  creditori. 
Spinta  pertanto  dall'affetto  materno  che  mi  spronava  a 
sacrificarmi  pel  bene  dei  miei  figli  amatissimi,  io  mi 
accinsi  fin  da  quel  giorno  all'opera  del  riscatto,  la 
quale  è  durata  quanto  tutta  la  mia  vita.  Assistita  dai 
consigli  prudenti  di  ottimi  amici  e  parenti,  coadiuvata 
dall'opera  intelligente  del  signor  Marco  Roscitano,  mio 
amministratore  e  procuratore  generale,  con  l'aiuto  della 
Divina  Provvidenza  alla  quale  ne  rendo  tutte  le  grazie 
del  mio  cuore,  io  oggi  mi  trovo  di  avere  non  solamente 
salvata  ma  anche  accresciuta  Ita  sostanza  della  casa » 

Il  signor  Marco,  al  passaggio  che  lo  riguardava, 
aveva  chinato  rispettosamente  il  capo.  Don  Blasco, 
sempre  in  piedi,  mutò  posto  :  lasciata  la  finestra  si 
mise  dietro  al  giudice,  in  modo  non  solamente  da  udir 


—  49  — 

meglio  ma  éa.  verificare  con  l'occhio  la  fedeltà  della  let- 
tura. Il  principe  teneva  le  braccia  incrociate  sul  petto 
e  il  capo  un  po'  chino;  Raimondo  batteva  un  piede, 
guardando  per  aria,  seccato. 

«  Di  tutta  questa  sostanza  io  sono  l'unica  e  soia 
donna  e  padrona,  si  per  la  parte  che  rappresenta  la 
mia  dote  in  essa  investita,  si  perchè  il  rimanente  è 
frutto  dei  miei  capitali  parafernali  e  dell'opera  mia, 
come  ne  fa  ampia  e  piena  fede  il  testamento  del  bena- 
mato mio  sposo  Consalvo  VII,  il  quale  dice  cosi —  » 

Il  giudice  sostò  un  momento  per  osservare  : 

—  Credo  che  possiamo  saltare  questo  passo... 

—  Infatti È  inutile  —  risposero  parecchie  voci 

Il  principe  invece,  sciolte  le  braccia,  protestò,  guar- 
dando in  giro  : 

—  No,  no,  io  desidero  che  le  cose  si  facciano  in 
piena  regola —  Leggete  tutto,  di  grazia. 

«  ....  il  quale  dice  cosi  :  «  Sul  punto  di  rendere  a 
Dio  l'anima  mia,  non  avendo  nulla  da  lasciare  ai  miei 
figli,  perchè,  come  essi  un  giorno  sapranno,  il  nostro 
patrimonio  avito  fu  distrutto  in  seguito  a  disgrazie  di 
famiglia,  lascio  ad  essi  un  prezioso  consiglio  :  di  obbedir 
sempre  alla  loro  madre  e  mia  diletta  sposa.  Teresa 
Uzeda,  principessa  di  Francalanza,  la  quale,  come  si  è 
finora  sempre  ispirata  al  bene  della  nostra  casa,  così 
continuerà  per  l'avvenire  a  non  avere  altra  mira  fuorché 
quella  di  assicurare,  col  lustro  della  famiglia,  l'avvenire 
dei  nostri  figli  benamati.  Faccia  il  Signore  che  ella  sia 
ad  essi  conservata  per  mille  anni  ancora,  e  il  giorno 
che  all'Onnipotente  piacerà  ridarmela  compagna  nella 
vita  migliore,  seguano  i  miei  figli  fedelmente  le  sue 
volontà,  come  quelle  che  non  potranno  esser  dirette  se 
non  al  loro  bene  ed  alla  loro  fortuna  ». 

«  I  miei  cari  figli,  adunque,  »  continuava  la  testa- 
trice,  «non  potranno  dare  miglior  prova  della  loro  af- 
fezione e  rispetto  verso  la  memoria  del  padre  loro  e 
mia,  se  non  scrupolosamente  rispettando  le  disposi- 
zioni che  io  sono  per  dettare  e  i  desiderii  che  esprimerò. 

De    Roberto.    Z    Viceré    -    I  4 


—  so  — 

«  Io  nomino  pertanto —  »  tutti  gli  occhi  si  fermarono 
sul  lettore,  don  Blasco  chinossi  ancora  un  poco  per 
meglio  vedere  lo  scritto  «  eredi  universali....  »  e  le  labbra 
del  principe  ebbero  a  un  tratto  un'  impercettibile  con- 
trazione «  di  tutti  i  miei  beni,  esclusi  quelli  che  intendo 
siano  distribuiti  nel  modo  qui  appresso  indicato,  i  miei 
due  figli  Giacomo  XIV  principe  di  Francalanza  e  Rai- 
mondo conte  di  Lumera » 

Il  giudice  fece  una  breve  pausa,  durante  la  quale  il 
vescovo  e  il  presidente  scrollarono  il  capo,  guardandosi, 
in  atto  di  stupore  approvativo.  Il  principe,  incrociate 
di  nuovo  le  braccia,  aveva  ripreso  l'atteggiamento  da 
sfinge  ;  soltanto  era  un  poco  pallido  ;  Raimondo  pareva 
non  accorgersi  dei  sorrisi  di  congratulazione  che  gli 
rivolgevano;  donna  Ferdinanda,  con  le  labbra  cucite, 
passava  a  rassegna  i  progenitori  pendenti  dalle  pareti. 

«  Intendo  però,  »  riprese  il  lettore,  «  che  nella  di- 
visione tra  i  due  fratelli  suddetti  restino  assegnati  al 
principe  Giacomo  i  feudi  della  famiglia  Uzeda  da  me 
riscattati,  e  spettino  a  Raimondo  conte  di  Lumera  le 
proprietà  di  casa  Risa  e  quelle  che  in  progresso  di 
tempo  furono  da  me  acquistate.  Il  palazzo  avito  toc- 
cherà al  primogenito  ;  ma  mio  figlio  Raimondo  avrà 
l'uso,  vita  naturai  durante,  del  quartiere  di  mezzogiorno 
e  annesso  servizio  di  stalla  e  scuderia.  » 

Con  ripetuti  cenni  del  capo,'  il  presidente  e  Monsi- 
gnore continuavano  ad  esprimere  la  loro  approvazione  ; 
si  udì  anche  il  marchese  mormorare  :  «  Giustissimo.  » 
La  cugina,  ammutolita  pel  quarto,  d'ora,  girava  rapida- 
mente gli  sguardi  dall'uno  all'altro,  come  non  sapendo 
che  pesci  si  pigliare.   La  lettura  continuava  : 

«  Usando  successivamente  del  mio  dritto  di  fare  la 
divisione  agli  altri  miei  figli  legittimarli,  e  volendo  dare 
a  ciascuno  di  essi  una  prova  della  mia  particolare  affe- 
zione, assegno  a  ciascuno  di  essi,  in  compenso  dei  di- 
ritti di  legittima,  altrettanti  legati  superiori  alla  quota 
che  loro  spetterebbe  per  legge,  nel  modo  qui  appresso 
descritto. 


—  51  — 

«  Eccettuo  innanzi  tutto  quelli  entrati  in  religione, 
pei  quali  richiamo,  confermo  e  completo  le  disposi- 
zioni da  me  prese  al  tempo  della  loro  professione,  e  cioè  : 

«  Primo  :  in  favore  del  mio  diletto  figlio  Lodovico, 
in  religione  Padre  Benedetto  della  Congregazione  Cas- 
sinese,  decano  nel  convento  di  San  Nicola  dell'Arena  in 
Catania,  la  dotazione  di  onze  36  (dico  trentasei)  annue, 
assegnategli  con  atto  del  12  novembre  1844. 

(c  Secondo  :  in  favore  di  mia  figlia  primogenita  An- 
giolina, in  religione  Suor  Maria  Crocifissa,  monaca 
nella  badia  di  San  Placido  in  Catania,  come  segno  di 
particolare  soddisfazione  e  gradimento  per  l'obbedienza 
osservata  nel  contentare  il  mio  desiderio  di  vederla  ab- 
bracciare lo  stato  monastico,  completo  la  mia  disposi- 
zione del  7  marzo  1852,  ordinando  che  si  prelevi  dalla 
massa  dei  beni  la  somma  di  onze  2000  (due  mila)  va- 
lore del  fondo  denominato  la  Timpa,  posto  nel  Bosco 
etneo,  contrada  Belvedere,  ordinando  che  coi  frutti  di 
esso  immobile  siano  celebrate  tre  messe  quotidiane  den- 
tro la  chiesa  della  predetta  badia  di  San  Placido,  e 
precisamente  nell'altare  del  Crocifisso,  dovendo  tale 
celebrazione  aver  principio  in  seguito  alla  morte  della 
predetta  mia  figlia  Suor  Maria  Crocifissa,  e  intendendo 
che  durante  vita  della  stessa  i  frutti  si  debbano  da  lei 
percepire,  a  titolo  di  livello,  vitaliziamente.  Cessando 
di  vivere  essa  mia  figlia,  ordino  che  l'amministrazione 
resti  affidata  alla  Madre  Badessa,  prò  tempore,  della 
prefata  badia,  alla  quale  superiora  intendo  che  resti 
conferita  la  facoltà  di  eleggere  i  sacerdoti  celebranti, 
e  non  ad  altri. 

«  Venendo  poi  agli  altri  miei  figli  per  eseguire  la 
divisione  legittimarla,  lascio  al  mio  benamato  Ferdi- 
nando  »  e  Ferdinando  che  era  stato  a  seguire  il  volo 

delle  mosche,  si  voltò  finalmente  verso  il  lettore,  «  la 
piena  ed  assoluta  proprietà  del  latifondo  denominato  le 
Ghiande,  situato  in  contrada  Pietra  dell'Ovo,  territorio 
di  Catania,  perchè  conosco  l'aiifezione  particolare  che 
egli  porta  a  questa  terra  da  me  concessagli  in  affitto 


—    52    — 

con  atto  del  2  marzo  1847.  E  perchè  detto  mio  figlio 
abbia  una  prova  speciale  del  mio  affetto  materno,  intendo 
che  gli  siano  condonati,  come  infatti  gli  condono,  tutti 
gli  arretrati  della  rendita  da  lui  dovutami  su  detto  la- 
tifondo in  virtij  dell'atto  sopracitato,  a  qualunque  som- 
ma essi  arretrati  siano  per  ascendere  al  momento  del- 
l'aperta successione.  » 

Testimonii  e  lavapiatti,  con  gesti  e  sguardi  e  som- 
messe parole,  esprimevano  una  sempre  crescente  am- 
mirazione. 

«  Restano  cosi  le  mie  due  care  figlie  Chiara,  mar- 
chesa di  Villardita,  e  Lucrezia  ;  a  ciascuna  delle  quali, 
affinchè  esse  lascino  la  proprietà  immobiliare  ai  loro 
fratelli  e  miei  eredi,  voglio  che  sia  pagata,  sempre  a 
titolo  di  legittima,  la  somma  di  10.000  (dico  dieci  mila) 
onze —  »  quasi  tutti  adesso  si  voltarono  verso  le  donne 
con  espressione  di  compiacimento,  «  tre  anni  dopo 
l'aperta  successione  e  con  gli  interessi,  dal  giorno  del- 
l'apertura, del  cinque  per  cento  ;  restando  naturalmente 
inteso  che  mia  figlia  Chiara  debba  conferire  la  sua 
dotazione  di  duecento  onze  annuali  di  cui  ai  suoi  capi- 
toli matrimoniali.  Inoltre  come  prova  di  gradimento  per 
le  nozze  da  lei  contratte  con  mio  genero  il  marchese 
Federico  Riolo  di  Villardita,  le  lascio  tutte  le  gioie  da 
me  portate  in  casa  Uzeda,  che  si  troveranno  a  parte 
inventariate  e  descritte  ;  intendendo  che  quelle  avite 
di  casa  Francalanza,  da  me  riscattate  dalle  mani  dei 
creditori,  restino,  durante  vita  della  mia  diletta  figlia 
Lucrezia,  la  quest'ultima  ;  ma  poiché  essa  ben  conosce 
che  lo  stato  maritale  non  è  confacente  né  alla  salute  né 
al  carattere  di  lei,  voglio  che  ella  ne  goda  a  titolo  di 
semplice  depositaria,  e  che  alla  sua  morte  vengano  di- 
vise in  eguali  porzioni  tra  il  principe  Giacomo  e  il 
conte  Raimondo  miei  eredi  imiversali  come  sopra. 

(c  Provvisto  in  tal  modo  all'avvenire  dei  miei  figli 
amatissimi,  passo  all'assegnazione  delle  seguenti  ele- 
mosine e  legati  pii  da  pagarsi  dai  miei  eredi  summen- 
tovati.  e  cioè  : 


—  53  — 

«  A  Monsignor  Reverendissimo  il  vescovo  Patti,  onze 
cinquecento,  una  volta  tanto,  perchè  le  distribuisca  ai 
poveri  della  città  o  perchè  ne  faccia  celebrare  altret- 
tante messe  a  sacerdoti  bisognosi  della  diocesi,  secondo 
stimerà  conveniente  nella  sua  alta  prudenza....  »  Mon- 
signore si  mise  a  scrollare  il  capo,  a  dimostrazione  di 
gratitudine,  di  ammirazione,  di  rimpianto  e  di  modestia 
ad  un  tempo;  ma  sopratutto  d'ammirazione  secondo 
che  il  giudice  leggeva  le  pietose  disposizioni  dei  para- 
grafi seguenti  :  «  Alla  Cappella  della  Beata  Ximena 
Uzeda,  nella  Chiesa  dei  Cappuccini  in  Catania,  onze  cin- 
quanta annuali,  per  una  lampada  perpetua  ed  una  messa 
ebdomadaria  da  celebrarsi  pel  riposo  dell'anima  mia. 
Alla  chiesa  dei  Padri  Domenicani  in  Catania,  onze  venti 
annue  per  elemosina  e  celebrazione  di  altra  messa  ebdo- 
madaria come  sopra.  Alla  chiesa  di  Santa  Maria  delle 
Grazie  in  Paterno  onze  venti  come  sopra.  Ed  alla  chiesa 
del  monastero  di  Santa  Maria  del  Santo  Lume  al  Bel- 
vedere, onze  venti  come  sopra. 

«  Spetterà  inoltre  ai  miei  eredi  osservare  l'istituzione 
dei  seguenti  legati,  in  favore  dei  creati  che  mi  hanno 
fedelmente  servita  ed  assistita  durante  il  corso  delle 
mie  infermità,   e  cioè  : 

«  Eccettuo  innanzi  tutto  il  mio  amministratore  e  pro- 
curatore generale  signor  Marco  Roscitano,  i  cui  eccel- 
lenti servigi  non  potendo  essere  paragonati  a  quelli 
d'un  servo,  non  sono  da  compensare  con  moneta.  »  Il 
signor  Marco  era  diventato  rosso  come  un  pomodoro  : 
o  per  le  lusinghiere  parole,  o  perchè  non  gli  toccava 
altro  che  parole.  «  Lascio  a  lui  pertanto  gli  oggetti 
d'oro,  le  tabacchiere,  spille  ed  orologi  pervenutimi  dal- 
l'eredità di  mio  zio  materno  il  cavaliere  Risa,  il  cui 
elenco  si  troverà  fra  le  mie  carte  ;  e  faccio  obbligo  di 
coscienza  ai  miei  eredi  di  continuare  ad  avvalersi  del- 
l'opera sua,  non  potendo  essi  trovare  persona  che  me- 
glio di  lui  conosca  lo  stato  del  patrimonio  e  delle  liti 
pendenti,  e  che  possa  spendere  maggior  interesse  per 
il  loro  meglio.  »   Il  principe  pareva  sempre   non  udire, 


—  54  — 

con  le  braccia  conserte  e  lo  sguardo  cieco.  «  Tra  i 
creati,  lascio  al  mio  cameriere  Salvatore  Cerra  due  tari 
al  giorno,  vitaliziamente  ;  altrettante  alla  mia  cameriera 
Anna  Lauro.  La  somma  di  onze  cento  si  paghi,  una 
volta  tanto,  al  mio  maestro  di  casa  Baldassarre  Grimi, 
e  di  onze  cinquanta  al  cocchiere  maggiore  Gaspare 
Cambino,  e  di  onze  trenta  al  cuoco  Salvatore  Briguccia. 

«  Gome  piccoli  ricordi  ai  miei  amici  destino  inoltre  : 

«  L'orologio  grande  con  miniature  e  brillanti  del  fu 
mio  consorte,  al  principe  Giuseppe  di  Roccasciano;  la 
carabina  del  fu  mio  suocero  a  don  Giacinto  Costantino  ; 
il  bastone  col  pomo  d'oro  cesellato  a  don  Cono  Canalà  ; 
i  tre  anelli  di  smeraldo  a  ciascuno  dei  tre  testimonii 
del  presente  testamento  solenne,  escluso  il  principe  di 
Roccasciano  suddetto. 

«  Indistintamente  poi  a  tutti  i  miei  congiunti  :  co- 
gnati, nipoti,  cugini,  ecc.,  si  paghino  onze  dieci  cia- 
scuno per  le  spese  del  corrotto. 

«  Fatto  al  Belvedere,  scritto  da  persona  di  mia  con- 
fidenza sotto  la  mia  dettatura,  da  me  letto,  approvato 

''^^  ^'  «  Teres.a  Uzeda  di  Francalanza  ». 

Già  qualche  minuto  prima  che  il  giudice  abbassasse 
il  foglio,  don  Blasco,  lasciando  la  spalliera,  aveva  dato 
segno  che  'la  lettura  stava  per  finire  ;  ,e  agli  ultimi 
passi  i  gesti  approvativi  ed  ammirativi,  le  scrollate  di 
capo  di  ringraziamento  erano  stati  generali  ;  ma  appena 
la  voce  del  lettore  si  spense,  il  silenzio  fu,  per  un  istante, 
così  profondo  che  si  sarebbe  sentito  volare  una  mosca. 
A  un  tratto  il  principe,  spinta  indietro  la  sua  seggiola  : 

—  Grazie  a  voi,  signori  ed  amici;  grazie  di  cuore 

—  cominciò,  ma  non  finì  ;  che  i  testimonii,  alzatisi 
anch'essi,  lo  circondarono,  stringendogli  le  mani,  strin- 
gendo le  mani  a  Raimondo,  rallegrandosi  con  tutti  : 

—  Non  c'era  veramente  bisogno  della  lettura!...  Si 
sapeva  bene  che  la  felice  memoria  non  avrebbe,...  Un 
modello  di  testamento!...  Che  saggezza!  Che  testa!... 

Monsignore,  specialmente,  approvava  : 


3D    

—  Non  ha  dimenticato  nessuno  !  Tutti  possono  es- 
sere contenti 

E  Ferdinando,  Chiara,  Lucrezia,  tutti  e  tutte  rice- 
vevano la  loro  parte  di  congratulazioni  imentre  il  notaio 
e  il  giudice  compivano  le  formalità  del  verbale.  Ma  don 
Blasco,  che  appena  finita  la  lettura  aveva  ripreso  a  ro- 
dersi le  unghie  con  più  fame  di  prima,  gironzolando 
intorno  intorno  come  un  calabrone,  acchiappò  Ferdi- 
nando mentre  il  presidente  gli  stringeva  la  mano  e  lo 
trasse  nel  vano  di  una  finestra  : 

— .  Spogliati  !  Spogliati  !  Siete  stati  spogliati  !  Spo- 
gliati come  in  un  bosco!...  Rifiutate  il  testamento,  do- 
mandate quel  che  vi  tocca  ! 

— ■  Perchè  ?  —  disse  il  giovane,  attonito. 

—  Perchè  ?  —  proruppe  don  Blasco  guardandolo  nel 
bianco  degli  occhi,  quasi  volesse  mangiarselo  vivo, 
quasi  non  potesse  entrargli  in  mente  l' idea  di  una 
sciocchezza  come  quella  del  nipote,  d'una  ingenuità  tanto 
balorda.  —  Per  questo  !  —  e  giù  una  mala  parola  da 
far  arrossire  g'ii  antenati  dipinti  ;  poi,  voltate  le  spalle 
a  quel  pezzo  di  babbeo,  corse  dietro  al  marchese  : 

—  Rovinati,  spogliati,  messi  nel  sacco  !  —  gli  spiat- 
tellava, ficcandogli  quasi  le  dita  negli  occhi.  —  Divi- 
sione legittimarla?  E  come  fa  i  conti?...  Se  accettate 
cotesto  testamento,  siete  gli  ultimi....  —  e  giù  un'altra 
mala  parola.  —  I  conti  ve  li  faccio  io,  in  quattro  e 
quattr'otto  !  E  per  te  la  collazione  dell'assegno  che 
non  avesti  !  E  neppure  una  parola  sul  legato  di  Calta- 
girone  !  Dichiara  che  rifiuti,   seduta  stante  ! 

Il  marchese,  sbalordito  da  quella  furia,  balbettò  : 
— ■  Eccellenza,  veramente 

—  Che  veramente  e  falsamente  mi  vai...?  O  credi 
che  a  me  ne  entri  qualche  cosa?...  Io  dico  pel  vostro 
interesse,  bestia  che  sei  ! 

—  Parlerò  a  mia  moglie —  rispose  il  marchese; 

ma  allora  il  monaco,  guardatolo  un  momento  fisso,  lo 
mandò  a  carte  quarantotto  come  quell'altro  babbaccio, 
e  si  diresse  verso  la  marchesa. 


-  56  - 

Questa  era  con  tutte  le  altre  signore  che  facevano 
cerchio  a  donna  Ferdinanda  :  la  zitellona  non  esprimeva 
il  proprio  parere,  non  rispondeva  al  cicaleccio  degli 
astanti:  «Il  giusto!...  Tutti  trattati  bene!...  Un  mo- 
dello di  testamento —  »  E  la  cugina  Graziella  alla  prin- 
cipessa :  «  Le  male  lingue  volevano  dire  che  la  zia 
avrebbe  diseredato  tuo  marito  !  Come  se  il  bene  che  vo- 
leva a  Raimondo  potesse  impedirle  di  riconoscere  in 
Giacomo  il  capo  della  casa,  l'erede  del  titolo  !  »  La  du- 
chessa Radali,  invece,  con  aria  tra  stupita  e  coster- 
nata, confessava  a  don  Mariano  :  «  Non  l'avrei  mai 
creduto  !  Eredi  tutti  e  due  ?  E  allora  la  primogenitura 
dove  se  ne  va?  Le  case  hanno  proprio  da  finire?...  » 
Ma  la  principessa,  imbarazzatissima,  non  osava  rispon- 
dere, non  lasciava  con  gli  occhi  il  principe.  Questi, 
nel  gruppo  degli  uomini  che  non  cessavano  di  ripetere  : 
«  Che  saggezza  !  che  previdenza  !  »  dichiarava  con  voce 

grave  :  «  Ciò  che  ha  fatto  nostra  madre  è  ben  fatto » 

mentre  il  Priore  ripeteva  a  Monsignore  :   «  La  volontà 

della  felice  memoria  sarà  certo  legge  per   tutti »   e 

solo  Raimondo  pareva  stufo  dei  rallegramenti,  insof- 
ferente delle  strette  di  mano  congratulatorie.  Ma  già 
Baldassarre,  spalancato  l' uscio  di  fondo,  entrava  se> 
guito  da  due  camerieri  che  reggevano  due  grandi  vassoi 
di  gramolate  e  di  paste  e  di  biscotti.  11  principe  comin- 
ciò a  servire  i  testimonii  ;  il  maestro  di  casa  si  diresse 
dalla  parte  delle  signore. 

—  Rubati  del  vostro  !  Spogliati  !  Ridotti  in  camicia  1 
-—  diceva  frattanto  don  Blasco  alla  nipote  Chiara  che 
era  riuscito  ad  agguantare.  —  Per  favorire  quello  sca- 
pestrato che  neppur  si  diede  la  pena  di  venirla  a  ve- 
dere prima  che  crepasse  !  E  quell'altra  villana  ch'è  ve- 
nuta a  ficcarsi  qui  dentro  !  —  Il  monaco  fulminava 
di  sguardi  rabbiosi  la  contessa  Matilde.  —  Vi  lascerete 
rubare  cosi  ?  Qui  bisogna  agire  subito,  spiattellare 
chiaro  e  tondo  che  rifiutate  il  testamento,  che  chie- 
dete quel  che  vi  viene 

—  io  non  so,  zio 


—  57  — 

—  Come  non  sai  ? 

—  Parlerò  a  Federico 

Allora  il  monaco  usci  fuori  dei  gangheri  : 

—  E  andate  un  poco  a  farvi  più  che  benedire,  tu, 
Federico,  tutti  quanti  siete,  compreso  io,  più  bestia  di- 
tutti  che  me  ne  prendo  !...  Qui  !  —  ordinò  a  Baldassarre 
che  andava  a  servire  la  contessa,  e  presa  una  gramo- 
lata, la  bevve  d'  un  sorso,  per  temperar  la  bile  che  gli 
saliva   alla   gola. 

Suo  fratello  don  Eugenio,  zitto  zitto,  si  ficcava  a 
pugni  nelle  tasche  paste  e  biscotti,  ne  masticava  a  due 
palmenti,  ci  beveva  su  bicchieri  di  Marsala,  non  acqua 
inzuccherata,  come  uno  che  non  è  certo  di  far  cola- 
zione. Ciò  nonostante  badava  ad  approvare  con  grandi 
scrollate  di  capo  Monsignor  Vescovo,  il  quale,  vedendo 
che  il  Priore  don  Lodovico  rifiutava  di  rinfrescarsi  a 
motivo  che  era  vigilia,  dichiarava  al  presidente  :  «  Un 
angelo  !  Tutto  quel  che  è  interesse  mondano  non  l'ha 
mai  toccato!  Vivo  esempio  di  virtù  evangelica...  »  e  il 
presidente,  con  la  bocca  piena  :  «  Famiglia  esemplare!  » 
confermava;  «dello  stampo  antico!...  Dove  mettete 
quell'eccellente  principe?»  E  il  principe,  finalmente, 
ridottosi  in  un  vano  di  finestra  con  lo  zio  duca  : 

—  Ha  udito  Vostra  Eccellenza?...  —  gli  diceva  con 
riso  amaro.  —  Quel  che  pareva  impossibile  è  vero  !... 
La  mia  famiglia  è  rovinata!... 

—  Non  credevo  neppur  io!...  —  esclamava  il  duca. 
—  Che  gli  avrebbe  fatto  una  posizione  privilegiata  tra 
i  legittimarli,    si;   ma   coerede? 

—  E  perfino  il  quartiere  qui  in  casa!...  per  farmi 
un'onta  !  La  casa  dei  nostri  maggiori  ha  da  servire  ai 
Palmi  !... 

—  Dev'esser  contenta  la  Palmi  !  —  diceva  ora  la  cu- 
gina Graziella  alla  duchessa.  —  Suo  marito  coerede!,.. 
Il  povero  Giacomo  costretto  a  dividere  col  fratello!... 
A  me  dispiace  per  quest'intrusa,  che  metterà  ancora  un 
altro  poco  di  superbia 

Pesavano  sulla  contessa  Matilde  gli  sguardi  irosi  o 


severi  di  don  Blasco,  della  cugina,  del  principe.  Tutte 
le  volte  che  Baldassarre  s'era  diretto  a  lei  per  servirla, 
qualcuno  aveva  fatto  cenno  al  maestro  di  casa  di  ser- 
vire un'altra  o  un  altro.  E  adesso  rimaneva  lei  soltanto; 
ma  donna  Ferdinanda,  fatto  venire  il  principino  Con- 
salvo, se  lo  mise  a  sedere  sulle  ginocchia  e  chiamò  : 
—  Qui,  Baldassarre.... 


III. 


Da  quel  giorno,  don  Blasco  non  ebbe  piij  pace.  A  lui 
come  a  lui,  che  l'eredità  andasse  spartita  in  un  modo 
piuttosto  che  in  un  altro,  importava  meno  d'un  fico 
secco;  m.a  fin  da  quando  egli  era  entrato  al  convento, 
non  avendo  più  affari  propri!,  la  sua  costante  occupa- 
zione era  stata  di  ficcare  il  naso  in  quelli  degli  altri. 

Ragazzo,  egli  aveva  visto  i  bei  tempi  di  casa  Uzeda, 
quando  suo  padre,  il  principe  Giacomo  XIII,  spendeva 
e  spandeva  regalmente,  con  venti  cavalli  in  istalla,  uno 
sciame  di  servitori  e  un'intera  corte  di  lavapiatti  che 
prendevano  posto  alla  tavola  imbandita  giorno  e  notte. 
Allora,  il  futuro  Cassinese  non  aveva  udito  altri  di- 
scorsi fuorché  quelli  delle-  straordinarie  ricchezze  di  suo 
padre,  dei  grandi  feudi  che  possedeva,  delle  rendite 
che  riscoteva  da  mezza  Sicilia;  e  glien'era  natural- 
mente venuta  una  smania  di  godimenti,  un'  ingordigia 
di  piaceri  che  ancora  non  sapeva  precisare  egli  stesso  ; 
quando  un  bel  giorno  fu  messo  al  noviziato  di  San  Ni- 
cola e  p)oi  costretto  a  pronunziare  i  voti.  Tutte  quelle 
ricchezze  erano  del  fratello  primogenito  :  a  lui  non  toc- 
cava altro  che  la  dotazione  di  trentasei  onze  l'anno  in- 
dispensabile per  entrare  nella  ricca  e  nobile  badia!... 
Si  scialava,  veramente,  a  San  Nicola,  forse  meglio  che 
in  casa  Francalanza.  Il  convento,  immenso,  sontuoso, 
era  agguagliato  ai  palazzi  reali,  a  segno  che  c'eran  le 
catene  distese  dinanzi  al  portone  ;  e  le  rendite  di  cui  go- 


—  59  — 

deva,  circa  settantamila  onze  l'anno,  bastavano  ap- 
pena ad  una  cinquantina  tra  monaci,  fratelli  e  novizii. 
Ma  il  lauto  trattamento  e  l'allegra  vita  e  la  quasi  as- 
soluta libertà  di  fare  quel  che  gli  piaceva,  non  dissi- 
parono dal  cuore  del  monaco  il  cruccio  per  la  violenza 
patita  ;  tanto  più  che  gli  altri  fratelli  cadetti,  il  se- 
condogenito Gaspare  duca  d'Oragua  e  lo  stesso  Euge- 
nio, restavano  al  secolo,  con  pochi  quattrini,  in  verità, 
ma  con  la  possibilità  di  procacciarsene  ;  liberi  del  tutto, 
a  ogni  modo,  e  padroni  di  vestirsi  secondo  la  moda, 
non  costretti  a  portar  la  tonaca  che  pesava  a  don  Blasco 
più  che  a  un  servo  la  livrea.  L'acrimonia  del  Benedet- 
tino, il  suo  dolore  per  le  perdute  ricchezze,  la  sua  in- 
vidia contro  i  fratelli,  il  suo  rancore  contro  il  padre, 
si  sfogarono  quindi  con  l'esercizio  quotidiano  d' una 
censura  acerba  e  inesorabile  su  tutta  la  parentela.  Egli 
ebbe  tanto  più  campo  di  sfogarsi  quanto  che,  venuti 
i  nodi  al  pettine,  distrutta  in  poco  tempo  la  fortuna 
del  padre,  il  principino  Consalvo  VII  fu  ammogliato 
a  quella  Teresa  Risa  che  entrò  a  far  da  padrona  in 
casa  Uzeda.  Secondo  le  tradizioni  di  famiglia,  pre- 
mendo d'assicurare  la  continuazione  del  ramo  primo- 
genito e  più,  in  quelle  speciali  circostanze,  di  ristorare 
le  sconquassate  finanze  con  una  grossa  dote,  Consalvo 
fu  accasato  a  diciannove  anni,  quando  don  Blasco  non 
aveva  ancora  pronunziato  i  voti  ;  ma  fin  da  quel  mo- 
mento il  novizio  concepì  contro  la  cognata  una  par- 
ticolare avversione  che  cominciò  a  manifestarsi  più 
tardi,  ad  ogni  momento,  per  tutto  ciò  che  ella  fece  e 
che  non  fece. 

Il  barone  di  Risa  di  Niscemi,  padre  della  sposa,  era 
venuto  a  Catania  dall'interno  dell'  isola  per  dar  marito 
alle  due  uniche  sue  figliuole,  alle  quali,  da  principio, 
voleva  spartire  egualmente  le  sue  grandi  ricchezze  ; 
ma  quando  la  maggiore,  Teresa,  fu  proposta  al  princi- 
pino di  Mirabella,  futuro  principe  di  Francalanza,  gli 
Uzeda  gli  fecero  intendere  che,  quantunque  falliti,  essi 
non  avrebbero  dato  Consalvo  VII  alla  figlia  d'un  sem- 


-<  6o  — 

plice  barone  contadino,  se  costei  non  avesse  colmato 
coi  quattrini  la  distanza  che  la  separava  da  un  discen- 
dente dei  Viceré.  Tanto  il  barone  che  la  ragazza  rico- 
nobbero che  questo  era  giusto  ;  però,  dando  il  padre 
quattrocentomila  on2e,  cioè  quasi  tutto  a  Teresa,  e 
spogliando  la  minore  Filomena  che  trovò  poi  per  caso 
da  maritarsi  col  cavaliere  Vita  e  restò  sempre  in  freddo 
con  la  sorella,  pretese,  d'accordo  con  la  figliuola,  che 
il  matrimonio  fosse  contratto  col  regime  della  comu- 
nione dei  beni  e  che  a  lei  toccasse  dirigere  la  baracca. 
Aveva  quasi  trent'anni,  la  promessa  ;  dieci  più  di  Con- 
salvo VII,  essendo  nata  nel  1795,  e  non  avendo  potuto 
trovare  per  molto  tempo  un  partito  conveniente  ;  il  suo 
carattere,  già  forte,  s'era  inasprito  nella  lunga  attesa 
del  matrimonio,  e  dalla  grande  ricchezza,  dalla  potenza 
quasi  feudale  esercitata  dal  padre  nel  paesetto  nativo 
le  veniva  un  bisogno  di  comando,  d'autorità,  di  supre- 
mazia che  ella  volle  esercitare  nella  sua  nuova  casa.  li 
principe  Giacomo  XIII  dovette  piegarsi  a  quelle  iure 
condizioni  per  evitare  il  fallimento  e  la  liquidazione;  e 
così  tanto  suo  figlio  quanto  egli  stesso  furono  costretti 
a  lasciar  le  redini  in  mano  alla  moglie  e  nuora.  Donna 
Teresa  salvò  infatti  la  casa,  ma  vi  esercitò  un  potere 
tirannico  al  quale  si  piegarono  tutti,  dal  primo  all'ul- 
timo, fuorché  don  Blasco.  Senza  paura  né  di  Dio  né 
del  diavolo,  il  monaco  la  fece  costante  bersaglio  della 
sua  più  violenta  opposizione.  Se  ella  restrinse  certe 
spese,  la  accusò  di  disonorar  la  famiglia  con  la  sua  tir- 
chieria ;  se  continuò  a  spendere  in  altre  cose  come 
prima,  le  rinfacciò  di  volerla  portare  all'ultima  rovina; 
ascoltando  gli  altrui  consigli,  ella  fu  una  bestia  inca- 
pace di  pensare  col  proprio  cervello;  se  fece  da  sé, 
restò  più  bestia  di  prima,  accoppiando  la  presunzione 
alla  bestialità.  I  quattrini  che  aveva  portato  in  dote 
che  erano  ?  Una  miseria  !  Quando  quella  miseria  pun- 
tellò e  fortificò  la  pericolante  baracca,  divenne  il  prezzo 
col  quale  ella  comprò  il  titolo  di  principessa.  La  sua 
nobiltà  era  della  quinta  bussola,   non  solo  incapace  di 


-.  6i  -^ 

stare  a  paragone  con  quella  sublime  degli  Uzeda,  ma 
neppur  degna  d'  uno  dei  loro  lavapiatti,  di  quei  nobi- 
lucci  morti  di  fame  che  vivevano  facendo  quasi  da 
servitori  ai  gran  signori.  Ella  non  potè  ordinare  un 
abito  alla  sarta,  né  comprare  un  cappellino  o  un  paio 
di  guanti,  senza  che  il  monaco  criticasse  l'occasione 
della  spesa,  la  qualità  dell'oggetto  e  la  scelta  del  ne- 
gozio. Ma  don  Blasco  non  risparmiava  neppure  gli 
altri  parenti  ;  non  il  padre,  che  aveva  prima  ingoiato 
un  patrimonio  e  adesso  era  ridotto  a  vivere  dell'elemo- 
sina della  nuora,  non  il  fratello  che  aveva  lasciato  por- 
tare i  calzoni  alla  moglie,  mentre  egli  portava  invece — 
«Santa  prudenza!  santa  prudenza!  aiutami  tu!...» 
esclamava  allora,  tappandosi  violentemente  la  bocca, 
dicendone  più  con  quelle  reticenze  che  non  con  un 
lungo  discorso,  confermando  in  tal  modo  le  ciarle 
sparse  sul  conto  della  cognata,  spiattellando  poi  in 
tutte  sillabe  il  nome  che  conveniva  a  costei  quando, 
morti  i  due  principi  padre  e  figlio  nello  stesso  anno, 
la  principessa  restò  sola,  e  molto  più  libera  di  prima, 
che  era  stata  liberissima. 

Ella  lo  lasciava  cantare.  Le  grida  del  monaco  non  le 
potevano  impedire  di  fare  in  tutto  e  per  tutto  quel  che 
le  pareva  e  piaceva.  E  don  Blasco  si  dannava  l'anima, 
vedendo  le  sue  stravaganze  e  le  sue  pazzie.  Il  primo- 
genito, in  tutte  le  case  di  questo  mondo,  è  il  predi- 
letto, va  bene  ?  Lì,  invece,  era  odiato  !  Chi  era  i>l  pre- 
ferito ?  Il  terzogenito  !  Da  secoli  e  secoli,  il  titolo  di 
conte  di  Lumera  era  appartenuto,  con  tutti  gli  altri, 
al  capo  della  casa  :  adesso,  per  puro  capriccio,  per  una 
pazzia  furiosa,  toccava  a  quel  Raimondo  che  era  stato 
educato  come  un  «  porco  !  »  E  il  secondogenito,  a  cui 
neppure  il  Re  avrebbe  potuto  togliere  il  suo  titolo  vita- 
lizio di  -duca  d'Oragua,  era  invece  chiuso  a  San  Ni- 
cola !... 

La  storia  di  don  Lodovico  rassomigliava  molto  a 
quella  di  don   Blasco,   con   questa  differenza,   tuttavia  : 


—    62    — 

che  mentre  don  Balsco  era  cadetto  del  cadetto,  Lodo- 
vico aveva  dinanzi  a  so  soltanto  il  principe,  e  come 
duca  d'Oragua  avrebbe  potuto  sperare,  se  non  dalla 
madre,  almeno  da  qualche  zio  i  quattrini  occorrenti  a 
portar  con  decoro  quel  titolo.  Poiché  era  inteso  che  un 
altro  Uzeda,  in  questa  generazione,  doveva  entrare  a 
San  Nicola,  la  ragione  e  la  tradizione  designavano  il 
terzogenito,  Raimondo;  ma  dorma  Teresa,  per  far  pas- 
sare la  propria  volontà  su  tutte  le  leggi  umane  e  di- 
vine, invertì  l'ordine  naturale,  e  avendo  preso  a  pro- 
teggere Raimondo  sopra  gli  altri  fratelli,  lo  lasciò  al 
secolo  facendolo  conte,  e  cominciò  invece  a  lavorare 
perchè  il  duchino  Lodovico  sentisse  la  vocazione.  Nes- 
suno, quindi,  potè  dare  al  ragazzo,  in  presenza  di  lei, 
il  titolo  che  gli  spettava  ;  fin  dalla  puerizia  egli  fu  ve- 
stito della  nera  tonaca  benedettina  ;  come  balocchi  non 
ebbe  altro  che  altarini,  piccole  pissidi  e  aspersori!  e 
ogni  altra  sorta  di  oggetti  sacri.  Quando  la  mamma  gli 
domandava  :  «  Tu  che  vuoi  divenire  ?  »  il  bambino  fu 
avvezzo  a  rispondere  :  «  Monaco  di  San  Nicola.  »  A 
questa  risposta  gli  toccavano  carezze  e  promesse  di  car- 
lini, di  svaghi,  di  passeggiate  in  carrozza;  se  talvolta 
egli  osava  rispondere:  «Non  so....  »  donna  Teresa  gli 
pizzicottava  il  braccio  tanto  forte  da  farlo  piangere 
finché  gli  strappava  la  risposta  obbligata.  Il  confessore 
di  lei,  frattanto,  il  domenicano  Padre  Camillo,  lavo- 
rava a  quel  risultato  educando  il  ragazzo  alla  cieca 
obbedienza  clericale,  mortificandone  in  ogni  modo  i 
sensi  e  la  fantasia,  dandogli  la  paura  dell'  inferno,  fa- 
cendogli intravedere  le  letizie  del  paradiso.  Per  meglio 
riuscire  nell'  intento,  la  principessa  non  mise  presto  il 
ragazzo  al  noviziato  :  lo  tenne  in  casa  fino  ai  quindici 
anni.  Erano  i  tempi  delle  rigide  economie,  dei  creditori 
affollati  nelle  stanze  dell'amministrazione,  dei  debiti 
estinti  a  poco  a  poco  ;  talché,  dove  don  Blasco  aveva 
udito  parlare  continuamente  dei  tesori  che  in  parte 
erano  colati  sotto  i  suoi  proprii  occhi,  Lodovico  non 
intese  se  non  querimonie,  minaccie  di  gente  che  rivo- 


-,  63  -, 

leva  il  suo,  l'eterno  ritornello  della  madre  esa,gerante  a 
bello  studio  quelle  strettezze  :  «  Siamo  rovinati  !  Non 
c'è  come  fare  !  Non  ci  resterà  più  nulla  !  »  E  mentre 
al  palazzo  Francalanza  la  principessa  lavorava  di  lesina 
e  prodigava  le  più  efficaci  dimostrazioni  della  miseria 
in  cui  erano  ridotti,  raccogliendo  fiammiferi  spentì  per 
riaccenderli  dall'altro  capo,  rivendendo  le  sue  vesti 
smesse  prima  di  farsene  una  nuova  ;  ella  poi  descriveva 
a  Lodovico  il  monastero  dei  Benedettini  come  un  luogo 
di  eterna  delizia,  dove  la  vita  passava,  senza  cure  del- 
l'oggi e  senza  paure  del  domani,  tra  lauti  conviti, 
sontuose  cerimonie,  gaie  conversazioni  e  scampagnate 
gioconde.  E  quando  finalmente  Lodovico  entrò  novizio 
a  San  Nicola  potè  riconoscere  che  la  madre  aveva  detto 
la  verità,  perchè  il  corno  dell'abbondanza  pareva  rove- 
sciarsi continuamente  sul  monastero  e  la  vita  vi  scor- 
reva facile  e  lieta.  Il  giovane  che  usciva  dalla  ferrea 
tutela  della  principessa  e  del  confessore,  apprezzava 
più  specialmente  la  libertà,  la  quasi  licenza  che  vedeva 
regnar  nel  convento;  talché  egli  si  persuase  della  con- 
venienza, stillatagli  fin  da  bamjbino,  di  entrare  in  quel- 
l'Ordine. Tuttavia,  prima  di  pronunziare  i  voti,  esitò 
un  momento,  comprendendo  sul  punto  di  compierlo  la 
gravezza  del  sacrificio  che  gì'  imponevano,  fatto  accorto 
da  don  Blasco  dei  raggiri  materni  ;  ma,  oltre  che  egli 
non  prestava  molta  fede  al  monaco,  del  quale  cono- 
sceva r  implacabile  critica,  quella  stessa  terribile  seve- 
rità della  madre  alla  quale  egli  era  impaziente  di  sfug- 
gire lo  fece  rinunziare,  spaventato,  ad  ogni  tentativo  di 
aperta  ribellione. 

Padre  don  Lodovico  s'accorse  del  giuoco  di  cui  era 
stato  vittima  troppo  tardi,  quando  vide  che  le  miserie 
lamentate  dalla  madre  erano  mentite,  e  che  il  posto  a 
cui  lo  avevano  costretto  a  rinunziare  toccava  al  fratello 
Raimondo.  Ma  non  era  più  tempo  di  tornare  indietro  : 
lo  scapolare  e  la  cocolla  gli  sarebbero  pesati  sulle  spalle 
fino  alla  morte.  La  ribellione,  lo  sdegno  e  l'odio  scate- 
natisi nell'animo  suo  furono  tanto  più  violenti  di  quelli 


-.  64  - 

provati  dallo  zio,  quanto  meno  egli  era  capace,  per  il 
lungo  abito  della  finzione  e  della  mortificazione,  di  sfo- 
garsi a  parole  come  don  Blasco.  Nulla  trapelò  dei  sen- 
timenti che  gli  ribollivano  in  cuore  :  egli  restò  dinanzi 
alla  madre  riverente  e  sommesso  come  prima,  prodigò 
dimostrazioni  d'affetto  veramente  fraterno  a  quel  Rai- 
mondo che  godeva  del  posto  usurpato  ;  confermò,  con 
una  vita  esemplare,  la  vocazione  per  lo  stato  mona- 
stico. Mentre  don  Blasco,  grossolano,  ignorante,  avido 
di  godimenti  materiali,  gozzovigliava  coi  peggiori  mo- 
naci, giocava  al  lotto  come  un  disperato  per  arricchire 
e  portava  tanto  di  coltello  sotto  i  panni  ;  don  Lodovico, 
più  fine,  pili  istruito  e  sopratutto  più  accorto,  più  pa- 
drone di  sé,  fu  additato  come  raro  esempio  di  virtù 
ascetiche,  come  arca  di  dottrina  teologica.  Mentre  lo 
zio,  per  vendicarsi  del  perduto  potere  mondano,  pre- 
tendeva spadroneggiare  nel  convento,  vociando  contro 
l'Abate  e  il  Priore  e  i  Decani  e  i  Cellerarii,  bestem- 
miando San  Nicola  e  San  Benedetto  e  tutti  i  loro  celesti 
compagni,  il  nipote  parve  mettere  ogni  cura  nel  farsi 
da  parte,  non  nutrire  altra  ambizione  fuorché  quella  di 

studiare In  cuor    suo  egli    smaniava   di   prender   la 

rivincita.  Poiché  si  trovava  per  sempre  chiuso  là  dentro, 
voleva  arrivare,  presto,  prima  d'ogni  altro,  ai  gradi 
supremi.  Ai  Benedettini,  infatti,  c'era  un  regno  da 
conquistare  :  l'Abate  era  una  potenza,  aveva  non  so 
quanti  titoli  feudali,  un  patrimonio  favoloso  da  ammi- 
nistrare :  le  antiche  Costituzioni  di  Sicilia  gli  davano  il 
diritto  di  sedere  tra  i  Pari  del  regno  !  Don  Lodovico 
volle  pervenire  a  quel  posto  nel  più  breve  tempo  pos- 
sibile; compresa  qual  era  la  via  óa.  tenere,  non  se  ne 
discostò  d'  una  linea  :  nessuno  potè  mai  rimproverargli 
il  più  piccolo  trascorso,  nessuno  lo  potè  mai  trascinare 
nei  tanti  partiti  in  cui  si  dividevano  i  monaci  :  appar- 
tato, quasi  sempre  chiuso  in  biblioteca,  si  guadagnava 
simpatie  con  l' umiltà  del  contegno,  con  l'obbedienza 
prestata  ai  maggiori  ed  anche  agli  eguali,  con  la  stretta 
osservanza   della   Regola,   con   la   fama    di    dottrina   in 


-  65  - 

brev'ora  .acquistata.  Cosi  era  stato  eletto  Decano  a 
ventisette  anni  ;  ma,  portato  in  palma  di  mano  dal- 
l'Abate e  da  quasi  tutti  i  monaci,  egli  si  attirò  l'odio 
più  acre  e  violento  dello  zio.  Assetato  di  potere,  don 
Blasco  voleva  anch'egli  esser  Priore  ed  Abate;  ma  la 
vita  scandalosa,  il  carattere  violento,  l' ignoranza  su- 
pina gli  rendevano  se  non  imp>ossibile  per  lo  meno  diffi- 
cilissimo l'appagamento  di  quell'ambizione,  tanto  che 
non   prima   di    quarant'anni    era    stato  Decano  ;    veder 

dunque  a  quel  posto  il  nipote  «  col  guscio  ancora  in 

capo  »  lo  fece  uscir  fuori  dalla  grazia  di  Dio.  E  la  lotta 
tremenda  scoppiò  alla  morte  del  Priore  Raimo,  nei 
primi  di  quell'anno  1855.  Che  uno  degli  Uzeda,  i  cui 
antenati  erano  stati  tanto  benemeriti  del  convento,  do- 
vesse occupare  la  carica  vacante,  era  fuori  contesta- 
zione; ma  don  Blasco  pretendeva  lui  la  dignità,  né  cre- 
deva che  quel  «  gesuita  »  del  nipote  potesse  sognarsi 
di  contrastargliela  :  quando  seppe  che  quel  «  porco  »  gli 
faceva  la  concorrenza  e  ardiva  mettersi  di  fronte  allo 
zio,  mancò  poco  non  gli  pigliasse  un  accidente.  Ciò 
che  gli  uscì  di  bocca  contro  Lodovico  fu  cosa  da  atti- 
rare i  fulmini  sulla  cupola  di  San  Nicola  e  da  ince- 
nerire il  convento  con  tutti  i  suoi  abitanti  ;  il  meno  che 
gli  disse  fu  «  ruffiano  del  Capitolo,  vuotapitali  del- 
l'Abate  e    figlio   di    non   so   chi »   Don   Lodovico   lo 

lasciò  dire,  edificando  l' intero  monastero  con  1'  umiltà 
opposta  alla  violenta  aggressione  dello  zio.  Era  troppo 
sicuro  del  fatto  suo  :  l'elezione  di  don  Blasco,  il  quale 
aveva  seminato  figliuoli  in  tutto  il  quartiere  e  mante- 
neva tre  o  quattro  ganze,  fra  cui  la  famosa  Sigaraia, 
ed  era  tanto  ignorante  e  prepotente,  giudicavasi  da  tutti 
impossibile  :  sul  nipote  aveva  il  solo  vantaggio  dell'età, 
ma  questo  non  era  tale  da  compensare  tutti  i  suoi 
enormi  difetti.  A  maggioranza  strabocchevole  fu  eletto 
don  Lodovico  ;  da  quel  giorno  don  Blasco  diventò  una 
bestia  contro  quel  «  porco  gesuita  »  e  quella  «  —  » 
quella  «  ....  »  della  principessa,  alla  quale  fece  natural- 
mente una  nuova,  più  grave,  imperdonabile  colpa  del 
calcio   assestatogli   da  quel   «  gesuita   porco  ». 

De    Roberto.    I    Viceré    -    I  5 


^  66  — 

Né  gli  altri  nipoti  che  il  monaco  adesso  difendeva  in 
odio  alla  morta,  eccitandoli  a  rifiutare  il  testamento,  ave- 
vano goduto  mai  le  sue  buone  grazie.  Bastava  già  che 
fossero  figli  di  colei  ch'egli  considerava  come  sua  perso- 
nale nemica;  ma  poi,  ai  suoi  occhi,  avevan  torti  partico- 
lari tutti  quanti,  a  cominciar  da  Chiara  e  da  suo  marito. 

La  gran  colpa  di  quest'ultimo  consisteva  nell'esser 
stato  scelto  dalla  principessa  come  genero  e  d'aver  vo- 
luto bene  a  Chiara  nonostante  l'avversione  dimostra- 
tagli dalla  ragazza  ;  anzi  appunto  per  ciò  don  Blasco 
ci  aveva  sguazzato,  potendo  scagliarsi  a  un  tempo 
contro  di  lui  che  voleva  «  ficcarsi  per  forza  »  in  casa 
Uzeda,  contro  la  principessa  che  voleva  «  violentare  »  la 
figlia  e  contro  la  nipote  «  sciocca  e  pazza  tanto  »  da 
rifiutare  un  partito  «come  quello!...  »  Resistendo  alla 
madre,  Chiara  veramente  avrebbe  dovnato  riscuoter  lodi 
e  incoraggiamenti  dallo  zio  monaco  ;  ma  don  Blasco 
era  fatto  cosi,  che  quando  qualcuno  gli  dava  ragione 
egli  mutava  opinione  per  dargli  torto.  Il  fidanzamento 
era  stato  perciò  tutt'  una  guerra  violenta  fra  cognato 
e  cognata,  tra  zio  e  nipote  ed  anche  tra  madre  e  figlia, 
giacché  la  principessa  ne  aveva  fatto  anche  qui  una 
delle  sue. 

Per  lei,  come  per  tutti  i  capi  delle  grandi  famiglie, 
i  figliuoli  desiderabili  ed  amabili  non  potevano  essere 
se  non  maschi  :  le  femmine  non  sapevano  far  altro  che 
mangiare  a  ufo  e  portar  via  parte  della  roba  di  casa, 
se  andavano  a  marito.  Questa  idea  salica  molto  ben 
radicata  nel  suo  cervello,  ammetteva  veramente  qual- 
che eccezione  —  ella  stessa,  per  esempio  —  ma  verso 
la  prole  era  la  sola  che  la  guidasse.  Fra  gli  stessi  ma- 
schi, tuttavia,  ella  non  ne  aveva  considerati  due  egual- 
mente. In  vita,  aveva  quasi  odiato  il  primogenito  e 
idolatrato  Raimondo;  ma  l'odiato  era  l'erede  del  titolo, 
il  futuro  capo  della  casa;  e  il  preferito,  nonostante  il 
sacrificio  di  Lodovico,  un  semplice  cadetto  :  per  tanto 
ella   aveva   messo   d'accordo   il   rispetto  alla  tradizione 


-.  67  - 

feudale  e  la  soddisfazione  della  sua  personale  volontà 
deliberando,  senza  dirne  nulla,  di  dividere  le  sue  ric- 
chezze ai  due  fratelli,  cioè  defraudando  il  primoge- 
nito, che  avrebbe  dovuto  aver  tutto,  e  favorendo  l'altro 
che  non  avrebbe  dovuto  aver  nulla.  Degli  altri  due,  Lo- 
dovico era  stato  quasi  soppresso  per  dar  posto  a  Rai- 
mondo, mentre  Ferdinando  aveva  potuto  vivere  fin  ad 
un  certo  punto  libero  e  a  modo  suo.  Verso  le  donne, 
invece,  ella  aveva  nutrito  un  più  profondo  e  uniforme 
sentimento  di  repulsione  e  quasi  di  sprezzo,  lavorando 
a  impedire  che  «  rubassero  »  i  fratelli.  Angiolina,  la 
maggiore,  era  stata  condannata  alla  vita  claustrale  fin 
dalla  nascita,  per  una  colpa  imperdonabile  commessa 
nel  venire  al  mondo.  Dopo  un  anno  di  matrimonio, 
donna  Teresa  era  vicina  a  partorire  :  aspettava  un  ma- 
schio, il  primogenito,  il  principino  di  Mirabella,  il  fu- 
turo principe  di  Francalanza  :  ella  non  solo  l'aspettava, 
ma  non  ammetteva  che  non  venisse.  Nacque  invece 
una  femmina  :  la  madre  non  le  perdonò  più.  Fin  da 
quando  la  tolse  dalle  fasce  la  vesti  da  monachella  :  la 
bambina  non  parlava  ancora  che  fu  portata  ogni  giorno 
alla  badia  di  San  Placido  :  a  sei  anni  fu  chiusa  li  dentro 
«  per  educazione,  »  a  sedici  la  mite  e  semplice  creatura, 
ignara  del  mondo,  soggiogata  dalla  volontà  materna 
e  dagli  stessi  impenetrabili  muri  del  monastero,  si  senti 
realmente  chiamata  a  Dio  :  in  tal  modo  mori  Angiolina 
Uzeda  e  restò  Suor  Maria  Crocifissa. 

Chiara,  venuta  subito  dopo  e  rimasta  in  casa,  aveva 
provato  peggio  il  rigore  materno;  né  la  principessa  l'a- 
veva lasciata  al  secolo  per  paura  del  biasimo  con  cui 
la  gente  avrebbe  considerato  il  sacrifizio  di  due  figliuole  : 
bensì  per  esercitare  ella  stessa  sulla  ragazza  una  vigi- 
lanza e  un'autorità  più  severa  e  più  forte  di  quella  che 
la  Badessa  esercita  in  una  badia.  «  Ma  da  una  pazza 
come  mia  cognata,  »  soleva  dire  don  Blasco,  «e  da 
una  bestia  come  mio  fratello,  che  cosa  doveva  venir 
fuori  ?  Una  bestiona  arcipazza,  naturalmente  !  »  E  che 
s'era   visto,   infatti?   S'era  visto  che   fin   a   quando   la 


-^  68  — 

madre  l'aveva  tenuta  in  un  pugno  di  ferro,  questa  fi- 
gliuola aveva  sempre  chinato  il  capo,  rispettosa  e  obbe- 
diente ;  il  giorno  poi  che  la  principessa,  trovato  quello 
stupido  del  marchese  di  Villardita  il  quale  s'offriva  di 
sposare  la  giovane  per  niente,  s'era  persuasa  di  mari- 
tarla, ella  aveva  detto  di  no,  di  no,  di  no  :  cose  vera- 
mente dell'altro  mondo!...  Il  marchese,  vista  la  ra- 
gazza di  tanto  in  tanto,  sotto  lo  scialle,  in  chiesa,  se 
n'  era  innamorato,  e  la  principessa  risoilutissima  a 
dargli  la  figliuola,  lo  aveva  ammesso  in  casa;  ma,  sco- 
raggiato dalla  fredda  accoglienza  e  dalle  ostinate  re- 
pulse di  Chiara,  persuaso  da  parenti  ed  amici  che  fa- 
ceva una  pazzia  a  sposar  per  forza  chi  non  lo  voleva, 
egli  si  sarebbe  ritirato  in  buon  ordine,  se  donna  Teresa, 
che  quando  pigliava  partito  neppure  il  diavolo  la  fa- 
ceva andar  indietro,  non  gli  avesse  ingiunto  di  rima- 
nere al  suo  posto.  Così,  quand'egli  rivedeva  la  ragazza, 
seduta  in  un  angolo,  a  capo  chino,  col  fazzoletto  in 
mano,  aveva  voglia  di  mettersi  a  piangere  anche  lui, 
ce  quel  vitello,  »  diceva  don  Blasco  «  tanto  tenero  di 
cuore  da  innamorarsi  del  faccione  lungo  di  mia  nipote  !  » 
Chiara,  infatti,  non  era  una  bellezza,  e  la  madre,  dap- 
prima per  dissuaderla  dal  matrimonio,  poi  per  indurla 
ad  accettare  quel  partito,  le  ripeteva  tutti  i  santi  giorni  : 
«  Che  non  ti  guardi  allo  specchio  ?  Non  vedi  quanto  sei 
brutta?  Chi  vuoi  che  ti  pigli?...  »  ma  Chiara,  di  ri- 
mando :  «  Nessuno,  tanto  meglio  !  Se  Vostra  Eccellenza 
non  voleva  maritarmi?  Mi  lasci  stare  in  casa!...  »  Di 
prima  impressione  come  tutti  gli  Uzeda,  Chiara  non 
aveva  voluto  sentirne  di  quel  promesso,  per  l'unica  e 
sola  ragione  che  era  un  poco  pingue;  ma,  una  volta 
preso  quel  partito,  la  cocciutaggine,  ereditaria  negli 
Uzeda  molto  piij  che  l'impressionabilità,  era  stata  la 
pili  potente  ragione  della  resistenza  opposta  alla  ma- 
dre :  fino  all'  ultimo  momento,  pertinace,  ostinata,  in- 
flessibile, aveva  detto  che  mai,  mai,  mai  avrebbe  spo- 
sato quella  mezza  botte;  e  inutilmente  i  fratelli,  gli  zii, 
il  Padre  confessore  le  avevano  spiegato  che  se  non  era 


-  6g  - 

magro,  il  marchese  possedeva  un  cuor  d'oro,  e  che  la 
sposava  senza  dote  pel  bene  che  le  voleva,  e  che  in  casa 
di  lui  sarebbe  stata  da  regina  perchè  era  solo  e  stra- 
ricco, e  che  se  lasciavasi  sfuggire  quel  partito,  la  madre 
poteva  tornare  alla  prima  idea  di  non  maritarla,  di  la- 
sciarla invecchiar  zitellona  :  coi  piedi  al  muro,  ella 
aveva  sempre  risposto  di  no,  di  no  e  poi  di  no.  La 
principessa  dapprima  le  aveva  tolto  la  parola,  poi  l'a- 
veva strapazzata  come  una  serva,  poi  l'aveva  chiusa  a 
chiave  in  un  camerino  buio,  senza  vesti,  con  poco  cibo; 
poi  l'aveva  cominciata  a  picchiare  con  le  mani  noc- 
chiute che  facevano  male,  giurando  di  lasciarla  morir 
etica,  se  non  si  piegava.  E  al  marchese  il  quale,  preso 
dagli  scrupoli,  veniva  a  restituirle  la  sua  parola  :  «  Nos- 
signore, »  diceva  :  «  ha  da  sposarti,  perchè  cosi  voglio. 
Se  lei  è  degli  Uzeda,  io  sono  dei  Risa  !  E  vedrai  che 
cangerà!...»  Ella  sapeva  com'eran  fatti,  tutti  quegli 
Uzeda;  quando  s'incaponivano  in  un'idea,  neanche  a 
spaccargli  la  testa  li  potevan  rimuovere;  erano  dei  Vi- 
ceré, la  loro  volontà  doveva  far  legge  !  Ma  da  un  giorno 
all'altro,  quando  uno  meno  se  l'aspettava,  senza  per- 
chè, cangiavano  di  botto  ;  dove  prima  dicevano  bianco, 
affermavano  poi  nero  ;  mentre  prima  volevano  ammaz- 
zare una  persona,  questa  diventava  poi  il  loro  migliore 
amico...  Fino  all'ultimo  momento,  Chiara  non  aveva 
mutato  :  dinanzi  all'altare,  con  due  campieri  a  fianco, 
due  facce  brigantesche  scovate  apposta  dalla  madre 
per  incuterle  spavento,  era  svenuta,  e  solo  il  prete  di 
buona  volontà  aveva  udito  il  sì;  ma  il  domani  delle 
nozze,  quando  la  famiglia  andò  a  far  visita  agli  sposi, 
o  non  li  trovarono  abbracciati  che  si  tenevano  per 
mano?...  «cose  da  far  trasecolare!  »  gridava  don  Bla- 
sco.  La  gente  di  servizio,  i  famigliari,  gli  amici,  scher- 
zarono un  pezzo  tra  loro  sul  mezzo  che  il  marchese 
aveva  adoperato  per  addomesticar  la  moglie,  fatto  sta 
che  Chiara  da  qoael  giorno  fu  tutt'una  cosa  col  marito, 
fino  al  punto  che  egli  non  potè  tardare  un  quarto  d'ora  a 
rincasare   senza   che  ella  gli   mandasse  dietro  tutta   la 


—  70  — 

servitù,  fino  ad  essere  gelosa  dei  suoi  pensieri.  E  non 
ebbe  più,  in  tutte  le  circostanze  piccole  e  grandi,  altra 
opinione  che  quella  del  marito  ;  prima  di  dare  una  ri- 
sposta, ise  le  domandavano  qualcosa,  lo  interrogava 
cogli  occhi  quasi  temendo  di  non  dire  ciò  che  egli  stesso 
pensava;  il  suo  unico  e  grande  dolore  era  quello  di 
non  avere  un  figliuolo  da  lui,  dopo  tre  anni  di  matri- 
monio, dopo  avere  annunziato  quattro  o  cinque  volte, 
per  troppa  fretta,  la  propria  gravidanza;  ma  anche 
cosi  dimostrava  il  bene  che  voleva  al  suo  Federico. 

La  principessa  glielo  aveva  dato  per  molte  ragioni. 
Prima  di  tutto  le  era  nata,  dopo  i  quattro  maschi,  una 
terza  figlia,  quindi  ella  aveva  ragionato  o  «  sragionato  » 
a  giudizio  di  don  Blasco,  cosi  :  delle  tre,  la  prima  mo- 
naca, la  seconda  a  marito,  l'ultima  in  casa.  Ora  il  mar- 
chese, innamorato  della  ragazza,  prometteva  non  solo 
di  prenderla  senza  dote,  ma  di  prestarsi  anche  ad  una 
piccola  commedia.  Se  fermo  proposito  della  madre  era 
che  la -sostanza  della  casa  non  fosse  intaccata  dalle  fem- 
mine, il  suo  orgoglio  di  principessa  di  Francalanza  non 
poteva  consentire  che  la  gente  vantasse  la  generosità 
del  genero  nel  prendersi  Chiara  senza  un  baiocco,  quasi 
togliendola  all'ospizio  delle  trovatelle.  Per  tanto,  nei 
capitoli  matrimoniali  ella  aveva  costituito  alla  figlia  una 
rendita  di  dugent'onze  annue  :  cosi  diceva  l'atto  re- 
gistrato dal  notaio  Rubino  e  cosi  sapevano  tutti  ;  ma 
poi  il  marchese  le  aveva  rilasciato  un 'apoca,  accusando 
ricevuta  dell'intero  capitale  di  quattromila  onze,  delle 
quali  non  aveva  visto  neppure  tre  denari  ! 

Ora  don  Blasco,  il  quale  s'era  già  messo  contro  al 
marchese  pel  matrimonio  con  Chiara,  e  contro  Chiara 
per  la  repentina  conversione  dall'odio  all'amore  verso  il 
marito,  aveva  fatto  un  torto  estremo  ad  entrambi  della 
finzione  a  cui  s'eran  prestati  per  obbedire  a  quella  pazza 
da  legare  della  cognata.  Un  altro  torto  più  grosso,  forse 
più  imperdonabile,  essi  avevano  commesso  non  facendo 
valere  i  loro  diritti  all'eredità  paterna.  Infatti,  secondo 
il  Benedettino,  la  casa  Uzeda  non  era  interamente  di- 


—  71    — 

strutta  quando  c'era  entrata  donna  Teresa  ;  e  ad  ogni 
modo,  siccome  le  rendite  delle  proprietà  erano  state  ri- 
scosse anche  nei  tempi  peggiori,  bisognava  che  la  prin- 
cipessa le  conteggiasse,  potendo  dare  a  bere  solo  ai 
gonzi  che  esse  fossero  servite  alle  spese  del  manteni- 
mento quotidiano.  Avevano  aiutato,  invece,  a  pagare 
i  debiti  e  a  salvar  le  proprietà  ;  erano  quindi  confuse  nel 
patrimonio  ricostruito  e  andavano  ascritte  all'attivo  del 
principe  Consalvo  VII.  Costui,  da  quell'imbecille  che 
era  sempre  stato,  aveva  potuto  coronare  fa  sua  corta  e 
stupida  vita  con  quel  pulcinellesco  testamento,  impo- 
stogli e  dettatogli  dalla  moglie,  col  quale,  dichiarando 
distrutto  il  suo  patrimonio  per  disgrazie  di  famiglia, 
«  la  grazia  delle  disgrazie  !  »  lasciava  ai  figli  «  cose,  cose 
da  far  recere  i  cani!...  »  l'affetto  della  madre;  i  figli, 
però,  se  non  erano  più  imbecilli  del  padre,  dovevano 
chiedere  i  conti,  fino  all'ultimo  tornese.  Il  monaco  era 
per  questo  andato  assiduamente  dietro  ai  nipoti,  fuorché 
a  Raimondo,  al  quale  non  rivolgeva  la  parola  da  anni 
ed  anni  per  la  ragione  che  era  stato  il  beniamino  della 
madre,  incitandoli  a  farsi  valere  ;  ma  nessuno,  vivendo 
la  principessa,  aveva  osato  fiatare  ;  ed  egli  li  aveva  a 
malincorpo  scusati,  attesa  la  soggezione  a  cui  erano 
stati  avvezzi  da  colei  ;  ma  quel  marchese  che  le  era 
soltanto  genero,  che  non  doveva  quindi  temerla,  che 
era  stato  giuntato  una  prima  volta  nell'affare  dei  ca- 
pitoli, fu  per  don  Blasco  l'ultimo  dei  minchioni  non 
risolvendosi  a  parlar  forte  ;  e  perchè  poi  ?  di  grazia, 
perchè?  Perchè  dichiarava  d'aver  sposato  Chiara  pel 
bene  che  le  voleva,  non  per  i  quattrini  che  potevano 
venirgli  !...  La  collera  del  monaco  fu  tale  da  procu- 
rargli uno  stravaso  di  bile;  ma,  col  temp®,  egli  s'era 
acchetato,  aspettando  la  morte  della  cognata  per  riscen- 
dere in  campo.  Crepata  costei,  finalmente,  e  aperto 
quel  bestiale  testamento,  il  furioso  Cassinese  dimenti- 
cava adesso  le  bestialità  di  Federico  e  di  Chiara  per  dar 
loro  un  nuovo  assalto,  per  deciderli  a  muoversi.  La 
morta,    invece  di   dichiarare   «  onestamente  »   quant'era 


la  parte  del  marito  e  dividerla  «  equamente  »  a  tutti  i 
figli,  disponeva  invece  dell'intero  patrimonio  come  di 
cosa  propria  !  Non  contenta  di  ciò,  defraudava  i  legit- 
timarii  fingendo  di  assegnar  loro  una  quota  superiore 
alla  legale,  dando  loro  in  realtà  «  quattro  grani  !  » 
Chiara,  specialmente,  era  spogliatja  «come  in  un  bosco», 
giacché  il  testamento  non  diceva  parola  del  legato  del 
canonico  Risa.  Questo  era  un  altro  pasticcio  combinato 
tempo  addietro  da  donna  Teresa.  Tra  gli  altri  argomenti 
per  vincere  la  resistenza  di  Chiara  e  indurla  al  matri- 
monio col  marchese,  ella  aveva  ricorso  a  quello  dei  quat- 
trini e,  per  non  sciogliere  i  cordoni  della  propria  borsa, 
tirato  in  ballo  un  suo  zio,  il  canonico  Risa  di  Caltagi- 
rone,  il  quale  prometteva  un  legato  di  cinquemila  onze 
a  favore  della  pronipote  se  la  ragazza  avesse  spo- 
sato il  marchese  di  Villardita.  Nell'atto  era  intervenuta 
donna  Teresa  per  garantire  l'assegno,  a  condizione  che 
la  somma  si  trovasse  realmente  nel  patrimonio  del  ca- 
nonico, il  quale  prometteva  di  lasciare  ogni  cosa  a  lei. 
Invece,  due  anni  avanti  il  canonico  era  morto,  divi- 
dendo la  roba  tra  una  sua  perpetua  e  la  principessa,  e 
costei  s'era  allora  rifiutata  di  riconoscere  il  patto  sta- 
bilito; né  il  marchese,  per  rispetto,  per  disinteresse, 
aveva  pensato  di  chiederne  l'esecuzione.  Don  Blasco, 
adesso,  poiché  neppure  nel  testamento  la  cognata  s'era 
rammentata  di  quel  suo  obbligo,  poiché  ella  aveva  com- 
binato «  con  arte  infernale  »  anche  l'altra  gherminella 
delle  quattromila  onze  che  Chiara  non  aveva  ricevute  e 
che  doveva  intanto  conferire  come  se  le  avesse  prese, 
andava  tutti  i  giorni  dal  marchese  per  istigarlo  contro 
la  morta  e  gli  eredi,  incitandolo  a  reclamare  :  i°  la  di- 
visione legale;  2°  l'assegno  matrimoniale  con  tutti  gli 
interessi  arretrati  ;  3°  la  parte  che  veniva  a  Chiara  dal 
padre;  4°  il  legato  del  canonico;  dimostrandogli  in 
quattro  e  quattr'  otto  che  non  le  diecimila  onze  asse- 
gnate nel  testamento,  ma  tre  volte  tante  gliene  veni- 
vano per  lo  meno.  Il  marchese,  pure  ascoltandolo,  chi- 
nando il  capo  a  tutto  qud  che  diceva  il  monaco,  perchè 


—  72  — 

con  quel  Benedettino  benedetto  la  discussione  era  im- 
possibile, esprimeva  alla  moglie  il  desiderio  di  non  dar 
l'esempio  di  una  lite  in  famiglia,  d'aspettare  quel  che 
avrebbero  fatto  gli  altri  ;  e  Chiara  consentiva  in  queste 
come  in  tutte  le  altre  opinioni  del  marito;  in  cuor  suo 
dava  però  ragione  allo  zio,  voleva  che  le  attribuissero 
ciò  che  le  toccava,  iperchè,  gareggiando  d'affetto  con 
Federico,  le  doleva  che  egli  dovesse  sostener  da  solo  il 
peso  della  casa;  ma  il  marchese,  da  canto  suo,  prote- 
stava :  «  Io  t'  ho  presa  per  te  e  non  per  i  tuoi  denari  ! 
Anche  se  tu  non  avessi  nulla,  non  m'  importerebbe... 
Del  resto,  non  vuol  dire  che  rinunzieremo  ai  nostri 
diritti.  Lasciamo  prima  fare  a  Lucrezia  e  a  Ferdinando  ; 
io  non  voglio  essere  il  primo  a  intentare  una  causa 
alla   tua  famig'lia....  » 

Quel  disinteresse,  quel  rispetto  da  lui  dimostrato 
verso  casa  L^zeda,  accrescevano  la  devozione  e  l'am- 
mirazione di  Chiara,  la  facevano  uniformare  ai  suoi 
desiderii  con  tanto  maggior  zelo,  quanto  che,  giusto  in 
quei  giorni,  votatasi  per  consiglio  della  Badessa  di 
San  Placido  al  miracoloso  San  Francesco  di  Paola,  ella 
aveva  di  nuovo  la  speranza  d'essere  incinta.  Cosi,  per 
difendere  il  marito  da  quella  mosca  cavallina  di  don 
Blasco,  teneva  fronte  lei  stessa  allo  zio,  gli  diceva  : 

—  Sì,  va  bene;  Vostra  Eccellenza  ha  ragione,  parla 
per  amor  nostro  ;  ma  il  rispetto  alla  volontà  di  nostra 
madre 

—  Tua  madre  era  una  bestia  —  gridava  il  monaco 
—  più  di  te!...  Qual  è  stata  la  volontà  di  tua  madre? 
Quella  di  rovinarvi  tutti  per  amore  di  Raimondo  e  per 
odio  di  Giacomo  !  Pazza  tu  e  lei  !  Manata  di  pazzi  tutti 
quanti!...  —  E  montando  più  in  bestia  per  le  moine 
che  marito  e  moglie  si  facevano  tutto  il  giorno,  special- 
mente all'ora  del  desinare,  quando  si  servivano  reci- 
procamente come  in  piena  luna  di  miele  e  s'imbecca- 
vano al  pari  di  due  colombi,  il  monaco  scoppiava  :  — 
Io  non  so  veramente  chi  è  più  bestia,   fra  voi  due!... 

Tanto  che  una  volta  Chiara,  presolo  a  parte,  protestò  : 


—  74  — 

—  Vostra  Eccellenza  mi  dica  quel  che  le  piace,  ma 
non  tocchi  Federico.  Non  tollero  che  se  ne  parli  male 

—  Che  tolleri  e  talleri  mi  vai  contando  ?  —  proruppe 
il  monaco  di  rimando.  —  O  credi  che  la  gente  abbia 
dimenticato  che  prima  non  lo  volevi  neanche  per  cacio 
bacato  e  minacciavi  piuttosto  di  lasciarti  morire  che 
sposar  quel  cocomero?... 

Cosi  la  nipote  voltò  le  spalle  allo  zio  ;  questi  mandò 
a  farsi  friggere  la  nipote  e  non  mise  più  piede  in  casa 
di  lei,  dandosi  ad  altissima  voce  del  triplice  minchione 
per  lo  stupido  interesse  portato  verso  quel  paio  di  ani- 
mali. Ma  erano  giuramenti  da  marinaio;  egli  non  po- 
teva rassegnarsi  a  star  zitto,  gli  coceva  troppo  che  la 
volontà  della  morta  si  compisse  ;  e  allora,  aspettando 
un'occasione  per  tornare  alla  carica  contro  quelle  bestie, 
cominciò  a  prendersela  con  Ferdinando. 

A  qualunque  ora  andasse  a  cercarlo,  lassij,  alla  Pietra 
dell' Ovo,  lo  trovava,  sempre  solo,  con  la  pialla  o  con 
la  isega  o  con  la  zappa  in  mano,  intento  a  lavorar  da 
stipettaio  o  da  giardiniere,  in  manica  di  camicia,  come 
un  operaio  o  un  contadino.  Da  bambino  era  stato  così, 
Ferdinando  :  taciturno,  timido,  mezzo  selvaggio  per  la 
mala  grazia  con  cui  lo  aveva  trattato  sua  madre,  co- 
stretto a  svagarsi  da  solo,  come  meglio  poteva,  poiché 
non  gli  toccava  il  regalo  del  piìi  povero  balocco.  Era 
cresciuto  quasi  da  sé,  ingegnandosi  a  procacciarsi  quel 
che  gli  bisognava,  a  cavarsi  d'impiccio.  Quando  gli 
altri  andavano  a  spasso,  egli  restava  in  casa,  a  sfa- 
sciar scatole  di  legno  o  di  cartone  per  farne  teatrini  o 
altarini  o  casucce  che  regalava  poi  a  chi  glieli  chie- 
deva, a  Lucrezia  specialmente,  per  la  quale,  come  per 
una  compagna  di  destino,  sentiva  molta  affezione  ;  e  se 
talvolta  lo  cercavano  perché  c'eran  visite,  perché 
qualche  parente  voleva  vederlo,  egli  scappava,  si  rin- 
tanava in  certi  pertugi  dove  nessuno  riusciva  a  tro- 
varlo, o  si  rifugiava  nella  bottega  dell'orologiaio,  suo 
grande  amico,   dal  quale  facevasi  insegnar  l'arte.    Un 


—  75  — 

g-iorno,  per  San  Ferdinando,  don  Cono  Canalà  gli  regalò 
il  Robinson  Crusoè  ;  egli  lo  divorò  da  cima  a  fondo  e 
restò  sbalordito  dalla  lettura  come  da  una  rivelazione. 
Da  quel  momento  la  sua  selvatichezza  s'accrebbe;  il 
suo  unico  e  costante  desiderio  fu  quello  di  naufragare 
in  un'  isola  deserta  e  di  provveder  da  sé  al  proprio  so- 
stentamento. Cominciò  allora  a  fare  esperimenti  di  cul- 
tura nel  giardino  e  nella  terrazza  del  palazzo,  e  gli 
venne  il  gusto  della  campagna,  che  la  principessa  as- 
secondò. Gli  aveva  messo  il  soprannome  di  Babbeo  per 
quelle  sue  sciocche  manìe  ;  ma  comprendendo  che  fa- 
vorivano i  proprii  piani,  gli  abbandonò,  alla  Pietra  del- 
rOvo,  prima  la  brulla  chiusa  delle  ginestre  e  dei  fichi 
d'India,  poi,  col  tempo,  maturando  il  suo  piano  della 
generale  spogliazione  a  favore  del  primogenito  e  di 
Raimondo,  tutto  il  podere,  stipulando  però  un  con- 
tratto in  piena  regola,  col  quale  il  figliuolo  obbligavasì 
di  pagarle  cinquecent'onze  l'anno  sui  frutti  del  fondo, 
restando  a  lui  tutto  il  di  più.  Il  contratto  per  donna 
Teresa  fu  un  affare  :  innanzi  tutto  ella  risparmiò  le 
trentasei  onze  annue  del  fattore,  giacché  Ferdinando 
andò  subito  subito  a  stabilirsi  lì  per  coltivare  da  sé 
V isola  che  aveva  acquistata;  e  poi  assicurossi  una  ren- 
dita che  il  podere  non  dava.  Il  Babbeo  faceva  asse- 
gnamento sulle  bonifiche  per  pagare  le  cinquecent'onze 
alla  madre  e  restar  padrone  dell'avanzo;  infatti,  appena 
entrato  in  possesso,  cominciò  a  dissodare,  a  scavar 
pozzi,  a  strappar  mandorli  per  piantar  limoni,  a  sbar- 
bicar la  vigna  per  ripiantarci  i  mandorli,  a  sbizzarrirsi 
in  una  parola  come  aveva  sognato.  Il  suo  piacere,  ve- 
ramente, sarebbe  stato  più  grande  se  avesse  potuto  far 
tutto  da  solo  ;  ma  costretto  a  chiamar  zappatori  e  giar- 
dinieri, egli  stesso  lavorava  con  loro,  a  strappar  er- 
bacce, a  portar  via  corbelli  di  sassi,  a  rimondar  alberi, 
facendo  anche  da  falegname,  da  muratore  e  da  deco- 
ratore, perché  una  delle  sue  prime  occupazioni  era 
stata  quella  d'ingrandire  ed  abbellire  la  vecchia  casa 
del  fattore.  Egli  era  felice  facendo  la  vita  dell'eroe  che 


-  76  - 

g"li  aveva  acceso  la  fantasia,  come  se  veramente  fosse 
in  un'  isola  deserta,  a  mille  mig-lia  dal  mondo.  Dor- 
miva sopra  una  specie  di  cuccetta  da  marinaio,  costruiva 
da  sé  tavole  e  seggiole,  e  la  casa  pareva  un  arsenale 
dalla  tanta  roba  che  v'era  sparsa;  seghe,  pialle,  tra- 
pani, pulegge,  zappe,  picconi;  e  poi  un  assortimento 
di  assi  e  di  travi,  e  sacchi  di  farina  per  fare  il  pane, 
provviste  di  polvere,  una  scansia  di  libri,  tutta  la  roba 
che  un  naufrago  può  salvare  dalla  nave  prima  che  questa 
si  sfasci. 

Fin  dal  primo  anno,  però,  egli  non  aveva  potuto  pa- 
gare interamente  la  rendita  promessa  alla  madre  ;  restò 
a  dargliene  una  buona  metà  che  la  principessa  notò 
regolarmente  a  suo  debito.  Poi,  a  furia  di  mutar  cul- 
ture, di  porre  in  atto  le  novità  di  cui  udiva  parlare  o 
che  leggeva  nei  trattati  d'agricoltura  o  che  speculava 
da  sé,  il  frutto  del  podere  gli  si  venne  sempre  piij  as- 
sottigliando tra  mano.  Colpa  dei  mercenarii,  diceva, 
che  non  eseguivano  bene  i  suoi  ordini,  o  dello  scom- 
bussolamento delle  stagioni  ;  ma  la  madre  lo  canzo- 
nava, a  posta,  per  incaponirlo  in  quella  sua  manìa,  e 
vi  riesci  va  a  meraviglia.  E  il  frutto  delle  Ghiande  sce- 
mava sempre  più,  non  arrivava  neppure  alle  cent'onze, 
nonostante  che  ad  esclusione  degli  strumenti  e  di 
qualche  libro,  egli  non  spendesse  nulla  per  ^è  e  man- 
giasse frugalmente  i  prodotti  dell'orto  e  della  caccia  e 
le  rare  volte  che  compariva  al  palazzo  iscandalizzasse 
perfino  i  servi,  tanto  era  stracciato  e  unto  e  goffo  nei 
panni  vecchi  di  anni  ed  anni.  Ma  la  principessa,  deri- 
dendolo, lo  lasciava  fare,  e  segnava  una  dopo  l'altra 
nel  libro  dell'avere  tutte  le  somme  che  ogni  anno  egli 
le  dava  in  meno.  Esi&e  formavano  già  -un  discreto  capi- 
tale che  il  Babbeo  non  sapeva  dove  prendere  ;  il  suo 
continuo  timore  era  perciò  che  la  madre,  stanca  di  non 
vedersi  pagata,  gli  togliesse  di  mano  il  podere;  e  infatti 
la  principessa  piij  d'  una  volta  lo  aveva  minacciato  di 
questo.  Il  colpo  maestro  di  costei,  nel  testamento,  fu 
dunque  l'assegnazione  delle  Ghiande  a  Ferdinando.  Per 


lui  quella  proprietà  valeva  più  d'un  feudo;  a  scam- 
biarla per  tutta  l'eredità  dei  fratelli  maggiori  temeva 
di  rimetterci.  Come  se  non  bastasse,  c'era  anche  il  con- 
dono degli  arretrati  che  sommavano  ormai  a  mille  e 
cinquecento  onze  ;  talché,  al  colmo  della  soddisfazione, 
egli  si  credette  trattato  benissimo,  oltre  ogni  speranza, 
e  a  don  Blasco,  il  quale  gli  si  metteva  alle  costole  per 
indurlo  a   ribellarsi  : 

—  Come  ?  —  diceva,  candidamente,  lasciando  di  pial- 
lare o  di  rimondare.  —  Non  è  abbastanza  quello  che 
ho  avuto  ? 

—  Ma  ti  tocca  il  triplo,  per  lo  meno  !  Sei  stato  truf- 
fato con  tutti  gli  altri  !  Ti  tocca,  in  rate  eguali  con 
tutti  gli  altri,  la  parte  di  tuo  padre,  che  è  il  momento 
di  rivendicare  !  E  non  sai  che  Giacomo  non  ti  mandò 
neppure  a  chiamare,  il  giorno  della  morte  di  tua  madre? 

—  Non  è  possibile  !  —  rispondeva  Ferdinando,  scan- 
dalizzato.  —   E   perchè,   poi  ? 

—  Per  far  sparire  carte  e  valori  !  Scappò  lassù,  si 
mise  a  rovistolare  tutta  la  villa  :  le  cose  si  risanno  !  E 
poi  ha  fatto  la  commedia  dei  suggelli  !  Te  ne  accor- 
gerai all'  atto  dell'  inventario,  anima  vergine  ! 

Il  monaco  smaniava  dall'  impazienza  per  quest'inven- 
tario ;  ma  il  principe  invece  pareva  non  avesse  fretta  di 
conoscere  quel  che  c'era  in  casa,  non  parlava  d'affari 
a  nessuno  dei  fratelli  e  delle  sorelle,  neppure  al  coerede 
Raimondo,  il  quale  da  parte  sua  pensava  a  tutto,  fuor- 
ché a  chiedergliene  conto.  Nonostante  il  lutto,  stava 
sempre  fuori  casa,  al  Casino  dei  Nobili,  a  ragionar  di 
Firenze  coi  vecchi  amici,  a  far  la  sua  partita  o  a  giudi- 
care gli  equipaggi  che  sfilavano  nell'ora  del  passeggio. 
E  don  Blasco  intronava  le  orecchie  di  Ferdinando  di 
invettive  contro  il  fratello.  Era  «  uno  scandalo,  una 
mancanza  di  rispetto  alla  morta  calda  ancora,  »  la  con- 
dotta di  quello  scapestrato  che  badava  unicamente  a 
spassarsi,  che  non  era  venuto  a  «  chiuder  gli  occhi  alla 
madre,  »  neppure  per  amor  dei  quattrini  che  ella  gli 
voleva  dare  brevi  tnanu,  «  rubandoli  agli  altri  !...  »  Ora 


-,  78  - 

il  giorno  che,  cominciato  finalmente  l'inventario,  risultò 
che  in  cassa  c'erano  soltanto  cinque  onze  e  due  tari  di 
contanti,  e  un  titolo  di  rendita  di  cento  ducati,  il  mo- 
naco corse  alle  Ghiande  come  impazzito. 

' —  Hai  visto  ?  Hai  visto  ?  Hai  visto  ?...  Che  ti  dicevo  ? 
Cinque  onze  !  Tua  madre  non  ne  teneva  mai  meno  di 
mille  !  E  la  rendita,  la  rendita  !  Fino  a  cinque  mila  du- 
cati li  sapevo  io!...  Capisci  adesso?  Hai  visto  come 
v'ha  rubati  il  tuo  caro  fratello?  Quel  ladro  del  si- 
gnor Marco  gli  ha  tenuto  il  sacco  !  Rubati  !  Rubati  ! 
Se  non  gridate,  se  non  vi  fate  sentire,  siete  degni  che 
vi  sputino  in  viso. 

Non  la  finiva  più,  dimostrando  al  nipote,  intontito 
dalle  grida,  la  nuova  magagna.  Perchè  mai,  dunque, 
Giacomo  lasciava  al  suo  posto  il  signor  Marco,  mentre 
aveva  già  cacciato  via  tutti  i  servi  protetti  dalla  madre, 
il  cocchiere  maggiore,  il  cuoco,  tutti  coloro  ai  quali 
ella  aveva  lasciato  qualcosa  ?  Quel  «  porco  »  del  signor 
Marco,  !'«  anima  dannata  »  della  defunta,  avrebbe  do- 
vuto esser  preso  «  a  calci  nel  preterito  »  appena  la  sua 
protettrice  aveva  chiuso  gli  occhi;  invece  perchè  mai, 
dopo  idue  mesi,  era  ancora  in  servizio  ?  Appunto  perchè, 
appena  morta  la  padrona  antica,  s'era  buttato  «  vigliac- 
camente »  ai  piedi  del  padrone  nuovo,  gli  aveva  conse- 
gnato ogni  cosa,  gli  aveva  lasciato  «  rubare  »  i  valori 
che  andavano  «  a  tutti  »  o  per  lo  meno  «  al  coerede  !...  » 

E  quella  bestia  di  Ferdinando  che  faceva  l'ingenuo, 
che  non  voleva  credere  a  tante  porcherie  e  si  dichiarava 
grato  alla  madre  pel  condono  delle  mille  e  cinquecen- 
t'onze  !  Quasi  che  quello  strozzato  contratto  tra  madre 
e  figlio  non  fosse  stato  immorale,  quasi  che  la  princi- 
pessa non  avesse  a  bella  posta  stabilito  un  canone  su- 
periore al  frutto  del  podere  per  meglio  impaniar  quel- 
l'allocco !...  Tuttavia,  a  furia  di  predicargli  che  gli  toc- 
cava di  più,  che  avrebbe  potuto  essere  ricco  più  del 
doppio,  più  del  triplo,  il  monaco  sarebbe  forse  riuscito 
a  scuotere  il  nipote  se,  come  parlando  male  del  marito 
a  Chiara,  non  avesse  commesso  anche  con  Ferdinando 


I 


—  79  — 

una  grave  imprudenza.  Rifiutando  il  testamento,  chie- 
dendo la  divisione  legale,  Ferdinando  temeva  che  le 
Ghiande  andassero  in  mano  ad  altri,  o  che,  per  lo  meno, 
egli  dovesse  spartirle  coi  fratelli  ;  don  Blasco,  che  gli 
dimostrava  la  possibilità  di  tenerle  tutte  per  sé,  un 
giorno  gli  cantò  : 

— •  E  finalmente  se  perderai  questo  fondo,  ne  acqui- 
sterai in  cambio  un  altro  che  varrà  centomila  volte 
più  !... 

—  Eccellenza  no;  — ■  rispose  Ferdinando  —  come 
questo  non  ce  n'è  altri  in  casa  nostra 

—  Le  Ghiande?  —  scoppiò  allora  il  monaco.  —  Una 
terra  che  si  chiama  le  Ghiande  ?  Buona  veramente  a 
buttarci  una  mandra  di  maiali  ?  E  che  ci  vengono,  fuor- 
ché le  ghiande  ?  Ora  specialmente  che  hai  finito  di 
rovinarla  con  le  tue  speculazioni  pazzesche  ? 

Ferdinando,  a  sentirsi  cosi  buttar  giù  la  terra  e  l'o- 
pera propria,  ammutolì  e  arrossi  come  un  pomodoro  ; 
poi,  ricuperata  la  voce,  dichiarò  : 

—  Eccellenza,  sa  come  dice  il  proverbio  ?  Ne  sa  più 
un  pazzo  in  casa  propria  che  un  savio  nell'altrui  ! 

Allora  il  monaco,  eruttata  una  buona  quantità  di 
male  parole  contro  quel  malcreato,  non  rifece  più  la  via 
del  suo  «  porcile  »  e  si  ridusse  a  porre  l'assedio  intorno 
a  Lucrezia.  L'aveva  serbata  per  l'ultima,  poiché,  se 
nutriva  un'antipatia  istintiva  contro  tutti  i  nipoti,  era 
specialmente  furioso  contro  questa  qui. 

Come  Chiara  e  Ferdinando,  Lucrezia  non  ricordava 
una  carezza  della  madre  ;  ma  dove  Chiara  aveva  avuto 
da  principio  agli  occhi  del  monaco  il  merito  relativo 
della  resistenza  opposta  alla  principessa  nell'affare  del 
matrimonio,  e  Ferdinando  quello  d'essere  andato  via  di 
casa,  la  nipote  più  piccola  non  aveva  altro  che  torti, 
uno  più  capitale  dell'altro.  Sotto  la  sferza  di  donna 
Teresa,  trattata  con  particolare  durezza  per  esser  nata 
quando  costei  non  aspettava  più  altri  figli,  considerata 
come  un 'intrusa  venuta  a  rubare  parte  della  roba  già 


—  8o  — 

destinata  ai  due  maschi,  Lucrezia  era  cresciuta  come 
«  una  marmotta,  »  diceva  il  Benedettino  :  tarda,  taci- 
turna, selvatica  come  Ferdinando,  e  sempre  così  di- 
stratta che  le  sue  risposte  erano  oggetto  di  risa  per  tutti 
fuorché  per  lo  zio  Blasco  che  se  la  mangiava  viva. 

Asservendo  e  maltrattando  la  figlia,  la  principessa 
non  dimenticava  tuttavia  lo  scopo  principale  da  raggiun- 
gere :  cioè  di  lasciarla  zitellona  in  casa.  Perciò  ella 
dimostrava  assiduainente,  quotidianamente  a  Lucrezia 
che  il  matrimonio  non  era  fatto  per  lei  ;  prima  di  tutto 
per  la  cattiva  salute  —  e  invece  la  ragazza  stava  be- 
nissimo ;  poi  perchè  così  voleva  il  bene  della  casa  — 
e  le  additava  l'esempio  di  donna  Ferdinanda;  poi 
perchè,  senza  quattrini,  non  avrebbe  potuto  mai  tro- 
vare tm  partito  conveniente  —  e  1'  eccezione  del 
marchese  Federico  confermava  la  regola  ;  e  finalmente 
perchè,  quasi  tutto  questo  non  bastasse,  era  anche 
brutta  —  e  qui  diceva  la  verità.  Quando  la  vedeva  allo 
specchio,  o  le  rare  volte  che  la  ragazza  assisteva  alle 
visite  che  venivano  per  la  madre,  costei  esclamava  : 
«  Ma  come  sei  brutta,  figlia  mia  !...  Che  disgrazia  avere 
una  figlia  cosi  brutta,  è  vero?»  L'argomento  più  per- 
suasivo era  nondimeno  quello  della  povertà  :  la  roba 
apparteneva  «  ai  maschi  ;  »  quando  i  fattori  le  portavano 
sacchi  di  quattrini,  ella  diceva  a  Lucrezia  :  «  Vedi  que- 
sti ?  Sono  tutti  dei  maschi »  e  se  la  ragazza  alzava 

gli  occhi  alle  mappe  dei  feudi  appese  nelle  anticamere, 
la  madre  ripeteva  :  «  Che  guardi  ?  Sono  le  proprietà  dei 
maschi  !  »  Quando  il  discorso,  presente  la  figlia,  ca- 
deva sui  matrimonii,  donna  Teresa  ammoniva  :  «  Di  che 
parlate  dinanzi  alle  ragazze  ?»  e  a  quattr'occhi  le  di- 
ceva che  pensare  al  matrimonio  era  peccato  mortale,  da 
confessarsene  :  e  il  confessore,  padre  Camillo,  confer- 
mava in  queste  idee  Lucrezia;  poi  la  principessa  rico- 
minciava, fino  alla  sazietà  :  «  Tu  del  resto  non  hai 
niente,  devi  restare  in  caisa  per  forza  :  chi  ti  vorrà  spo- 
sare senza  denari  ?  »  Quanto  a  Chiara,  era  stata  un'altra 
cosa  :  si  era  trovato  uno  che  la  prendeva  con  la   sola 


—  8i  — 

camicia,  perchè  la  sapeva  saggia,  timorata  di  Dio,  ob- 
bediente alla  madre.  E  addolcendo  la  pillola,  la  princi- 
pessa si  lasciava  scappare  di  tanto  in  tanto  :  ce  Se  anche 
tu  sarai  come  tua  sorella,  poi  ti  compenserò  altrimenti.  » 

Cosi  era  cresciuta  Lucrezia  :  costantemente  mortificata 
e  umiliata,  segregata  dal  mondo  più  che  nella  badia, 
invisa  ai  fratelli  maggiori  ed  agli  stessi  zii,  tiranneg- 
giata un  poco  anche  da  Chiara  che  per  avere  cinque 
anni  più  di  lei  faceva  la  grande  ;  unicamente  voluta  bene 
e  protetta  da  Ferdinando,  col  carattere  del  quale  s'ac- 
cordava molto  il  suo.  Il  Babbeo  aveva  igià  da  badare  a 
sé  stesso,  non  godendo  troppe  grazie  in  famiglia  ;  ma 
dimostrava  come  poteva  a  Lucrezia  il  bene  che  le  vo- 
leva. Maggiore  appena  d'un  anno,  egli  giocò  con  lei,  le 
diede  i  balocchi  da  lui  stesso  costruiti  ;  più  tardi,  quando 
egli  ebbe  qualche  nozione  di  lettere,  quando  apprese  da 
sé  a  disegnare,  a  far  minuti  lavorucci,  comunicò  la  sua 
scienza  alla  sorella  per  la  quale  non  si  faceva  la  spesa 
d'un  maestro.  Del  resto  la  compagnia  e  la  protezione  di 
Ferdinando  non  fu  la  sola  di  cui  godè  Lucrezia  :  ella 
ebbe  anche  quella  di  donna  Vanna,  una  delle  came- 
riere :  e  la  principessa,  sempre  accorta  e  sempre  al- 
l'erta, non  vide  il  pericolo  che  correva  da  questa  parte. 

La  servitù,  in  casa  Francalanza,  era  pagata  poco  e 
avvezza  a  tremare  dinanzi  alla  padrona;  nondimeno  ra- 
ramente qualcuno  andava  via  se  non  era  congedato, 
perché  tutti  trovavano  il  mezzo  di  rifarsi  moralmente  e 
materialmente  del  cattivo  trattamento.  Il  mezzo  consi- 
steva nel  parteggiare  secretamente  per  qualcuno  dei 
figli  o  dei  cognati  contro  la  padrona,  nel  fomentare  le 
ribellioni,  nel  far  la  spia  :  per  questo  v'erano  altrettanti 
partiti,  nel  cortile,  quante  teste  presumevano,  su  nel 
palazzo,  di  fare  a  modo  proprio.  Donna  Vanna  era 
dunque  del  partito  delle  «  signorine  :  »  come  dapprima 
aveva  incoraggiato  la  disperata  resistenza  di  Chiara  al 
matrimonio  impostole,  cosi  più  tardi  venne  narrando  a 
Lucrezia  la  storia  della  sorella  per  dimostrarle  le  du- 
rezze  e   le   strambiti   della   madre  ;   e   le   mise   in   testa 

De    Roberto.    I    Viceré    -    I  6 


che  anche  lei  doveva  inaritarsi,  e  le  diede  la  coscienza 
dei  suoi  diritti  e  delle  sue  qualità.  Non  era  vero  che 
ella  fosse  povera  :  la  principessa  poteva  disporre  sola- 
mente della  metà  della  propria  sostanza  :  l'altra  metà 
andava  eg?ualmente  divisa  fra  tutti  i  figli  :  «  S'ha  da 
fare  così  per  forza,  perchè  è  scritto  nella  legge  :  perciò 
questa  parte  si  chiama  legittima »  E  Lucrezia  l'a- 
scoltava a  bocca  aperta,  cercando  di  comprendere.  Ella 
comprendeva  più  facilmente  le  adulazioni  della  came- 
riera che  trovava  recondite  bellezze  nella  persona  della 
padroncina,  quando  la  vestiva  o  la  pettinava  :  «  Com'è 
ben  formata  Vostra  Eccellenza  !...  Sembra  una  palma  !... 
E  queste  trecce  !  Corde  di  bastimento  !  »  Poi  conclu- 
deva :  «  Ha  da  trovarsi  uno  che  se  la  godrà!...  » 

Cosi  accadde  che,  quando  i  Giulente  vennero  a  star  di 
casa  dirimpetto  al  palazzo  dei  Francalanza,  donna  Van- 
na disse  alla  signorina  :  «  Vostra  Eccellenza  ha  visto 
il  signorino  Benedetto  ?  Guardi  che  bel  ragazzo  !  »  Ella 
si  mise  a  osservarlo  dalla  finestra,  e  fu  del  parere  della 
cameriera.  «  Vostra  Eccellenza  non  s'è  accorta  come  la 
guarda?»  Lucrezia  si  fece  rossa  più  d'un  papavero,  e 
da  quel  giorno  ì  suoi  occhi  andarono  spesso  al  balcone 
del  giovanotto.  Però,  finché  la  principessa  ebbe  buona 
salute,  la  cosa  non  usci  da  questi  termini  e  nessuno  la 
sospettò.  Un  brutto  giorno  donna  Teresa,  già  malan- 
data, si  svegliò  con  un  doloretto  al  fianco,  del  quale 
sulle  prime  non  si  curò,  ma  che  un  anno  dopo  doveva 
condurla  al  sepolcro.  Quando  la  malattia  della  padrona 
aggravossi,  e  specialmente  quando,  per  mutar  d'aria, 
ella  ise  ne  andò  al  Belvedere,  sola,  giacché  Raimondo,' 
il  beniamino,  stava  a  Firenze  e  gli  altri  figliuoli  erano 
qual  più  qua!  meno  tutti  aborriti,  allora,  più  libera, 
donna  Vanna  favori  meglio  l'amore  della  signorina, 
parlò  al  giovanotto,  portò  da  una  parte  all'altra  dap- 
prima saluti,  poi  ambasciate  e  finalmente  biglietti.  In 
famiglia  se  ne  accorsero,  e  tutti  si  scatenarono  contro 
'  Lucrezia. 

I  Giulente,  venuti  circa  un  secolo  addietro  a  Catania 


-  83  - 

da  Siracusa,  appartenevano  a  una  casta  equivoca,  non 
più  «  mezzo  ceto  »  cioè  borg-hesia,  ma  non  ancora  no- 
biltà vera  e  propria.  Nobili  isi  credevano  e  si  vantavano  ; 
ma  questa  loro  persuasione  non  riuscivano  a  trasfon- 
dere negli  altri.  Da  parecchie  generazioni  s'erano  ve- 
nuti imparentando  con  famiglie  della  vera  «  mastra  an- 
tica »,  ma  avevano  do\aito  scegliere  quelle  ridotte  a  corto 
di  quattrini,  perchè  una  ragazza  nobile  e  ricca  ad  un 
tempo  non  avrebbe  mai  sposato  un  Glulente.  Per  gio- 
care a  pari  coi  baroni  autentici  avevano  adottato  tutti 
gli  usi  baronali  :  uno  solo  tra  loro,  il  primogenito,  po- 
teva prender  moglie  ;  gli  altri  dovevano  restar  scapoli. 
L'abolizione  del  fedecommesso  li  aveva  rallegrati,  poiché 
in  casa  loro  non  c'era  :  istituito  il  maiorasco,  avevano 
tentato  di  ottenerlo,  senza  riuscirvi.  Nondimeno  tutto  era 
andato  egualmente  al  primogenito  :  don  Paolo,  il  padre 
di  Benedetto,  era  ricchissimo,  mentre  don  Lorenzo  non 
possedeva  un  baiocco  :  per  questo,  forse,  trescava  coi 
rivoluzionarli.  Benedetto,  un  po'  per  l'esempio  dello 
zio,  un  po'  pel  soffio  dei  nuovi  tempi,  faceva  anch'eg-li 
il  liberale  ;  teneva  moltissimo  alla  sua  nascita,  ma  com- 
battendo la  bigotteria  della  nobiltà  —  quando  la  volpe 
non  arriva  all'uva  !  gridava  la  zitellona  —  e  per  questi 
suoi  sentimenti,  quantunque  tutta  la  sostanza  del  padre 
dovesse  un  giorno  spettargli,  studiava  per  prendere  la 
laurea  d'avvocato.  Quindi  l'ira  di  don  Blasco  contro  la 
nipote  che  s'arrischiava  di  fare  all'amore  senza  chieder 
permesso  a  lui  ;  e  con  chi  ?  con  un  Giulente,  un  libe- 
rale, un  avvocato  ! 

Ora,  dopo  la  lettura  del  testamento,  dopo  le  difficoltà 
opposte  da  Chiara,  dal  marchese  e  da  Ferdinando  alle 
sue  sobillazioni,  il  monaco  si  rivolse  a  Lucrezia.  Aveva 
maggiore  speranza  di  riuscire  con  lei  poiché,  per  l'amore 
di  Giulente,  ella  aveva  interesse  a  ribellarsi  alla  fami- 
glia; è  vero  che  gli  toccava  pel  momento  secondare  o 
per  lo  meno  fingere  d'ignorare  l'amoretto  della  nipote  ; 
"  ma  pur  di  complottare  e  di  metter  zeppe  e  di  farsi  va- 
lere,  don   Blasco  passava   sopra   a   maggiori   difficoltà. 


-  84  - 

Eg-li  cominciò  dunque  a  dimostrare  a  Lucrezia  il  torto 
ricevuto,  le  ragioni  da  addurre,  il  furto  di  Giacomo  ap- 
pena morta  la  madre  ;  e  le  rifece  i  conti  e  la  stimolò  a 
mettersi  d'accordo  con  Ferdinando,  sull'animo  del  quale 
ella  sola  poteva,  per  contrastar  poi,  uniti,  al  fratello 
magigiore.  Lucrezia,  che  all'opposizione  dei  parenti  s'era 
impennata,  come  ogni  L^zeda  dinanzi  alla  contraddi- 
zione, ed  aveva  giurato  a  donna  Vanna  che  avrebbe 
sposato  Giulente  a  qualùnque  costo  ;  udendo  adesso  il 
monaco  parlarle  dei  suoi  diritti,  dimostrarle  che  ella  era 
piij  ricca  di  quanto  credeva,  istigarla  a  far  valere  la 
propria  volontà,  gli  dava  ascolto,  diffidente,  tuttavia, 
sospettosa  di  qualche  raggiro.  La  notte  prendeva  con- 
sigli dalla  cameriera  ;  e  poiché  donna  Vanna  la  con- 
fortava a  seguire  il  monaco,  ella  riconosceva,  si,  che 
sua  madre  l'aveva  messa  in  mezzo,  come  tutti  gli  altri, 
a  profitto  di  due  soli,  e  chinava  il  capo  agli  argomenti 
che  don  Blasco  le  ripeteva;  ma  sul  punto  d'impegnarsi 
a  dire  il  fatto  suo  a  Giacomo,  la  paura  l'arretrava.  Era 
cresciuta  con  l'idea  che  egli  fosse  d'una  pasta  diversa, 
d'una  natura  più  fine;  mentre  tutti  i  fratelli  e  le  sorelle 
si  davano  del  tu  fra  loro,  al  primogenito  toccava  del 
voi;  e  il  principe  che  l'aveva  sempre  tenuta  a  distanza, 
guardandola  d'alto  in  basso,  adesso,  dopo  la  lettura 
del  testamento,  mostravasi  ancora  più  chiuso  con  tutti, 
ma  specialmente  con  lei.  Preparata  a  sostener  la  lotta 
per  amore  di  Giulente,  ella  voleva  riserbare  le  sue  forze 
pel  momento  buono,  non  sciuparle  per  uno  scopo  che 
le  pareva  secondario.  Benedetto  le  aveva  fatto  sapere 
che,  appena  laureato,  voleva  dire  fra  un  paio  di  anni, 
avrebbe  chiesto  la  sua  mano;  e  che  il  duca  d'Oragua, 
tanto  amico  di  suo  zio  Lorenzo,  li  avrebbe  sicuramente 
sostenuti  ;  ma  che  frattanto  bisognava  aver  pazienza  e 
prudenza,  studiare  di  non  accrescere  l'animosità  degli 
Uzeda.  Consultato  intorno  alla  quistione  del  testamento, 
egli  confermava  il  consiglio  di  non  far  nulla  contro  il 
principe  ;  parte  per  le  ragioni  antiche,  parte  per  non 
parere  ingordo  della  maggior  dote  di  lei.  «  Vede  ^'ostra 


Eccellenza  ?  »  commentava  la  cameriera,  udendo  queste 
lettere  che  la  padroncina  le  comunicava  ;  «  vede  Vostra 
Eccellenza  quant'è  buono?  \'uol  bene  a  Vostra  Eccel- 
lenza, non  ai  quattrini  !  Un  altro  che  avesse  uccellato 
alla  dote,  che  cosa  avrebbe  risposto  ?  —  Facciamo  la*"'^ 
lite  !...  »  Egli  era  veramente  un  buon  giovane,  studioso, 
un  po'  esaltato,  infiammato  dalle  dottrine  liberali  dello 
zio,  bruciante  d'amore  per  l'Italia  :  scrivendo  alla  ra- 
gazza le  diceva  che  le  sue  passioni  erano  tre  :  lei,  la 
madre  e  la  patria  che  bisognava  redimere. 

Cosi  anche  Lucrezia,  dopo  aver  dato  ascolto  alle 
istigazioni  di  don  Blasco,  non  faceva  nulla  di  quel  che 
voleva  lo  zio  :  anzi,  una  volta  che  costui  fu  più  insi- 
stente, ella  rispose  : 

—  Perchè  non  parla  Vostra  Eccellenza  con  Giacomo  ? 
Il  monaco,  a  quest'uscita,  diventò  paonazzo  e  parve 

sul  punto  di  soffocare. 

—  Ho  da  parlar  io,  ah,  bestia?  ah,  bestiona  ?  Vi  pia- 
cerebbe, bestioni,  prender  la  castagna  con  la  zampa  del 
gatto?  Ah,  volevate  che  parlassi  io!...  E  che  cavolo 
vi  pare  che  ime  n'  importi,  in  fin  dei  conti,  se  vi  spoglia, 
se  vi  mangia  tutti  quanti,  brancata  di  pazzi,  di  gesuiti 
e  d'imbecilli,   oh  ?... 


Parlare  a  Giacomo,  prendere  le  parti  di  quei  nipoti 
contro  quell'altro,  era  veramente  impossibile  a  don 
Blasco.  Egli  si  sarebbe  cosi  impegnato  definitivamente, 
avrebbe  preso  realmente  un  partito,  non  avrebbe  potuto 
pili  dar  torto  a  chi  prima  aveva  dato  ragione,  e  vice- 
versa; e  questo  era  per  lui  un  bisogno.  Cosi  per  esempio 
il  principe,  solo  fra  tutta  la  «  mala  razza  »  (come  il  Be- 
nedettino chiamava  i  suoi  nei  momenti  d'esasperazione, 
cioè  quasi  sempre)  gli  era  stato  dinanzi  obbediente  e 
sommesso,  gli  aveva  dato  ragione  nella  lotta  contro  la 
principessa  ;  ora  don  Blasco,  in  cambio,  gli  rivoltava 
i  fratelli  e  le  sorelle.  Ma  il  monaco  non  credeva  di  far 
male,   cosi  ;   scettico  e   diffidente,    sapeva  che   Giacomo 


—  86  — 

s'era   messo  con   lui   non   g^ià   per   affezione   o    per   ri- 
spetto, ma  per  semplice  tornaconto. 

II   principe  (Giacomo,   infatti,    aveva  obbedito   a    sue 
proprie  ragioni.   Quasi  non  potesse  perdonargli  di  non 
esser  venuto  a  tempo,   quand'ella  l'aspettava  e  lo  vo- 
leva,  la  principessa  non  aveva  fatto  festa  al  primoge- 
nito dei  maschi,  il  quale  aveva  anche  messo  in  pericolo, 
nascendo,   la  vita   di  lei.    Invece  di   volergli   tanto  più 
bene   quanto  più  lo  aveva  desiderato  e  quanto  più  le 
costava,  donna  Teresa  gliene  aveva  voluto  tanto  meno. 
Alla  nascita  di  Lodovico  era  rimasta  ancora  indifferente 
e  crucciata;  le  sue  viscere  materne  s'erano  improvvisa- 
mente commosse  per  Raimondo.   Cosi,  mentre  tutti  gli 
altri   parenti   che   non   eran    «  pazzi  »   come   lei,    o   che 
eran   pazzi   altrimenti,   avevano   dato  a   Giacomo  l'idea 
che  eg'li  fosse  da  più  di  tutti  come  primogenito,  come 
erede  del  titolo,  la  principessa  aveva  riposto  tutto  il  suo 
affetto,  un  affetto  cieco,  esclusivo,  irragionevole,   sopra 
Raimondo.    E  la  protezione  della  madre  era  molto  più 
efficace  di  quella  del  padre  e  degli  zii  ;  perchè,  mentre 
costoro  davano  a  Giacomo,  avido  di  quattrini,  ingordo 
d'autorità,  soltanto  vane  parole,  Raimondo  era  colmato 
di   regali,   otteneva   ragione  su  tutti,   faceva  legge   dei 
proprii   capricci.    Cosi  cominciarono  le   risse  tra  i   due 
fratelli,  e  Raimondo,  più  piccolo,  ne  toccò;  ma  quando 
la  principessa  si  vide  dinanzi  in  lacrime  il  suo  protetto, 
Giacomo  assaggiò  le  terribili  mani  di  lei  che  lasciavano 
i  lividi  dove  cadevano.  Il  ragazzo  s'ostinò  un  pezzo,  fino 
a  mutare  la  freddezza  della  madre  in  odio  deciso;  poi, 
accortosi  di  sbagliar  via,  mutò  tattica,  divenne  infinto, 
fece  da  spia  a  don  Blasco,  gustò  il  piacere  della  ven- 
detta nel  vedere  Raimondo  picchiato  dal  monaco  in  odio 
alla   cognata.    Ma   furono    soddisfazioni    mediocri    e   di 
corta  durata  :  con  gli  anni  la  principessa  chiuse  a  San 
Nicola  il  secondogenito,   diede  a  Raimondo  il  titolo  di 
conte  ;  avara,  anzi  spiloircia,  largheggiò  soltanto  col  be- 
niamino ;   Giacomo  non  ebbe  mai  un  baiocco,   e  i  suoi 
abiti  cadevano  a  brandelli  quando  l'altro  pareva  un  figu- 


-.  87  - 

rino.  Se  Raimondo  esprimeva  un'opinione,  subito  era 
secondato,  o  per  lo  meao  non  deriso;  Giacomo  non  potè 
disporre  di  nulla.  Uno  dei  suoi  più  lunghi  desideri!  era 
stato  quello  di  far  atto  di  padrone,  in  casa,  riadattando 
a  modo  suo  il  palazzo  :  la  madre  non  gli  permise  di  ri- 
muovere una  seggiola.  Ella  stessa  aveva  lavorato  a 
mutar  l'architettura  dell'edificio,  il  quale  pareva  com- 
posto di  quattro  o  cinque  diversi  pezzi  di  fabbrica  messi 
insieme,  poiché  ognuno  degli  antenati  s'era  sbizzarrito 
a  chiuder  qui  finesitre  per  forare  piìi  là  balconi,  a  innal- 
zare piani  da  una  parte  per  smantellarli  dall'altra,  a 
mutare,  a  pezzo  a  pezzo,  la  tinta  dell'intonaco  e  il  di- 
segno del  cornicione.  Dentro,  il  disordine  era  maggiore  : 
porte  murate,  scale  che  non  portavano  a  nessuna  parte, 
stanze  divise  in  due  da  tramezzi,  muri  buttati  a  terra 
per  fare  di  due  stanze  una  :  i  «  pazzi  »  come  don  Blasco 
chiamava  anche  i  suoi  maggiori,  avevano  uno  dopo 
l'altro  fatto  e  disfatto  a  modo  loro.  Il  piii  grande  rime- 
scolamento era  stato  quello  operato  da  suo  padre,  il 
principe  Giacomo  XIII,  quando  costui  non  sapeva  come 
buttar  via  i  quattrini  ;  e  quella  «  testa  di  zucca  »  di 
donna  Teresa,  invece  di  pensare  all'economia,  non  s'era 
divertita  a  sciuparne  degli  altri  in  altre  bislacche  no- 
vità?... Giacomo  voleva  anch'egli  ritoccare  la  pianta 
della  casa,  ma  la  imadre  non  gli  lasciò  neanche  attac- 
care un  chiodo  ;  e  il  Benedettino  andava  in  bestia  spe- 
cialmente per  questo;  che  il  figliuolo  sempre  contra- 
riato era  tutto  sua  madre  :  autoritario,  cupido,  duro, 
almanacchista  come  lei  ;  mentre  quella  papera  preferiva 
Raimondo  che  non  conosceva  il  valore  del  denaro,  sper- 
perava tutto  quel  che  aveva,  non  s'intendeva  d'affari, 
amava  e  cercava  unicamente  gli  svaghi  e  i  piaceri!... 
I  due  fratelli,  quantunque  avessero  la  stess'aria  di  fa- 
miglia, non  si  rassomigliavano  neppure  fisicamente  :  Rai- 
mondo era  bellissimo,  Giacomo  più  che  brutto.  Nella 
Galleria  dei  ritratti  si  potevano  riscontrare  i  due  tipi. 
Tra  i  progenitori  più  lontani  c'era  quella  mescolanza  di 
forza  e  di  grazia  che  formava  la  bellezza  del  contino  ;  a 


— .  88  — 

poco  a  poco,  col  passare  dei  secoli,  i  lineamenti  comin- 
ciavano ad  alterarsi,  i  volti  s'allungavano,  i  nasi  spor- 
gevano, il  colorito  diveniva  più  oscuro;  un'estrema 
pinguedine  come  quella  di  don  Blasco,  o  un'estrema 
magrezza  come  quella  di  don  Eugenio,  deturpava  i  per- 
sonaggi. Fra  le  donne  l'alterazione  era  più  manifesta  : 
Chiara  e  Lucrezia,  quantunque  fresche  e  giovani  en- 
trambe, erano  disavv^enenti,  quasi  non  parevano  donne  ; 
la  zia  Ferdinanda,  sotto  panni  mascolini,  sarebbe  parsa 
qualcosa  di  mezzo  tra  l'usuraio  e  il  sagrestano;  ed  altret- 
tante figure  maschilmente  dure  spiccavano  fra  i  ritratti 
femminili  di  più  fresca  data  ;  mentre,  negli  antichi,  le 
strane  acconciature  e  gli  stravaganti  costumi,  gli  stroz- 
zanti collari  alla  fiamiminga  che  mettevan  le  teste  come 
sopra  un  bacino,  le  vesti  abbondanti  che  chiudevano  il 
corpo  come  scaglie  di  testuggine,  non  riuscivano  a  na- 
scondere la  sveltezza  elegante  delle  forme  né  ad  alterare 
la  purezza  fine  dei  lineamenti.  Tratto  tratto,  fra  le  ge- 
nerazioni più  vicine,  in  mezzo  alle  figoire  imbastardite, 
se  ne  vedeva  tuttavia  qualcuna  che  rammentava  le  pri- 
mitive ;  così,  per  una  specie  di  reviviscenza  delle  vec- 
chie cellule  del  nobile  sangue,  Raimondo  rassomigliava 
al  più  puro  tipo  antico.  Ridevano  gli  occhi  alla  princi- 
pessa, quando  lo  vedeva,  grazioso  ed  elegante,  guidare, 
montare  a  cavallo,  tirare  di  scherma;  al  primogenito 
invece  dava  altrettanti  soprannomi  quanti  difetti  tro- 
vava nella  sua  persona  :  l'Orso  die  balla,  per  la  goffag- 
gine; Pulcinella,  per  il  lungo  naso;  il  Nano,  per  la  corta 
statura. 

Così  l'astio  di  Giacomo  contro  la  madre  e  il  fratello 
si  manteneva  sempre  vivo  ;  esso  crebbe  a  dismisura 
quando  donna  Teresa  colmò  lo  staio,  dando  moglie  a 
Raimondo.  La  tradizione  di  famiglia,  mantenuta  fino 
al  1812  dall'istituzione  del  fedecommesso,  vietava  che 
nessuno  fuorché  il  primogenito  prendesse  moglie  ;  e  in- 
fatti, nella  generazione  precedente,  né  il  duca  né  don 
Eugenio  s'erano  accasati;  ma  la  principessa,  come  sem- 
pre, s'  infischiò  delle  regole  e  pensò  di  trovare  un  partito 


-^  89  - 

a  Raimondo  pr"ma  ancora  che  a  Giacomo.  Morendo  lei 
e  lasciando  ad  entrambi  la  sua  sostanza,  la  condizione 
dei  due  fratelli  sarebbe  stata  egnale;  ma  in  vita,  non 
volendo  ella  spog'liarsi  dì  nulla,  Giacomo,  che  doveva 
necessariamente  amimogliarsi  per  tramandare  il  princi- 
pato, si  sarebbe  arricchito  con  la  dote  della  moglie, 
mentre  Raimondo,  restando  scapolo,  non  avrebbe  avuto 
nulla.  Pàrsuasa  quindi  della  necessità  di  dar  moglie 
anche  al  beniamino,  ella  esitò  nondimeno  molto  tempo 
prima  di  attuare  la  sua  risoluzione,  e  non  già  perchè 
sentisse  scrupolo  d'infrangere  la  tradizione,  di  creare 
nell'albero  genealogico  degli  Uzeda  un  ramo  storto  che 
avrebbe  fatto  concorrenza  al  diritto  ;  ma  per  la  stessa 
passione  ispiratale  dal  giovane  :  all'idea  che  un'altra 
donna  gli  sarebbe  vissuta  notte  e  giorno  a  fianco,  una 
sorda  gelosia  la  struggeva.  Per  questo,  il  giorno  che 
finalmente  si  decise,  non  soffri  di  dargli  nessuna  delle 
ragazze  della  città  e  neppure  della  provincia  ;  ma  co- 
minciò invece  a  cercargli  un  partito  a  Messina,  a  Pa- 
lermo, più  lontano  ancora,  nel  continente,  con  certi  suoi  ' 
criterii  particolari,  uno  dei  quali  era  che  la  sposa  fosse 
orfana  di  madre.  Cercò  parecchi  anni  e  nessuna  la 
contentò.  Alla  fine,  per  mezzo  d'  un  monaco  benedettino 
compagno  di  don  Blasco,  Padre  Dilenna  di  Milazzo, 
fermò  la  sua  scelta  sulla  figlia  del  barone  Palmi,  cugina 
del  Cassinese.  Tuttavia,  parendo  troppo  a  lei  stessa 
che  Raimondo  prendesse  moglie  priima  di  Giacomo,  il 
quale  a  venticinque  anni  era  ancora  scapolo,  caso  unico 
nella  storia  della  famiglia,  provvide  ad  ammogliare  i 
due  fratelli  nello  stesso  tempo,  e  destinò  al  primoge- 
nito la  figha  del  marchese  Grazzeri. 

Le  liti  scoppiate  in  quell'occasione  furono  straordi- 
narie. Se  il  rancore  di  Giacomo  per  il  matrimonio  del 
fratello  divenne  piij  cocente,  vedendo  egli  prepararsi  ac- 
canto alla  propria  un'altra  progenie  di  Uzeda  che  gli 
avrebbe  sottratto  parte  delle  sue  sostanze,  non  fu  meno 
grande  il  rancore  pel  matrimonio  suo  proprio.  Violento, 
avido   e   arido   com'era,    egli   aveva   amoreggiato   colla 


-<  90  — 

cugina  Graziella,  figlia  della  sorella  della  madre,  e  s'era 
messo  in  testa  di  sposarla,  quantunque  la  dote  di  lei 
fosse  infinitamente  più  scarsa  di  quella  della  Grazzeri  ; 
ma  la  principessa,  un  poco  appunto  per  questa  conside- 
razione della  maggiore  ricchezza,  un  poco  perchè  non 
era  mai  andata  d'accordo  con  la  sorella,  anzi  l'aveva 
sempre  tenuta  lontana  da  sé,  e  sopratutto  pel  gusto  di 
contrariare  l'inclinazione  del  figliuolo,  lo  sforzò  invece 
a  sposar  la  Grazzeri. 

Giacomo  non  era  piij  ragazzo,  da  obbedire  alla  madre 
per  paura  di  castighi  o  di  busse  ;  ella  aveva  però 
un'arma  piiJ  potente  in  mano,  essendo  padrona  dei  quat- 
trini e  potendo  minacciare  di  diseredarlo.  «  Neppure 
un  grano!...  »  gli  diceva,  freddamente,  facendo  scattar 
l'unghia  del  pollice  contro  i  denti;  «non  avrai  neppure 
un  grano!...»  e  la  poca  simpatia  dimostrata  a  quel 
figliuolo  e  la  passione  per  Raimondo  e  il  matrimonio 
imminente  di  quest'ultimo  confermavano  la  minaccia, 
facevano  sospettare  che  ella  l'avrebbe  compiuta.  Il  prin- 
cipe che  fino  a  quel  punto  non  era  riuscito  interamente 
ad  adottar  la  politica  della  finzione,  dopo  quest'ultimo 
e  violento  contrasto  le  s'inchinò,  rassegnato  e  devoto, 
le  prestò  un'obbedienza  scrupolosa  e  cieca  anche  nelle 
cose  inutili  e  ridicole,  non  parlò  più  se  non  d'amor 
fraterno,  d'unione,  di  rispetto  ai  maggiori.  Dentro,  si 
rodeva  ;  ed  aspettando  di  cogliere  il  frutto  di  quella  con- 
dotta, esercitava  il  proprio  tirannico  impero  e  faceva 
pesare  il  suo  cruccio  unicamente  sulla  moglie.  Dal 
primo  giorno  del  matrimonio  questa  fu  trattata  peggio 
d'una  serva;  non  che  volontà,  non  potè  esprimere  nep- 
pure opinioni;  il  principe  l'addestrò  ad  obbedirgli  a  un 
semplice  muover  di  sguardi  ;  quando  ella  ebbe  bisogno 
di  comperare  una  matassa  di  cotone  o  un  palmo  di 
nastro,  le  convenne  chiedere  a  lui  i  baiocchi  occorrenti 
—  e  in  dote  gli  aveva  portato  centomila  onze.  La  sua 
missione  fu  quella  di  dare  un  erede  al  marito,  di  per- 
petuare la  razza  dei  Viceré;  compitala,  ella  fu  conside- 
rata come   una  bocca   inutile,    peggio   d'un  lavapiatti; 


—  91  — 

perchè  i  la\apiatti  facevano  almeno  la  corte  alla  fami- 
glila, all'occorrenza  davano  una  mano  al  maestro  di  casa  ; 
mentre  donna  Margherita  non  sapeva  far  nulla  e  non 
■pensava  ad  altro  fuorché  ad  evitar  contatti  e  vicinanze, 
con  la  mania  della  nettezza  e  l'incubo  dei  contag-i.  Era 
del  resto  una  creatura  mite,  senza  volontà,  cera  molle 
che  il  principe  plasmò  a  suo  talento.  In  odio  al  figlio, 
non  per  amore  che  le  portasse,  la  principessa  suocera 
pigliò  più  d'una  volta  le  sue  difese;  allora  ella  sofferse 
maggiormente,  perchè  Giacomo,  arrendendosi  in  appa- 
renza, le  faceva  poi  scontare  più  duramente  quella  pro- 
tezione. 

Se  il  matrimonio  del  principe  andò  tanto  male,  quello 
di  Raimondo  andò  molto  peggio.  Giacomo  non  voleva 
la  Grazzeri,  amando  la  cugina  ;  Raimondo  invece  non 
voleva  nessuna,  era  deciso  a  non  armmogliarsi.  Le 
moine  e  le  preferenze  usategli  dalla  madre  avevano  de- 
stato in  lui  appetiti  insaziabili  di  piaceri  e  di  libertà  ; 
ma  la  protezione  della  principessa  pesava  quasi  quanto 
la  sua  avversione,  tanto  ella  era  dispotica  in  tutto.  Il 
suo  protetto  doveva  fare  quel  che  voleva  lei,  pagarle 
con  una  obbedienza  più  rassegnata  i  privilegi  che  ella 
gli  accordava  ;  né  questi  privilegi,  straordinarii  a  para- 
gone della  soggezione  in  cui  erano  tenuti  gli  altri  figli, 
bastavano  a  Raimondo  :  svegliavano  invece  le  sue  voglie 
seinza  arrivare  a  soddisfarle.  A  lui  solo,  per  esempio, 
toccavano  quattrini  da  buttar  via  a  suo  capriccio  ;  ma  la 
principessa  donava  per  lambicco  ;  e  il  giovane  che  spen- 
deva continuamente  per  gli  abiti,  per  le  donne,  e  avea 
fra  l'altre  la  passione  del  giuoco,  sciupava  in  una  notte 
quel  che  la  madre  gli  dava  in  un  anno.  Solo  a  lui, 
anche,  era  stato  consentito  di  arrivare  sino  a  Firenze, 
ma  quella  rapida  corsa,  mettendo  in  corpo  al  giovanotto 
la  niania  dei  viaggi,  dei  lunghi  soggiorni  nei  paesi  più 
belli  e  più  ricchi,  non  potè  esser  seguita  da  altre.  Quin- 
di, benché  trattati  in  modo  tanto  diverso,  entrambi  i  fra- 
telli aspettavano  con  eguale  impazienza  la  morte  della 
madre  :   Giacomo  per  esercitare  la   propria   autorità  di 


—  92  — 

capo  della  casa,  per  vendicarsi  dei  maltrattamenti  sof- 
ferti, per  afferrare  la  roba;  Raimondo  per  saldare  i  de- 
biti nascostamente  contratti,  per  buttar  via  i  quattrini 
nella  soddisfazione  delle  proprie  voglie,  per  appagare  il 
piij  grande  desiderio  che  lo  struggeva  :  andar  via  dalla 
Sicilia,  vecier  Milano  e  Torino,  vivere  a  Firenze  o  a 
Parigi. 

Al  primo  annunzio  del  matrimonio  egli  si  ribellò 
dunque  apertamente  alla  madre,  poiché  solo  fra  tutti 
poteva  dirle  in  faccia  :  «  Non  voglio  !»  Il  matrimonio 
era  la  catena  al  collo,  la  schiavitù,  la  rinunzia  alla  vita 
che  egli  sognava  :  a  nessun  patto  poteva  accettarlo.  Ma 
la  principessa,  che  verso  gli  altri  figli  adoperava  i  più 
acri  sarcasmi,  le  imposizioni  più  dure  e  le  minacele 
estreme,  tenne  a  lui  il  linguaggio  della  persuasione.  Vo- 
leva egli  divertirsi,  aver  molti  quattrini  da  spendere,  far 
quello  che  gli  piaceva?  La  dote  gli  avrebbe  subito  per- 
messo ogni  cosa  !  Quella  gelosa  che  si  adattava  a  dargli 
moglie  per  necessità,  e  non  voleva  la  nuora  del  paese  e 
gili  andava  invece  a  cercare  un  partito  lontano,  non  po- 
teva ammettere  che  suo  figlio  amasse  quest'altra  donna, 
che  le  fosse  fedele,  che  le  si  credesse  legato  sul  serio. 
«  Stupido  che  sei  !  »  gli  diceva  dunque,  «  sposala  per 
adesso;  poi,  se  ti  secca,  la  pianterai!»  E  solamente 
quel  linguaggio  e  quegli  argomenti  indussero  il  giovane 
a  dir  di  si,  persuadendolo  che  a  quel  modo  egli  sarebbe 
stato  subito  ricco  e  si  sarebbe  nello  stesso  tempo  sot- 
tratto all'opprimente   protezione  della  madre. 

Don  Blasco,  al  matrimonio  di  Giacomo,  aveva  fatto 
cose  dell'altro  mondo  e  vomitato  gli  ultimi  vituperii  sul 
nipote  che  s'era  ficcato  in  testa  di  sposare  la  cugina 
Graziella,  la  figlia  d 'un'altra  Risa  !  e  sulla  cognata  che 
gli  dava  invece  «  per  forza  »  una  Grazzeri  !  Ma  a  coro- 
nare l'opera  mancava  proprio  il  matrimonio  di  Rai- 
mondo!... AmmiOgliare  un  altro  figliuolo?  Creare  una 
seconda  famiglia  ?  \'enir  meno  alle  tradizioni  della  casa  ? 
C'era  esempio  d'una  pazzia  più  furiosa?...  Don  Blasco 
non  badava  alla  contraddizione  fra  quel  rispetto  che  pre- 


—  93  — 

tendeva  portassero  alle  tradizioni,  ed  il  proprio  insazia- 
bile rancore  per  ess'cr  stato  sacrificato  alle  tradizioni 
medesime  :  pur  di  fare  l'opposizione,  pur  di  sfogarsi  in 
qualche  modo,  egli  saltava  ostacoli  molto  più  grandi.  E 
quel  che  più  specialmente  l'offendeva,  nel  matrimonio 
di  Raimondo,  era  la  scelta  della  sposa.  Fra  tanti  par- 
titi che  le  erano  offerti,  quale  aveva  preferito  sua  co- 
gnata? Quello  proposto  da  Padre  Dilenna,  nemico  per- 
sonale di  don  Blasco  ! 

Lassù,  ai  Benedettini,  fra  le  molte  fazioni  in  cui  si 
dividevano  i  monaci,  le  più  accanite  eran  le  politiche  : 
ora  don  Blasco  era  borbonico  sfegatato  e  Padre  Dilenna, 
al  Quarantotto,  aveva  fatto  galloria  con  gli  altri  libe- 
rali per  la  cacciata  di  Ferdinando  II.  L'anno  dopo,  don 
Blasco  aveva  ottenuto  la  rivincita  ;  ma  Dilenna  gli  fece 
più  tardi  mangiar  l'aglio  quando,  in  previsione  della 
vacanza  del  priorato,  sostenne  Lodovico  Uzeda,  mentre 
don  Blasco  in  persona  aspirava  a  quell'ufficio  !  Sceglier 
dunque  per  Raimondo  la  moglie  proposta  dal  Dilenna, 
anzi  la  sua  propria  cugina,  era  veramente  un  po' 
troppo.  Tutte  le  cose  che  don  Blasco  fece  e  disse,  al  pa- 
lazzo ;  le  seggiole  che  rovesciò,  i  pugni  che  lasciò  ca- 
dere sui  mobili,  le  male  parole  e  le  bestemmie  che  gli 
usciron  di  bocca,  non  si  potrebbero  ridire;  tanto  che  la 
principessa,  mentre  prima  l'aveva  lasciato  gridare,  oppo- 
nendogli una  resistenza  passiva,  gli  spiattellò  finalmente 
sul  muso  che,  in  casa  propria,  ella  aveva  ^sempre  fatto 
quel  che  le  era  piaciuto  ;  e  che  lo  stesso  suo  marito 
non  s'era  mai  arrischiato  di  dirle  una  parola  più  forte 
d' un' altra  :  «  Sapete  dunque  che  e'  è?  Fatemi  il  famo- 
sissimo (piacere  di  non  venirci  più  !  »  Don  Blasco,  botta 
e  risposta  :  «  Mi  dite  voi  di  non  venirci  ?  E  non  sapete 
che  io  vi  ho  fatto  un  altissimo  onore  tutte  le  volte  che 
sono  entrato  in  questa  bottega  ?  E  non  sapete  che  di  voi 
e  di  tutti  i  vostri  me  ne  importa  meno  di  quattordici 

paia  di...?  Ma  andate  un  poco  a  farvi  più  che tutti 

quanti  siete,  e  maledetti  siano  i  piedi  d'asino  e  di  porco 
che  mi  ci  portarono!  »  Egli  andò  poi  a  dir  cose,  contro 


—  94  — 

la  cog^nata,  fra  i  monaci  amici,  da  far  cascare  il  mona- 
stero, e  non  mise  piede  per  più  di  un  anno  al  palazzo 
struggendosi  però  di  inon  poter  più  gridare,  cadendone 
quasi  ammalato  ;  talché,  alla  nascita  del  principino  Con- 
salvo Vili,  quando  Giacomo,  tutto  spirante  pace  ed 
amore,  propose  alla  madre  ed  ottenne  che  s'invitasse 
lo  zio  alla  festa  del  battesimo,  il  Cassinese  riapparve 
in  casa  della  cognata,  per  ricominciare,  dopo  un  breve 
periodo  di  calma  apparente,  a  gridar  peggio  di  prima. 

La  principessa  aveva  dunque  sostenuto,  per  accasar 
Raimondo,  una  lotta  ora  sorda,  ora  violenta  non  solo 
sul  primogenito  e  con  don  Blasco,  ma  con  lo  stesso 
figlio  di  cui  voleva  assicurare  l'avvenire,  e  perfino  con 
sé  stessa.  Ella  ebbe  in  quell'  occasione  un  altro  nemico, 
e  non  meno  terribile  :  donna  Ferdinanda. 

La  zitellona  contava  allora  trentotto  anni,  ma  ne  di- 
mostrava cinquanta  ;  né  in  età  più  fresca  aveva  mai  pos- 
seduto le  grazie  del  suo  se&so.  Destinata  a  restar  nu- 
bile per  non  portar  via  nulla  del  patrimonio  riserbato 
al  fratello  principe,  ella  sarebbe  stata  forse  rinchiusa, 
per  precauzione,  in  un  monastero,  se  la  sua  bruttezza 
e  più  la  naturale  sincera  avversione  allo  stato  mari- 
tale non  avessero  assicurato  i  suoi  parenti  meglio  della 
clausura  contro  i  pericoli  della  tentazione.  Non  era  parsa 
mai  donna,  né  di  corpo  né  d'anima.  Quando,  bambina, 
le  sue  compagne  parlavano  dii  vesti  e  di  svaghi,  ella 
enumerava  i  feudi  di  casa  Francalanza;  non  compren- 
deva il  valore  delle  stoffe,  dei  nastri,  degli  oggetti  di 
moda,  ma  sapeva,  come  un  sensale,  il  prezzo  dei  fru- 
menti, dei  vini  e  dei  legumi;  aveva  sulla  punta  delle 
dita  tutto  il  complicato  sistema  di  misurazione  dei  so- 
lidi, dei  liquidi  e  delle  monete;  sapeva  quanti  tari,  quanti 
carlini  e  quanti  grani  entrano  in  un'onza;  in  quanti  tù- 
moli  si  divide  una  salma  di  frumento  o  di  terreno,  quanti 
rotoli  e  quanti  coppi  formano  un  cafisso  d'olio...  A  quel 
modo  che,  fisicamente,  gli  Uzeda  si  dividevano  in  due 
grandi  categorie  di  belli  e  di  brutti,  cosi  al  morale  essi 


~  95  — 

erano  o  sfrenatamente  amanti  dei  piaceri  e  dissipatori 
come  il  principe  Giacomo  XIII  e  il  contino  Raimondo; 
o  interessati,  avari,  spilorci,  capaci  di  vender  l'anima 
per  un  baiocco,  come  il  principe  Giacomo  XIV  e  donna 
Ferdinanda.  Costei  aveva  avuto  dal  padre  una  miseria, 
il  cosi  detto  piatto,  cioè  tanto  da  assicurare  il  vitto 
quotidiano,  la  magra  provvisione,  durante  il  fedecom- 
messo,  dei  cadetti  e  delle  donne.  Con  quella  miseria, 
donna  Ferdinanda  aveva  giurato  d' arrivare  alla  ric- 
chezza. Tutti  i  suoi  pensieri  d'ogni  giorno  e  d'ogni  notte 
furono  diretti  a  tradurre  in  atto  il  suo  sogno.  Appena 
in  possesso  di  quelle  miserabili  sessant'onze  annuali, 
ella  cominciò  a  negoziarle,  a  darle  in  prestito  contro 
pegno  od  ipoteca,  secondo  la  solvibilità  del  debitore, 
scontando  effetti  cambiarli,  facendo  anticipazioni  sopra 
valori  o  sopra  merci  :  ogni  sorta  d'operazioni  bancarie 
da  ghetto,  poiché  l'esiguità  deUa  sua  rendita  l'obbligava 
a  contrattare  con  poveri  diavoli,  minuti  industriali,  mer- 
cantini,  capi-mastri,  rigattieri,  vinai  e  perfino  coi  servi 
di  casa.  Ella  non  toccava  un  baiocco  del  capitale,  arri- 
schiava solo  i  frutti,  cioè  li  raddoppiava,  li  triplicava, 
tanto  genio  degli  affari  aveva  naturalmente,  tanto  era 
accorta,  e  dura,  inesorabile  quando  si  trattava  di  riavere 
i  suoi  quattrini  e  gli  interessi,  che  pretendeva  fin  all'ul- 
timo grano,  sorda  a  preghiere  ed  a  pianti  di  donne  e 
di  fanciulli  ;  e  piia  esperta,  piij  cavillosa  d'  un  patroci- 
natore, se  le  toccava  ricorrere  alla  giustizia.  Tanto  era 
avara,  anche  ;  giacché  non  spendeva  per  sé  più  dei  due 
tari  al  giorno  che  passava  alla  principessa  in  cambio 
del  vitto  e  del  servizio  che  questa  le  assicurava  :  quanto 
all'alloggio,  le  avevano  lasciato  la  cameruccia  al  terzo 
piano,  sotto  i  tetti,  che  aveva  occupata  da  bambina,  e 
per  vestirsi  ricomprava  le  robe  smesse  dalla  cognata. 
Cosi,  a  poco  a  poco,  aveva  esteso  la  cerchia  dei  suoi 
affari  e  formato  un  gruzzoletto  che  circolava  tra  persone 
di  maggior  levatura,  'negozianti  in  grosso,  speculatori 
ragguardevoli,  proprietarii  in  imbarazzo.  Allora,  secondo 
che  la  sua  sostanza  venne  crescendo,  nacque  una  sorda 


-  96  - 

gelosia  nell 'animo  della  principessa  e  di  don  Blasco 
contro  la  cognata  e  la  sorella.  Con  metodi  diversi,  donna 
Ferdinanda  lavorava  al  conseguimento  d'  uno  scopo  si- 
mile a  quello  di  donna  Teresa.  Costei  voleva  salvare 
ed  accrescere  la  fortuna  degli  Uzeda,  quella  aveva  l'am- 
bizione di  crearne  una  di  sana  pianta.  Ora,  partendo 
donna  Ferdinanda  dal  nulla,  la  sua  gloria  sarebbe  stata 
maggiore,  avrebbe  offuscato  quella  di  donna  Teresa  : 
di  qui  la  sorda  antipatia  della  principessa,  i  sarcasmi 
coi  quali  punzecchiava  l'avarizia  della  cognata;  giacché 
la  propria  era  naturalmente  legittima  ed  ammirabile. 
Quanto  a  don  Blasco,  il  dolore  da  lui  provato  nel  do- 
ver rinunziare  al  mondo  s' inacerbiva  tutte  le  volte  che 
qualcuno  dei  parenti  acquistava  fama,  potenza  e  quat- 
trini :  vedendo  dunque  la  sorella  far  quello  che  egli 
stesso  avrebbe  fatto,  se  fosse  rimasto  al  secolo,  e  riu- 
scire oltre  ogni  previsione,  rapidamente,  il  sangue  gli 
ribolliva,  l'umore  gli  s'inaspriva,  l'invidia  lo  avvele- 
nava. Donna  Ferditianida  parve  insensibile  ai  sarcasmi 
ed  alle  asprezze  della  cognata  e  del  fratello.  Le  conve- 
niva, pel  momento,  tacere,  giacché  era  e  voleva  conti- 
nuare ad  esser  ospite  della  principessa,  finché  i  proprii 
quattrini  sarebbero  stati  tanti  da  permetterle  di  avere 
una  casa  propria.  Parenti  e  amici  la  consigliavano  ogni 
giorno  di  togliere  quel  suo  peculio  dalla  circolazione 
troppo  pericolosa,  di  acquistarne  piuttosto  solidi  immo- 
bili ;  ella  scrollava  il  capo,  affermava  che  i  suoi  denari 
non  correvano  rischio  di  sorta,  perchè  solo  «  chi  presta 
senza  pegno  perde  i  denari,  l'amico  e  l'ingegno;  »  in 
realtà  ella  aspettava  d'aver  tanto  da  poter  fare  una 
compra  ragguardevole.  Nel  '42,  dieci  anni  dopo  d'es- 
sere entrata  in  possesso  del  suo  magro  piatto,  stupì 
tutta  la  parentela  acquistando  all'asta  pubblica  per  cin- 
quemila onze  il  fondo  del  Carrubo,  bel  pezzo  di  terra 
che  me  valeva  dieci  ;  fortunata,  cioè  accorta  anche  in 
questo  :  nell'aver  saputo  cogliere  la  magnifica  occa- 
sione. Era  noto  a  tutti  che  possedeva  un  capitaletto, 
nessuno  immaginava  che  in  dieci  anni  avesse  messo  in- 


—  c)7  — 

sieme  una  piccola  sostanza.  Cognata  e  fratello  furono  più 
mordenti  di  prima,  specialmente  vedendo  che  ella  non 
spendeva  per  sé  un  carlino  di  -più  :  ella  lasciò  dire,  con- 
tinuando a  speculare  con  le  quattrocent'onze  di  rendita 
che  adesso  possedeva.  Le  faceva  fruttare  quanto  più 
poteva,  non  ne  perdeva  un  grano,  e  quando  le  cambiali 
scadevano,  il  notaio,  il  sensale  o  il  patrocinatore  veni- 
vano a  portarle  il  suo  avere  in  tanti  bei  pezzi  di  colon- 
nati lucenti  e  sonanti.  Patrocinatore,  notaio  e  sensale 
erano  i  suoi  amici.  Fra  la  gente  che  frequentava  il  pa- 
lazzo Francalanza  ella  sceglieva,  per  tirarseli  a  fianco, 
i  più  destri,  i  più  prudenti,  quelli  che  avevano  come 
lei  r  intelligenza  e  la  passione  degli  affari,  dai  quali 
poteva  sperare  informazioni  e  suggerimenti.  E  il  prin- 
cipe di  Roccasciano,  gran  signore  da  quanto  gli  Uzeda, 
ma  con  pochi  quattrini  che  s'era  proposto  di  moltipli- 
care e  che  imoltiplicava  infatti,  pazientemente,  pruden- 
temente, senza  la  spilorceria  e  le  durezze  di  lei,  era  il 
suo  consigliere  preferito.  Nel  '49,  quando  meno  l'aspet- 
tava, le  si  presentò  l'occasione  di  comprar  la  caisa.  Ella 
aveva  dato  certe  mille  onze  al  cavaliere  Calasaro,  il  cui 
figliuolo,  complicato  nella  rivoluzione,  era  stato  costretto 
a  prendere  le  vie  dell'esilio.  Il  padre,  spogliatosi  ed 
esaurito  tutto  il  suo  credito  per  non  fargli  mancare  nulla, 
non  potè,  alla  scadenza,  isoddisfare  donna  Ferdinanda. 
Costei,  fiutando  il  vento,  volle  esser  pagata  subito  su- 
bito, e  'minacciò  la  espropriazione  e  lanciò  la  prima  ci- 
tazione. Il  debitore  venne  a  gettarlesi  ai  piedi,  con  le 
mani  in  testa,  perchè  gli  evitasse  l'ultima  rovina,  e  le 
offrì,  tra  le  sue  proprietà,  quella  che  più  le  piaceva. 
Donna  Ferdinanda  le  buttò  per  terra,  piene  com'erano 
d'iscrizioni,  capaci  di  attirarle  addosso  un  diluvio  di 
carta  bollata,  e  poiché  l'altro  insisteva,  e  le  offriva  la 
casa  netta  d' ipoteche,  la  zitellona  torse  il  grifo,  di- 
cendo :  «  Se  ne  può  parlare.  »  Ma  ella  pretendeva  di 
averla  per  le  sue  mille  e  cent'onze,  capitale,  interesse 
e  spese,  senza  metter  fuori  un  carlino  di  più,  mentre 
il  proprietario  la  stimava  duemila  onze,  per  lo  meno,  e 

De    Robsrto.    I    Viceré    -    I  7 


pretendeva  il  resto.  La  cosa  andò  a  monte;  donna  Fer- 
dinanda spinse  avanti  la  procedura.  L'altro,  con  l'acqua 
alla  gola,  spremuto  dal  figliuolo  che  da  Torino  chiedeva 
sempre  quattrini,  vessato  dal  governo  per  motivo  del 
giovane  esiliato,  chinò  finalmente  il  capo.  «  Almeno 
faccia  lei  le  spese  dell'atto,  »  le  mandò  a  dire;  ma  donna 
Ferdinanda  :  «  Mille  e  cent'onze  :  ho  una  parola  sola!  » 
Cosi  ella  ebbe  la  casa.  Era  piccola,  -naturalmente,  per 
quel  prezzo  :  due  botteghe  fiancheggianti  il  portone,  e 
un  piano  isolo,  sopra,  con  un  balcone  grande  e  due 
piccoli,  nella  facciata;  ma  aveva  un  valore  inestimabile, 
agli  occhi  di  donna  Ferdinanda  :  era  posta  ai  Crociferi, 
che  era  il  vecchio  quartiere  della  nobiltà  cittadina,  ed 
essa  stessa  era  una  casa  nobile,  appartenendo  da  tempo 
ai  Calasaro,  signori  della  «  mastra  antica.  » 

Oltre  quella  dei  quattrini,  la  zitellona  aveva  infatti 
la  passione  della  vanità  nobiliare.  Tutti  gli  Uzeda  erano 
gloriosi  della  magnifica  origine  della  loro  schiatta  ;  donna 
Ferdinanda  ne  era  ammalata.  Quando  ella  parlava  di 
«  don  Ramon  de  Uzeda  y  de  Zuellos,  que  fue  senor  de 
Esterel,  »  e  venne  di  Spagna  col  re  Pietro  d'Aragona  a 
«  fondarsi  »  in  Sicilia  ;  quando  enumerava  tutti  i  isuoi 
antenati  e  discendenti  «  promossi  ai  sommi  carichi  del 
Regno  :  »  don  Jaime  I  «  che  servì  al  re  don  Ferdinando, 
figlio  dell'  imperator  don  Alfonso,  contra  ai  mori  di 
Cordova  nel  campo  di  Calatrava  ;  »  Gagliardetto,  «  ca- 
ballero  de  mucha  qualitad  ;  »  Attardo,  «  cavaliero  spi- 
ritoso, ed  armigero  ;  »  il  grande  Consalvo  «  vicario  della 
Reina  Bianca  ;  »  il  grandissimo  Lopez  Ximenes  «  viceré 
dell'invitto  Carlo  V;»  allora  i  suoi  occhietti  lucevano 
più  dei  carlini  di  nuovo  conio,  le  sue  guance  magre  e 
scialbe  s'accendevano.  Indifferente  a  tutto  fuorché  ai 
suoi  quattrini,  incapace  di  commoversi  per  qualunque 
aA^enimento  o  lieto  o  triste,  ella  s'appassionava  unica- 
mente alle  memorie  dei  fasti  degli  antenati.  V'era  in 
casa,  ai  tempi  di  suo  nonno,  una  bella  libreria  ;  ma, 
quando  il  princitp>e  Giacomo  XIII  cominciò  a  navigare 
in  cattive  acque,  fu  venduta  prima  di  tutto;  ella  salvò 


—  99  — 

una  copia  del  famoso  Mugnòs,  «  Teatro  genolog-ico  di 
Sicilia,  »  dove  il  capitolo  «  della  famiglia  de  Vzeda  » 
era  il  più  lungo,  occupando  non  meno  di  trenta  grandi 
pagine.  E  quelle  pagine  secche  e  ingiallite,  esalanti  11 
tanfo  delle  vecchie  carte,  stampate  con  caratteri  sgra- 
ziati ed  oscuri,  con  ortografia  fantastica;  quella  enfatica 
e  bolsa  prosa  sioulo-spagnuola  secentesca  era  la  sua  let- 
tura prediletta,  1'  unico  pascolo  della  sua  imaginazione  ; 
il  suo  romanzo,  il  vangelo  che  le  serviva  a  riconoscere 
gli  eletti  tra  la  turba,  i  veri  nobili  tra  la  plebe  degli 
ignobili  e  la  «  gramigna  »  dei  nobili  falsi.  «  Chiaramente 
per  tvtti  gli  Hifpani  genologifti  fi  fcorge,  coi  svoi 
felici  fvccefli  e  con  le  occalioni  debbite,  qvale  vna  delle 
piij  antiche  e  fvblimi  famiglie  delli  regni  di  Valenza  e 
d'Aragona  la  famiglia  Vzeda,  e  per  tvtto  è  uolgato  effer 
ella  fiffattamente  cognominata  dal  nome,  di  vna  (va 
terra  detta  la  baronia  di  Vzeda,  qvale  alcanzò  da  qvei 
Re  in  ricompenfo  dei  fvoi  feruigi  et  indi  coi  Trionfi 
della  militia  nel  Svpremo  Cielo  delle  glorie  militari  per- 
uenne.  »  Questo  stile  era  d' una  suprema  eleganza, 
d'una  straordinaria  magnificenza  per  donna  Ferdi- 
nanda, la  quale  leggeva  letteralmente  uolgato,  peruenne 
e  faceva  già  troppo  ;  poiché  essendo  una  «  porcheria  » 
per  le  donne  della  sua  casta,  al  principio  del  secolo, 
sapere  di  lettere,  ella  aveva  appreso  a  legger  da  sé, 
pei  bisogni  delle  sue  speculazioni. 

Ora,  con  questo  infatuamento  della  zitellona  per  la 
propria  eccelsa  origine  e  per  l'istituzione  della  nobiltà 
In  generale,  la  principessa  pensò  di  dar  per  moglie  a 
Raimondo,  chi?  Una  Palmi  di  Milazzo,  la  figliuola  d'un 
barone  «  da  dieci  scudi  »  del  quale  il  Mugnòs  non  fa- 
ceva e  non  poteva  fare  la  più  lontana  menzione  !  Glo- 
riavasi,  questo  «  barone  »  Palmi,  di  certi  privilegi  di 
centocinquant'anni  addietro  ;  ma  che  erano  centocin- 
quant'anni  paragonati  ai  secoli  di  nobiltà  degli  Uzeda  ? 
Senza  contare  che  di  questi  privilegi  non  parlava  nep- 
pure il  marchese  di  Villabianca,  autore  fiorito  niente- 
meno che  un  secolo  dopo  il  Mugnòs!...  La  principessa, 


a  cui  la  nobiltà  stava  a  cuore,  se  non  quanto  a  donna 
Ferdinanda,  certo  moltissimo,  aveva  giudicato  invece 
sufficienti  e  fors'anche  soverchi  quei  centocinquant'anni 
dei  Palmi,  giusto  perchè,  volendo  che  la  moglie  del  suo 
Raimondo  fosse  sottomessa  dinanzi  al  beniamino  come 
una  schiava  dinanzi  al  padrone,  e  che  egli  potesse  trat- 
tarla d'alto  in  basso  e  farne  quel  che  gli  piaceva,  aveva 
perfino  pensato  un  momento  di  sceglier  per  lui  1'  umile 
figliuola  di  qualche  ricco  fattore....  Il  dissidio  fu  quindi 
violento.  Già  donna  Ferdinanda,  acquistato  lo  stabile 
dei  Calasaro,  era  andata  via  dal  palazzo  Francalanza  e 
aveva  messo  casa,  continuando  a  squartar  lo  zero  ma 
pagandosi  il  lusso  della  carrozza.  I  legni  erano  due 
vecchi  trespoli  comprati  per  pochi  ducati  ma  decorati 
dello  stemma  di  casa  Uzeda  ;  i  cavalli,  due  magre  bestie 
a  cui  ella  dava  in  pasto  un  po'  di  paglia  del  Carrubo, 
un  pugno  di  cnasca  e  la  verdura  marcita.  Il  cocchiere, 
oltre  al  servizio  della  stalla  e  della  scuderia,  faceva  da 
cuoco  e  da  staffiere.  I  sarcasmi  della  principessa  eran 
divenuti,  per  tutto  questo,  naturalmente  piìi  aspri  ;  e 
adesso  la  zìitellona  teneva  fronte  alla  cognata.  Ricca 
com'era  di  quattrini  e  come  si  credeva  di  senno,  donna 
Ferdinanda  pretendeva  che  le  facessero  la  corte  e  la 
tenessero  da  conto  ;  mentre  prima,  stando  insieme  coi 
parenti,  era  rimasta  indifferente  ai  loro  affari,  voleva 
ora,  lontana,  ficcare  anche  lei  il  naso  in  tutte  le  qui- 
stioni  di  famiglia.  Invece,  la  principessa  non  tollerava 
né  protezione  né  imposizioni  ;  quindi  liti  ogni  giorno. 
Da  un'altra  parte  don  Blasco,  esasperato  per  la  for- 
tuna della  sorella,  perdette  il  lume  degli  occhi  vedendo 
costei  fargli  la  concorrenza  nella  sua  parte  di  critico 
minuto  e  di  giudice  infallibile  ;  la  zitellona,  viceversa, 
gli  disse  il  fatto  suo  per  la  vita  scandalosa  che  con- 
duceva; e  un  giorno,  a  proposito  d'una  certa  balia  da 
prendere  per  il  principino,  siccome  a  donna  Ferdinanda 
il  latte  di  costei  pareva  sospetto,  mentre  don  Blasco 
lo  dichiarava  di  prima  qualità  —  le  male  lingue  dice- 
vano   che    aveva    ragione    di    conoscerlo   —   fratello    e 


sorella  vennero  quasi  alle  mani  :  chetati  a  fatica  dal 
nipote  Giacomo,  non  si  parlarono  mai  più.  Il  più 
strano  era  che,  non  parlandosi  mai,  evitandosi  come 
la  peste,  essi  soli,  in  quella  casa,  vedevano  le  cose  a 
un  modo  e  in  tutto  esprimevano  eguali  opinioni.  Come 
don  Blasco  aveva  gettato  fuoco  e  fiamme  contro  il 
niatrimonio  di  Raimondo,  così  donna  Ferdinanda  era 
diventata  una  vipera.  Non  solamente  quella  bestia  della 
cognata  proteggeva  il  terzogenito  in  odio  all'erede  del 
titolo,  non  solamente  si  metteva  sotto  i  piedi  la  «  legge  » 
che  voleva  la  continuazione  del  solo  ramo  diretto  ;  ma 
gli  dava  in  moglie,  chi?  chi.  Signore  Iddio?  Una  Palmi 
di  Milazzo  !...  Palmi?  Donna  Ferdinanda  non  la  chiamò 
mai  con  questo  nome;  ma  ora  Palma,  ora  Palmo,  e  le 
diede  come  arma  parlante  ora  la  mezza -canna,  che 
conta  appunto  quattro  palmi,  con  la  quale  i  rivendu- 
glioli misurano  la  cotonina;  ora  due  palme  di  piedi, 
che  tra  quella  gente  dovevano  esser  villosi,  da  quei 
contadini  che  erano.  Le  due  cognate,  a  furia  di  sarca- 
smi e  di  liti,  per  poco  non  si  strapparono  i  capelli; 
come  don  Blasco,  la  zitellona  non  mise  più  piede  in 
casa  Francalanza  ;  ma,  come  il  fratello,  non  soffrendo 
di  starne  a  lungo  lontana,  ci  tornò  alla  prima  occasione. 

E  solamente  gli  altri  due  cognati,  il  duca  Gaspare  e 
il  cavaliere  don  Eugenio,  non  avevano  dato  tanti  fastidii 
a   donna  Teresa. 

Il  cavaliere  don  Eugenio,  al  tempo  di  quelle  lotte,  non 
era  in  Sicilia.  Destinato  sulle  prime  ad  entrare  anche 
lui  ai  Benedettini  come  il  fratello  don  Blasco,  s'era 
salvato  adducendo  la  propria  inclinazione  al  nìestiere 
delle  armi.  Fu  la  prima  menzogna  che  disse,  per  evi- 
tare il  convento  :  non  poteva  sentirsi  chiamato  ad  un 
mestiere  quasi  sconosciuto  in  Sicilia,  dove,  come  non 
c'era  coscrizione  e  tra  i  popolani  correva  il  motto  : 
«  meglio  porco  che  soldato,  »  cosi  neppure  la  nobiltà 
si  dava  alla  milizia.  Ma  don  Eugenio  voleva  anch'egli 
esser   libero   e   guadagnarsi    un   posto   nel    mondo.    Ri- 


masto  al  Noviziato  di  San  Nicola  per  educazione  fin 
quasi  a  diciott'anni,  se  ne  andò  a  Napoli  all'  uscir  dal 
monastero,  e  fu  ascritto  alla  nobile  compagnia  delle 
Reali  Guardie  del  Corpo,  certo  di  salir  subito  ai  primi 
gradi.  Dopo  dieci  anni  era  appena  sotto-brigadiere.  In- 
fatuato come  tutti  gli  Uzeda  della  sua  nobiltà,  aveva 
guardato  d'alto  in  basso  i  compagni  ed  anche  un  poco 
i  superiori,  vantando,  oltre  i  sublimi  natali,  sterminate 
ricchezze  ;  invece,  al  momento  di  mostrarle  coi  fatti,  i 
giovani  signori  napolitani  mettevano  fuori  i  quattrini, 
mentre  il  vanaglorioso  cadetto  siciliano  si  ritraeva  o, 
peggio,  faceva  debiti  che  poi  non  pagava.  Trattato  da 
millantatore,  fu  posto  quasi  al  bando  dai  compagni;  e 
del  resto  egli  stesso,  riconoscendo  di  non  aver  raggiunto 
lo  scopo,  quantunque  ai  parenti  scrivesse  che  il  magro 
successo  era  da  attribuire  all'  invidia  ed  all'  ingiustizia, 
risolse  un  bel  giorno  di  dar  le  dimissioni.  Restò  tut- 
tavia a  Napoli,  donde  annunziava  che  le  case  piij  ricche 
e  nobili  gli  erano  aperte  come  la  sua  propria,  e  che  il 
duca  Tale  ed  il  principe  Talaltro  gli  volevano  dare  in 
moglie  le  figliuole;  nessuno  di  quei  matrimonii,  conti- 
nuamente spacciati  come  certissimi,  si  combinava  mai. 
Frattanto,  abbruciato  di  quattrini,  egli  aveva  chiesto  un 
impiego  a  Corte  ;  e  nonostante  i  precedenti  poco  pro- 
mettenti, pure,  per  ragioni  politiche,  premendo  ai  Bor- 
boni di  tenersi  amiche  le  grandi  famiglie  siciliane,  egli 
fu  nominato  Gentiluomo  di  Camera,  con  esercizio.  Nel 
1852,  inaspettato  ospite,  tornò  a  casa.  Diceva  d'esser 
passato  dal  servizio  attivo  all'onorario  perchè  il  clima 
di  Napoli  non  gli  conferiva  ;  una  certa  voce  sorda  sorda 
parlò  invece  di  cose  poco  pulite  combinate  con  un  for- 
nitore di  Casa  reale....  Da  Napoli,  l'ex-Guardia  del 
Corpo  e  Gentiluomo  di  Camera  tornò  con  una  nuova 
vocazione  :  l'archeologia,  la  numismatica  e  l'arti  belle. 
Portò  con  sé  una  quantità  di  rottami  provenienti,  di- 
ceva, da  Pompei,  da  Ercolano,  da  Pesto,  e  rappresen- 
tanti un  valore  grandissimo;  tante  tele  da  farne  la  ve- 
latura d'un  vascello,  «  tutte  dei  più  famosi  autori  :  Raf- 


—  I03  — 

faello,  Tiziano,  Tintoretto  ;  »  ricolmò  di  quella  roba  il 
cjuartierino  che  aveva  preso  in  affitto  —  perchè  la  prin- 
cipessa non  volle  saperne  di  riammetterlo  in  casa  —  e 
cominciò  a  far  commercio  d'antichità.  Giacomo  era  am- 
mogliato da  due  anni,  ed  aveva  già  l'aspettato  primo- 
genito; Raimondo  stava  a  Firenze  con  la  moglie,  dove 
era  loro  nata  una  bambina. 

Neppure  il  duca  Gaspare  s'era  trovato  in  casa,  al 
tempo  dei  matrimonii;  ma  benché  da  lontano,  fu  l'unico 
che  approvasse  l'opera  della  cognata,  attirandosi  na- 
turalmente per  quell'approvazione,  e  più  per  il  motivo 
che  gliela  dettava,  i  fulmini  di  donna  Ferdinanda  e 
di  don  Blasco.  Questa  ragione  era  d'indole  tutta  poli- 
tica. Il  barone  Palmi,  padre  di  Matilde,  liberale  d'an- 
tica data,  aveva  preso  alla  rivoluzione  del  Quarantotto 
una  parte  cosi  attiva  che,  dopo  la  restaurazione,  colpito 
da  una  condanna  capitale,  s'era  rifugiato  a  Malta,  e 
senza  specialissime  protezioni  e  solenni  impegni  di  non 
cominciar  da  capo,  quell'esilio,  invece  di  pochi  mesi, 
sarebbe  durato  quanto  la  sua  vita.  Nondimeno,  graziato 
ed  ammonito,  egli  ricominciò  a  dirigere  nel  suo  paese  e 
in  quasi  tutta  la  Sicilia  il  movimento  contro  il  regime 
borbonico.  Ora,  queste  sue  opinioni  politiche  è  questa 
sua  autorità  nell'ancor  vivo  partito  liberale,  furono  le 
ragioni  per  cui  il  duca  vide  bene  il  matrimonio  della 
figliuola  di  lui  con  Raimondo. 

Fino  al  Quarantotto,  il  duca,  come  tutti  gli  Uzeda, 
era  stato  borbonico  per  la  pelle.  Ma  quantunque,  come 
secondogenito  e  duca  d'Oragua,  avesse  avuto  qualcosa 
di  pila  del  magro  piatto  ed  alcuni  zii  materni  avessero 
contribuito  ad  imipinguare  il  suo  appannaggio,  pure 
egli  aveva  un'  invidia  del  primogenito  e  una  smania 
d'arricchire  e  di  farsi  valere  nel  mondo  più  grande  di 
quella  dei  fratelli,  giacché  la  sua  dotazione  svegliava 
ma  non  appagava  i  suoi  appetiti.  Mentre  era  durato  il 
fedecommesso,  i  cadetti  avevano  sopportato  con  di- 
screta rassegnazione  il  loro  stato  miserabile,  non  po- 
tendo dar  di  cozzo  contro  la  legge  ;   ora  che  i  primo- 


—   I04  — 

geniti  erano  preferiti  per  un'  idea  che  al  soffio  dei  nuovi 
tempi  pareva  pregiudizio,  l' invidia  li  rodeva.  Per  questo 
sentimento  che  aveva  fatto  di  don  Blasco  un  energu- 
meno, e  alimentato  1^,  cupidigia  di  don  Eugenio,  il 
duca  aveva  dato  ascolto  alle  lusinghe  dei  rivoluzionarli, 
ai  quali  premeva  di  trarre  dalla  loro  un  personaggio 
importante  come  il  duca  d'Oragua,  secondogenito  del 
principe  di  Firan'calanza.  Egli  non  cessò  per  altro  dal 
far  la  consueta  corte  all'Intendente,  a  fine  di  prepa- 
rarsi un  paracadute  nel  caso  di  possibili  rovesci  ;  asso- 
ciossi  al  Gabinetto  di  lettura,  covo  dei  liberali,  senza 
lasciare  il  Casino  dei  Nobili,  quartier  generale  dei 
puri,  e  insomma  si  destreggiò  in  modo  da  navigar 
tra  due  acque.  Al  primo  scoppio  della  rivoluzione,  la 
paura  fu  più  forte  :  dichiarando  ai  suoi  nuovi  amaci 
che  il  m.oto  era  impreparato,  inopportuno,  destinato  im- 
mancabilm.ente  a  fallire,  mentre  la  gente  s'armava  e  si 
batteva  egli  se  la  battè  in  campagna,  e  fece  sapere 
ai  capi  del  partito  regio  che  aspettava  la  fine  di  quella 
«  carnevalata.  »  Però  la  «  carnevalata  »  promise  di  du- 
rare ;  i  soldati  napolitani  sgombrarono  la  Sicilia,  e  quan- 
tunque s'annunziasse  ogni  giorno  il  loro  ritorno,  non 
se  n'ebbe  più  né  nuova  né  vecchia,  e  il  Governo  prov- 
visorio si  venne  ordinando.  Il  duca,  visto  che  non  ne 
andava  la  pelle,  tornò  in  città,  porse  orecchio  alle  lu- 
singhe del  partito  trionfante  che,  per  averlo  dalla  sua, 
gli  prometteva  tutto  quel  che  desiderava.  Egli  stette  an- 
cora a  vedere,  tirò  in  lungo,  consigliò  prudenza,  allegò 
il  bene  del  paese,  le  insidie,  i  possibili  pericoli,  dando 
cosi  un  colpo  al  cerchio  e  un  altro  alla  botte.  Corto  di 
vista  e  presuntuoso  per  giunta,  proprio  mentre  le  cose 
volgevano  fatalmente  al  peggio,  giudicò  di  potersi  or- 
mai gettare  in  braccio  ai  liberali.  Stava  già  per  ab- 
bruciare i  suoi  vascelli  e  già  assaporava  i  primi  frutti 
del  favor  popolare,  quando  un  bel  giorno  il  principe 
di  Satriano  sbarcò  a  Messina  con  dodicimila  uomini 
per  rimettere  le  cose  al  posto  di  prima.  Il  duca  si  stimò 
perduto,  e  la  nuova,  più  grande  tremarella  gli  fece  com- 


—  I05  — 

mettere  uno  sproposito  di  cui  più  tardi  ebbe  a  pentirsi  : 
mentre  la  città  s'apparecchiava  alla  resistenza,  egli 
firmò  con  altri  borbonici  fedeli  e  liberali  traditori  una 
carta  in  cui  s'  invocava  la  pronta  restaurazione  del 
potere  legittimo.  Ai  primi  d'aprile,  le  compagnie  della 
miilizia  siciliana  che  presidiavano  Taormina  sgombra- 
rono all'apparire  dei  Regii  e  ritornarono  a  Catania;  il  7 
Satriano  entrò  in  città  dopo  un  sanguinoso  combatti- 
mento. Tutti  gli  Uzeda  erano  scappati  alla  Piana,  il 
duca  s'era  barricato  alla  Pietra  dell'Ovo  perchè  era 
opinione  generale  che  i  Napolitani  si  sarebbero  presen- 
tati dalla  parte  opposta,  cioè  dalla  via  di  Messina. 
Invece,  essi  spuntarono  dalla  strada  del  Bosco  etneo, 
prendendo,  dopo  brevi  zuffe,  i  posti  della  Ravanusa  e 
della  Barriera.  Ora,  giunto  all'altezza  della  Pietra  del- 
l'Ovo, il  generale  borbonico  entrò  col  suo  stato  mag- 
giore nel  podere  degli  Uzeda,  dove  il  duca  lo  accolse 
come  un  padrone,  come  un  salvatore,  come  un  Dio, 
mentre  i  cannoni  spazzavano  la  via  Etnea,  e  le  truppe 
regie,  ass'alite  alla  Porta  d'Aci  dal  disperato  battaglione 
dei  Corsi,  decimate  a  colpi  di  coltello,  nell'ora  triste 
del  crepuscolo,  da  quel  manipolo  che  si  sentiva  perduto, 
inferocivano  e   distruggevano   fin  all'  ultimo  quei   mille 

uomini  e  sfogavano  l' ira  sulla  inerme  città Amico  di 

Satriano,  protetto  dalla  firma  posta  a  quell'atto  di  som- 
missione che  tra  i  liberali  andò  infamato  col  nome  di 
Libro  nero,  protetto  ancora  più  dal  'SUO  proprio  nome, 
perchè  era  impossibile  che  un  Uzeda  avesse  potuto  dire 
sul  serio  mettendosi  coi  rivoluzionarii,  il  duca  non  solo 
non  soffrì  molestie  di  sorta  nella  reazione,  ma  fu  anzi 
accarezzato.  Invece,  un  sordo  fermento  si  destò  contro 
di  lui  nel  partito  dei  vinti.  Gli  apponevano  quella  firma 
odiosa,  ma  più  le  accoglienze  fatte  a  Satriano  alia 
Pietra  dell'Ovo.  L'affare  della  firma  era  conosciuto  da 
pochi,  dai  capi;  la  storia  della  Pietra  dell'Ovo  si  dif- 
fuse tra  i  gregarii  e  corse  in  mezzo  al  popolo  ;  ciascuno 
v'aggiunse  un  po'  di  frangia,  arrivarono  a  narrare  che 
mentre  la  città  agonizzava,   il   duca  guardava  lo  spet- 


—  io6  — ■ 

taccio  col  cannocchiale  di  Satriano;  che  all'entrata 
del  conquistatore  in  città  g-li  aveva  cavalcato  al  fianco. 
Don  Lorenzo  Giulente,  rimastogli  amico,  ebbe  un  bel 
difenderlo,  smentire  le  esagerazioni,  asserire  che  il  duca, 
solo  ed  inerme,  non  poteva  mandare  indietro  il  generale 
seguito  da  un  intero  esercito  :  gli  animi  amareggiati  dal 
disinganno  chiedevano  un  capro  espiatorio;  e  come  Mie- 
roslawski,  il  polacco  comandante  della  piazza,  era  stato 
accusato  di  tradimento,  cosi  il  rancore  popolare  si  ro- 
vesciò sul  duca,  quantunque  mille  più  di  lui  lo  meri- 
tassero perchè  di  lui  piia  colpevoli.  In  fin  dei  conti,  egli 
non  aveva  preso  né  gradi,  né  stipendii,  né  appalti  dalla 
rivoluzione  :  era  stato  a  vedere,  aspettandone  la  riu- 
scita ;  m.entre  tanti  altri,  dopo  aver  fatto  gazzarra  e  il 
mangia-mangia,  si  buttavano  ai  piedi  dell'  Intendente  e 
salutavano  col  cappello  fino  a  terra  nominando  Sua 
Maestà  Ferdinando  II  «  che  Dio  sempre  feliciti  !  »  Que- 
sto voleva  dire  il  duca,  in  propria  difesa  ;  questo  diceva 
Giulente  ;  ma  cantavano  ai  sordi,  e  il  duca  si  vedeva 
segnato  a  dito,  bollato  col  nome  di  traditore,  insultato  e 
fin  minacciato  da  lettere  anonime.  Un  giorno  l'amico 
don  Lorenzo  gli  consigliò  di  partire  :  solo  la  lontananza 
e  il  tempo  potevano  avere  virtù  di  far  sbollire  quell'odio. 
Il  duca  non  se  lo  fece  dire  due  volte,  e  andò  a  Palermo. 
Lì,  il  partito  d'aziione,  vinto  egualmente,  era  tuttavia 
meno  depresso  :  le  speranze  non  erano  morte  o  comin- 
ciavano a  risorgere.  Passata  la  paura  che  le  ultime 
vicende  gli  avevano  messa  in  corpo,  rinatagli  in  cuore 
l'ambizione  inappagata  e  mortificata,  il  duca  prestò  di 
nuovo  orecchio  alle  sollecitazioni  dei  liberali,  anche  per 
dimostrare  ai  suoi  cari  concittadini  che  non  meritava 
il  loro  disprezzo.  E  quantunque  non  s'allontanasse  dalla 
consueta  prudenza,  e  andasse  ai  conciliaboli  rivoluzio- 
narii  come  ai  ricevimenti  del  Luogotenente  generale  del 
Re,  e  tornasse  insomma,  con  più  prudenza,  al  giuoco  di 
prima,  arrivò  tuttavia  a  Catania  la  voce  che  egli  era 
nei  comitati  d'azione  e  in  corrispondenza  cogli  emi- 
grati,  e  che  dava  quattrini  per  la  buona  causa,   e  che 


■IO/    — 

soccorreva  I  patriotti  perseguitati.  Oltre  la  voce,  arri- 
varono anche  i  quattrini  che  egli  mandava  ai  comitati 
locali,  comprendendo  finalmente  che  quella  era  la  buona 
via  ;  che  uno  come  lui,  senza  fede  e  senza  coraggio, 
non  poteva  far  valere  altri  titoli  se  non  i  denari  sonanti. 
E  frattanto  gli  animi  placati  vedevano  meglio,  rico- 
noscevano i  maggiori  colpevoli,  rivolgevano  contro  co- 
storo l'odio  col  quale  avevano  prima  perseguitato  il 
duca.  Infine  venne  il  matrimonio  di  Raimondo  con  la 
Palmi  ad  assicurargli  nuove  grazie.  Egli  aveva  cono- 
sciuto il  barone  a  Palermo,  per  mezzo  degli  agitatori 
che  questi  veniva  a  trovare  da  Milazzo,  in  barba  alle 
autorità  e  col  pretesto  degli  affari.  Quando  il  duca  seppe 
del  matrimonio  divisato  dalla  principessa,  s'affrettò 
quindi  non  solamente  ad  approvarlo,  ma  anche  ad  of- 
frirsi come  mediatore,  facendo  valere  l'amicizia  che  lo 
legava  al  barone.  Egli  sentiva  che  quell'alleanza  del 
proprio  nipote  con  la  figlia  dell'antico  liberale  non  po- 
teva se  non  favorirlo,  aiutarlo  a  riacquistar  credito 
presso  la  parte  che  aveva  tradita.  Quanto  alla  princi- 
pessa, borbonica  come  tutti  gli  Uzeda,  il  liberalismo  dei 
Palmi  piuttosto  che  un  ostacolo  fu  una  ragione  di  più 
che  le  fece  combinare  quel  matrimonio.  Prima  di  tutto 
ella  era  borbonica  d' istinto,  ma  non  s'occupava  di  po- 
litica, avendo  altro  da  fare  ;  poi,  come  le  era  piaciuto 
che  la  sposa  non  potesisc  vantare  una  eccelsa  nobiltà, 
cosi  vedeva  bene  che  la  famiglia  di  lei  fosse  persegui- 
tata dal  governo,  affinchè  Raimondo  potesse  meglio 
imporsi,  in  tutti  i  modi,  alla  famiglia  ed  alla  moglie. 
Per  le  nozze  del  nipote,  il  duca  tornò  in  patria.  Erano 
passati  appena  due  anni  dai  fatti  che  gli  avevanp  valso 
l'odio  dei  suoi  concittadini  e  già  egli  potè  vedere  gli 
effetti  della  lontananza  e  della  sua  nuova  politica  e  del- 
l'amicizia col  barone  Palmi  e  dell'adesione  al  matrimo- 
nio di  Raimondo.  Mentre  don  Blasco  e  donna  Ferdi- 
nanda, in  guerra  a  morte  con  la  principessa,  se  la  pren- 
devano anche  con  lui  per  l'appoggio  prestato  alla  co- 
gnata e  per  la  politica  che  gli  dettava  quel  contegno, 


—  io8  — 

e  al  colmo  della  rabbia  lo  vituperavano  e  per  poco  non 

10  denunziavano  alle  autorità  pel  suo  liberalismo,  e  poi 
ne  ridevano  e  quasi  gli  gettavano  in  faccia  il  tradimento 
del  1849,  '^  firma  del  Libro  nero,  l'amicizia  di  Satriano; 
mentre  suo  fratello-  e  sua  sorella  facevano  ciò,  molti 
di  coloro  che  gli  avevano  tolto  il  saluto  lo  avvicinarono 
e  gli  strinsero  la  mano  ;  altre  paci  furono  facilmente 
suggellate  per  m.ezzo  di  Giulente  ;  nessuno  parve  più 
rammentare  le  storie  passate.  Nondimeno,  il  duca  ri- 
parti, se  ne  tornò  a  Palermo,  un  poco  perchè  aveva 
preso  gusto  a  starci,  ma  anche  per  confermare  quelle 
buone   disposizioni. 

Tornato  in  patria,  adesso,  per  la  morte  della  cognata, 
egli  era  accolto  quasi  in  trionfo,  la  gente  traeva  a  luì 
in  processione.  Non  solo  nessuno  parlava  più  dei  fatti 
del  1849,  vecchi  di  sei  anni;  non  solo  egli  era  consi- 
derato come  una  delle  speranze  del  partito  ;  ma  il  lungo 
soggiorno  alla  capitale,  la  frequentazione  dei  maggiori 
uomini  palermitani  gli  conferivano  improvvisamente 
fama  di  grande  dottrina.  Egli  citava  le  opinioni  di  Tizio 
e  di  Filano,  celebri  patriotti  «  amici  miei  »  —  com.e, 
don  Eugenio  aveva  per  amici  i  più  gran  signori  napo- 
litani ;  —  infarciva  i  suoi  discorsi  di  citazioni  erudite 
di  seconda  e  di  terza  mano,  riesponeva  a  modo  suo, 
quasi  pensate  da  lui,  le  teorie  economiche  e  politiche 
di  cui  aveva  avuto  qualche  sentore  nelle  conversazioni 
di  Palermo  :  e  la  gente  gli  stava  dinanzi  a  bocca  aperta. 

11  patriotta,  è  vero,  riceveva  visite  dall'  Intendente  e  le 
restituiva,  e  non  aveva  scrupolo  di  mostrarsi  in  compa- 
gnia dei  più  ferv^enti  borbonici  ;  ma  ciò  non  gli  era 
posto  più  a  debito  :  bisognava  fingere  con  l'autorità 
per  non  destarne  i  sospetti,  per  comprenderne  il  giuoco. 
Egli  dava  quattrini,  non  lasciava  andare  a  mani  vuote 
chi  gli  chiedeva  soccorsi.  Don  Blasco  e  donna  Ferdi- 
nanda lo  vituperavano  per  tanto,  ciascuno  da  canto 
suo,  con  più  grande  violenza  di  prima;  egli  li  lasciava 
cantare,  seguitava  a  giocare  sulla  carta  della  libertà 
come  il  monaco  sopra  i  numeri  del  lotto  e  la  zitellona 


— ■    iOCj    

sul  credito  della  gente.  Come  in  politica  si  teneva  bene 
con  tutti,  così  in  casa  non  parteg-g-iava  più  per  uno  che 
per  un  altro.  \^edeva  l'armeggio  di  don  Blasco  per  sol- 
levare i  nipoti  defraudati,  sapeva  le  ragioni  che  milita- 
vano per  essi;  ma  vedeva  ancora  la  ciera  accigliata  del 
principe,  udiva  le  sue  amare  lagnanze  pel  «  tradi- 
mento ))  che  gli  aveva  fatto  la  madre  :  perciò  stava  al 
bivio,  dava  ragione  un  po'  a  tutti  :  al  principe  che  gli 
offriva  ospitalità  e  lo  trattava  con  deferenza,  a  Lucrezia 
che  amando  e  sposando  il  nipote  del  cospiratore  Giu- 
lente,  lo  avrebbe  aiutato  ad  entrar  meglio  nelle  grazie 
dei  liberali. 


IV. 


— '  ^§"8"^  '^o^  s'  mangia  ? 

Il  principino  moriva  di  fame.  Da  un  pezzo  l'era  del 
desinare  non  arrivava  miai  :  un  po'  mancava  il  duca,  un 
po'  Raimondo,  un  po'  lo  stesso  principe;  quel  giorno 
eran  fuori  tutti  e  tre,  più  Lucrezia  e  Matilde.  E  il 
ragazzo  era  la  disperazione  di  tutta  la  casa  :  correva 
su  e  giù  dalla  cucina  alla  scuderia,  dalle  stalle  al  giar- 
dino, inquietava  la  servitù  vecchia  e  nuova  intenta  al 
lavoro.  Come  don  Blasco  aveva  annunziato  al  Babbeo, 
tutti  i  servi  protetti  dalla  principessa  erano  stati  man- 
dati via  da  Giacomo;  invece  i  diseredati,  quelli  che  per 
aver  favorito  il  figliuolo  avevano  meritato  l'avversione 
della  madre,  erano  stati  da  costui  riconfermati  nel  loro 
posto.  Due  sole  eccezioni  aveva  fatto  il  principe  :  una  a 
favore  di  Baldassarre  e  l'altra  del  signor  Marco.  Bal- 
dassarre, figliuolo  d'un'antica  cameriera,  allevato  al  pa- 
lazzo e  assunto  giovanissim.o  all'  ufficio  di  maestro  di 
casa,  sapeva  fin  da  bambino  il  debole  della  famiglia,  le 
rivalità,  le  avversioni  e  le  manìe;  aveva  perciò  badato 
esclusivamente  al  proprio  servizio,  lodando  tutti  i  pa^ 
droni  checché  facessero  o  dicessero,  tenendo  in  riga   i 


suoi  dipendenti  che  osavano  mormorare  dell'uno  o  del- 
l'altro. Per  tanto  madre  e  figlio  l'avevano  ben  visto  en- 
trambi, e  il  legato  della  principessa  non  gli  procurava 
il  congedo  del  principe.  Quanto  al  signor  Marco,  lancia 
spezzata  della  morta,  molti  si  meravigliavano  che  il 
figlio,  da  due  mesi  capo  della  casa,  non  se  ne  fosse  an- 
cora sbarazzato.  Veramente,  fin  da  quando  la  principessa 
era  caduta  inferma,  l'amministratore  aveva  mutato  tat- 
tica, prendendo  con  le  buone  il  padrone  nella  previsione 
di  doverlo  presto  servire  ;  morta  la  madre,  se  non  gli 
aveva  proprio  lasciato  rubare  il  numerario,  come  diceva 
don  Blasco,  gli  si  umiliava  certamente  in  tutti  i  modi. 
Del  resto,  un  procuratore  come  lui,  che  conosceva  la 
casia  da  quindici  anni,  che  sapeva  le  condizioni  delle 
proprietà  e  lo  stato  delie  liti,  non  si  poteva  surrogare 
da  un  mo'mento  all'altro. 

—  Non  si  mangia  più  ?...  Che  fate?...  Voglio  ve- 
dere!...   Perchè  non  allestite?...   A  me! 

In  cucina,  tolto  di  mano  a  Luciano,  il  credenziere, 
un  coltello  che  questi  stava  nettando,  il  principino  con- 
tinuò egli  stesso  l'operazione. 

—  Vostra  Eccellenza  che  fa  mai  !...  —  Il  nuovo 
cuoco,  monsù  Martino,  non  sapeva  come  prenderlo.  — 
Se  ne  vada  di  sopra,  ci  lasci  lavorare. 

—  Levati  di  torno  !   Voglio  far  io  ! 

Bisognava  lasciarlo  fare.  Se  lo  contrariavano,  diven- 
tava una  furia  :  digrignava  i  denti,  gridava  come  un 
ossesso,  rovesciava  quanto  gli  capitava  fra  le  mani.  In 
verità  il  principe  educava  severamente  il  figliuolo,  non 
gliene  passava  nessuna  liscia;  ma,  da  un'altra  parte, 
non  scherzava  neppure  con  le  persone  di  servizio  se 
queste,  messe  con  le  spalle  al  muro  e  perduta  la  pa- 
zienza, rispondevano  male  al  padroncino.  E  giusto  adesso, 
dopo  ja  morte  della  principessa,  il  posto  di  cuoco,  in 
casa  Francalanza,  era  divenuto  più  importante  di  prima. 
Giacomo  dava  punti  alla  madre  quanto  a  diffidenza  e  a 
vigilanza  :  teneva  tutte  le  provviste  sotto  chiave,  voleva 
conto  delle  cose  più  miserabili,  degli  avanzi,  delle  croste 


—  m  — ■ 

d!  pane;  ma  insomma  la  spesa  gnornalicra,  non  con- 
taado  l'aumento  per  gli  ospiti,  era  considerevole  e  il 
trattamento  piij  lauto  :  mangiavano  adesso  quattro  piatti; 
mentre  ai  tempi  della  madre  se  ne  facevano  tre  per  lei 
e  per  don  Raimondo  :  gli  altri  dovevano  contentarsi,  nei 
giorni  ordinarli,  d'una  minestra  e  d'un  po'  dì  carne 
o  di  pesce.  Anche  quando  Giacomo  era  diventato  ricco 
della  dote  della  mogilie,  la  principessa,  facendosi  dare 
dal  figlio  la  sua  parte  di  spesa,  aveva  continuato  a  or- 
dinare a  modo  suo,  e  il  principe,  fedele  al  proposito  di 
mostrarsele  obbediente,  era  rimasto  zitto.  Cosi  pure 
egli  non  aveva  potuto  eseguire  nel  palazzo  le  modifica- 
zioni da  lungo  tempo  disegnate  ;  morta  donna  Teresa, 
prese  finalmente  le  redini  della  casa,  metteva  ora  ogni 
cosa  sossopra.  S'udivano  fino  in  cucina  i  colpi  di  pic- 
cone dei  muratori,  il  cigolio  delle  carrucole  con  le 
quali  issavano  i  materiali  dalla  corte  al  piano  dì  sopra  ; 
e  i  guatteri,  occupati  ad  affettar  patate  e  a  sbatter  uova, 
scambiavano  fra  loro  osservazioni  su  quei  lavori  : 

—  Levano  la  scala  dell'amministrazione  per  guada- 
gnare spazio 

—  Io  non  avrei  chiuso  un  pezzo  della  terrazza. 

—  Il  padrone  però  deve  dar  conto  a  suo  fratello, 
essendo  eredi  tutt'  e  due. 

—  Ma  il  palazzo  è  del  principe  !  Il  contino  ha  un 
solo  quartiere 

Il  principino  adesso  non  perdeva  una  parola  del  di- 
scorso. 

—  Il  contino  scapperà  subito  fuori  via....  Non  è 
fatto  per  star  qui 

Il  lavoro  delle  salse  li  faceva  tacere  tratto  tratto. 
Luciano,  con  una  strizzatila  d'occhio,  disse  dopo  un 
pezzo  al  compagno  : 

—  Ricomincia,-"  eh  ? 

—  Lascialo  fare  !  Quello  è  un  vero  signore  ! 

E  Luciano  chinò  il  capo,  in  segno  d'approvazione 
ammirativa.  Erano  tutti  pel  conte,  in  cucina,  come 
nelle  anticamere,  come  nelle  scuderie;  perchè  il  padrone 


—    112    — 

giovane  non  rassomigliava  al  maggiore,  tanto  era  dolce 
di  comando  e  largo  di  mano. 

—  Signore   davvero,   di   modi   e   di   pensieri Non 

come  Vaìnico 

—  'L'amico  è  volpe  vecchia com'era  Vamica.... 

—  Che  dite  ?  —  domandò  il  principino. 

—  Niente,  Eccellenza  !  —  rispose  il  cuoco  ;  e  vòlto 
ai  dipendenti  :  —  Lavorate  !  —  ingiunse  —  senza  tante 
ciarle — 

—  Ah,   non  vuoi  dirmelo  ? 

—  Ma  che  cosa,  Eccellenza,  se  parlano  cosi,  a  van- 
vera ? 

—  Ah,  non  \'uol  dirmelo  ? 

A  un  tratto,  udendo  una  carrozza  che  entrava  nel 
cortile,  Consalvo  scappò  a  vedere. 

Tornavano  finalmente  le  zie  Lucrezia  e  Matilde  an- 
date alla  badia  di  San  Placido.  Il  ragazzo,  dimenticati 
la  cucina  e  il  cuoco,  corse  a  raggiungerle  di  sopra, 
nelle  camere  della  madre,  per  vedere  se  gli  portavano 
nulla. 

La  contessa  Matilde  gli  diede  infatti  un  cartoccio  di 
dolci  ;  ma  la  zia  Lucrezia  neppure  gli  badò,  con  tanta 
animazione  teneva  un  discorso  alla  principessa  : 

—  Piangeva,  capisci!...  Abbiamo  voluto  parlare  con 
la  badessa,  che  ci  ha  confermato  ogni  cosa  ;  è  vero, 
Matilde?...  Che  modo  è  questo!...  Le  messe  per  nostra 
madre 

—  Sst.... 

La  principessa  fece  segno  alla  cognata  di  tacere,  per 
riguardo  del  ragazzo. 

—  Mamma,  oggi  non  si  mangia  più?...  —  domandò 
costui. 

—  Se  tuo  padre  non  è  ancora  venuto!...  Va',  va'  a 
vedere  se  arriva. 

Il  principino  comprese  che  lo  mandavano  via.  A  sei 
anni,  era  curioso  più  di  don  Blasco.  I  maneggi  dello 
zio  monaco,  il  continuo  complottare  che  si  faceva  in 
quella  casa,   avevano  destato  di  buon'ora  la  sua  atten- 


—  113  — 

zlone;  dopo  la  morte  della  nonna  s'accorgeva,  dal  con- 
tegno dei  parenti,  dai  discorsi  dei  servi,  che  l'avevano 
con  suo  padre,  chi  per  una  ragione  e  chi  per  un'altra, 
ma  che  nessuno  ardiva  prendersela  direttamente  con  lui. 
Egli  com.prendeva  tante  altre  cose  :  che  la  zia  Ferdi- 
nanda non  poteva  soffrire  la  zia  Matilde  ;  che  tra  questa 
e  suo  marito  c'erano  dissapori  :  comprendeva  e  taceva, 
fingendo  di  non  accorgersi  di  nulla,  per  non  incorrere 
nella  collera  di  nessuno.  Infatti,  lo  zio  don  Blasco  dava 
solenni  scappellotti,  la  zia  Lucrezia  giocava  anche  lei 
a  pizzicargli  il  braccio,  specialmente  quando  egli  andava 
a  rovistarle  la  camera  ;  ma  specialmente  suo  padre,  sem- 
pre burbero,  gliene  dava,  alle  volte,  di  quelle  che  rade- 
vano il  pelo.  Per  tanto  egli  non  se  la  diceva  molto  con 
lui,  mentre  invece  non  poteva  stare  lontano  dalla 
mamma.  Donna  Ferdinanda,  veramente,  gli  usava  molte 
preferenze  ;  ma  nessuno  come  la  principessa  scusava  i  di- 
fetti del  monello.  Rabbrividendo,  cadendo  in  convulsione 
se  qualcuno  le  si  metteva  troppo  dappresso,  ella  vinceva 
la  manìa  dell'  isolamento  soltanto  per  amore  dei  figli, 
si  stringeva  al  petto  e  baciava  furiosamente  il  suo 
Consalvo  anche  quando  non  era  troppo  netto,  e  con 
tanto  maggior  impeto  quanto  più  si  difendeva  da  ogni 
altro  contatto.  Da  un  pezzo,  nata  la  sorellina  Teresa, 
le  carezze  non  erano  tutte  per  lui  ;  nondimeno,  solo  la 
principessa  riusciva  ad  ottenere  qualche  cosa  da  Con- 
salvo  con  le  buone,   per  amore. 

—  Va',  va'  a  vedere  se  il  babbo  è  tornato.... 

Il  principe  Giacomo  rientrava  in  quel  momento.  Aveva 
una  ciera  più  aggrottata  del  solito,  e  neppure  salutò, 
entrando;  Lucrezia  ammutolì,  alla  sua  vista.  Egli  do- 
mandò se  il  duca  era  rincasato,  e  udendo  che  no,  diede 
ordine  che  servissero  in  tavola  appena  giunto  lo  zio.  Poi 
se  ne  andò  a  chiudersi  nel  suo  scrittoio  col  signor  Marco. 
Consalvo  restò  un  poco  senza  saper  che  fare,  esitando 
tra  il  ritorno  in  cucina  e  una  visita  ai  manovali.  Invece, 
visto  che  la  zia  Lucrezia  riprendeva  a  parlare  con  la 
mamma,  sali  nella  camera  di  lei.  Gli  aveva  proibito  di 

De    Roberto.    I    Viccri    -    I  n 


^  114  — 

entrarci  perchè  adesso  studiava  il  disegno  d'acqua- 
rello e  non  voleva  toccate  le  sue  cose,  specialmente  pel 
pericolo  che  scoprissero  le  lettere  di  Benedetto  Giulente  ; 
invece,  i  pezzi  di  colore,  i  piattelli  da  stemperare,  i  pen- 
nelli, la  gomma,  facevano  gola  al  ragazzo.  E  nessuna 
raccomandazione  o  minaccia  serviva  a  Lucrezia  ;  se  re- 
clamava, le  toccavano  soprammercato  i  rimproveri  del 
fratello  diventato  intrattabile  dopo  la  lettura  del  testa- 
mento; talché  il  monello,  quando  carpiva  l'occasione, 
faceva  man  bassa  in  camera  della  zia.  Salito  dunque 
lassìi,  a  quell'ora  che  era  sicuro  di  non  essere  sorpreso, 
il  principino  cominciò  a  rovistare  sul  tavolino,  in  mezzo 
ai  disegni,  nella  cartiera,  nel  comodino.  Dov'erano  na- 
scoste le  cose  del  disegno  ?  Forse  nelle  cassette  più 
alte  di  quell'armadio,  dov'egli  non  arrivava.  Intanto, 
dal  cortile,  s'  udì  la  campana  che  annunziava  l'arrivo 
del  duca.  Egli  continuò  a  guardarsi  intorno,  a  cercare 
febbrilmente  sotto  il  letto,  sotto  l'armadio,  nella  spec- 
chiera. Questa  era  ima  piccola  tavola  ricoperta  di  tela 
ricamata  :  sollevatone  un  lembo,  apparve  la  cassetta. 
LI  dentro,  in  mezzo  a  vecchi  pettini,  a  scatolette  vuote 
di  pasta  di  mandorle,  c'era  un  fascio  di  carte  annodate 
con  un  mastro  rosso.  Consalvo  disfece  il  nodo  e  sciorinò 
le  lettere.  Improvvisamente  Lucrezia  apparve  sull'uscio. 

—  Ah!...  — gridò,  e  slanciarsi  sul  nipote  ed  allun- 
gargli un  ceffone  fu  tutt'  uno. 

Il  ragazzo  cacciò  uno  strillo  così  acuto,  come  se  lo 
stessero  scannando. 

—  T'ho  detto  mille  volte  di  non  toccare  le  cose  mie  ! 
Non  è  possibile  serbare  piij  nulla  !  Sono  ridotta  come 
se  fossi  in  piazza 

Accorse  Vanna,  la  cameriera,  agli  urli  disperati,  ma 
aveva  appena  cominciato  j  «  Signorina lo  lasci  an- 
dare  ))  che  apparve  iil  principe. 

—  E  per  questo  alzi  le  mani  sul  bambino? 

—  Se  non  posso  essere  ubbidita!...  Se  non  sono 
padrona  di  serbare  uno  spillo  !... 

Egli  sollevò  Consalvo  da  terra,  lo  prese  per  mano  e 
disse,  lentamente,   guardandola  bene  in  viso  : 


— •  ii5  — 

—  Un'altra  volta,  se  t'arrischi  di  toccare  mio  figlio, 
ti  piglio  a  schiaffi  ;  hai  capito  ? 

Ella  rimase  un  imoniento  come  stordita.  Visto  uscire 
il  fratello,  corse  a  un  tratto  alla  porta,  la  chiuse  sbat- 
tendola violentemente  e  non  rispose  piia  a  nessuno  dei 
servi  che  venivano  a  chiamarla  pel  desinare.  Dovè  sa- 
lire il  duca  a  scongiurarla  di  aprirgli  ;  alle  raccomanda- 
zioni, alile  ammonizioni  dello  zio,  finalmente  proruppe  : 

—  E  che  pazienza  !  Sono  due  mesi  che  mi  tratta 
così  !...  Perchè  l'ha  con  me?  Pel  testamento  di  nostra 
madre?  Fa'  cosi  per  giocar  di  prima?  Ha  dunque  ra- 
gione lo  zio  don  Blasco  ?...  Ha  sentito,  ha  sentito  Vostra 
Eccellenza,  che  ha  fatto  adesso  ? 

—  Che  ha  fatto? 

—  Non  vuol  riconoscere  il  legato  alia  badia  di  San 
Placido!...  Abbiamo  trovato  Angioilina  che  piangeva  e 
la  badessa  che  gettava  fuòco  e  fianiime  !...  Vuol  far  lui 
tutte  le  carte,  e  ci  tratta  poi  cosi,  d'alto  in  basso,  per 
avvilirci   tutti   quanti... 

—  Piano!...    Basta,   per   ora —  il   duca   tornava 

a    raccomandarsi,    per   amor  deflla    pace.    —    Basta!... 

Vieni  a  desinare,   per  ora Ti  prometto  che  poi  gli 

parlerò  io.... 

Raimondo  non  era  ancora  rientrato  quando  tutta  la 
famiglia,  con  l'assistenza  di  don  Mariano,  prese  posto 
a  tavola.  Lucrezia  aveva  gli  occhi  ancora  rossi,  teneva 
il  capo  chino,  non  diceva  una  parola  ;  ma  il  principe, 
fattosi  improvvisamente  sereno  in  vista,  rivolgeva  cor- 
tesie allo  zio  duca.  Tutti  i  giorni  cosi  :  dopo  lunghe  ore 
di  mutria,  di  silenzio,  di  voltate  di  spalle  al  sopravve- 
nire dei  fratelli  e  delle  sorelle  e  più  della  cognata  Ma- 
tjjtìe,  egli  smetteva  a  tavola  la  ciera  accigliata,  per 
corteggiar  lo  zio.  Non  era  la  prima  volta  che  il  desinare 
cominciava  senza  Raimondo,  e  al  malumore  di  Lucrezia 
faceva  riscontro,  quel  giorno,  un  pensiero  molesto  sulla 
fronte  di  Matilde. 

Non   le  facevano  festa,    in   quella   casa.    Il   principe, 


—  ii6  — 

donna  Ferdinanda,  don  Blasco,  un  po'  anche  la  cugina 
Graziella,  dovevano  trovare  in  lei  colpe  imperdonabili, 
se  la  punzecchiavano  assiduamente,  se  la  trattavano 
senza  riguardi  ;  ma  ella  perdonava  le  mancanze  di  ri- 
guardo e  gli  sgarbi  fatti  a  lei;  non  soffriva  quelli  che 
toccavano  a  suo  marito.  Forse  era  questa  la  sua  grande 
colpa:  l'amore  che  portava  a  Raimondo!...  Lo  amava 
fin  da  quando  lo  aveva  visto,  da  prima  ancora  ;  fin  da 
quando,  fidanzata  per  lettera  a  quel  conte  di  Lumera 
del  quale  suo  padre,  superbo  d' imparentarsi  coi  Viceré, 
le  faceva  lodi  senza  fine,  ella  aveva  lavorato  con  la 
fantasia  a  rappresentarselo  bello,  nobile,  generoso,  ca- 
valleresco come  un  eroe  dei  Tasso  o  dell'Ariosto.  E  la 
realtà  aveva  superato  le  sue  stesse  immaginazioni  ;  tanto 
era  fine,  lo  sposo  suo,  e  leggiadro,  ed  elegante,  e  splen- 
dido; ed  ella  che  non  aveva  conosciuto  da  vicino  altri 
uomini,  che  s'era  nutrita  unicamente  di  sogni,  di  poesia, 
di  fantasia  alta  e  pura,  gli  aveva  dato  tutta  l'anima,  per 
sempre  ;  lo  aveva  amato  ancora  nei  suoi  cari  e  idola- 
trato nella  figlia  nàtale  da  lui.  Ella  non  aveva  altra 
idea  della  vita  che  quella  espressa  dalla  vita  sua  propria, 
semplice  e  piana,  tutta  trascorsa  in  mezzo  alla  sorel- 
lina Carlotta,  alla  mamma  loro,  soave  ed  amara  ricor- 
danza, ed  al  padre,  uomo  di  passioni  estreme,  amico  o 
nemico  fino  lalla  morte  degli   altri  uomini,   ma  cieco  e 

folle  d'amore  per  le  sue  figlie Mentre  ella  adesso  si 

voltava  ogni  tratto  a  guardar  l'uscio  della  sala  con 
l'ansiosa  aspettativa  dell'arrivo  di  Raimondo,  la  scena 
che  aveva  dinanzi  le  rammentava,  con  un  effetto  di  vivo 
contrasto,  un'altra  indelebilmente  fitta  nella  sua  me- 
moria. La  sua  memoria  le  rappresentava  il  desco  fami- 
liare, nella  grande  stanza  da  pranzo  della  casa  paterna, 
a  Milazzo  :  la  mamma,  la  sorella,  ella  stessa  intenta  ai 
racconti  del  padre,  sorridenti  con  lui,  con  lui  tristi  o 
dolenti  ;  il  padre  tutto  loro,  coi  pensieri  e  con  le  opere  ; 
e  un  costante  e  quasi  superstizioso  rispetto  per  le  an- 
tiche abitudini,  e  una  pace  patriarcale,  un  amore  reci- 
proco, una  confidenza  assoluta.  Se  ella  si  guardava  ora 


—  117  — 

intorno,  che  vedeva  ?  La  principessa  timida  e  paurosa 
dinanzi  al  marito;  il  ragazzo  tremante  a  un'occhiata 
del  padre,  ma  superbo  dell'umiliazioine  inflitta  alla  zia; 
Lucrezia  e  il  fratello  ancora  freddi  e  sospettosi  l'uno 
verso  l'altra;   il  principe  ostentante  il  buon  umore  col 

duca    dopo    una   giornata    d'accigliato    silenzio Ella 

neppure  so^spettava  le  passioni  che  dividevano  quella 
famiglia,  il  giorno  che  vi  era  entrata  come  in  un'altra 
famiglia  sua  propria  :  tanto  più  grande  era  stato  il 
suo  stupore,  il  suo  dolore,  nel  vedere  di  che  sordo  astio 
la  ripagavano.  Giudicavano,  certo,  che  fosse  indegna 
di  Raimondo  perchè  a  lui  inferiore  :  e  nessuno  quanto 
lei  stessa  lo  poneva  tanto  alto  ;  ma  non  le  aveva  giovato 
sentirsi  e  farsi  umile  dinanzi  a  lui  e  ad  essi  :  l'astio 
non  s'era  placato.  Allora  ella  aveva  cominciato  a  com- 
prendere le  particolari   passioni  che,   oltre  all'orgoglio, 

animavano  ciascuno  di  quegli  Uzeda  duri  e  violenti 

La  madre  di  Raimondo,  per  idolatria  del  figlio,  era 
gelosa  di  lei  :  riuscita  ad  ammogliarlo,  ad  assicurargli 
la  dote,  aveva  umiliato  la  nuora,  facendole  sentire  fin 
dal  primo  giorno  la  sua  mano  di  ferro  perchè,  più  d'ogni 
altro,  ella  stesse  sommessa  dinanzi  al  beniamino;  ma 
la  sommessione  idolatra,  il  cieco  affetto  della  sposa, 
togliendole  ogni  pretesto  d' incrudelire  su  lei,  mettendo 
nuova  esca  al  fuoco  della  sorda  gelosia  materna,  l'aveva 
resa  implacabile.  Il  fratello  maggiore,  non  perdonando 
a  Raimondo  i  suoi  privilegi,  non  potendo  rassegnarsi 
alla  concorrenza  che  la  famiglia  dì  lui  faceva  alla  propria, 
rovesciava  il  suo  rancore  sulla  cognata.  Tutti  gli  altri 
erano  stati  senza  pietà  per  l' intrusa,  o  in  odio  alla 
principessa  che  l'aveva  voluta  in  quella  casa  o  in  odio 
a  Raimondo  che  la  madre  proteggeva.  Cosi  ella  s'era 
vista  bersaglio  di  quei  parenti  ai  quali  era  venuta  con 
animo  confidente  e  cuore  affezionato  ;  e  lo  scoprire  che 
il  loro  astio  era  tanto  acre  contro  di  lei  quanto  contro 
Raimondo,  invece  di  attenuare  aveva  inacerbito  la  sua 
pena;  poiché  perduta  d'amore  pel  marito,  ella  soffriva 
e  gioiva  in  lui  e  per  lui....    In  quello  stesso  momento 


—   ii8  — 

che  il  principe  pareva  'non  veder  la  cognata  o,  se  vol- 
gevasi  dalla  sua  parte,  smessa  a  un  tratto  la  ciera  gio- 
conda, le  mostrava  un  viso  contegnosamente  chiuso, 
peggio  che  ;se  fosse  una  estranea,  ella  non  soffriva 
tanto  di  quell'ostentata  freddezza,  quanto  della  trascu- 
ranza  da  tutti  dimostrata  verso  suo  marito.  Il  desinare 
progrediva  come  se  egli  non  dovesse  venire  più,  nes- 
suno chiedeva  di  lui,  Lucrezia  teneva  ancora  il  capo 
chino  sul  desco,  la  principessa  badava  a  suo  figlio,  il 
principe  parlava  dello  stato  delle  campagne,  dei  prezzi 
delle  derrate,  dei  pericoli  del  colera  ;  il  duca  discuteva 
della  guerra  d'Oriente;  e  solamente  un  estraneo,  don 
Mariano,  diceva  tratto  tratto  : 

—  E  Raimondo?...  Non  si  vede  più!...  Che  gli  è 
successo  ? 

Allora,  come  per  virtù  dell'eco,  quella  domanda  si 
rlpercoteva  nel  pensiero  di  lei  :  «  Non  si  vede  più  !.... 
Che  gli  è  successo?...»  Perchè  mai  tardava  tanto? 
Perchè  la  lasciava  sola  tra  quegli  estranei  indifferenti 
od  ostili  ? 

—  I  Russi  resistono  ancora un  osso  duro  da  ro- 
dere.... Napoleone  ne  seppe  qualcosa — 

Di  nuovo  assorta  in  pensieri  più  gravi  e  molesti,  ella 
udiva  brani  di  frasi,  parole  di  cui  non  afferrava  il  senso. 
Da  quanto  tempo  la  lasciava  sola,  Raimondo  !  Da 
quanto,  da  quanto!...  Ella  rammentava  assiduamente 
la  prima  pena  che  le  aveva  inflitta,  tanto  tempo  addie- 
tro. Buono  con  lei  nei  primi  tempi  del  matrimonio,  du- 
rante il  viaggio  di  nozze  ed  il  soggiorno  di  Catania, 
appena  giunto  a  Milazzo  dove  erano  andati  per  affari, 
per  vedere  il  padre  e  la  sorella  di  lei,  egli  aveva  dichia- 
rato di  non  aver  preso  moglie  per  vivere  in  quella  bi- 
cocca, per  incappare  nella  tutela  del  suocero  dopo  essere 

uscito  da  quella  della  madre Certo,  ella  non  credeva 

che  la  vita  nella  sua  cittadetta  natale  potesse  allettarlo 
molto  ;  certo,  lo  avrebbe  seguito  dovunque  gli  sarebbe 
piaciuto  condurla;  nondimeno  quel  brusco  giudizio  in- 
torno a  cose  e  persone  care  al  cuor  suo  le  aveva  prò- 


—  iig  — 

curato  un  senso  d'angustia  indimenticabile.  Egfli  voleva 
lasciare  per  sempre  la  Sicilia,  andarsene  a  vivere  a 
Firenze;  né  la  contraria  volontà  della  madre  gli  era 
d'ostacolo;  alla  moglie,  che  per  non  discostarsi  troppo 
dai  suoi  gliela  rammentava  esortandolo  ad  obbedirla, 
rispondeva  bruscamente  :  «  Lasciami  fare  a  modo  mio  ». 
Ed  ella,  si,  aveva  riconosciuto  le  sue  ragioni.  La  Si- 
cilia, la  Toscana,  qualunque  parte  del  mondo  dove  sa- 
rebbero stati  insieme  felici,  non  doveva  esser  tutt'uno 
per  lei  ?  Il  dispotico  divieto  della  suocera  poteva  avere 
maggior  peso  per  lei  del  desiderio  del  marito?  E  quel 
desiderio  non  era  forse  legittimo  ;  il  suo  Raimondo  non 
era  chiamato  a  figurare  in  mezzo  alla  società  più  eletta 
di  una  grande  città?  Giovani  e  ricchi,  non  sarebbero 
stati  dovunque  segno  all'invidia  di  tutti?...  Ed  ella 
non  aveva  perseverato  nei  tentativi  di  resistenza  anche 
per  un'altra  ragione,  più  grave.  Raimondo,  del  quale 
perdonava,  anzi  voleva  ignorare  i  modi  un  po'  bruschi, 
r  insofferenza  della  contraddizione,  tutti  i  piccoli  difetti 
di  un  figliuolo  troppo  vezzeggiato,  si  mostrava  qual 
era  anche  col  suocero.  Il  carattere  di  costui  essendo 
pure  molto  forte,  un  dissenso  poteva  sorgere  da  un 
momento  all'altro.  Sulle  prime,  il  barone  aveva  fatto 
una  vera  festa  al  genero,  trattandolo  quasi  come  la 
principessa,  sedotto  anche  lui  dalla  grazia  fine  Idei 
giovane,  inorgoglito  dalla  fortuna  di  essersi  imparentato 
coi  Francalanza;  ma  Raimondo  aveva  risposto  a  tante 
prevenzioni  zelanti,  a  tante  cure  affettuose  mostrandosi 
malcontento  di  tutto,  in  quella  casa  ;  ripetendo  ogni 
quarto  d'ora  :  «  Come  isi  fa  a  vivere  qui?...  »  Il  barone 
aveva  da  lui  la  procura  per  amministrare  le  proprietà 
date  alla  figlia,  e  in  questa  amministrazione  intendeva 
seguire  i  criterii  e  i  sistemi  antichi,  dei  quali  sapeva 
la  bontà  ;  Raimondo  invece,  per  occupar  gli  ozii  di  Mi- 
lazzo, quando  non  passava  le  intere  giornate  giocando 
al  casino  con  gli  scapati  presto  conosciuti,  si  faceva 
render  conto  dal  suocero  dei  suoi  provvedimenti,  per 
biasimarli,   per  sug-gerir  quelli  che,  a  suo  giudizio,  bi- 


sognava  adottare.  In  questa  materia,  egli  dimostrava 
un'assoluta  ignoranza  degli  affari,  una  stravaganza  di 
concetti  molto  simile  a  quella  del  fratello  Ferdinando  : 
il  barone  ne  rideva,  egli  se  l'aveva  a  male.  Le  parti 
s'invertivano  quando  il  barone  gli  chiedeva  conto  del- 
l' impiego  dei  capitali  dotali  :  allora  egli  biasimava  certe 
operazioni  bislacche  del  genero,  e  questi  dichiarava  al 
suocero  che  non  ci  capiva  nulla.  Spesso,  in  quei  dibat- 
titi, alle  uscite  vivaci  di  Raimondo  il  barone  faceva  un 
visibile  sforzo  per  contenersi,  per  non  dargli  sulla  voce; 
allora  Matilde  interveniva,  mutava  soggetto  al  discorso, 
componendo  il  lieve  screzio  coi  sorrisi  prodigati  egual- 
mente alle  due  persone  che  più  amava  al  'mondo.  Il 
suo  grande  dolore  fu  perciò  nell 'accorgersi  che,  se 
voleva  vederle  in  pace,  le  conveniva  evitare  che  stes- 
sero a  lungo  insieme.  Decisa  cosi  a  secondare  il  de- 
siderio del  marito,  ella  lo  aveva  seguito  a  Firenze,  ma 
quest'ultima  risoluzione  di  Raimondo  era  stata  causa 
della  più  viva  opposizione  del  barone  che  voleva  vicina 
la  figlia  e,  giudicando  troppo  costosa  la  stabile  dimora 
in  una  grande  città,  consigliava  piuttosto  brevi  viaggi. 
Raimondo  gli  aveva  risposto  seccamente  che  quel  con- 
siglio era  stupido,  perchè  i  viaggi  appunto  costano 
un  occhio  del  capo  ;  e  lasciando  in  asso  il  suocero  aveva 
dichiarato  alla  moglie,  con  brutte  parole,  troppo  dure, 
ingiuste  anche,  di  non  voler  più  soffrire  l' ingerenza 
di  lui  negli  affari  proprii.  Allora,  per  vincere  l'opposi- 
zione del  padre,  ella  aveva  dovuto  ricorrere  all'espe- 
diente di  cui  s'era  avvalsa  tante  volte,  bambina  :  dirgli 
che  il  disegno  di  vivere  un  pezzo  in  Toscana  era  caro 
a  lei  stessa  e  pregarlo  di  farla  contenta — 

—  Quattrini  e  vite  sprecate!...  La  guerra  a  tanta 
distanza  !... 

Mentre  il  duca  continuava  a  sviscerare  la  questione 
d'Oriente  ed  a  proporre  combinazioni  diplomatiche,  tutti 
si  volsero  verso  1'  uscio  d'entrata.  La  contessa  sussultò, 
sperando  che  fosse  suo  marito;  s'avanzava  invece  ceri- 
moniosamente   don    Cono     Canalà  :    «  Sia   prò    a    eia- 


scoino!...  Ma  non  veg"gio  il  contino?...  »  Cosi,  cosi  a 
Firenze,  in  una  città  dove,  non  che  un  parente,  non 
aveva  da  principio  neppure  una  conoscenza,  ella  era 
rimasta  lunghissime  ore,  tanti  e  tanti  g-iorni,  ad  aspet- 
tarlo invano.  Lì  aveva  pianto  le  sue  prime  lacrime, 
quando  s'era  vista  trascurata;  li  s'era  (nascosta  per 
piangere,  giacché  egli  o  la  derideva  per  quella  «  stu- 
pida »  affezione,  o  dichiarava  di  non  voler  essere  «  sec- 
cato... »  Avevano  un  modo  radicalmente  diverso  d'in- 
tender la  vita  :  mentre  ella  metteva  innanzi  tutto  l'affetto 
di  suo  marito  e  le  gioie  della  famiglia,  e  non  desiderava 
se  non  prolungare  al  fianco  di  Raimondo,  sia  pure  in 
altri  luoghi,  l' ineffabile  felicità  domestica  provata  da 
fanciulla  ;  il  giovane  viziato  dalle  preferenze  della  madre 
e  finalmente  uscito  dalla  sua  'ferrea  tutela,  aspirava 
unicamente  ai  liberi  piaceri  mondani.  E  per  questo,  di- 
cendo a  sé  stessa  che  egli  aveva  il  diritto  di  divertirsi, 
che  non  faceva  poi  nulla  di  male,  che  i  gusti  delle  per- 
sone sono  naturalm.ente  diversi,  ella  aveva  represso  il 
proprio  dolore,  si  era  persuasa  del  proprio  torto.  Quasi 
premio  di  questa  sua  rassegnazione,  aveva  finalmente 
provato  le  ineffabili  gioie  della  maternità,  e  allora,  come 
per  incanto  i  tempi  felici  della  luna  di  miele  parve  tor- 
nassero, tra  perchè  Raimondo  divenne  veramente  mi- 
gliore, tra  perchè  ella  stessa,  assorta  in  soavi  pensieri, 
in  cure  minute,  pose  meno  mente  alla  vita  di  lui.  Al 
padre  che  la  raggiunse  in  quell'occasione,  ella  potè  mo- 
strare un  viso  raggiante  di  gioia  ;  felice  con  lei,  il  ba- 
rone   dimenticò    interamente    le    piccole    liti    avute    col 

genero,   tornò  a  volergli  bene  come  ai  primi  tempi 

Tutti  aspettavano  un  maschio,  tranne  lei  stessa  che, 
se  avesse  osato  contrastare  i  desiderii  altrui  e  far  diffe- 
renze tra  i  figli,  avrebbe  preferita  una  bambina.  Una 
bambina  nacque  infatti,  e  quando  si  trattò  di  battez- 
zarla, quantunque  ella  e  il  padre  avesisero  desiderato 
chiamarla  come  la  loro  cara  perduta,  riconobbero  tut- 
tavia la  convenienza  di  darle  il  nome  della  principessa. 
Rammentava    forse    più    la    madre   felice   i   trattamenti 


— •    122    

Sgraziati  della  suocera  e  deHa  parentela  ?  Quell'angio- 
letto venuto  a  ristringere  il  nodo  che  la  univa  a  Rai- 
mondo, a  dissipare  le  nubi  che  minacciavano  il  suo 
bel  cielo,  non  parlava  unicamente  di  pace  e  d'amore?... 
Ahimè  !  Più  presto  che  non  credesse,  ella  s'era  accorta 
del  proprio  inganno.  Già  da  quando  erano  venuti  a  Fi- 
renze, la  suocera  non  le  aveva  più  scritto,  né  risposto 
alle  sue  lettere,  né  accennato  a  lei  nelle  lettere  che  man- 
dava al  figliuolo.  Il  silenzio  continuò  durante  la  gravi- 
danza, e  dopo  il  parto  comprese  anche  ,la  bambina. 
Quando  Teresina  fu  svezzata,  Raimondo  deliberò  di 
fare  una  corsa  in  ^Sicilia  ;  e  da  quel  viaggio  ella  ripro- 
metteva-si    la    fine    dell'  incomprensibile    rancore    della 

principessa;  invece,  ella  ricominciò  a  piangere  allora 

Donna  Teresa  Uzeda,  *  non  potendo  prendersela  con 
Raimondo  per  il  trasferimento  nella  remota  Toscana, 
ne  aveva  rovesciato  la  colpa  sulla  nuora  ;  la  sua  gelosia 
e  il  suo  odio  si  erano  raddoppiati,  le  facevano  una  colpa 
perfino  della  nascita  della  bambina  !...  Come  dimostrare 
a  quella  s-pietata  il  suo  torto  ?  Come  persuaderla  che 
suo  figlio,  contro  il  piacere  di  tutti,  aveva  voluto  a 
forza  fare  quel  che  si  era  proposto  ?  Ingenuamente, 
il  barone  non  aveva  detto  che  Raimondo  era  andato  a 
Firenze  per  far  piacere  a  Matilde?...  Ella  aveva  cosi 
apprestato,  senza  saperlo,  una  nuova  arma  alla  suo- 
cera; per  ottenere  l'accordo  fra  il  marito  ed  il  padre, 
aveva  scatenato  quella  furia  contro  sé  stessa.... 

— •  La  zia  di  Vostra   Eccellenza  ! 

Annunziata  dal  maestro  di  casa,  mentre  il  desinare 
stava  iper  finire,  entrava  adesso  donna  Ferdinanda. 
Tranne  il  duca,  tutti  si  levarono;  la  contessa  con  gli 
laltri  ;  ma  la  zitellona  salutò  tutti  fuorché  quest'ultima. 
Pochi  minuti  dopo  .sopravvenne  don  Blasco  che  per 
tutto  saluto  disse  :  «  Ancora  a  tavola  ?»  e  non  parve 
neppure  accorgersi  di  Matilde...  Che  era  mai,  pensava 
ella,  la  ostentata  trascuranza  di  costoro,  a  paragone 
della  guerra  mossale,  anni  addietro,  dalla  principessa  ? 
Non  era  bastato  farsi  da  parte,  non  esprimer  mai  vo- 


—    123    — 

lontà,  né  desidera,  né  opinioni  :  l'odio  aveva  trovato 
sempre  ragioni  di  sfogarsi.  Esso  riversavasi  ancora 
contro  r  innocente  bambina  che  aveva  il  doppio  torto 
d'appartenere  al  sesso  disiprezzato  e  d'esser  nata  da 
quella  madre;  e  poiché,  rassegnata  personalmente  a 
quei  trattamenti,  la  madre  sanguinava  agli  sgarbi  fatti 
alla  sua  creatura,  la  principessa  s'era  messa  a  perse- 
guitare con  speciale  accanimento  la  nipotina.  Rai- 
mondo pareva  non  accorgersi  di  nulla,  l'abbandonava 
pili  a  lungo  che  a  Firenze,  non  credendo  di  lasciarla 
sola  poiché  ella  restava  «  in  famiglia  ;  »  e  il  tormento 
di  quella  vita  era  divenuto  in  breve  cosi  acuto,  che 
ella  aveva  sospirato  il  momento  di  tornarsene  alla  so- 
litudine almeno  tranquilla  della  sua  casa  di  Firenze 

—  Dov'è  quell'altro?...  —  domandò  di  botto  don 
Blasco,  sbuffante  alle  elucubrazioni  politiche  del  fra- 
tello duca. 

«  Quell'altro  »  doverva  essere  Raimondo;  tutti  lo 
compresero,  rispondendo  che  non  s'era  ancor  visto, 
che  forse  era  rimasto  a  desinare  da  qualche  amico.  ' 

—  Avrebbe  potuto  avvertire —  osservò  il  prin- 
cipe. 

E  quantunque  quell'osservazione  fatta  con  tono  se- 
vero, senza  riguardo  per  lei  che  era  sua  moglie,  ferisse 
Matilde,  un'altra  voce  ora  le  diceva:  «È  vero!  Fla 
ragione  !...  »  Ella  stessa,  tornata  a  Firenze,  in  quel- 
l'asilo che  le  era  parso  di  pace  e  di  felicità,  non  aveva 
forse  pensato  cosi,  quando,  aspettando  lungamente,  di 
giorno  e  di  notte,  il  ritorno  di  Raimondo  che  la  la- 
sciava ormai  quasi  sempre  sola,  s'era  sentita  strug- 
gere d'ambascia  e  di  paura,  non  sapendo  che  cosa 
gli  fosse  accaduto,  temendo  sempre,  con  l'inferma 
imaginazione,  pericoli  e  disgrazie  ?  Suo  marito,  invece, 
non  voleva  renderle  conto  della  propria  vita,  quasi 
fosse  ancora  scapolo,  quasi  ella  non  avesse  nessun 
diritto  su  lui,  quasi  la  loro  bambina  non  esistesse  ! 
Quella  figlia  che  doveva  ancora  più  stringerli  insieme, 
che    per   lo    meno    doveva    essere,    nel   dolore,    il   gran 


—    124   — 

rifugio  della  madre,  non  solo  pareva  non  dir  nulla 
al  cuore  di  Raimondo,  ma  mon  bastava  neppure  a 
confoi'tare  lei  stessa,  poiché  ella  non  poteva  più  scu- 
sare come  nei  primi  tempi  la  condotta  sempre  più 
sfrenata  del  marito,  poiché  non  ignorava  più  che  egli 
la  trascurava  per  altre  donne,  e  poiché  questa  'scoperta 

le  faceva  a  un  tratto  sentire  il  coltello  della  gelosia 

Ancora  una  volta,  le  passate  sofferenze  le  erano  parse 
nulla,  paragonate  a  queste  altre.  Ella  lo  amava  più 
che  mai  d'amore,  per  gli  stessi  difetti  che  gli  aveva 
perdonati,  per  tutto  quel  che  le  costava;  e  le  nuove, 
più  brusche,  più  aperte  dichiarazioni  con  le  quali  egli 
respingeva  le  preghiere  di  lei  e  derideva  le  sue  lacrime 
e  le  faceva  quasi  uma  colpa  dell'amiOr  suo,  la  strin- 
gevano a  lui  sempre  più.  No,  sua  figlia  non  le  ba- 
stava, la  creaturina  non  poteva  consolarla,  nessuno 
al  mondo  poteva  consolarla,  òlla  doveva  perfino  na- 
scondere le  proprie  torture  al  padre,  scrivergli  che 
era  contenta  e  felice,  perché  egli  non  venisse  a  chie- 
der conto  a  Raimondo  di  quella  condotta,  perché  tra 
quei  due  uomini  non  scoppiasse  la  guerra!...  E  an- 
cora una  volta  ella  s'era  messa  a  sperare  nel  ritorno 
in  Sicilia  ;  la  terribile  casa  degli  Uzeda  le  parve  ancora 
una  volta  un'oasi,  non  avendovi  almeno  conosciuto  il 
sospetto  roditore  come  un  verme.  Quando  da  Catania 
scrissero  a  Raimondo  di  venir  presto  a  casa,  quando 
la  stessa  madre  moribonda  lo  chiamò,  ella  fece  di 
tutto  per  indurlo  a  partire  ;  ma  vedendolo,  sordo  alla 
voce,  della  morente,  sordo  alle  stesse  ragioni  dell'inte- 
resse, restare  a  Firenze,  l'angoscia  di  lei  s'era  esa- 
cerbata, tanto  aveva  dovuto  credere  potenti  le  ragioni, 
i  legami  che  lo  trattenevano....  Giusto  in  quei  giorni 
le  sue  viscere  avevano  avuto  un  nuovo  fremito  ;  ella 
era  madre  un'altra  volta  —  fredda,  cattiva  madre,  se 
non  tripudiava  a  quella  scoperta  ;  ma  come  avrebbe 
potuto  gioirne,  quando  il  padre  della  sua  creatura 
le  cagionava  tanta  tristezza;  quando,  all'annunzio  della 
nuova  paternitc<,  egli  restav^a  indifferente  e  quasi  fasti- 


—    125   — 

dito  come  per  una  nuova  molestia?...  Repentinamente, 
giunto  il  dispaccio  che  annunziava  la  morte  della  prin- 
cipessa, erano  partiti,  ed  ella  aveva  tratto  liberamente 
il  respiro,  chiedendo  perdono  al  Signore  della  gioia 
che  provava  per  causa  d'una  morte;  ma  l'implacata 
avversione  dei  parenti  l'affliggeva  ancora  una  volta 
come  prova  della  insospettata  malvagità  umana  ;  e 
adesso  che  Raimondo,  senza  rispetto  per  la  memoria 
della  madre,  faceva  ciarlare  tutta  la  città  con  la  sua 
vita  sbrigliata,  ella  domandava  tra  sé,  con  lungo  scon. 
forto  :  «Quando,  dove  avrò  pace?...  » 

Il  desinare  era  già  finito  e  Lucrezia,  la  principessa 
e  Consalvo  s'erano  già  levati  di  tavola,  quando  Rai- 
mondo rientrò.  Mostrava  di  esser  molto  allegro  e  d'aver 
buon  appetito.  Alla  domanda  del  duca,  rispose  che  gli 
amici  lo  avevano  trattenuto,  che  non  s'era  accorto 
dell'ora  tarda.  • 

—  Del  resto,  qui  desinate  spaventevolmente  presto! 
Nei  paesi  civili  non  si  va  a  tavola  prima  dell'ave  ! 

Il  principe  non  rispose.  Alzandosi  da  tavola  m.entre 
il  fratello  divorava  la  minestra  serbata  in  caldo, 
disse  al  duca  : 

—  Zio,  vuol  venire  un  momento  con  me  ?  —  e  lo 
condusse  nel  suo  scrittoio. 

Stava  di  nuovo  suU'  intonato,  come  se  dovesse  sti- 
pulare un  trattato.  Chiuso  a  chiave  l'uscio  della  stanza 
precedente,  offerta  una  poltrona  allo  zio,  rimasto  egli 
stesso  in  piedi,   cominciò  : 

—  Vostra  Eccellenza  mi  scusi  se  la  disturbo  dopo 
tavola,  ma  dovendo  parlare  di  affari  importanti  e  non 
volendo  portarle  via   il   suo   tempo — 

— .    Ma    che!...    —   fece    il   duca,    interrompendo    il 

preambolo.    —   Tu    non    mi    disturbi    affatto Parla, 

parla  pure —  e  accese  un  sigaro. 

—  Vostra  Eccellenza  può  vedere  ogni  giorno  —  ri- 
prese il  principe  —  che  vita  fa  Raimondo,  e  come, 
invece  di  darmi  una  mano  a  sistemar  gli  affari  della 
successione,  pensi  a  divertirsi  lasciando  tutto  sulle  mie 


120    

spalle.    Parlargli    d' interessi    è    inutile  :    o    non    mi    dà 
retta,   o  non  capisce....   o  finge  di  >non  capire. 

Il  duca  approvava  con  un  cenno  del  capo.  Tra  sé, 
giudicava  veramente  un  po'  strane  quelle  lagnanze  del 
nipote,  che  non  avrebbe  dovuto  esser  poi  tanto  scon- 
tento se  il  fratello  non  s' impacciava  nelle  questioni 
dell'eredità  e  lo  lasciava  libero  di  fare  a  sua  posta. 
E  se  Raimondo  mostrava  poca  premura  di  partecipare 
agli  affari,  il  fratello  maggiore  non  ne  aveva  mostrata 
pochissima  di  renderne  conto  al  coerede  ed  ai  legatarii  ? 
Non  era  forse  quella  la  prima  volta  che  egli  teneva  a 
qualcuno  della  famiglia  un  discorso  di  quel  genere? 

— .  Ora  —  continuava  frattanto  Giacomo  —  io  credo 
prima  di  tutto  conveniente,  nell'interesse  comune,  che 
la  divisione  si  faccia  ail  più  presto  ;  in  secondo  luogo 
bisogna  che  tutti  sappiano  ciò  che  ho  saputo  in  questi 
giórni  io  stesso 

— ■  Che  cosa  ? 

—  Una  bella  cosa  !  —  esclamò,  con  un  sorriso  ama- 
rissimo.  E  dopo  una  breve  pausa,  quasi  a  preparar 
l'animo  dello  zio  alla  dolorosa  notizia  :  —  L'eredità 
di  nostra  madre  è  piena  di  debiti.... 

Il  duca  si  cavò  il  sigaro  di  bocca,  dallo  stupore. 

—  Vostra  Eccellenza  non  crede  ?  E  chi  avrebbe  po- 
tuto credere  una  cosa  simile  ?  Dopo  che  abbiamo  sen- 
tito tanto  lodare,  da  tutti,  il  modo  ammirabile  tenuto 
dalla  felice  memoria  nel  mettere  in  piano  la  nostra 
casa?  Invece,  c'è  un  baratro!...  Fino  all'altr'ieri,  non 
sospettavo  ancora  nulla.  È  vero  che  nei  primi  giorni 
dopo  la  disgrazia,  ebbi  avviso  di  alcuni  piccoli  effetti 
sottoscritti  da  nostra  madre,  i  possessori  dei  quali, 
durante  la  malattia,  avevano  pazientato  oltre  la  sca- 
denza; ma  credevo  naturalmente  che  fossero  infime 
somme,  di  quei  debitucci  che  tutti,  in  certi  momenti, 
anche  i  più  facoltosi,  hanno  bisogno  di  contrarre.  Po- 
tevo sospettare  che  invece  sono  migliaia  e  migliaia 
d'onze,  e  che  ogni  giorno  spunta  un  nuovo  creditore, 
e  che  se  con4;inua  di  questo  passo,  il  meglio  dell'ere- 
dità se  n'andrà  in  fumo?... 


-.127— 

—  Ma  il  slgfnor  Marco 

—  Il  signor  Marco  —  riprese  il  principe  senza  dar 
tempo  allo  zio  di  compiere  l'obbiezione  —  ne  sapeva 
meno  di  me  ed  è  più  sbalordito  di  Vostra  Eccellenza. 
Vostra  Eccellenza  sa  bene  che  carattere  avesse  la  fe- 
lice memoria,  e  come  facesse  in  tutto  di  suo  capo,  e 
si  nascondesse  non  solamente  da  coloro  che  dovevano 
essere  i  suoi  naturali  confidenti,  ma  da  quegli  stessi 
nei  quali  aveva  riposto  fiducia —  Il  signor  Marco  non 
ha  notato  nel  suo  scadenziere  neppure  la  decima  parte 
delle  somme  di  cui  adesso  siamo  debitori.  Io  non  so 
che  pasticci  ci  sieno  sotto.  S'imagini  che  esistono 
effetti  scaduti  da  tre,  da  quattro  anni,  e  anche  da 
cinque!...  Le  confesserò  che,  sul  principio,  ho  temuto 
d'esser  vittima,  con  tutti  gli  altri,  d' una  truffa  spa- 
ventevole, d'aver  a  fare  con  un'associazione  di  falsarli. 
Ho  do^'^lto  ricredermi  :  le  firme  sono  li,  autentiche. 
Debbo  dunque  supporre  che  il  sistema  di  ricorrere  al 
credito,  di  cui  la  felice  memoria  faceva  una  colpa  tanto 

grave  a  nostro  nonno,  non  Je  dispiacesse  poi  troppo 

E  il  peggio  è  di  non  poter  sapere  fin  dove  si  estende 
il  marcio!  E  questa  è  la  famosa  amministrazione  di  cui 
abbiamo  sentito  tante  lodi....  Ma  dice  che  dei  morti 
non  si  deve  parlare —  e  basta  !...  Ora  ,io  ho  voluto  in- 
formare Vostra  Eccellenza,  prima  di  tutto  perchè  era 
questo  lil  mio  dovere  ;  secondariamente  perchè  Vostra 
Eccellenza  ne  tenga  parola  a  Raimondo.  Se  questi  de- 
biti hanno  da  pagarsi,  e  pur  troppo  c'è  poca  speranza 
del  contrario,  a  ciascuno  bisogna  imputarne  la  sua 
parte.  Io  vorrei  anche  pregare  Vostra  Eccellenza  di 
avvisare  gli  altri,  perchè  sappiano  che  i  loro  .  legati 
saranno  anch'essi  gravati  in  proporzione 

Il  duca  ricominciò  a  scrollare  il  caipo,  ma  con  espres- 
sione diversa.  I  legatari!  lagnavansi  d'aver  avuto  troppo 
poco;  adesso  bisognava  dir  loro  che  avevano  anche 
meno  ! 

—  Perchè  non  parli  loro  tu  stesso?  —  suggerì  al 
nipote. 


—    128    — 

—  Perchè  ?  —  rispose  il  principe,  col  leggiero  fa- 
stidio di  chi  ode  rivolgersi  una  domanda  oziosa.  —  E 
non  sa  Vostra  Eccellenza  come  sono,  qui  in  casa  ? 
Chiusi,  sospettosi,  diffidenti  ?  Crede  Vostra  Eccellenza 
che  io  non  mi  sia  accorto  di  certi  maneggi,  che  non 
abbia  udito  certe  accuse  sorde  sorde?...  Pare  che  l'ab- 
biano tutti  con  me,  specialmente  quella  testa  pazza 
di  Lucrezia!...  Anche  oggi  non  ha  fatto  una  scena?... 

—  No,  no....  —  interruppe  il  duca;  —  al  contrario, 
t'assicuro.  Si  lagnava  anzi  del  contrario,  che  tu  l'abbia 
con  lei,   che   non  le   parli  imai 

—  Io  ?  E  perchè  dovrei  averla  con  lei?...  Non  ho 
parlato  molto  in  questi  giorni,  è  vero  :  ma  come  vuole 
Vostra  Eccellenza  che  avessi  voglia  di  parlare,  con 
queste  belle  notizie?  Perchè  dovrei  averla  con  lei,  o 
con  altri  ?  Io  ho  pensato  sempre  ed  ho  detto  che  la 
cosa  principale,  nelle  famiglie,  è  la  pace,  l' unione, 
l'accordo  !...  È  colpa  mia  se  questo  non  fu  possibile 
finché  visse  nostra  madre  ?  Vostra  Eccellenza  sa  come 

fui   trattato meglio,   molto  meglio  non   parlarne!... 

Adesso,  quantunque  io  sia  stato  spogliato,  mi  hanno 
udito  esprimere  una  sola  lagnanza  ?  Ho  detto  primo  di 
tutti  :  la  volontà  dì  nostra  madre  sarà  legge  !  Invece, 
che  cosa  s'è  visto?  Mutrie  a  destra  e  a  sinistra,  Rai- 
mondo che  non  vuole  occuparsi  d'affari  quasi  per  pu- 
nirmi   d'avergli   preso   mezza   eredità... 

—  No,   per  spassarsi —  corresse  il  duca. 

—  Lo  zio  don  Blasco  —  prosegui  il  principe,  quasi 
non  udendo  l'osservazione,  —  che  ho  sempre  trattato 
con  rispetto  e  deferenza,  come  tutti  gli  altri,  istigare 
contro   di  me  i  legatario... 

—  Quello  è  un  pazzo!.,. 

■ — ■  O  gli  altri,  dica  Vostra  Eccellenza,  sono  forse 
savii  ?  Che  vogliono,  che  pretendono?  Di  che  m'accu- 
sano ?  Perchè  non  vengono  a  dire  che  le  loro  ragioni  ? 
Lucrezia  ha  parlato  oggi  con  Vostra  Eccellenza  ;  sen- 
tiamo :  che  ha  detto?... 

Quantunque   deciso    a    non    mantenere    la    promessa 


—    i2g  — 

fatta  qualche  ora  prima  alla  nipote,  il  dura,  costretto 
dalla  domanda,  rispose,  con  un  sorrisetlo,  per  tempe- 
rare quel  che  vi  poteva  essere  di  poco  gradito  nelle 
sue  parole  : 

—  Tu  ti  lagni  d'esser  stato  spogliato;  e  invece 
spogliati   si  credono  essi 

Il  principe  rispose,  con  un  sorriso  più  amaro  del 
primo  : 

—  Proprio,    eh?...    E   come,    perchè? 

—  Perchè  avrebbero  avuto  meno  di  quel  che  gli 
spetta —    perchè  c'è  la  parte  di  vostro  padre 

Giacomo  s'accigliò  un  momento,  poi  proruppe,  con 
mal  contenuta  violenza  : 

— .  Allora,  perchè  accettano  il  testamento?  Perchè 
non  chiedono  i  conti  ?  Mi  faranno  un  piacere  !  Mi  ren- 
deranno un  servizio  ! 

—  Tanto   meglio,   allora — 

—  Che  cosa  credono  che  sia  l'eredità  di  nostra  ma- 
dre ?  Facciamo  i  conti,  sissignore;  facciamoli  domani, 
facciamoli  oggi  !  Anzi,  perchè  non  si  rivolgono  ai  ma- 
gistrati?... 

—  Che   c'entra   questo  ? 

—  M'intentino  una  lite  !  Facciamo  ciarlare  il  paese, 
diamo  questo  bell'esempio  d'amor  fraterno  !  Raimondo 
s'unisca  a  loro;  mi  accusino  di  aver  carpito  il  testa- 
mento, ah!  ah!  ah!...  Sono  capaci  di  pensarlo!  Co- 
nosco i  miei  polli,  non  dubiti  !  Questo  è  il  frutto  del- 
l'educazione impartita  qui  dentro,  degli  esempii  che 
hanno  dati,  della  diffidenza  e  del  gesuitismo  eretti  a 
sistema.... 

Era  veramente  concitato,  parlava  violentemente, 
aveva  perduto  la  solenne  compostezza  dell'esordio.  Il 
duca,  buttato  via  il  sigaro  spento,  riprendeva  a  scrol- 
lare il  capo,  quasi  riconoscendo  che  alla  fin  fine  non 
poteva  dargli  torto  per  quelle  ultime  argomentazioni. 
Però,  levatosi  dalla  poltrona,  messa  una  mano  sulla 
spalla  del  nipote  : 

—  Calmati,  andiamo  !  —  esclamò.  —  Non  esage- 
riamo né  da  una  parte  né  dall'altra.   La  roba  è  lì.... 

De    Roberto.    7    Viceri-    ■    1  9 


—   130  — 

— ■  Nessuno  la  tocca  ! 

—  Essi  vogliono  fare  i  conti,  tu  sei  pronto  a  darli.... 

—  Ora,    all'istante!... 

—  E  dunque  l'accordo  è  immancabile.  Farete  questi 
conti,  vedrete  se  la  divisione  di  vostra  madre  è  giusta 
o  no;  accomoderete  tutto  con  le  buone, 

—  Ora,  all'  istante  !  —  ripeteva  il  principe  seguendo 
lo  zio  che  s'avviava.  —  Perchè  non  hanno  parlato 
prima?  Non  sono  già  lo  Spìrito  Santo  per  potere  in- 
dovinare ciò   che   mulinano   nelle   teste   bislacche  ! 

—  C'è  tempo!  c'è  tempo!...  —  ripeteva  il  duca, 
conciliante,  senza  far  notare  al  nipote  la  contraddi- 
zione in  cui  cadeva,  avendo  prima  asserito  di  saper 
dei  complotti.  —  Non  la  pigliare  cosi  calda  !  Parlerò 
con  Raimondo,  poi  con  gli  altri  ;  la  roba  è  li  ;  vedrete 
che  non  ci  saranno  quistioni —  A  proposito  — -  esclamò, 
giunto  sull'uscio  e  voltandosi  indietro.  —  Che  cosa  è 
l'affare   della  badia? 

—  Qual  aifare?...   —  rispose  il  principe,   stupito. 

—  Il  legato   delle  messe Le  mille   onze  che   non 

vuoi  dare  ad  Angiolina 

—  Le  mille  onze?  Io  non  voglio  darle?...  —  esclamò 
allora  Giacomo.  —  Ma  non  vede  Vostra  Eccellenza 
come  sono  tutti  d'una  razza,  falsi  e  bugiardi?  Io  non 
le  voglio  dare  ?  mentre  invece  il  legato  di  nostra  madre 
è  nullo,  perchè  importa  l' istituzione  d'un  benefizio,  e 
le  istituzioni  di  benefizio  non  reggono  quando  manca 
l'approvazione   sovrana?... 

Nella  Sala  Gialla  don  Blasco  rodevasi  le  unghie,  sa- 
pendo quella  bestia  del  fratello  in  confabulazione  col 
nipote  e  non  potendo  udire  i  loro  discorsi.  Dalla  con- 
trarietà, stronfiava,  spasseggiava  in  lungo  e  in  largo, 
non  udiva  neppure  quel  che  dicevano  intorno  a  lui. 

Era  arrivata  la  cugina  Graziella,  la  quale  cicalava 
con  la  principessa,  con  Lucrezia  e  con  donna  Ferdi- 
nanda ;  meno  con  Matilde,  per  mostrar  di  partecipare 
ai  sentimenti   degli   Uzeda  verso  l' intrusa.   Aveva  ere- 


—   131  — 

duto  di  poter  entrare  anche  lei  in  casa  Francalanza, 
la  cugina  ;  di  prendersi  anzi  il  primo  posto,  come  m.oglie 
del  principe  Giacomo,  ma  l'opposizione  della  zia  Te- 
resa aveva  trionfato  di  lei  e  del  giovane.  Invece  che 
«  Principessa  »,  s'era  chiamata  semplicemente  «  signora 
Carvano  »,  ma  quantunque  il  cugino,  presa  la  moglie 
che  la  madre  gli  destinava,  si  fosse  posto  il  cuore  in 
pace  e  paresse  perfino  aver  dimenticato  che  fra  loro 
due  c'erano  state  un  tempo  parole  tènere,  ella  aveva 
continuato  a  fare  all'amore,  se  non  con  lui,  con  la  sua 
casa.  C'era  venuta  assiduamente,  aveva  stretto  ami- 
cizia con  la  principessa  Margherita  e  indotto  il  marito 
a  fare  anche  lui  la  corte  a^li  Uzeda,  e  tenuto  a  bat- 
tesimo Teresina  e  dimostrato  in  ógni  modo  e  in  tutte 
le  occasioni  che  le  antiche  fallite  speranze  non  potevano 
intepidire  in  lei  l'affezione  verso  tutti  i  cugini.  Du- 
rante la  malattia  e  dopo  la  morte  di  donna  Teresa, 
specialmente,  donna  Graziella  era  quasi  diventata  una 
persona  della  famiglia  ;  tutti  i  giorni  e  tutte  le  sere  a 
prender  notizie,  a  prodigar  conforti,  a  suggerir  con- 
sigli, a  rendersi  utile  con  le  parole  e  con  le  opere.  La 
principessa  non  solo  non  aveva  ragione  di  esserne 
gelosa,  poiché  Giacomo  dimostrava  tanta  indifferenza 
verso  la  cugina  che  certe  volte  neppure  le  rivolgeva 
la  parola  e,  smesso  il  tu,  le  dava  del  freddo  voi  ;  ma 
era  {>erfìno  incapace  di  provare  gelosia  o  qualunque 
altro  sentimento  per  lei  come  per  ogni  persona,  tanto 
la  naturale  indolenza  e  il  bisogno  d' isolamento  e  la 
soggezione  in  cui  la  teneva  il  marito  la  rendevano  in- 
differente a  tutto  ed  a  tutti  fuorché  ai  proprii  figli. 

Quel  pomeriggio  appunto,  dopo  tavola,  la  balia  era 
venuta  a  dirle  che  la  bambina  tossicchiava  un  poco  ; 
cosa  da  nulla,  certo;  ma  ella  se  n'era  inquietata,  e  la 
cugina,  trovata  quella  dispiacevole  .  novità,  faceva 
sfoggio  della  sua  scienza  medica,  consigliando  la  som- 
ministrazione di  polveri  e  di  decotti  alla  figlioccia,  as- 
sicurando però  che  il  male  non  era  grave,  sgridando 
nondimeno  la  balia  che  aveva  dovuto  lasciare  il  bal- 
cone aperto. 


—    132  — 

Raimondo  che,  d'ordinario,  scappava  via  appena  fi- 
nito di  prendere  un  boccone,  pareva  volesse  restare 
in  casa,  per  suo  piacere  ;  e  Matilde,  tutta  riconfortata, 
dimenticata  a  un  tratto  la  tristezza  d'un'ora  innanzi, 
Io  seguiva  con  lo  sg-uardo  ridente.  Era  cosi  fatta  che 
una  parola,  un  nulla  la  turbavano  e  la  rassicuravano  : 
e  chiedeva  tanto  poco  per  esser  felice!  Se  egli  fosse 
stato  sempre  cosi,  se  avesse  dedicato  una  parte  del 
suo  tempo  alla  famiglia,  se  avesse  prodigato  alla  sua 
bambina  le  carezze  che  quella  sera  faceva  al  princi- 
pino!... Questi,  nel  gruppo  degli  uomini,  ripeteva  le 
declinazioni  al  cavaliere  don  Eugenio,  il  quale  s'era 
costituito  suo  maestro,  tra  gli  applausi  dei  lavapiatti 
ad  ogni  risposta  azzeccata  ;  ma  cominciando  a  con- 
fondersi, ad  imbrogliarsi  : 

—  E  non  lo  tormentare  più,  povero  bambino!...  — 
esclamò  donna  Ferdinanda.  —  Qui,  con  la  zia!...  Ti 
rompono  la  testa  con  tutte  queste  storie,  eh?...  Ri- 
spondi loro  :   «  Debbo  forse  fare  il  mastro  di  penna?  » 

Don  Eugenio,  udendo  disprezzare  le  belle  lettere, 
rispose  : 

—  Bisogna  studiare,  invece!...  L'uomo  tanto  più 
vale  quanto  più  sa  !  E  poi  bisogna  che  tu  faccia  onore 
al  nome  che  jxirti  ;  tra  i  tuoi  antenati  c'è  don  Ferrante 
Uzeda,   gloria  siciliana  ! 

—  Don  Ferrante  ?  —  esclamò  la  zitellona.  —  Che 
fece   don  Ferrante  ? 

—  Come,  che  fece  ?  Tradusse  Ovidio  dal  latino, 
commentò  Plutarco,  illustrò  le  antichità  patrie  :  templi, 
monete,  medaglie — 

—  Aaah  !...  Aaah  !...  —  Donna  Fernanda  era  scop- 
piata in  una  risata  che  non  finiva  più,  che  si  risolveva 
in  spruzzi  di  saliva  tutt'in  giro.  Il  cavaliere  rimase  a 
bocca  aperta,  don  Cono  non  sapeva  che  viso  fare. 

—  Aaah  !...  Aaah  !...  —  continuava  a  ridere  donna 
Ferdinanda.  —  Don  Ferrante!  Aaah!...  Don  Ferrante 
sai  che  fece  ?...  —  spiegò  finalmente,  rivolta  al  nipotino. 
—  Teneva  quattro  mastri  di  penna,   pagati  a  ragione 


—   ^33  — 

di  due  tari  il  giorno,  i  quali  lavoravano  per  lui;  poi, 
quando  essi  avevano  scritto  i  libri,  don  Ferrante  ci 
faceva  stampare  su  il  proprio  nome!...  Aaah  !...  Che 
sapesse  leggere,  ci  ho  i  miei  bravi  dubbii  !... 

Allora  s'impegnò  una  gran  discussione.  Don  Cono 
e  il  cavaliere  sostenevano,  a  vicenda,  che  se  l'antenato 
non  aveva  scritto  materialmente  le  sue  opere,  ne  aveva 
però  dettato  il  contenuto  ;  tant'è  vero  che  le  accademie 
di  Palermo,  Napoli  e  Roma  lo  avevano  annoverato  tra 
i  loro  socii  ;  ma  la  zitellona  interrompeva  :  «  Fatemi 
il  piacere!...  »  intanto  che  la  cugina,  scrollando  il 
capo,  affermava  che,  veramente,  gli  studii  non  erano 
stati   il  forte  dell'antica  nobiltà. 

—  Il  forte  ?  —  esclamava  la  zitellona.  —  Ma  fino 
ai  miei  tempii  era  vergogna  imparare  a  leggere  e  scri- 
vere !  Studiava  chi  doveva  farsi  prete  !  Nostra  madre 
non  sapeva  fare  la  propria  firma 

— .  Era  forse  una  bella  cosa  ?  —  obbiettò  don 
Eugenio. 

—  Non  mi  parlare  anche  tu  del  progresso  !  —  saltò 
su  donna  Ferdinanda.  —  Il  progresso  importa  che  un 
ragazzo  debba  rompersi  la  testa  sui  libri  come  un  ma- 
stro notaio  !  xA^i  miei  tempi,  i  giovanotti  imparavano  la 
scherma,  andavano  a  cavallo  e  a  caccia,  come  avevano 
fatto  i  loro  padri  e  i  loro  nonni!... 

E  mentre  don  Mariano  approvava,  con  un  cenno 
del  capo,  la  zitellona  si  mise  a  tesser  l'elogio  di  suo 
nonno,  il  principe  Consalvo  VI,  il  più  compito  cava- 
liere dei  suoi  tempi.  Aveva  avuto  una  cosi  grande  pas- 
sione pei  cavalli,  che,  d'  inverno,  ogni  anno,  si  faceva 
costruire  un  passaggio  coperto  in  mezzo  alla  pubblica 
via,  aftinché  i  suoi  nobili  animali  restassero  sempre  al- 
l'asciutto. 

—  E  le  altre  persone  potevano  passarci  ?  —  do- 
mandò il   principino. 

—  Potevano  passarci  quando  non  era  l'ora  della 
passeggiata  del  principe,  —  rispose  donna  Ferdinanda. 
—  Se  usciva  lui,  tutti  si  tiravano  da  parte  !...  Una  volta 


— '  134  — 

che  il  capitano  di  giustizia  con  la  carrozza  propria  ardi 
passar  innanzi  alla  sua,  sai  che  fece  mio  nonno?  Lo 
aspettò  al  ritorno,  ordinò  al  cocchiere  di  buttargli  ad- 
dosso i  cavadli,  gli  fracassò  il  legno  e  gli  pestò  le  co- 
stole !...  Si  facevano  rispettare  i  signori,  a  quei  tempi.... 
non  come  ora,  che  danno  ragione  agli  scalzacani  !... 
La  botta  era  tirata  al  duca  che  rientrava  in  quel 
niiomento  nella  Sala  Gialla  insieme  col  principe.  Don 
B'iasco,  interrotta  finalmente  la  sua  corsa,  piantò  gli 
occhi  addosso  al  fratello  e  al  nipote. 

—  Che  diavolo  hai  fatto?  —  disse  al  principe. 

—  Nulla...  avevo  certe  notizie  da  domandare  allo 
zio 

Sopravvennero  in  quel  momento  Chiara  e  il  mar- 
chese. Lucrezia,  ancora  imbronciata,  salutò  fredda- 
mente la  sorella;  ma  costei  jion  s'accorgeva  di  nulla, 
nei'vosa  com'era,   tutta  piena  d'una  secreta  idea. 

—  Margherita,  • —  sussurrò  alla  cognata,  in  confi- 
denza —  questa  volta  credo  sia  per  davvero  !...  — 
Erano  quelli  i  sintomi  ?  Poteva  ingannarsi  ?  Tante 
volte  aveva  sperato  d'apporsi  e  festeggiato  invano 
J 'avvenimento,  che  adesso  non  ardiva  piij  annunziare 
apertamente  la  gravidanza  se  non  prirna  la  vedeva 
confermata.  Poi,  lasciata  la  principessa,  prese  a  parte 
Matilde  e  ricominciò  a  dirle  :  —  La  levatrice  n'è  certa  ! 
Tu  che  cosa  provi?...'  Come  ti  sei  accorta?... 

Matilde  non  l'udiva.  Adesso  che  don  Blasco  non 
misurava  piiJ  la  sala  da  un'estremità  all'altra,  Rai- 
mondo aveva  ricominciato  l'armeggio  dello  zio  monaco, 
non  stava  fermo  un  momento,  chiedeva  continuamente 
che  ora  fosse.  Voleva  andar  fuori  ?  Aspettava  qual- 
cuno ?  Ella  era  inquieta  della  sua  inquietudine...  Frat- 
tanto arrivavano  nuove  visite  :  la  duchessa  Radali  e  il 
principe  di  Roccasciano,  donna  Isabella  Persa  col  ma- 
rito. L'entrata  di  quest'ultima  mise  sottosopra  la  so- 
cietà ;  il  principe  che  ordinariamente  non  era  molto 
galante  con  le  signore,  le  andò  incontro  fino  nell'an- 
ticamera;   Raimondo  anche  lui  l'ossequiò  tra  i  primi. 


Ella  portava,  come  sempre,  un  abito  nuovo  fiammante 
che  Lucrezia  esaminava  ora  con  la  coda  dell'occhio,  e 
la  principessa.  Chiara,  tutte  le  altre,  giudicavano  a 
una   voce  elegantissimo. 

—  Manifattura    di    Firenze,    è    vero,    donn'Isabella  ? 

—  domandò  Raimondo. 

—  Si  vede  che  vostro  marito  se  ne  intende,  contessa! 

—  rispose  ella,   indirettamente,  volgendosi  a  Matilde. 
Don  Mariano  parlava  della  parata  della   Regina,    di 

cui  quel  giorno  era  il  natalizio;  Fersa  del  colera,  della 
quarantena  di  dieci  giorni  decretata  allora  allora  contro 
le  provenienze  da  Malta,  della  fiera  di  Noto  rimandata, 
del  pericolo  che  correva  un'altra  volta  la  Sicilia;  e  il 
vocione  di  don  Blasco  rispondeva  : 

—  Questa  è  l'impresa  di  Crimea  !  Il  regalo  dei  fra- 
telli piemontesi,  capite? 

Il  duca,  quasi  non  comprendesse  che  l'allusione  era 
diretta  a  lui,  ripigliava  il  discorso  della  guerra  inter- 
rotto a  tavola,  diceva  che  Cavour  l'aveva  sbagliata. 
La  via  era  un'altra  :  raccogliersi,  restarsene  tranquilli, 
curare  le  piaghe  del  '48.  Con  lo  Stato  indebitato  fin 
agli  occhi,  come  poteva  pensare  a  fare  nuovi  debiti? 
«  È  un  principio  d'economia  politica —  »  e  qui,  col 
tono  d'autorità  portato  da  Palermo,  un  discorsone  che 
faceva  inghiottire  botti  di  veleno  a  don  Blasco,  lardel- 
lato com'era  di  citazioni  giornalistiche  e  parlamentari, 
infettato  da  teorie  liberalesche.  Il  principe,  udendo 
Fersa  esprimere  ancora  una  grande  paura  del  colera, 
scrollava  il  capo  : 

— •  Se  a  Napoli  hanno  ordinato  di  spargerlo  un'altra 
volta.... 

Come  credeva  alla  iettatura,  era  incrollabile  nell'opi- 
nione che  il  colera  fosse  un  malefizio,  un  espediente 
di  governo  inteso  a  sfollare  le  popolazioni,  a  incutere 
un  salutare  timore  nei  superstiti.  Dinanzi  allo  zio  duca, 
sapendolo  dell'opinione  contraria,  piìi  «  progressista  », 
cioè  che  la  peste  venisse  per  correnti  atmosferiche, 
taceva    prudentemente  ;    ma   con    Fersa    si    sbottonava, 


-   136  — 

derideva    le    quarantene     e    tutti    gli    altri    amminnicoli 
fatti  per  darla  a  bere  ai  gonzi. 

—  Non  date  retta  a  queste  malinconie  !  —  diceva 
frattanto  Raimondo  a  donn'  Isabella,  a  fianco  della 
quale  s'era  seduto.  —  Andrete  alla  serata  di  gala? 

—  Si,  conte;  abbiamo  il  palco. 

— •  Che   rappresentano  ?  —  domandò  la  principessa. 

—  L'Elvira  di  Holbein  e  Un'eredità  in  Corsica  di 
Dumanoir.  Peccato  clie  voi  non  possiate  sentire  Dome- 
niconi,  principessa.   Che  artista  !   E  che  compagnia  ! 

Anche  don  Eugenio  rammaricavasì  di  non  poter  re- 
carsi al  Comunale,  per  far  sapere  che,  in  qualità  di 
Gentiluomo  di  Camera,  era  stato  invitato  nei  palchi 
deli'  Intendente.  Ma  egli  aveva  da  concludere  un  af- 
fare, quella  sera  :  la  vendita  di  certe  terrecotte  «im- 
portantissime »,  suUe  quali  avrebbe  fatto  un  bel  gua- 
dagno :  aspettava  anzi  per  questo  il  principe  di  Rocca- 
sciano,  anche  egli  intenditore  ed  amatore  di  roba  antica. 

—  vS'ha  un  bel  dire,  quindici  mila  uomini,  —  pero- 
rava il  duca  da  canto  suo.  — ^  E  se  la  guerra  dura  un 
altro  anno  ?  altri  due,  altri  tre  anni  ?  Bisognerà  mandar 
nuove  truppe,   far  nuove  spese,  accrescere  il  deficit 

—  A  Messina  aspettano  l'arciduca  Massimiliano. 
~ —  Verrà  anche  da  noi  ? 

Raimondo,  a  quella  domanda  di  Don  Mariano,  saltò 
su  come  morso  da  una  vespa  : 

—  E  che  volete  che  venga  a  fare  ?  Per  vedere  l'ele- 
fante di  piazza  del  Duomo?  \^oialtri  vi  siete  fitto  in 
capo  che  questa  sia  una  città,  e  non  volete  capire  che 
invece  è  un  miserabile  paesuccio  ignorato  nel  resto 
del  mondo.  Donn'  Lsabella,  dite  voi  :  quando  mai 
l'avete  udito  nominare,   fuori?... 

—  È  vero,  è  vero  !... 

Ella  agitava  con  moto  graziosamente  indolente  il 
ventaglio  di  madreperla  e  merletti,  dando  ragione  a 
Raimondo  contro  il  paese  nativo;  e  la  contessa  Matilde 
non  sapefa  perchè  la  vista  di  quella  donna,  le  sue  pa- 
role, i   suoi  gesti,  le  ispirassero  una  secreta  antipatia. 


—  137  — 

Forse  perchè  l'udiva  approvare  il  sentimento  di  Rai- 
mondo che  ella  perdonava  al  marito  ma  biasimava 
neg;li  altri  ?  Forse  perchè  scorgeva  in  tutta  la  persona 
di  lei,  nella  ricchezza  immodesta  degli  abiti,  nell'ele- 
ganza affettata  degli  atteggiamenti,  qualcosa  di  stu- 
diato e  d'infinto?  Forse  perchè  tutti  gli  uomini  le  si 
mettevano  intorno,  perchè  ella  li  guardava  in  un  certo 
modo,  troppo  ardito,  quasi  provocante  ?  O  perchè,  una 
volta  al  suo  fianco,  Raimondo  non  si  moveva  più,  pa-- 
reva  non  volesse  più  andar  fuori,  non  aspettar  più 
nessuno  ?... 

Ingolfato  nel  suo  tema  prediletto,  egli  parlava  adesso 
a  vapore,  enumerando  tutti  i  vantaggi  della  vita  nelle 
grandi  città,  interrompendosi  tratto  tratto  per  doman- 
dare a  donn'Isabella  :  «  È  vero  o  no?  »  oppure  :  «  Par- 
late voi  che  ci  siete  stata!...»  ripigliando  a  descri- 
vere la  grande  società,  gli  spettacoli  sontuosi,  i  pia- 
ceri ricchi  e  sig^norili.  E  donna  Isabella  a  chinare  il 
capo,  ad  aggiungere  argomenti  : 

—  Quando  vedremo,  per  esempio,  le  corse  fra  noi  ? 

Giusto  in  quel  momento,  don  Giacinto  entrò  nella  sa- 
la. Era  cosi  turbato  in  viso  e  si  capiva  così  chiaramente 
che  portava  una  cattiva  notizia,  che  ognuno  tacque. 

— •  Non  sapete  ? 

—  Che   cosa?...    Parlate!... 

— .  Il  colera   è   scoppiato  a   Siracusa!... 
Tutti  lo  circondarono  : 

—  Come?  Chi  ve  l'ha  detto? 

—  Mezz'ora   fa,    alla    farmacia    Dimenza....    Notizia 
sicura,  viene  dall'Intendenza  !...  Colera  di  quello  buono  :  *' 
fulminante  !... 

Subito,  come  se  l'annunziatore  lo  portasse  addosso,  la 
conversazione  si  sciolse  in  mezzo  ai  commenti  spaven- 
tati, alle  esclamazioni  dolenti  :  Raimondo  accompagnò 
giù  alla  carrozza  donna  Isabella  dandole  il  braccio; 
don  Blasco  vociava,  in  mezzo  alla  scala,  sotto  il  naso 
del  duca  che  andava  a  verificar  la  cosa  : 

—  Il  regalo  dei  fratelli!...  Ah,  Radesky,  dove  sei  !...  y 
Ah,    un   altro   Quarantanove  !... 


~  138  - 


V. 


Og-ni  altro  interesse  cede  come  per  incanto  dinanzi 
all'universale  inquietudine  per  la  salute  pubblica,  giac- 
ché della  notizia  iportata  da  don  Giacinto,  sulle  prime 
smentita,  poi  confermata,  non  fu  possibile  piij  dubitare 
quando,  di  li  a  qualche  giorno,  non  si  parlò  più  di  casi 
sospetti  a  Siracusa,  ma  del  divampare  del  morbo  a  Noto. 
Il  duca,  deliberato  di  tornarsene  a  Palermo  prima  che 
le  cose  incalzassero  e  la  via  fosse  chiusa,  resistè  osti- 
natamente agli  inviti  del  principe,  il  quale  s'apparec- 
chiava a  partire  pel  Belvedere  all'annunzio  del  primo 
caso  in  città.  L'anno  innanzi,  come  nel  '37,  gli  Uzeda 
erano  scappati  alla  loro  villa  sulle  pendici  della  mon- 
tagna, e  poiché  il  colera  non  arrivava  mai  lassù,  erano 
certi  di  liberarsene.  Il  principe,  smessa  a  un  tratto 
l'acredine,  riparlava  d'accordo  e  d'unione,  voleva  tutti 
con  lui  al  sicuro,"  tutti  gli  zìi,  tutti  i  fratelli.  Quan- 
tunque non  fosse  tempo  di  trattar  d'affari,  nondimeno, 
per  dimostrare  al  nipote  d'aver  preso  a  cuore  i  suoi 
interessi,  il  duca,  prima  di  partire,  riferì  a  Raimondo 
il  discorso  delle  cambiali  e  lo  esortò  a  mettersi  d'accordo 
col  fratello.  Raimondo  lo  ascoltò  distrattamente,  e  gli 
ristpose  quasi  infastidito  :  «  Va  bene,  va  bene  ;  poi  se 
ne  parlerà » 

Anch'egli  s'era  mutato,  ma  al  contrario  di  Giacomo, 
in  peggio  ;  era  diventato  nervoso,  irascibile,  verboso  e 
di  buon  umore  solo  quando  donna  Isabella  veniva  al 
palazzo.  I  Persa  non  sapevano  ancora  dove  fuggire  il 
colera  :  il  principe  consigliava  loro  di  prendere  in  affitto 
una  casa  al  Belvedere,  per  esser  vicini;  e  a  donna  Isa- 


—  139  — 

bella  sorrideva  molto  quel  partito,   benché  sua  suocera 
preferisse  rifugiarsi  a  Leonforte,  come  l'altr'anno. 

—  Voi  dove  andrete  ?  —  domandava  a  Raimondo  ; 
e  il  giovane  che  le  si  trovava  sempre  a  fianco  : 

—  Dove  andrete  voi  stessa  ! 

Ella  chinava  gli  occhi,  con  una  severa  espressione  di 
biasimo,   quasi  offesa. 

—  E  vostra  moglie?  Vostra  figlia  ? 

—  Parliamo  d'altro  ! 

Nonostante  l'allarme  cagionato  dalla  pestilenza,  l' in- 
trinsichezza delle  due  famiglie  si  strinse  ancora  più  in 
quei  giorni.  Persa,  che  era  stato  sempre  lieto  e  superbo 
di  venire  al  palazzo  Francalanza,  adesso  godeva  nel- 
l'esservi  ricevuto  con  segni  di  particolare  gradimento  ; 
non  solo  Raimondo,  ma  anche  e  forse  piti  Giacomo  di- 
mostrava molto  piacere  in  compagnia  di  lui  e  di  donna 
Isabella  :  quando  sua  moglie  andò  fuori  la  prima  volta, 
dopo  il  lutto,  e,gli  volle  che  facesse  loro  una  visita  ; 
la  contessa,  per  desiderio  del  marito,  accompagnò  la 
cognata. 

Da  sola,  Matilde  forse  non  sarebbe  andata  in  casa 
di  quella  donna.  Non  voleva  chiamare  gelosia  il  senti- 
mento che  le  ispirava  :  se  Raimondo,  galante  con  tutte, 
stava  attorno  a  costei  che  tutti  gli  uomini  accerchia- 
vano, non  era  già  meraviglia;  ella  stessa  non  ne  rice- 
veva continue  proteste  di  calda  amicizia?...  Pure,  tutte 
le  volte  che  donna  Isabella  la  abbracciava  e  la  baciava, 
ella  doveva  farsi  forza  per  non  sottrarsi  a  quella  dimo- 
strazione d'affetto.  Non  sapeva  bene  rendersi  conto  della 
repulsione  quasi  istintiva  che  provava  ogni  giorno  più 
forte;  quando  tentava  di  spiegarla  a  se  stessa,  l'attri- 
buiva più  che  ad  altro  alla  radicale  diversità  del  loro 
carattere;  alla  leggerezza,  all'affettazioi^,  alla  man- 
canza di  schiettezza  che  le  pareva  scorgere  in  lei.  Non 
l'aveva  anch'ella  udita  la,gnarsi,  a  mezze  parole,  con 
allusioni  velate,  dei  parenti  del  marito  e  dello  stesso 
marito  ;  mentre  ella  vedeva  bene,  quasi  invidiandola, 
la  devozione  portatale  da  Persa,   e   udiva   ripetere  che 


—  140  — 

la  suocera  la  trattava  meg-lio  d'una  figliuola?  Andata 
a  farle  visita  in  compagnia  della  principessa,  non  potè 
accertarsene   coi   propri  occhi  ? 

Donna  Mara  Persa  era  una  donna  un  po'  all'antica, 
senza  ombra  d'istruzione,  poco  fine  d'educazione  anche; 
ma  molto  accorta,  e  semplice,  alla  mano  come  una 
buona  massaia.  Aveva  sperato  d'ammogliare  il  fi- 
gliuolo a  modo  suo;  ma  questi,  andato  una  volta  a 
Palermo  e  vista  1'  Isabella  Finto,  orfana  di  padre  e  di 
madre,  l'aveva  chiesta  su  due  piedi,  innamoratissimo, 
allo  zio  materno  dal  quale  era  stata  educata.  Nobilis- 
sima, la  Finto  ;  ma  senza  dote  ;  aveva  però  ricevuto 
un'educazione  oltremodo  signorile  in  casa  dello  zio  fa- 
coltoso. I  Persa,  invece,  benché  ammessi  tra  i  si- 
gnori, nascevano  mediocremente;  donna  Perdinanda, 
estimatrice  ed  amica  di  donna  Isabella,  li  chiamava 
Parsa,  —  farsa  tutta  da  ridere;  —  ma  possedevano 
gran  quantità  di  quattrini.  Donna  Mara,  sulle  prime, 
aveva  tentato  di  opporsi  a  quel  matrimonio;  ma  poiché 
suo  figlio  era  cotto  dell'  Isabella,  e  questa  pareva  più 
cotta  di  lui,  aveva  finalmente  consentito.  Così  la  nuora 
palermitana,  elegante,  istruita  e  nobile,  venne  a  met- 
tere nella  sua  casa  una  rivoluzione,  che  ella  sopportò 
con  molta  buona  grazia,  per  amore  del  figlio,  com- 
prendendo di  non  potersi  opporre  ai  gusti  ed  anche 
alle  fantasie  dei  g"iovani.  Donna  Isabella,  chiamandola 
«  mamma,  »  dimostrandole  il  rispetto  che  le  doveva, 
pareva  scontenta  di  lei,  vergognosa  della  sua  igno- 
ranza e  della  sua  semplicità.  Era  una  cosa  tanto  sot- 
tile, che  Matilde  quasi  incolpavasi  di  cattiveria,  notan- 
dola :  una  specie  di  condiscendente  compatimento 
verso  le  opinioni  della  suocera  come  per  quelle  d' un 
bambino  o  d'un  inferiore;  una  impercettibile  esagera- 
zione d'obbedienza,  una  cert'aria  di  sacrifizio  che  pa- 
reva volesse  ispirare  l'altrui  compianto,  ma  che  riu- 
sciva molto  antipatica  alla  contessa. 

Fer  altro,  questa  era  sicura  di  non  dover  sopportare 
troppo   a   lungo   la   compagnia   di  lei.    La   necessità   di 


-,   141  — 

sistemar  g-l'  interessi  poteva  solo  trattenere  Raimondo 
in  Sicilia,  ma  forse  egli  avrebbe  affrettata  la  partenza 
per  fugg^ire  il  colera.  Già  alle  prime  voci  di  pestilenza, 
inquieta  per  la  lontananza  del  padre  e  della  bambina, 
ella  gli  aveva  domandato  che  volesse  fare  ;  ma  suo 
marito  non  s'era  ancora  deciso.  L'anno  innanzi,  in 
Toscana,  udendo  le  notizie  delle  stragi  di  Sicilia,  del 
pazzo  terrore  che  regnava  nell'isola,  dello  sciogli- 
mento d'ogni  civile  consorzio,  aveva  espresso  la  propria 
soddisfazione  per  essere  lontano  dalla  «  selvaggia  » 
terra  natale,  dove,  diceva,  non  lo  avrebbero  sicura- 
mente capitato  in  tempo  d'epidemia;  per  tanto  ella 
era  quasi  sicura  che  sarebbero  presto  passati  nel  con- 
tinente, prendendo  con  loro  la  bambina  per  via.  Rai- 
mondo invece  pareva  esitante;  se  la  pigliava,  si,  con  la 
cattiva  stella  che  l'aveva  fatto  cogliere  dalla  pesti- 
lenza nella  trappola  isolana,  ma  diceva  di  non  potersi 
mettere  in  viaggio  adesso  che  il  male  era  scoppiato, 
anche  per  riguardo  della  gravidanza  di  lei.  Frattanto 
il  barone  le  scriveva  da  Milazzo  di  raggiungerlo  lassù, 
poiché  il  colera  veniva  dal  mezzogiorno,  e  di  far  presto 
a  lasciar  Catania,  di  non  dar  tempo  alla  gente  S(pa- 
ventata  di  sbarrar  tutte  le  strade.  Cosi,  secondo  che 
le  notizie  incalzavano,  che  le  lettere  del  padre  le  fa- 
cevano maggior  premiura,  che  il  pericolo  di  restar  di- 
visa dalla  sua  bambina  diveniva  più  grave,  il  cuore  di 
lei  si  chiudeva,  dal  terrore,  dall'ambascia,  quasi  ella 
fosse  sul  punto  di  perdere  per  sempre  i  suoi  cari  ;  al- 
lora esortava  più  caldamente  Raimondo  a  prendere  una 
decisione  qualunque,  ad  andar  subito  via  : 

— •  Andiamo  via  !...  Andiamo  per  adesso  a  casa  mia  ! 
Non  voglio  lasciar  sola  Teresina —  .Saremo  anche  più 
lontani   dal    focolaio   della   peste.... 

—  Ho  da  chiudermi  in  un  paesuccio  di  mare,  in 
tempo  di  colera  ?  Per  crepare  come  un  cane  ?  Biso- 
gnerebbe che  fossi  impazzito  !  Scrivi  piuttosto  a  tuo 
padre  e   a   tua   sorella  di   portar   qui  la  bambina. 

Il    barone    invece    tempestò,    di    risposta,    che    per 


—   142  — 

niente  avrebbe  commesso  quella  sciocchezza,  giacché 
il  colera  era  alle  porte  di  Catania,  e  ingiunse  alla  figlia 
di  non  perder  tempo  e  anche  di  lasciar  solo  Raimondo 
se  costui  rifiutavasi  di  accompagnarla....  Allora  ella 
non  seppe  piìi  che  fare  né  chi  ascoltare,  smaniando 
all'  idea  di  restar  divisa  dalla  figlia  e  dal  padre,  non 
tollerando  neppure  d'abbandonare  Raimondo,  poiché 
non  poteva  vivere  lontana  né  dall'uno  né  dagli  altri, 
in  quella  triste  stagione.  Il  giorno  che  il  duca,  fatte  le 
valige,  partì  per  Palermo,  ella  si  vide  perduta.... 

Fino  all'  ultimo  momento  il  principe  aveva  insistito 
presso  lo  zio  affinchè  venisse  con  lui  al  Belvedere  ;  il 
duca  aveva  continuato  a  rifiutare,  adducendo  gli  affari 
che  lo  chiamavano  alla  capitale,  la  maggior  sicurezza 
che  c'era  li. 

—  Non  pensate  a  me,  —  disse  ai  nipoti  ;  —  io  non 
correrò  pericolo;  mettetevi  piuttosto  in  sicuro  voialtri 

—  Vostra  Eccellenza  stia  tranquillo  anche  per  me  ; 
ho  tutto  pronto  per  andar  via  al  primo  allarme,  —  ri- 
spose Giacomo.  Rivolto  al  fratello,  al  quale  aveva  già 
fatto  un   primo  invito,   ripetè,   in  presenza  dì  Matilde  : 

—  Se  volete  venire  anche   voi,  mi  farete  piacere. 

Raimondo  non  rispose.  \'oleva  dunque  davvero  re- 
star diviso  da  sua  figlia  ?  Poteva  così  tranquillamente 
viverne  lontano,  nei  terribili  giorni  che  si  preparavano  ? 
Matilde  piangeva,  scongiurandolo  di  non  far  questa 
cosa  ;   egli  le  rispose,   seccante  : 

—  Non  so  ancora  ciò  che  farò.  A  Milazzo  non  vado 
di  sicuro. 

—  Lasceremo  dunque  sola  quella  creatura  ?  Se  im- 
pediranno il  transito,  se  non  potremo  piìi  vederla  ? 

—  Prima  di  tutto  tua  figlia  non  è  abbandonata  in 
mezzo  a  una  via,  ma  sta  col  nonno  e  la  zia.  Poi,  se 
quella  testa  dura  di  tuo  padre  m'avesse  ascoltato,  a 
quest'ora  l'avrebbe  portata  qui,  e  saremmo  pronti  ad 
andarcene  tutti  insieme  al  Belvedere,  dove  non  c'è  nep- 
pure l'ombra  del  pericolo....  Insomma  a  Milazzo  non 
vengo;  già  si  parla  di  casi  sospetti  a  Messina.  Vat- 
tene  sola,   se  vuoi. 


—   H3  — 

E  tutti  gli  Uzeda,  quasi  godendo  dell'ambascia  di 
lei,  quasi  per  non  lasciarla  scappare  dalle  loro  unghie, 
ajpprovavano,  dicevano  che  oramai  ciascuno  doveva  re- 
star dov'era.  E  suo  padre  la  rimproverava  acremente 
di  ostinazione  e  d'egoismo,  mentre  ella  credeva  d'im- 
pazzire, sognando  tutte  le  notti  sogni  spaventosi  di 
lente  agonie,  di  separazioni  senza  ritorno,  di  spietate 
torture;  piangendo  come  morta  la  sua  bambina,  l'altra 
creatura  che  s'agitava  nelle  sue  viscere;  vedendo  suo 

padre    e    Raimondo    avventarsi    l'uno    contro    l'altro 

E  un  giorno  terribile  come  una  notte  d'incubo  il  prin- 
cipe venne  a  dire  che  il  primo  caso  s'era  manifestato  in 
città,  che  le  strade  si  chiudevano,  che  bisognava  su- 
bito partire  pel  Belvedere  . —  dove  anche  i  Persa  sa- 
rebbero  venuti 

La  villa  Francalanza,  al  Belvedere,  era  tuttavia  nello 
stato  in  cui  trovavasi  tre  mesi  addietro,  al  momento 
della  morte  della  principessa.  Là  si  riunirono,  con  la 
rispettiva  servitù,  la  famiglia  del  principe  ed  i  suoi 
ospiti,  cioè  Chiara  e  il  marchese,  donna  Ferdinanda,  il 
cavaliere  don  Eugenio,  Raimondo  e  sua  moglie.  Ferdi- 
nando non  aveva  voluto  sentirne  di  lasciar  le  Ghiande  : 
c'era  rimasto  pel  colera  dell'altr'anno,  voleva  restarci 
anche  per  quest'altro,  dichiarando  che  nessun  luogo  of- 
friva maggiori  garanzie  d'immunità.  Don  Blasco  e  il 
Priore  don  Lodovico  erano  già  scappati,  con  tutti  i  mo- 
naci  di  San   Nicola,   a  Nicolosi. 

La  villa  degli  Uzeda  era  tanto  grande  da  capire  un 
reggimento  di  soldati,  non  che  gì'  invitati  del  principe; 
ma,  come  il  palazzo  in  città,  a  furia  di  modificazioni  e 
di  successivi  riadattamenti,  pareva  composta  di  parec- 
chie fette  di  fabbriche  accozzate  a  casaccio  :  non  c'e- 
rano due  finestre  dello  stesso  disegno  né  due  facciate 
dello  stesso  colore  ;  la  distribuzione  interna  pareva  l'o- 
pera d'un  pazzo,  tante  volte  era  stata  mutata.  Altret- 
tanto avevano  fatto  dell'annesso  podere.  Un  tempo, 
sotto  il  principe  Giacomo  XIII,   questo  era  quasi  tutto 


-^  144  -, 

un  g-lnrdino  veramente  signorile;  amante  dei  fiori,  il 
principe  aveva  sostenuto  per  essi  una  delle  tante  spese 
folli  che  erano  state  causa  della  sua  rovina  :  aveva 
fatto  scavare  un  pozzo  per  trovare  l'acqua,  a  traverso 
le  secolari  lave  del  Mongibello,  fino  alla  profondità  di 
cento  canne;  lavoro  tutto  di  braccia,  di  colpi  di  pic- 
cone, durato  qualcosa  come  tre  armi.  Trovata  final- 
mente l'acqua,  che  un  bindolo  tirava  su,  egli  giudicò 
che  la  cultura  della  vigna  poteva  vantaggiosamente 
esser  sostituita  da  quella  degli  agrumi  :  quindi  sradicò, 
in  quel  tratto  del  podere  non  ancora  trasformato  in 
giardino,  tutte  quante  le  viti  per  piantare  aranci  e  li- 
moni. Così  le  spese  sostenute  da  suo  nonno  per  co- 
struire il  palmento  e  la  cantina  andarono  perdute.  Ma, 
venuta  donna  Teresa,  ogni  cosa  fu  messa  nuovamente 
sossopra.  I  fiori  essendo  «  roba  che  non  si  mangia  » 
rose  e  gelsomini  furono  divelti,  i  pilastri  ridotti  a  mat- 
toni, la  serra  trasformata  in  istalla  pei  muli  ;  e  il  vino 
avendo  maggior  prezzo  degli  agrumi,  i  bei  piedi  d'a- 
ranci e  di  limoni,  tirati  su  con  tanta  fatica,  furono  sa- 
crificati alle  viti.  Restò  appena  quattro  palmi  di  giar- 
dino, tra  il  cancello  e  la  casa,  e  tanti  piedi  d'agrumi 
quanti  bastavano  a  far  la  limonata  in  tempo  d'estate. 
Cosi  tutte  le  somme  buttate  nel  pozzo  furon  buttate 
nel  pozzo  davvero. 

Ora,  appena  giunto,  il  principe  ricominciava  anche 
qui  l'opera  innovatrice  iniziata  al  palazzo.  Per  verità, 
egli  non  toccava  il  podere,  giudicando,  come  la  madre, 
che  le  rose  tisicuzze  arrampicate  sull'inferriata  e  sui 
muri  della  villa  bastassero  pel  godimento  della  vista 
e  dell'olfatto,  e  che  i  cavoli,  le  lattughe  e  le  cipolle 
stessero  molto  meglio  nelle  antiche  aiuole  fiorite  :  ma, 
chiamati  i  manovali,  ordinò  che  buttassero  giù  muri 
e  dividessero  stanze  e  condannassero  porte  e  forassero 
nuove  finestre.  Era  d'eccellente  umore  e  trattava  be- 
nissimo i  suoi  ospiti  ;  faceva  una  corte  devota  alla  zia 
Ferdinanda,  usava  molte  cortesie  al  fratello  ed  alle 
sorelle,    al    cognato   marchese    ed    alla    stessa    cognata 


—  145  — 

Matilde;  naturalmente,  considerata  la  stagione,  nes- 
suno parlava  d'affari.  Molto  più  contenta  di  lui  era 
Lucrezia,  poiché  i  Giulente,  che  in  città  non  avevano 
casa  propria,  posisedevano  una  delle  più  graziose  ville 
del  Belvedere,  e  venuto  lassù  con  la  famiglia  alle  prime 
voci  di  colera.  Benedetto  passava  e  spassava  ad  ogni 
ora  del  giorno  dinanzi  al  cancello  dei  Francalanza. 
Contentone  era  anche  il  marchese,  e  Chiara  non  ca- 
piva nella  pelle,  poiché  i  sintomi  della  gravidanza  si 
confermavano;  marito  e  moglie  s'angustiavano  soltanto 
per  non  poter  preparare  il  corredo  del  nascituro.  La 
stessa  donna  Ferdinanda  si  mostrava  più  accostabile, 
addomesticata  dall'ospitalità  che  il  principe  le  accor- 
dava, contenta  di  poter  risparmiare  la  spesa  dell'af- 
fìtto d'un  villino  —  non  quella  del  vitto,  perchè  cia- 
scuno degli  ospiti  ci  stava  a  suo  costo.  Ma  il  più  con- 
tento di  tutti  era  il  principino  ;  mattina  e  sera  nella  vi- 
gna, nel  giardinetto,  a  zappare,  a  trasportar  terra, 
a  costruire  case  di  creta;  poi,  quand'era  stanco  di 
queste  occupazioni,  su  a  cavallo  d'un  asino  o  d'una 
mula  a  scorrazzare  di  qua  e  di  là,  e  se  il  cameriere, 
o  il  fattore  o  le  altre  sue  guide  non  lo  lasciavano  an- 
dare dove  gli  talentava,  dava  all'uomo  le  frustate  che 
sarebbero  toccate  alla  bestia.  Solamente  la  vista  del 
padre  l' infrenava,  perchè  il  principe  lo  aveva  educato 
a  tremare  a  un'occhiata;  ma  tutti  gli  altri  parenti  lo 
lasciavano  fare.  La  principessa  lo  contentava  ad  un 
cenno;  la  zia  Ferdinanda  contribuiva  anche  a  viziarlo, 
come  erede  del  principato;  ma  don  Eugenio  lo  con- 
tristava adesso  peggio  che  in  città  con  le  sue  lezioni. 
Il  ragazzo,  quando  stava  attento,  comprendeva  tutto, 
però  il  difficile  era  appunto  che  stesse  tranquillo. 
«  Studia  adesso,  se  no  tuo  padre  ti  metterà  in  colle- 
gio !  ))  ammoniva  lo  zio  ;  e  infatti  il  principe  aveva  più 
d'una  volta  espresso  l'intenzione  di  mandar  via  di  casa 
il  figliuolo,  di  metterlo  o  al  collegio  Cutelli  fondato  per 
educare  la  nobiltà  «  all'uso  di  Spagna  »  oppure  al  Novi- 
ziato dei  Benedettini,  dove  i  giovani  che  non  volevano 

De   Roberto.    /    Viceré    -   I  10 


—   146  — 

pronunziare  i  voti  ricevevano  una  educazione  non  meno 
nobile.  Consalvo  non  voleva  andare  né  all'  uno  né  al- 
l'altro posto,  e  la  minaccia  era  tale  che  egli  si  decideva 
a  fare  asteggiature  e  a  recitare  le  declinazioni;  in  pre- 
mio, don  Eugenio  lo  conduceva  con  sé  per  le  cam- 
pagne di  Mompileri,  dove,  pochi  giorni  dopo  il  suo 
arrivo  al  Belvedere,  aveva  cominciato  a  fare  certe  gite 
misteriose. 

Circa  due  secoli  prima,  nel  1669,  '^  1^"^^  dell'Etna 
avevano  coperto,  da  quelle  parti,  un  villaggetto  chia- 
mato Massa  Annunziata  del  quale,  piij  tardi,  s'eran 
per  caso  trovate  alcune  vestigia.  Ora  don  Eugenio, 
che  dal  commercio  dei  cocci  non  ricavava  molti  gua- 
dagni, aveva  concepito,  pensando  sempre  a  un  gran 
colpo  capace  d'arricchirlo,  il  disegno  d'iniziare  una 
serie  di  scavi  come  quelli  visti  ad  Ercolano  e  a  Pompei, 
per  discoprire  al  sepolto  paesuccio  ed  arricchirsi  con  le 
monete  e  gli  oggetti  che  avrebbe  sicuramente  rinve- 
nuti. Il  secreto  era  necessario,  affinchè  altri  non  gli 
portasse  via  l'idea;  perciò,  solo  o  accompagnato  dal 
ragazzo,  che  andava  per  conto  suo  a  caccia  di  lucer- 
tole e  di  farfalle,  il  cavaliere  gironzava  nei  campi  di 
ginestre  e  dì  fichi  d'  India  sotto  Mompileri,  con  antichi 
libri  in  mano,  orientandosi  per  mezzo  dei  campanili  di 
Nicolosi  e  di  Torre  del  Grifo,  studiando  la  posizione, 
pigliando  misure,  a  rischio  di  farsi  accoppare  come 
untore  dai  mulattieri  e  dai  pecorai  che  lo  scorgevano 
in  quelle  attitudini  sospette.  Ma  non  bastava  mante- 
nere il  secreto  sull'idea;  bisognava  anche  spender  molti 
quattrini  per  tradurla  in  atto.  Un  giorno  perciò  don 
Eugenio  chiamò  il  principe  in  disparte  e  gli  comunicò 
con  gran  mistero  il  suo  disegno,  chiedendogli  di  anti- 
cipargli le  spese  degli  scavi. 

—  Vostra  Eccellenza  scherza,  o  dice  davvero?  Sca- 
var la  montagna,  per  trovar  che  cosa  ?  Scodelle  del- 
l'altr'ieri  e  qualche  pezzo  di  rame  ?  Bisognerebbe  esser 
matti  !... 

Indirettamenie,  il  principe  dava  del  matto  a  lui  stesso 


— .  147  — 

con  quella  risposta  che  non  si  sarebbe  mai  sognato  di 
rivolgere  al  duca  o  a  donna  Ferdinanda.  Ma  don  Eu- 
genio, in  famiglia,  godeva  poca  considerazione  per  le 
stramberie  commesse  a  Napoli  e  soprattutto  per  l'as- 
soluta mancanza  di  quattrini Il  cavaliere  non  ri- 
parlò più  della  sua  idea.  Mutata  via,  deliberò  di  scri- 
vere al  Governo  perchè  facesse  gli  scavi  a  spese  del- 
l'erario e  con  la  speranza  che  affidassero  a  lui  la  dire- 
zione. Il  principino  respirò  liberamente,  perchè  le  le- 
zioni furono  interrotte  :  appena  finito  di  desinare,  don 
Eugenio  si  chiudeva  in  camera  sua,  a  lavorare  alla 
memoria,  e  non  si  vedeva  più  per  tutta  la  sera,  mentre 
gli  altri  chiacchieravano  o  giocavano.  A  poco  a  poco 
una  società  numerosa  s'era  venuta  raccogliendo  in 
casa  del  principe  :  tutti  i  signori  rifugiati  al  Belvedere, 
tutti  i  personaggi  ragguardevoli  del  luogo  venivano 
alla  villa  Francalanza,  dove,  con  un  trattamento  d'ac- 
qua e  anice,  il  principe  si  faceva  fare  la  corte.  C'era 
mezza  Catania,  al  Belvedere,  e  gli  Uzeda  che  in  città 
erano  molto  severi,  facevano  adesso  larghe  conces- 
sioni, atteso  il  luogo  e  la  stagione,  ricevendo  gente  di 
minuscola  od  anche  di  nessuna  nobiltà,  tutti  coloro  che 
donna  Ferdinanda  derideva  o  disprezzava,  dei  quali 
storpiava  i  nomi  o  ai  quali  assegnava  bislacche  armi 
parlanti  :  i  Scilocca,  che  chiamava  «  Si  loca  »  ;  i  Mau- 
rigno  che  si  facevano  dare  del  «  cavaliere  »  e  che  la 
zitellona  chiamava  :  «  cavalieri  a  piedi  »,  i  Mongiolino 
che,  discendendo  da  fornaciai  arricchiti,  dovevano  por- 
tare nello  scudo  tegoli  e  mattoni.  Solo  i  Giulente,  di 
quella  casta  dubbia,  non  venivano  alla  villa,  per  via 
del  figliuolo;  ma  il  principe,  quando  incontrava  Bene- 
detto, o  suo  padre,  o  suo  zio,  al  casino  pubblico,  rivol- 
geva loro  la  parola  molto  affabilmente  ;  e  il  giovane 
che  non  aveva  interrotto  la  corrispondenza  con  Lu- 
crezia, le  riferiva  tutto  contento  quelle  amabili  dimo- 
strazioni. Ma  la  gioia,  invece  di  scemare  accresceva 
l'abituale  distrazione  della  ragazza  :  ella  chiedeva  no- 
tizie ai  vedovi  della  salute  delle  mogli  defunte,   scam- 


—    148  — 

biava  le  persone,  non  rammentava  nulla;  una  sera 
fece  ridere  tutta  la  società  domandando  allo  speziale 
del  Belvedere  che  aveva  una  sorella  in  convento  :  «  E 
vostra  sorella  monaca  con  chi  è  maritata?...  » 

Il  tema  obbligato  di  tutti  i  discorsi  erano  natural- 
mente le  notizie  della  città  dove  il  colera  si  diffondeva, 
lentamente  però,  senza  divampare  con  la  forza  spaven- 
tosa dell'anno  innanzi.  Poi  ciascuno  dava  notizie  dei 
parenti  e  degli  amici  rifugiati  qua  e  là  pel  Bosco  etneo  : 
la  cugina  Graziella,  che  era  alla  Zafferana,  mandava 
biglietti  o  ambasciate  coi  carrettieri  quasi  tutti  i  giorni, 
per  sapere  come  stavano  i  cugini,  e  dir  loro  come  stava 
ella  stessa  e  il  marito,  e  salutarli  caramente,  e  mandar 
regali  di  frutta  e  di  vino;  la  duchessa  Radall-Uzeda, 
dalla  Tardarla,  non  scriveva,  perchè  il  duca,  nel  tram- 
busto dell'improvvisa  scappata,  era  diventato  furioso. 
La  pazzia,  nel  ramo  dei  Radali,  era  una  malattia  di 
famiglia;  il  duca  aveva  dato  nelle  prime  smanie  tre 
anni  innanzi,  alla  nascita  del  suo  secondo  figlio,  Gio- 
vannino. E  la  duchessa,  fin  da  quel  tempo,  A'istosi  ca- 
dere sulle  spalle  il  peso  della  casa,  aveva  rinunziato 
al  mondo  per  tener  luogo  di  padre  ai  figliuoli.  Li  voleva 
bene  entrambi,  ma  le  sue  preferenze  erano  pel  duchino 
Michele  :  non  contenta  dell'istituzione  del  maiorasco, 
lavorava  a  migliorare  le  proprietà,  faceva  una  vita  di 
economie  e  di  sacrifizii  per  lasciarlo  ancora  più  ricco. 
Ella  non  dava  ombra  a  nessuno  degli  Uzeda;  la  stessa 
donna  Ferdinanda,  che  si  credeva  la  sola  testa  forte, 
l'approvava.  Aì  Belvedere,  nonostante  il  colera,  la  zi- 
tellona s'occupava  d'affari,  appartandosi  con  gli  uo- 
mini che  se  ne  intendevano,  parlando  di  mutui,  d'ipo- 
teche, di  crediti  da  poter  accordare,  di  fallimenti  da  te- 
mere; e  mentre  il  principe  di  Roccasciano  esponeva 
alla  speculatrice  i  piani  laboriosi  coi  quali  costruiva  pa- 
zientemente e  lentamente  l'edifizio  della  propria  for- 
tuna, la  principessa  sua  moglie,  di  nascosto  da  lui,  si 
giocava  con  Raimondo  e  con  altri  appassionati  delle 
carte  tutto  quel  che  aveva  in  tasca.  Il  principe  Giacomo 


—   149  — 

vedeva  qualche  volta  g-iocare  senza  metter  fuori  un 
baiocco,  ma  il  più  del  tempo  discorreva  con  quelli  del 
paese.  Venivano  a  fargli  la  corte  il  medico,  lo  spe- 
ziale, i  possidenti  più  grossi,  la  gente  la  cui  ciera  gli 
andava  a  verso,  perchè  quanti  tra  i  famigliari  della 
madre  gli  parevano  iettatori  erano  stati  da  lui  messi 
fuori.  Non  ■  mancavano  il  vicario,  il  canonico,  tutte 
le  sottane  nere  del  villaggio.  Come  in  città,  la  casa 
Uzeda  era  qui  frequentata  da  tutto  il  clero  regolare  e 
secolare,  per  la  sua  fama  di  devozione,  pel  bene  sempre 
fatto  alla  Chiesa.  Il  rifiuto  del  principe  di  riconoscere 
il  legato  alla  badia  di  S.  Placido  non  lo  pregiudicava 
presso  i  Padri  spirituali  :  in  vita  era  umano  che  egli 
cercasse  di  tenere  per  sé  la  più  parte  della  roba  ;  cosi 
pure  aveva  fatto  sua  madre  ;  morendo,  avrebbe  poi  lar- 
gheggiato con  la  Chiesa  per  assicurarsi  la  salute  del- 
l'anima. Come  capo  della  casa,  egli  aveva  del  resto  la 
facoltà  di  nominare  i  sacerdoti  celebranti  in  tutte  le 
cappeHanie  e  benefìzii  fondati  dai  suoi  antenati  ;  li  al 
Belvedere,  specialmente,  ce  n'era  uno  molto  pingue, 
quello  del  Sacro  Lume.  Un  Silvio  Uzeda  dolce  di  sale, 
vissuto  un  secolo  e  mezzo  addietro,  era  stato  sempre 
attorniato  da  preti  e  frati  :  i  monaci  del  convento  di 
Santa  Maria  del  Sacro  Lume  l'avevano  persuaso  che 
la  Madonna  voleva  sposarsi  con  lui.  Ed  egli  non  era 
entrato  nei  panni,  dal  contento.  La  tradizione  narrava 
che  avevano  compito  la  cerimonia  con  tutte  le  forma- 
lità :  lo  sposo,  dopo  essersi  confessato  e  comunicato, 
era  stato  condotto,  in  abito  di  gala,  dinanzi  alla  statua 
di  Maria  Santissima,  e  il  sacerdote  gli  aveva  regolar- 
mente domandato  se  era  contento  di  sposarla.  «  Si!...» 
aveva  risposto  l' Uzeda;  poi  la  stessa  domanda  era 
stata  fatta  alla  Regina  del  cielo;  e  per  bocca  del  g-uar- 
diano  del  convento,  anche  Ella  aveva  risposto  si.  Poi 
s'erano  scambiati  gli  anelli  :  la  statua  portava  ancora 
al  dito  quello  dello  sposo,  il  quale  aveva  naturalmente 
lasciato  alla  consorte  tutti  i  suoi  beni.  Una  lunga  lite 
ne   era    seguita,    non    avendo   voluto   gli   eredi   naturali 


riconoscere  il  testamento  del  matto  ;  finalmente,  per 
via  di  transazione,  s'era  istituita  nel  convento,  con 
metà  dei  beni,  una  cappellania  laicale,  sulla  quale  gli 
Uzeda  avevano  esercitato  il  giuspatronato.  Cosi  tutti 
i  monaci  venivano  la  sera  a  fare  la  corte  al  principe, 
discutevano  con  lui  gli  affari  del  miOnastero.  Tra  Inatta 
quella  gente  egli  papeggiava,  sputava  tondo,  ascoltato 
come  un  Dio;  dimenticava  il  resto  della  società,  le  si- 
gnore e  le  signorine  che  giocavano  a  tombola,  o  a  spie- 
gar sciarade,  o  combinavano  escursioni  per  la  mon- 
tagna, e  passavano  il  tempo  cosi  allegramente,  che, 
senza  le  notizie  del  colera  e  i  paesani  armati  per  tener 
lontani  i  tardi  fuggiaschi,  nessuno  avrebbe  pensato 
che  quelli  fossero  temipi  di  pestilenza. 

Solo  la  contessa   Matilde,  fra  le  comuni  distrazioni, 
non   riusciva  a  nascondere  il  proprio   dolore.    Ella  era 
venuta  via  dalla  città  quasi  fuori  di  sentimento,   tanto 
forte  era   stata  la  prova  a  cui   l'avevano  messa.    Con 
l'animo  pieno  di   spavento  e  di  rimorso,   sul  punto   di 
partire  per  la  campagna,  aveva  riconosciuto  che  la  pena 
meno  sopportabile  non  le  veniva   più   dalla  lontananza 
deilla   sua  bambina,   ma   dal   tradimento  di   Raimondo. 
Come  poteva  .piìi   metterlo  in   dubbio  ?   La   verità  non 
le  si  era  improvvisamente  svelata,  all'annunzio  che  egli 
andava   al   Belvedere,   dove   andava   la   Persa  ?    Perchè 
mai,    tanto  insoft'erente  di    vivere   in    Sicilia,    s'era    ri- 
fiutato a  partire  pel  continente,   se  non   perchè  voleva 
restare  vicino  a  colei?  E  aveva  finto  di  non  sapersi  de- 
cidere,   per  aspettare   che    si   decidesse   quell'altra;    ed 
aveva  mendicato  pretesti,  e  accusato  il  suocero,  e  cosi 
bene   temporeggiato    che   allo   scoppio    della   pestilenza 
aveva  fatto  a   modo   suo!...    Né  in   quelle   finzioni,    in 
quelle  menzogne,  ella  vedeva  più  la  conferma  dei  brutti 
lati   del    suo   carattere;    esse    non    l'accoravano  perchè 
egli  ne  era  stato  capace  :  solo  il  pensiero  che  le  aveva 
adoperate   per   amor   di   quell'altra   era   il   suo  cruccio. 
Che  non   amasse  la  figlia,   che  fosse   ingiusto  verso  il 
suocero    e    prepotente,    capriccioso,    sgraziato,    non    le 


faceva  nulla  :  ella  non  voleva  che  fosse  d'altri!  A  Fi- 
renze, la  gelosia  di  lei  non  aveva  avuto  og-getto  de- 
terminato, o  aveva  continuamente  mutato  d'oggetto, 
poiché  egli  faceva  la  corte  a  quante  donne  vedeva  ;  ella 
stessa  poi  s'era  fino  ad  un  certo  punto  assicurata,  giac- 
ché, galante  a  parole  con  le  signore,  la  mutabilità  e 
l'impazienza  dei  suoi  desiderii  gli  facevano  preferire 
quell'altre,  le  donne  che  si  pagano...  Che  vergognoso 
dolore  era  stato  il  suo,  nel  vedersi  ridotta  al  punto  di 
doversene  rallegrare  !  Eppure,  ella  invidiava  ora  le 
sofferenze  passate,  giudicando  intollerabile  l'idea  di  sa- 
perlo così  pieno  d 'un'altra  da  abbandonar  la  figlia  in 
quei  terribili  giorni  per  starle  vicino  !  Poi  il  suo  cruccio 
cresceva,  misurando  la  rapidità  con  la  quale  egli  pro- 
grediva nella  via  del  tradimento.  A  Firenze  aveva  messo 
un  certo  pudore  nelle  sue  tresche;  s'era  quasi  stu- 
diato, a  momenti,  di  farsele  perdonare,  tornando  ad  ora 
ad  ora  buono  con  lei  ;  adesso  sfrenavasi  fino  a  costrin- 
gerla d'essere  spettatrice  dell'infamia  !  Questo,  sopra 
tutto,  la  feriva  :  che  potessero  essere  cosi  tristi  da 
darsi  un  simile  convegno,  sotto  gli  occhi  di  lei,  mentre 
i  cuori  umani  trem.avano  al  pensiero  della  morte!...  Che 
giorno,  quello  della  fuga  al  Belvedere,  per  le  vie  arro- 
ventate dal  sole,  in  mezzo  a  nugoli  di  polvere  calda  e 
soffocante  !  Ella  era  nella  stessa  carrozza  con  Chiara, 
Lucrezia  e  il  marchese,  e  la  vista  delle  cure  che  questi 
prodigava  alla  moglie  faceva  pii^i  acuto  il  suo  dolore. 
Raimondo  non  s'era  voluto  metter  con  lei,  l'aveva  la- 
sciata sola  in  quella  corsa  pei  villaggi  dove  gente  ar- 
mata fermava  ogni  persona  ed  ogni  veicolo,  contra- 
stando il  passo  ;  mia  comprendeva  ella  nulla  di  tutto 
questo  ?  vedeva  nulla  sul  suo  cammino  ?  Ella  vedeva, 
con  gli  occhi  della  mente,  Raimondo  sorridente  e  fe- 
lice a  fianco  di  quella  donna,  come  l'aveva  visto  in 
realtà  tante  volte  senza  che  la  sua  nativa  fiducia  la  in- 
sospettisse !  Ora  però  itutte  le  cose  che  non  aveva  sa- 
puto spiegare  acquistavano  un  senso  evidente  :  le  lunghe 
uscite  di  Raimondo,  le  sue  attese  impazienti,  il  piacere 


clic  g-li  si  leggeva  negli  occhi  appena  entrava  colei,  lo 
stesso  misterioso  istinto  di  repulsione  che  quella  donna 
le  aveva  ispirato  fin  dal  primo  momento....  Come  do- 
veva esser  falsa  e  malvagia,  se  le  dava  il  tenero  nome 
d'amica  e  l'abbracciava  e  la  baciava  mentre  le  por- 
tava via  il  marito  ?  Egli  stesso  non  era  falso  altret- 
tanto ?  Quante  menzogne  !  Aveva  anche  addotto  la  gra- 
vidanza di  lei  per  non  lasciar  la  Sicilia,  e  non  s'accor- 
geva d'attentare  in  quel  modo  alla  vita  della  creatura 
che  ella  portava  in  grembo!...  Che  giorno  terribile  I 
Nella  carrozza  scottante  come  un  forno,  al  cui  spor- 
tello s'affacciavano  visi  sospettosi  di  contadini  bru- 
tali, piena  del  nauseante  odore  della  canfora  che  Chiara 
e  Lucrezia  tenevano  alle  narici  contro  la  mefite,  ella 
sentiva  mancarsi  il  respiro.  Non  sapeva  dov'era,  dove 
andava  ;    voleA^a    gridare    al    cocchiere,    alle    compagne 

di  viaggio  :  «  Tornate  indietro  ! Non  voglio  venire  !»  ; 

affrontar  suo  marito,  buttargli  in  faccia  il  tradimento, 
scongiurarlo  di  non  condurla  vicino  a  quella  donna, 
di  non  farla  morire,  di  salvare  la  creatura  che  s'agitava 
nelle  sue  viscere,  di  ridar  la  pace  al  suo  cuore,  l'aria 
al  suo  petto....  Aveva  perduto  i  sensi,  infatti,  prima 
d'arrivare  al  Belvedere;  non  rammentava  più  come  e 
quando  fosse  entrata  alla  villa — 

LI,  era  cominciata  per  lei  una  vita  di  trepidazione 
continua.  Ad  ogni  istante  aveva  creduto  di  vedersi  com- 
parire dinanzi  la  Persa  :  tutte  le  volte  che  Raimondo 
era  andato  fuori,  aveva  pensato  :  «  Adesso  è  con  lei —  » 
e  il  non  vederla,  il  non  udirne  parlare,  accresceva  il 
suo  spavento,  lo  rendeva  piìi  oscuro,  le  procurava  non 
sapeva  ella  stessa  quali  orribili  sospetti  di  cospirazioni 
ordite  da  tutti  a  suo  danno.  Aveva  trovato,  si,  la  forza 
incredibile  di  nascondere  i  suoi  sentimenti  per  non 
insospettire  il  marito,  per  non  dare  buon  giuoco  ai  ne- 
mici ;  ma  il  silenzio  imposto  a  sé  stessa,  rendendo  piij 
acuto  il  suo  tormento,  le  aveva  tolto  il  mezzo  di  saper 
nulla.  Perchè  nessuno  nominava  quella  donna  ?  Perchè 
non   veniva  alla  villa,   con   tutti   gli   altri  visitatori   del 


—   153  — 

principe?  Dov'era  andata  a  star  di  casa?...  E  intenta 
a  vagliare  le  mille  supposizioni  paurose  che  l'inquieta 
fantasia  le  suggeriva,  ella  'dimenticava  il  colera,  quasi 
non  pensava  alla  figlia  lontana,  quasi  non  s'accorgeva 
del  silenzio  di  suo  padre.  Questi  doveva  volergliene, 
credere  che  avesse  abbandonato  la  bambina  per  smania 
di  divertirsi  al  Belvedere  !  Non  le  era  accaduto  sempre 
cosi,  che  tutto  quanto  aveva  fatto  contro  voglia,  per 
obbedire  agli  altri,  le  era  poi  stato  addebitato,  da  tutti, 
come  capriccio  e  come  colpa  ?  Non  era  ella  una  di 
quelle  creature  disgraziate  che  non  riuscivano  a  nulla  di 
bene,   destinate  a  spiacere  ad  ognuno  ? 

Però  non  piangeva  :  non  pianse  neppure  quando, 
invece  del  padre,  le  scrisse  ila  sorella  Carlotta,  per 
dirle  che  Teresina  stava  bene  e  che  erano  tutti  al  si- 
curo. Non  pianse,  ma  si  senti  vinta  da  una  cupa  tri- 
stezza che  non  riusci  a  nascondere.  Raimondo  stesso 
se  ne  accorse  ;  le  domandò  : 
,  —  Che  scrive   tua   sorella  ? 

—  Nulla che  stanno  tutti  bene,  che  non  corrono 

pericolo.... 

— •  Hai  visto?...  Quando  io  ti  dicevo?...  —  e  le  voltò 
le    spalle. 

Erano  passate  due  settimane  dal  loro  arrivo  e  an- 
cora non  aveva  udito  parlare  della  Fersa.  La  sera  di 
quel  giorno,  appena  cominciò  a  venir  gente,  ella  andò 
a  chiudersi  nella  sua  camera.  Stava  male,  non  solo  di 
spirito,  ma  anche  .fisicamente  ;  la  lunga  agitazione  tra- 
vagliava alla  fine  anche  il  suo  corpo.  Era  da  un  pezzo 
buttata  sul  letto,  con  gli  occhi  e  la  mente  fissi  nelle 
tristi  visioni  del  passato,  nelle  paurose  previsioni  del- 
l'avvenire,  quando  fu   picchiato   all'uscio. 

—  Cognata?...  —  era  la  voce  del  principe.  —  Che 
fate  ?  Perchè  non  venite  giù  ?  C'è  molta  gente,  sta- 
sera    si  giuoca — 

Ella  levossi,  s'acconciò  con  mano  tremante  i  capelli 
scomposti,  e  discese.  Certo,  quell'altra  era  finalmente 
venuta  !  Certissimamente  Raimondo  le  stava  al  fianco  ! 


—   154  — 

La  chiamavano  per  farla  assistere  a  quello  spettacolo 
e  per  goderne  !...  Guardò  rapidamente  nel  salone  zeppo  : 
non  c'era.  Però,  aveva  appena  preso  posto  accanto 
alle  cognate,  che  la  udi  nominare  :  qualcuno  diceva  : 

—  la  villetta  affittata  a  donna  Isabella 

—  Un  guscio  di  noce!  —  rispose  un  altro.  —  I  Mon- 
giolino  ci  stanno  come  le  acciughe  in  un  barile. 

Ella  non  comprendeva. 

—  Ma  i  Persa  dove  se  ne  sono  andati  ? 

Era  proprio  Raimondo  che  faceva  questa  domanda? 
Non   sapeva  dunque  dov'era  colei? 

—  Nella  cam,pagna  di  Leonforte  ;  donna  Mara  ha 
preferito.... 

Ella  comprese  a  un  tratto  ;  la  gola  le  si  strinse  con- 
vulsamente. Andata  via  senza  dir  nulla,  traversò  la 
casa  co.n  gli  occhi  gonfi  e  il  cuore  tumultuante  ;  giunta 
nella  sua  camera,  cadde  ai  piedi  dell'imagine  della  Ver- 
gine, scoppiando  in  pianto  dirotto;  pianto  di  gioia,  di 
gratitudine,  di  rimorso  anche  :  poiché  ella  aveva  so- 
spettato  degli    innocenti — 

Le  parve  di  tornare  da  morte  a  vita;  coi  sospetti, 
cessarono  i  dolori  dell'anima  e  quelli  del  corpo;  parte- 
cipò alla  vita  della  famiglila,  assaporò  finalmente  la 
dolcezza  del  riposo.  Anche  le  notizie  del  colera  non  le 
davano  timore  pei  cari  lontani  ;  dopo  le  stragi  del- 
l'anno innanzi  la  pestilenza  pareva  non  trovasse  più 
dove  apprendersi,  serpeggiava  qua  e  là  senza  forza. 

Alla  villa  Francalanza  continuava  la  vita  allegra  ; 
tutte  le  sere  conversazione  e  giuoco.  Raimondo  era 
adesso  il  più  assiduo  alla  tavola  verde;  quand'egli 
prendeva  le  carte,  le  poste  aumentavano,  il  rischio  cre- 
sceva. Molti  s'alzavano,  intendendo  svagarsi  e  non  la- 
sciarvi la  borsa  ;  la  principessa  di  Roccasciano,  invece, 
non  chiedeva  di  meglio,  molte  volte  restava  sola  col 
conte  a  far  la  bazzica  da  dodici  tari.  Si  nascondeva 
dal  marito,  M  quale,  come  tutti  i  parsimoniosi,  biasi- 
mava  ogni    specie    di    giuoco  :    amici   compiacenti    sta- 


vano  alle  vedette  per  farle  un  segno  appena  ^egli  s'av- 
vicinava; allora  ella  e  il  suo  complice  facevano  spa- 
rire i  gettoni,  interrompevano  la  partita  e  si  lasciavano 
sorprendere  intenti  a  una  scopa  innocente.  Raimondo  ci 
si  Sfpassava,  incitava  la  principessa  al  gioco  forte,  la 
tirava  in  una  stanza  fuori  mano  dove  restavano  più  a 
lungo  a  contendersi  i  quattrini,  mettendo  poi  in  mezzo, 
con  l'aiuto  di  tutta  la  società,  il  principe  sospettoso. 
Matilde,  sorridendo  anche  lei  di  quelle  scene  da  com- 
media, giudicava  tuttavia  che  suo  marito  facesse  male  a 
fomentare  cosi  il  vizio  della  principessa  ;  ma  non  le  ba- 
stava il  cuore  di  rimproverarlo,  tanto  la  rinata  fiducia  la 
faceva  indulgente.  Purché  egli  non  la  tradisse,  che  le 
importava  del  resto?  Tra  le  signore  che  venivano  alla 
villa,  Raimondo  pareva  non  apprezzarne  alcuna  ;  stava 
poco  in  loro  compagnia,  si  dava  tutto  al  giuoco  :  il  giorno 
al  casino,  la  sera  in  casa.  Non  che  biasimarlo,  per  tanto, 
ella  avrebbe  quasi  voluto  spingerlo  in  quella  via  che  lo 
distoglieva  da  un'altra  infinitamente  più  dolorosa.  Il 
cuor  suo  lo  avrebbe  voluto  senza  nessun  vizio,  solo 
amante  di  lei,  della  famiglia,  della  casa;  ma  lo  pren- 
deva com'era,  anzi  come  lo  avevano  fatto,  giacché  ella 
addebitava  quel  che  trovava  in  lui  di  men  bello  alla  so- 
verchia indulgenza,  al  cieco  amore  della  madre. 

Lontano  dalle  carte,  Raimondo  s'annoiava.  Se  non 
poteva  combinare  una  buona  partita,  smaniava  contro 
la  noia  di  quel  villaggio,  contro  la  conversazione  dei 
villani,  contro  gli  stupidi  divertimenti  della  tombola  e 
delle  gite  sugli  asini.  Ella  poteva  dirgli  :  «  Con  chi  te  ne 
lagni  ?  Non  volesti  venirci  tu  stesso  ?  »  Però  taceva, 
affinché  egli  non  prendesse  quelle  parole  come  un  rim- 
provero. Invece,  vedendolo  di  cattivo  umore,  gli  doman. 
dava  dolcemente  che  avesse  : 

—  Ho  che  mi   secco,   non  lo  sai  ?  —  le   rispondeva. 

— .  Che  vuoi  farci  !...  Quando  ii  colera  cesserà,  torne- 
remo a  Firenze —  Perchè  non  vai  al  casino? 

Egli  non  se  lo  faceva  ripetere.  A  poco  a  poco,  il 
giuoco    diveniva    indiavolato;    nel    giro    di    poche    ore 


,     -  156  - 

facevano  ^lifferenze  di  centinaia  d'onze.  Nessuno,  in 
casa,  diceva  nulla  a  Raimondo  ;  il  principe,  già  più  alla 
mano  con  tutti,  pareva  studiarsi  di  non  pesare  per  nulla 
sul  fratello.  Un  giorno  questi,  poiché  da  Milazzo,  per  via 
del  colera,  tardavano  a  mandargli  denari,  gli  chiese,  in 
conto  delle  rendite  ereditate,  qualche  centinaio  d'onze  :  il 
principe  mise  la  propria  cassa  a  sua  disposizione  ;  egli 
tornò  ad  attingervi  a  più  riprese.  Naturalmente,  se  il 
colera  non  finiva,  non  isi  poteva  far  nulla  per  la  siste- 
mazione dell'eredità;  nondimeno,  il  principe  ne  parlava 
adesso  direttamente  al  coerede,  gli  comunicava  i  proprii 
disegni.  «  Avevano  dato  a  intendere  ai  legatarii  che 
erano  stati  trattati  male  dalla  madre,  ma  la  dimostra- 
zione del  contrario  sarebbe  stata  facile  e  pronta.  Già, 
né  Ferdinando  né  Chiara  davano  ascolto  ai  sobillatori  ; 
la  stessa  Lucrezia  si  sarebbe  subito  convinta  del  proprio 
torto.  Quindi,  per  amore  della  pace,  per  mettere  in 
chiaro  ogni  cosa,  quantunque  avessero  ancora  tanto 
teinpo  a  pagar  le  sorelle,  non  era  meglio  togliersi  al 
più  presto  quel  peso  di  su  le  spalle  ?  »  Avrebbero  fatto 
un  poco  d'economia  per  raccogliere  le  sedicimila  onze 
occorrenti,  giacché  se  Lucrezia  doveva  averne  dieci 
mila,  a  Chiara  ne  toccavano  soltanto  sei,  dovendosi 
sottrarre  le  quattro  da  lei  «  avute  »  nel  maritarsi.  Prima, 
però,  bisognava  pagare  i  creditori,  metter  tutto  in  pu- 
lito. Frattanto,  per  guadagnar  tempo,  potevano  inten- 
dersi loro  due,  circa  la  divisione.  E  a  nessuno  di  quei 
ragionamenti  del  fratello,  Raimondo  trovava  nulla  da 
obbiettare  :  «  Va  bene,  va  bene,  »  era  la  sua  risposta. 
In  mezzo  a  quésta  pace,  piombò  un  bel  giorno  don 
Blasco  da  Nicolosi,  a  cavallo  a  un  gigantesco  asino  della 
Pantelleria.  Scappato  con  tutto  il  convento,  il  monaco 
non  aveva  messo  fuori  neppure  il  naso,  nelle  prime  set- 
timane, per  paura  di  prendere  il  colera  con  l'aria  che 
respirava  ;  ma  visto  che  per  la  campagna  prosperavano 
uomini  e  bestie,  rassicuratosi  sul  pericolo  del  contagio, 
udito  finalmente  che  al  Belvedere  facevano  baldoria,  non 
stette  più  alle  mosse.  Arrivò  li,  fra  colezione  e  desinare, 


annunziandosi  con  grandi  vociate  perchè  nessuno  gli 
apriva  il  cancello  ;  visto  poi  il  principino  che  gli  veniva 
incontro  con  una  bacchetta  in  mano  la  quale  spaven- 
tava la  cavalcatura,  gridò  al  ragazzo,  come  se  volesse 
mangiarselo  :  «  Vuoi  star  fermo,  che  il  diavolo  ti  porti  ?  » 
e  entrò  finalmente  nella  villa  esclamando  :  «  Non  c'è 
nessuno,  qui  dentro?...  Che  stillate?...»  Al  principe 
che  voleva  baciargli  la  mano,  spiattellò  :  «  Lascia  stare 
queste  smorfie —  »  e  senza  salutar  nessuno,  lo  prese  pel 
bottone  dell'abito,  lo  trasse  in  disparte  e  gli  domandò 
a  bruciapelo  : 

—  È  vero  che  tuo  fratello  si  giuoca  la  camicia  che 
ha  indosso?  Com'è  che  puoi  permettere  una  cosa  si- 
mile ? 

— •  Vostra  Eccellenza  non  conosce  Raimondo  ?  —  ri- 
spose il  principe,  stringendosi  nelle  spalle.  —  Chi  può 
dirgli  nulla?  Provi  Vostra  Eccellenza  a  dissuaderlo — 

—  Io?  Ah,  io  ?  A  me  importa  un  mazzo  di  cavoli 
di  lui  e  degli  altri  !  Questo  è  il  frutto  dell'educazione 
che  gli  hanno  data  !  E  quell'altra  buona  a  nulla  di  sua 
moglie  ?  Tutto  il  giorno  a  grattarsi  la  pancia  piena  ?  E 
tua  sorella?  E  quei  pazzi?  E  tuo  figlio?... 

Non  risparmiò  nessuno  :  i  discorsi  di  Chiara  e  del 
marchese  relativi  al  corredo  del  nascituro  gli  fecero 
marchese  relativi  al  corredo  del  nascituro  gli  fecero  mon- 
tare la  mosca  al  naso,  le  notizie  dei  Giulente  lo  imbe- 
stialirono; ima  quel  che  gli  fece  perdere  il  lume  degli 
occhi  fu  la  lettura  del  Giornale  di  Catania  portato  dal 
principe  di  Roccasciano  nel  pomeriggio,  quando  comin- 
ciarono a  venire  le  prime  visite.  Subito  dopo  il  bollettino 
del  colera  si  leggeva  in  quel  foglio  :  «  La  generosità 
dei  nostri  cospicui  patrizii  non  poteva  mancare,  in  tempi 
tanto  calamitosi,  di  venire  in  soccorso  della  sventura. 
L'Illustrissimo  don  Gaspare  Uzeda  duca  d'Oragua,  ben- 
ché lontano  dai  suoi  concittadini,  pure  ha  fatto  tenere 
al  nostro  Senato  la  somma  di  ducati  cento  da  distri- 
buirsi in  soccorso  dei  più  bisognosi —  »  Cento  ducati 
buttati  via,  per  soccorrere  i  bisognosi  ?  Dite  piuttosto 


per  fregola  di  popolarità  !  Cento  ducati  buttati  a  mare, 
quasi  che  quella  bestia  avesse  molto  da  scialare?  A 
furia  di  larg-izioni  un  bel  giorno  avrebbe  battuto  il... 
capo  sul  lastrone,  come  meritava  la  sua  sciocchezza  : 
bestia,  bestione,  tre  volte  bestionaccio  !...  Il  monaco 
era  talmente  fuori  della  grazia  di  Dio,  che  quando  Roc- 
casciano  gli  chiese  notizie  di  suo  nipote  don  Lodovico, 
si  voltò  come  una  furia  : 

—  Di  che  nipote  m'andate  nipotando  ?...  Non  li  co- 
nosco!... Li  rinnego  tutti  quanti!...  —  E  preso  anche 
quest'altro  pel  bottone  della  giacca,  gli  gridò  all'orec- 
chio :  —  Vedete  un  po'  quel  che  fanno?...  Non  sono  tre 
mesi  che  han  perduta  la  madre,  e  intanto  se  la  spas- 
sano,  senza  un  riguardo  al  mondo!... 

Qualche  giorno  dopo  ci  fu  la  visita  del  Priore.  Ar- 
rivò in  carrozza,  riposato  e  sereno  :  salutò  ed  abbracciò 
tutti,  volle  entrare  nella  camera  dov'era  spirata  la  prin- 
cipessa, parlò  della  pestilenza  attribuendola  al  corruccio 
del  Signore  per  le  nequizie  dei  tempi.  Tutti  lagnavansi 
dell'ostinata  siccità,  perchè  in  tre  mesi  di  torrida  estate 
non  era  caduta  una  goccia  d'acqua  :  egli  riferì  d'aver 
disposto  un  triduo,  a  Nicolosi,  e  una  processione  per 
impetrare  la  pioggia  ;  altrettanto  consigliò  che  facessero 
al  Belvedere. 

—  Non  bisogna  stancarsi  di  pregare  l'Altissimo.  Solo 
la  preghiera  e  la  penitenza  potranno  indurre  la  Divina 
Clemenza  a  perdonare  i  peccatori. 

Poi  annunziò  che  la  cugina  Radali  gli  aveva  scritto 
per  avvertirlo  che,  appena  cessato  il  colera,  voleva  met- 
tere il  secondogenito  Giovannino  al  Noviziato  :  provve- 
dimento lodevole,  poiché,  col  marito  in  quello  stato,  la 
povera  duchessa  non  poteva  badare  all'educazione  di 
entrambi  i  figliuoli.  Il  principe  disse  che  anch'egli  forse 
avrebbe  fatto  altrettanto  per  Consalvo.  La  principessa 
chinò  gli  sguardi  a  terra,  non  osando  replicare,  ma  non 
potendo  soffrire  d'esser  divisa  dal  suo  bambino. 

Cosi  zio  e  nipote  tornarono  a  venire,  soli,  in  giorni 
diversi,    incapaci   di   stare   insieme,   come  cani  e  gatti. 


—   159  — 

Però  tutti  riconoscevano  che  la  colpa  era  di  don  Blasco  : 
don  Lodovico,  con  la  sua  natura  veramente  angelica, 
non  avrebbe  chiesto  di  meglio  che  far  la  pace;  quel- 
l'altro invece  non  gli  perdonava  ancora  l'assunzione  al 
priorato.  Comunque,  la  scissura  era  di&piacevole  :  gli 
amici  di  casa,  i  frequentatori  del  convento  ne  parla- 
vano con  dolore.  Non  ne  parlava  affatto  Fra  Carmelo, 
il  quale  venne  anch'egli  a  far  visita  alla  principessa  ed 
a  portarle  le  prime  nocciuole  e  le  prime  castagne.  Non 
voleva  parlare  della  nimistà  tra  zio  e  nipote  per  amore 
della  buona  fama  del  convento,  per  rispetto  ai  Padri 
che,  a  suo  giudizio,  erano  tutti  buoni  e  bravi  egual- 
mente ;  ma  in  modo  particolare  per  la  venerazione  che 
portava  ai  due  Uzeda.  Quei  suoi  sentimenti  compren- 
devano tutta  la  parentela.  Quando  la  principessa,  in 
cambio  della  frutta  che  egli  recava,  gli  faceva  appre- 
stare uno  spuntino,  il  frate,  sparecchiando  rapidamente, 
esaltava  la  nobile  casata,  casata  di  signoroni  come  ce 
n'eran  pochi.  E  \a  principessa  gli  voleva  bene  pel  bene 
che  egli  dimostrava  al  piccolo  Consalvo,  per  le  carezze 
che  gli  faceva,  pei  speciali  regalucci  che  gli  portava, 
singolarmente  perchè,  narrandogli  il  noviziato  degli 
zii   don   Lodovico   e  don   Blasco,   gli  diceva  : 

—  Ce  n'è  stati  tanti  degli  Uzeda,  a  San  Nicolai  Ma 
Vostra  Eccellenza  non  l'avrem.o  !  Vostra  Eccellenza  è 
figliuolo  unico,  e  non  lo  metteranno  certamente  al  mo- 
nastero !... 

Tutti  i  parenti,  invece,  tranne  Chiara,  che  se  avesse 
avuto  un  figliuolo  se  lo  sarebbe  cucito  alla  gonna,  erano 
dell'opinione  del  principe,  che  per  l'educazione  e  l'istru- 
zione del  ragazzo  convenisse  mandarlo  fuori  di  casa. 
Don  Blasco,  specialmente,  alle  mondiate  del  pronipote, 
all'indulgenza  della  principessa,  vociava  :  «  Ma  come 
cresce,  cotesto  squassaforche  !...  Che  educazione  è 
questa  qui  !...  »  Donna  Ferdinanda,  quantunque  giudi- 
casse soverchia  ogni  istruzione,  pure  riconosceva  anche 
lei  che  mettere  il  ragazzo  in  un  nobile  istituto  sarebbe 
stato  isecondo  le  tradizioni  della  casa  :  tamto  il  collegio 


—   i6o  — 

Cutdli,  quanto  il  Noviziato  benedettino  avevano  visto 
molti  di  quegli  antenati  di  cui  ella  leggeva  e  spiegava  al 
nipotino  la  storia.  Quando  Consalvo  era  stanco  di  mole- 
stare le  persone  e  le  bestie,  se  ne  veniva  infatti  dalla 
zitellona  e  le  diceva  : 

—  Zia,    vediamo   gli   stemmi  ? 

Gli  stemmi  eran  l'opera  del  Alugnòs,  illustrata  con 
le  armi  delle  famiglie  di  cui  il  testo  ragionava  ;  e  donna 
Ferdinanda  passava  intere  giornate  leggendola  e  com- 
mentandola al  nipotino. 

Gli  aveva  già  fatto  un  piccolo  corso  di  grammatica 
araldica,  spiegandogli  che  cosa  volesse  dire  scudo  par- 
tito e  diviso,  inquartato  e  soprattutto  ;  mettendo  il  dito 
adunco  sul  rame  che  rappresentava  quello  di  casa  Uzeda 
gliene  faceva  ogni  volta  la  descrizione,  perchè  la  man- 
dasse a  memoria  : 

—  Inquartato,  al  primo  e  al  quarto  partito,  d'oro 
all'aquila  nera,  linguata  e  armata  di  rosso,  e  f usato 
d'azzurro  e  d'argento;  al  secondo  e  al  terzo  diviso, 
d'azzurro  alla  cometa  d'argento  e  di  nero  al  capriolo 
d'oro;  sopra  il  tutto  d'oro  con  quattro  pali  rossi  che  è 
d'Aragona;  lo  scudo  contornato  da  sei  bandiere  d'al- 
leanza. 

Poi  gliene  spiegava  la  formazione  :  la  cometa  voleva 
dire  chiarezza  di  fama  e  di  gloria  ;  il  capriolo  rappre- 
sentava gli  sproni  del  cavaliere.  Lo  stemma  piccolo  in 
mezzo  al  grande  era  quello  dei  Re  aragonesi  ;  gli  Uzeda 
lo  avevano  ottenuto  a  poco  a  poco,  non  tutto  in  una 
volta:  il  primo  palo  al  tempo  di  don  Blasco  II. 

—  «  Seruendo  egli  »,  la  zitellona  leggeva  nel  suo 
testo,  «  all'inuitto  Re  don  Giaime  nella  gverra  ch'hebbe 
col  conte  Vguetto  di  Narbona  e  coi  Mori  nell'acqvifto 
di  Maiorica,  non  n'hebbe  remvneratione  uervna,  pe- 
rilche  ritiratoli  dal  Real  leruiggio  fenne  andò  coi  fvoi 
al  fuo  Stato,  et  iui  uedendo  che  il  Re  mandaua  vna' 
grolla  fomma  di  denari  alla  Reina,  con  dvcento  caua- 
lieri  fvoi  uaffalli  in  vn  celato  palfo  fi  pvofe,  et  agva- 


—  i6i  — 

tando  i  real  carriaggi  gli  tolfe  i  denari  e  quanto  di 
fopra  portauano,  mandando  a  dire  al  Re  ch'era  Ivi 
obbligato  di  pagar  prima  i  feruiggi  perionali,  e  doppo 
iodiifar  gli  appetiti  della  Reina  :  ma  Idegnatofi  di 
qvefte  attioni  il  Re  moffe  contra  di  Bla  f co  graue 
gverra,  che  per  l' interpofitione  di  molti  baroni  pia- 
ceuolmente  fi  diftaccò,  et  ottenne  la  baronia  di  Almeira 
nonché  poteftà  di  «poter  imporre  alle  fve  Arme,  vn  palo 
rodo  d'Aragona.  »  — .  La  zitellona  gongolava,  leg- 
gendo quella  storia,  e  dopo  averla  letta  la  ripeteva  al 
nipotino  con  linguaggio  meno  fiorito  perchè  egli  ne 
intendesse  meglio  il  senso  :  —  Bel  Re,  quello,  eh  ?  che 
si  faceva  servire  dai  suol  baroni  e  poi  non  voleva  dar 
loro  niente  !  Ma  ila  pensata  di  don  Blasco  Uzeda  non 
fu  più  bella?  «  Ah,  non  date  niente  a  me  che  ho  com- 
battuto per  voi,  e  pensate  invece  a  mandar  regali  alla 
Re;gina  ?  Aspettate  che  v'accomodo  io!...  »  —  La  sua 
voce  tremava  di  comimozione  nel  ripetere  la  storia  della 
rapina,  e  i  suoi  occhi  furaci  come  quelli  dell'antenato 
s'  infiammavano  della  secolare  cupidigia  della  vecchia 
razza  spagnuola,  dei  Viceré  che  avevano  spogliato  la 
Sicilia. 

— ■  E  gli  altri  pali  ?  — ■  domandava  il  principino,  che 
pendcA^a  dalle  labbra  della  zia  meglio  che  se  gli  rac- 
contasse le  fiabe  di  Betta  Pelosa  e  della  Mamma  Draga. 

La  zitellona  sfogliava  rapidamente  il  libro  e  piombava 
sul  passaggio  cercato. 

• — ■  «  La  cagion  di  ciò  auuenne  eh'  il  predetto  Gon- 
zalo de  Vzeda,  elfendo  eccellente  cacciatore  fv  inuitato 
dal  Re  Carlo  di  andare  a  caccia  nei  bolchi  ivoi  il  qvale 
inulto,  fv  dal  Gonzalo  accettato,  e  mentre  ognvno  li 
procacciaua  e'  1  Re  medefmo  di  i'egvire  i  Daini,  Cin- 
ghiali, e  Lepri,  andò  folo  il  Re  appreflo  vn  grofio  Cin- 
ghiale, il  qvale  a'tvtaimente  fi  trattenne  nel  corlo,  ma 
perché  il  cauallo  del  Re  fvriofamente  di  fopra  gli  cor- 
reua,  nel  pai  far  impedito  da  qvello,  calcò  con  tvtto  il 
Re  in  vn  falcio  per  terra,  il  qvale  reftò  con  vna  gamba 
di  lotto  il  cauallo,  uedendo  ciò  il  Cinghiale,   f'auuentò 

De    Roberto.    I    Viceré    -    I  11 


fopra  il  Re  per  vcciderlo,  il  qvale  per  non  hauerfi  po- 
tvto  dilbrig-are,  li  difendeua  (olamente  con  vn  pu- 
gnale, e  né  reitaua  fenz'altro  morto,  ii  non  che  auue- 
dvtofi  da  Ivng-e  Gonzalo  del  pericolo  del  Ivo  Re,  corie 
per  foccorrerlo,  et  al  primo  incontro  vccife  il  Cignale, 
e  scendendo  poi  da  cauallo,  1'  aivtò  poi  a  forgere  e'  1  fé 
montar  fopra  il  fvo  cauallo,  e  tvtta  uia  il  Re  ringra- 
tiandolo  e  lodandolo  il  chiamò  :  «  Bon  figlio  !  »  perilche 
fvrono  poi  lempre  i  signori  di  Vzeda  chiamati  dai  Regi 
Siciliani  col  titolo  di  conlangvinei,  e  portarono  sovra 
l'arme,  J'Arme  Regia  di  Aragona  con  tvtti  i  fvoi  poteri, 
come  in  effetto  al  prefente  [piegano,  dicendo  anche  il 
Croni  fta  INIadrileno  :  «  Los  feruicios  de  los  \'zedas  fve- 
ron  tantos,  y  tan  buenos  que  por  merced  de  los 
Reyes  de  Aragona  hazian  la  mefmas  armas  que 
ellos » 

Chi  poteva  piia  arrestare  donna  Ferdinanda,  una 
volta  cominciato?  Ella  non  aveva  un  uditore  piij  at- 
tento del  ragazzo,  gli  voleva  bene  appunto  per  questo, 
giacché  gli  altri  parenti  le  prestavano  un  orecchio  di- 
stratto, badavano  alle  loro  «  sciocchezze  »,  o  lavoravano 
ad  offuscar  lo  splendore  della  casa,  come  quel  volpone 
del  duca  amoreggiante  coi  repubblicani,  come  quella 
pazza  da  legare  di  Lucrezia  che  non  voleva  smetterla 
d'aspettare  al  balcone   il   passao^gio   del   Giulente!... 

Solo  fra  tutti  don  Eugenio,  quando  non  lavorava 
alla  memoria  per  disseppellire  la  nuova  Pompei,  assi- 
steva alla  lettura  del  Mugnòs,  citava  altri  storici  della 
famiglia.  Allora  fratello  e  sorella  passavano  a  rassegna 
il  lungo  ordine  di  avi,  recitavano  la  cronaca  delle  loro 
gesta,  il  secolare  sforzo  per  afferrare  e  mantener  la 
fortuna;  i  tradimenti,  le  ribellioni,  le  prepotenze,  le 
liti  continue  che  gli  scrittori  narravano  velatamente, 
senza  giudicarle,  e  che  essi  magnificavano.  Artale  di 
Uzeda,  «  giornalmente  del  suo  castello  con  i  suoi  armi- 
geri uscendo,  signoreggiava  tutto  il  paese  ;  »  Giacomo, 
vissuto  al  tempo  del  re  Lodovico,  «  dominò  Nicosia  e 
ne  fu  alla  perfine  rimosso  per  i  molti  dazii  che  impose  ;  » 


~  163  - 

don  Ferrante,  «  cog-nominato  Sconza,  che  nel  sicolo 
idioma  suona  il  medesimo  che  Guasta,  »  perde  tutti  i 
suoi  feudi,  «mercè  l'inobedienza  che  usò  col  suo  Re; 
ne  ottenne  quindi  il  perdono,  ma  non  per  questo  di- 
morò nella  fedeltà,  poicchè  per  sue  cagioni  si  discostò 
di  bel  nuovo  della  Regia  obbedienza,  e  preso  e  con- 
dennato  a  morte  ebbe  per  Grazia  sovrana  salva  ^a 
testa  ;  »  don  Filippo  fu  celebrato  «  pel  valore  che  mostrò 
in  favor  del  suo  Re  don  Ferdinando  contro  al  Re  di 
Portogallo,  di  maniera,  ch'essendo  bandito  della  corte 
per  cagion  d'omicidio,  fu  liberato  e  venne  in  Grazia 
del  suo  Re  ;  »  Giacomo  V,  «  perchè  aveva  venduto  suoi 
feudi  a  Errico  di  Chiaramonte,  pretese  poi  ricuperargli 
da  poter  di  quello,  e  gli  tentò  lite  ;  »  Don  Livio  «  si 
dilettò  di  vendicarsi  acerbamente  degli  oltraggi,  che  gli 
furono  fatti  ;  »  etc.  etc.  Questi  erano,  per  donna  Ferdi- 
nanda, atti  di  valore  e  prove  d'accortezza.  Né  gli 
Uzeda  avevano  litigato  coi  sovrani  e  coi  rivali  soltanto, 
ma  anche  tra  loro  stessi  :  don  Giuseppe,  nel  1684,  «  si 
caso  con  donna  Aldonza  Alcarosso,  colla  quale  procreò 
a  don  Giovanni  e  a  don  Errico,  che  per  la  morte  dei 
loro  padri  innanzi  l'avo,  pretesero  succedergli  negli 
Stati  di  quello  e  litigarono  lungo  numero  d'anni  in- 
nanzi la  Regia  Corte;  »  don  Paolo  ebbe  «lunghe  e  cri- 
minose contese  con  suo  padregno  :  »  Consalvo,  conte 
della  Venerata  «  per  la  morte  del  padre  fu  spogliato 
dal  suo  zio,  e  per  aver  repudiato  l' infertile  moglie 
combattè  alcuni  anni  con  suo  cognato  ;  »  Giacomo  VI 
«  cognominato  Sciarra,  che  Rissa  nel  tosco  idioma  di- 
remmo, non  puoche  differenze  ebbe  col  padre.  »  Con- 
salvo III,  «  cognominato  Testa  di  San  Giovanni  Bat- 
tista, dolorò  la  fellonia  dei  figli  che  seguirono  Fede- 
rico conte  di  Luna,  bastardo  del  Re  Martino  ;  »  ma  il 
più  terribile  di  tutti  fu  il  primo  Viceré,  il  grande  Lo- 
pez Ximenes,  «  che  perdette  l' animo  dei  suoi  sog- 
getti, per  i  vizii  d'un  figliuol  naturale  molto  prepo- 
tente e  di  sciolti  costumi  :  onde  il  padre  avenclolo  tro- 
vato reo  et  incorreggibile,  con  somma  severità  lo  con- 


. —  164  — ■ 

dennò  a  morte,  sentenzia  che  si  sarebbe  eseguita,  se 
il  Re  don  Ferdinando,  che  ritrovavasi  in  SiciHa,  non 
avesse  ordinato  che  non  si  effettuisse....  »  Don  Euge- 
nio, di  tanto  in  tanto,  per  edificazione  del  ragazzo, 
giudicava  conveniente  fare  qualche  dissertazione  mo- 
rale; donna  Ferdinanda  invece  lodava  tutto,  ammi- 
rava tutto.  Col  tempo,  con  l'esercizio  del  potere,  la 
razza  battagliera  erasi  infiacchita  :  il  secondo  Viceré, 
sfidato  a  duello  da  un  barone  ribelle,  «  non  puose  pru- 
dentemente orecchio  all'  invito  che  questo  sconsigliato 
giovane  avevagli  fatto;»  la  condotta  dell'imbelle  an- 
tenato, per  la  zitellona,  era  altrettanto  lodevole  quanto 
quella  degli  altri  che  avevano  attaccato  lite  con  tutti 
per  niente.  Ed  a  proposito  di  duelli,  dove  lasciare  il 
famoso  decreto  di   Lopez  Ximenes  ? 

—  Aveva  mandato  bandi  sopra  bandi  —  narrava  la 
zitellona  al  nipotino,  —  per  proibire  le  sfide  ;  ma  a  chi 
diceva,  al  muro?  Non  gli  davano  retta  !  Ah,  no?  Allora 
fece  una  pensata  ;  aspettò  il  primo  duello,  che  fu  tra 
Arrigo  Ventimiglia  conte  di  Ceraci  e  Pietro  Cardona 
conte  di  Gollsano,  e  confiscò  tutti  i  loro  beni  :  glieli 
tolse,   hai   capito  ? 

— •  E  chi   se  li   prese  ? 

—  Tornavano  ai  Re,  - —  spiegò .  don  Eugenio  ;  — 
ma  poi  la  faccenda  s'accomodò  :  Ventimiglia  se  ne 
andò  fuori  regno,  e  Cardona  regalò  al  Viceré  il  suo 
castello  della   Roccella,  per  ottener  perdono — 

A   furia   di   simili   pensate j    il  Viceré   venne  però   in 
uggia  a  tutto  ir  mondo,  tanto  che  il  Parlamento  mandò 
deputazioni  in  Ispagna  perchè  il  sovrano  lo  rimovesse 
dal  posto  :   opera  dei   baroni  invidiosi   e  birbanti   — ■  a 
giudizio    della    zitellona  —   ma    lui,    più    fino    di    loro, 
che  fece?  Offri  al  Re  un  dono  di  30  mila  scudi,  e  cosi    / 
restò  al  suo  posto;   per  poco,  però,.    Era   naturale  che 
non  lo.  potessero   soffrire,   giacché   nessun   altro   aveva  sj 
tanta  potenza,  tanta  ricchezza  e  tanta  nobiltà.  C'erano  jM 
stati    prima    molti    altri    governatori    della    Sicilia    che  " 
tenevano  il  luogo  del  Re,  ma  si  chiamavano  Presidenti 


-  i65  - 

del  regno,  o  Viceré  non  proprietarii,  e  dovevano  con- 
sultare Sua  Maestà  prima  di  eleggere  qualcuno  alle 
cariche  di  Mastro  Giustiziere,  d'Ammiraglio,  di  Gran 
Siniscalco,  etc.  ;  e  non  potevano  dare  feudi  o  Inirgen- 
satìci  che  oltrepassassero  Ja  rendita  di  onze  200  casti- 
gliane,  né  somme  di  denaro  superiori  a  2  mila  fiorini 
di  Firenze  ;  era  loro  egualmente  proibito  di  nominare 
i  castellani  di  Palermo,  Catania,  Mozia,  Malta,  etc, 
etc.  ;  mentre  1'  Uzeda  esercitava  lo  stesso  preciso  po- 
tere dd  Re,  potendo,  come  diceva  il  rescritto  :  «  ema- 
nar leggi  durature  a  suo  piacere,  condonare  la  pena 
di  morte,  conferire  dignità,  far  tutto  ciò  che  avrebbe 
fatto  lo  stesso  Re,  esercitare  tutti  gli  atti  riserbati 
alla  suprema  regalia  ed  alla  regia  dignità,  ancorché 
avessero  ricercato  un  mandato  speciale  o  specialis- 
simo—  »  Chi  poteva  dunque  star  loro  a  fronte?  Che 
avevano  da  invidiare  alle  famiglie  più  nobili  di  Na- 
poli e  di  Spagna?  Si  gloriavano  perfino  d'una  santa 
in  cielo  :  la  Beata  Ximena.  Era  vissuta  tre  secoli  e 
mezzo  addietro  ;  maritata  dal  padre,  per  forza,  al  conte 
Guagliardetto,  terribile  nemico  di  Dio  e  degli  uomini, 
aveva  ottenuto  la  conversione  del  colpevole  e  compiuto 
grandi  miracoli  in  vita  e  dopo  morte  :  il  suo  corpo, 
portentosamente  salvato  dalla  corruzione,  conservavasi 
in  una  cappella  della  chiesa  dei  Cappuccini  !...  E  come, 
sfogliando  il  volume  per  vedere  gli  altri  stemmi,  quelli 
dei  Radali,  dei  Torriani,  il  ragazzo  domandava  alla 
zia  perché  .non  c'era  quello  della  zia  Palmi,  la  zitel- 
lona  rispondeva,    secco   secco  : 

—  Lo  stampatore  dimenticò  di  mettercelo  ;  ma  è 
così  :  suo  padre  che,  con  una  zappa  in  mano,  pianta 
un  piede  di  palma 

Verso  la  fine  di  settembre  il  colera  crebbe  d'  inten- 
sità; il  25  il  bollettino  segnò  trenta  morti,  ma  si  di- 
ceva che  fossero  piia  e  che  gì'  infetti  superassero  il 
centinaio  e  che  qualche  caso  sparso  inquietasse  le  cam- 
pagne.   Ci   fu   una   nuova   scappata   di   gente;   la   vigi- 


—   i6G  — 

lanza  al  Belvedere  era  continua  perchè  non  entras- 
sero i  fug-,giti  da  luoghi  sospetti  :  contadini  e  cittadini, 
armati  di  schioppi,  carabine  e  pistole,  facevano  la 
guardia  in  tutte  le  vie  che  mettevano  capo  al  paesello, 
esercitando  una  specie  di  polizia  arbitraria  e  inap- 
pellabile; e  poiché,  ad  ogni  passaggio,  di  fuggiaschi, 
avvenivano  scene  tra  comiche  e  tragiche,  Raimondo, 
per  vincer  la  noia  —  essendo  il  giuoco  interrotto  per 
quel  nuovo  spavento  —  gironzava  spesso  per  i  posti 
di  guardia.  Un  giorno,  saputosi  che  a  Màscali  c'era 
gente  ammalata  di  colera,  i  carri  e  le  carrozze  prove- 
nienti di  lì  non  furon  lasciati  passare.  Mentre  quelli 
del  Belvedere  intimavano  il  dietro-fronte  con  gli  schioppi 
spianati,  e  gli  emigranti  facevano  valere  le  loro  ra- 
gioni, mostrando  certificati,  pregando,  miinacciando, 
gridando,  Raimondo  che  se  la  godeva  s' udì  a  un 
tratto  chiamare:  «Don  Raimondo!...  Contino!  Con- 
tino!...» e  guardatosi  intorno  vide  due  donne  che 
dallo  sportello  d'una  polverosa  carrozza  gli  facevano 
cenni  disperati. 

—  Donna   Clorinda!...    Voi   qui?... 

Donna  Clorinda  era  la  vedova  del  notaio  Limarra, 
famosa  per  l'allegria  dimostrata  in  gioventù  ed  ora, 
nella  maturità  prossima  al  disfacimento,  per  la  bel- 
lezza della  figliuola  Agatina,  la  quale,  seguendo  le  orme 
della  madre,  aveva  civettato,  ragazza,  con  tutti  i  gio- 
vanotti che  le  si  erano  stropicciati  alle  gonne  ;  maritata 
pili  tardi  col  patrociniatore  Galano,  gli  procurava  clienti 
d'ogni  genere.  Donna  Clorinda,  con  un  debole  pei  gio- 
vanotti nobili,  era  «tata,  più  di  dieci  anni  addietro, 
la  prima  conquista  di  Raimondo  ;  lasciata  la  madre, 
egli  aveva  poi  ruzzato  con  la  figliuola,  ma  senza  molto 
profitto,  in  verità,  perchè  costei  uccellava  al  marito;  am- 
mogliato egli  stesso  e  andato  via  di  Sicilia,  le  aveva 
perdute  di  vista.  Adesso  le  due  donne,  ed  anche  il 
marito  che  se  ne  stava  rannicchiato  più  morto  che 
vivo  in  fondo  alla  carrozza,  si  mettevano  sotto  la  sua 
protezione  per  ottenere  un  rifugio  al  Belvedere.  Grazie 


-  i67  - 

a  lui  le  lasciarono  entrare  ;  ma  le  difficoltà  ricomincia- 
rono subito  dopo,  giacché,  avendo  i  fug,gia5chi  invaso 
ogni  buco,  non  c'erano  in  paese  altro  che  le  stalle  dove 
poter  mettere  nuova  gente.  Nondimeno,  per  donna  Clo- 
rinda e  l'Agatina,  che  incontravano  un  nuovo  amico  ad 
ogni  pie  sospinto,  tutto  il  Belvedere  si  mise  in  moto, 
finché  trovarono  loro  due  camerette  terrene,  un  poco 
fuori  mano,  ma  con  un  piccolo  giardinetto.  Appena  sta- 
bilite, ridussero  una  di  quelle  scatole  a  salottino  da 
ricevere,  e  cominciò  subito  l'andirivieni  di  tutta  la  co- 
lonia cittadina  messa  in  rivoluzione  da  quell'arrivo. 
Donna  Clorinda,  che  non  s' arrendeva  ancora,  dava 
udienza  a  tutti  ;  ma  il  posto  accanto  alla  figliuola  fu 
serbato  a  Raimondo.  Per  la  libertà  che  regnava  in 
quella  casa,  pel  buon  umore  delle  due  donne,  anche 
i  rimasti  a  bocca  asciutti  ci  venivano  a  passare  la  sera 
meglio  che  al  casino,  giocando,  ciarlando,  cantando. 
E  Raimondo,  smessa  la  noia,  smessa  la  mutria,  non 
rincasava  più,  isi  faceva  ancora  una  volta  aspettare  lun- 
ghe e  lunghe  ore  dalla  moglie  triste  ed  inquieta  pel 
rinnovato  pericolo  della  pestilenza,  pei  sospetti  che  quel 
repentino  cambiamento  rievocava,  accorata  più  tardi 
dalle  allusioni  con  le  quali  donna  Ferdinanda,  il  prin- 
cipe, le  stesse  persone  di  servizio  le  rivelavano  gli 
antichi  amori  del  marito.  Poteva  ella  credere  alla 
nuova  tresca  con  la  figlia  dell'antica  amante?  Non  era 
questo  un  peccato  mortale,  una  mostruosità  che  la 
mente  di  lei  rifiutavasi  di  concepire  ?  Non  doveva  ella 
credere,  piuttosto,  che  l'astio  dei  parenti  contro  Rai- 
mondo e  lei  stessa  ordisse  l'accusa  maligna?...  Bru- 
scamente ritolta  alla  pace,  ella  tornava  a  struggersi,  a 
lottare  contro  sé  stessa,  contro  i  sospetti  che  la  riassa- 
livano non  ap<pena  scacciati,  a  passar  le  lunghe  notti 
autunnali  tremando  nell'attesa  del  ritorno  di  lui,  a  pian- 
gere per  gli  sgarbi  coi  quali  egli  rispondeva  alle  sue 
inquietudini. 

—  Perché   resti   fuori   cosi   tardi  ?    Ho   paura   per   la 
tua  salute 


—  i68  — 

—  Non  sono  più  libero  di  restar  fuori  quanto  mi 
piace  ? 

—  Sei  libero,  si....  Ma  non  andare  in  quella  casa, 
tra  quella  gente  che  tuo  fratello  si  vergogna  di  rice- 
vere  

—  Dove  vado  ?  Tra  quale  gente  ?  To  vado  al  casino  ; 
vuoi  anche  spiarmi  ? 

No,  ella  gli  credeva,  voleva  e  doveva  credergli.  Ma 
perchè  pesavano  su  lei  gli  sguardi  tra  ironici  e  com- 
passionevoli di  tutta  la  famiglia  e  della  servitù  ?  Perchè 
il  discorso  moriva  in  bocca  alle  persone  alle  quali  ella 
s'avvicinava? —  Una  notte,  dopo  quattro  mesi  di  sic- 
cità, scoppiò  un  terribile  temporale  ;  il  cielo  scuro  fu 
solcato  da  saette  lucenti  come  spade,  le  strade  si  mu- 
tarono improvvisamente  in  fiumane  limacciose,  la 
grandine  strosciò  sulle  vetrate  e  sui  tetti.  Ella  che  aveva 
sperato  di  veder  tornare  Raimondo  ai  primi  accenni 
dell'  uragano,  aspettava  ancora  tremante  di  paura.  Non 
una  voce,  non  un  rumor  di  passi.  Il  temporale  cessò 
dopo  un'ora,  Raimondo  non  tornava  ancora....  Non  gli 
altri  maligni,  ma  egli  stesso  era  bugiardo  e  incestuoso  : 
poteva  più  dubitarne?  Quella  spudorata  non  l'aveva 
anche  lei  guardata  arditamente  in  viso,  in  atto  di  sfida, 
quasi  dicendole  :  «  Sono  più  bella  di  te,  perciò  egli  mi 
preferisce?...  »  Ed  era  vero:  la  sua  gelosia  era  tanto 
più  umiliata,  quanto  più  ella  riconosceva  di  non  pia- 
cere a  suo  m.arito,  ora  specialmente  che  la  gravidanza 
inoltrata  la  disformava.  Ma  aveva  egli  veramente  giu- 
rato di  attentare  alla  vita  dell'essere  che  ella  portava 
in  grembo,  infliggendole  torture  sopra  torture,  lascian- 
dola cosi,  nella  notte  oscura  e  tempestosa,  com  quello 
spasimo  del  peccato  orribile,  del  nuovo  tradimento,  con 
l'anima  piena  di  dolore  e  di  vergogna  e  di  spavento?... 
Egli  rincasò  a  mezzanotte,  fracido  intinto,  con  gli  abiti 
talmente  fangosi  come  se  si  fosse  rotolato  nella  mota. 

—  Maria  Santissima!...  —  esclamò  ella,  giungendo 
le  mani.  —  Come  ti   sei  conciato  cosi  ? 

—  Pioveva;    sei    sorda?    non    hai    sentito    l'acqua? 
— •  Ma  la  pioggia  è  finita  da  un  pezzo.... 


—   i6g  — 

— ■  Mi  son  inzuppato  prima!...  —  gridò  quasi  egli. 
—  Ho  da  sentire  anche  te,  adesso? 

Improvvisamente,  ella  ebbe  la  conferma  dei  proprii 
sospetti  :  rispondeva  cosi  quand'era  colto  in  fallo,  re- 
plicava con  le  violenze  alla  ragione  ;  troncava  la  di- 
scussione coi  gridi Appoggiata  la  fronte  a  un  vetro 

sul  quale  la  nuova  pioggia  fine  fine  tirava  umide  righe, 
ella  si  mise  a  piangere  silenziosamente.  Il  bene  che  gli 
voleva,  l'obbedienza  che  gli  prestava,  la  devozione 
sommessa  di  cui  gli  dava  prova  ogni  giorno  non  ba- 
stavano, dunque  :  tutto  era  inutile  !  egli  la  sfuggiva, 
la  tradiva,  per  chi?...  E  l'aveva  costretta  ad  abban- 
donare la  sua  bambina,  e  l'aveva  espoista  ai  rimpro- 
veri di  suo  padre,  per  questo!  per  questo!...  Un  do- 
lore sopra  l'altro,  sempre,  sempre,  anche  adesso  che 
ella  avrebbe  dovuto  esser  salerà  per  lui,  perchè  i  dolori 
potevano  uccidere  la  creatura  che  stava  per  nascere  !... 

La  voce  di  Raimondo,  rauca,  che  chiamava  il  came- 
riere, la  strappò  all'alba  di  lì.  S'era  messo  a  letto,  il 
ribrezzo  della  febbre  gli  faceva  battere  i  denti.  Allora 
ella  asciugò  le  lacrime,  corse  ad  assisterlo.  Per  tre 
giorni  non  lasciò  un  momento  il  suo  capezzale,  gli 
fece  da  infermiera  e  da  cameriera,  dimenticando  la 
propria  ambascia  pel  terrore  che  quel  male  degenerasse 
nella  pestilenza  influente,  restando  sola  presso  di  lui 
quando,  insospettiti,  nessuno  della  famiglia  volle  più 
entrarci.  Tremavano  all'  idea  del  contagio,  avevano 
tutti  paura  di  prenderlo,  Raimondo  piij  di  tutti,  nono- 
stante le  risate  confortative  del  dottore,  nonostante 
le  assicurazioni   di   lei. 

Guarito  dell' 'infreddatura,  egli  non  ebbe  più  nulla; 
però  non  era  ancora  del  tutto  ristabilito  che  pretese 
andar  fuori. 

—  Fallo  per  noi  !  —  scongiurò  Matilde,  a  mani 
giunte;  —  per  nostra  figlia!  Non  t'esporre  a  un  altro 
malanno  !... 

Non  gli  aveva  detto  nulla  dei  suoi  sospetti,  per  non 
irritarlo    mentr'era    infermo;     ma    ora    gli    buttava    le 


braccia   al   collo,   gli   diceva,   guardandolo   negli   occhi, 
passandogli  una  mano  sui  capelli  : 

—  Dove  vuoi  andare  ?  Perchè  mi  lasci  ?  Resta 
con  me  ! 

—  Voglio  far  due  passi;  mi  sento  bene....  —  ri- 
spose, solleticato  da  quelle  carezze,  da  quella  som- 
messione  di  cane  fedele. 

— •  Li  faremo  insieme  nella  vigna Non  c'è  bisogno 

di   andar   fuori —    se   è   vero   che   mi   vuoi   bene...    me 
sola!...   e  che  non  pensi  ad  altri 

—  A  chi  dovrei  pensare?...  —  esclamò  Raimondo, 
con  un  sorriso  fatuo  di  compiacimento. 

—  A   nessuna?...    A  nessuna?...    A  colei? 

—  Ma   a  chi? 

—  Alla  Galano?...  —  quel  nome  le  bruciava  le 
labbra. 

—  Io?  —  rispose  con  tono  di  protesta.  —  Ma  nean- 
che per  sogno!...  Vorrei  un  po'  sapere  chi  ti  mette  in 
capo   queste  cose  ! 

—  Nessuno  !  Le  temo  io,  perchè  ti  voglio  bene,  per- 
chè  sono   gelosa — 

Egli   rideva  di  tutto  cuore,   rassicurandola. 

—  Ma  no!  Che  ti  salta  in  capo!...  E  poi,  l'Aga- 
tina  !...    Una  che  è  di  tutti,   di  chi  la  vuole!... 

—  È  vero?  È  vero?...  Allora,  perchè  ci  vai? 

—  Ci  vado  perchè  mi  diverto,  perchè  è  come  andare 
al  caffè,  al  circolo — 

—  Allora,  la  sera  che  prendesti  l'infreddatura?... 

—  M' inzuppai  perchè  l'acqua  mi  colse  alla  Rava- 
nusa  ;  puoi  domandarne,   se  non  mi  credi  ! 

SI,  ella  gli  avrebbe  creduto,  se  la  dolcezza  con  cui 
la  trattava  non  fosse  stata  nuova,  innegabile  prova  che 
aveva  qualcosa  da  farsi  perdonare —  Ebbene,  che  le 
importava,  se  era  per  questo?  Qualunque  fosse  il  sen- 
timento che  gli  dettava  quelle  parole,  esse  erano  buone, 
la  toglievano,  almeno  per  poco,  al  suo  cordoglio.  E 
con  l'anima  che  riaprivasi  alla  speranza,  ella  lo  udiva 
proporle  : 


—  Del  resto,  ora  che  il  colera  sta  per  finire,  andremo 
via  tutti.  Quando  avrò  sistemato  gli  affari  della  divi- 
sione con  Giacomo,  ce  ne  torneremo  a  Firenze.  Ma  per 
ora,  se  vuoi  faremo  una  corsa  a  Milazzo.  Partorirai  a 
casa   tua  ;   ti  piace  ? 


VI. 


— .  Ahhas  .'...  Ahhas  !...  —  disse  il  Fratello  portinaio, 
inchinandosi. 

—  Che  significa  ?  —  domandò  allo  zio  Priore  Con- 
salvo,   che    il    padre   conduceva    per    mano. 

—  Vuol  dire  che  l'iVbate  è  in  convento  —  spiegò 
Sua  Paternità. 

Su  per  lo  scalone  reale,  tutto  di  marmo,  il  ragazzo 
guardava  le  pareti  decorate  di  grandi  quadri  a  mezzo 
rilievo  di  stucco  bianco  sopra  fondo  azzurrognolo  :  San 
Nicola  da  Bari,  il  martirio  di  San  Placido,  il  battesimo 
del  Redentore,  con  sciami  d'angeli  in  giro,  corone,  fe- 
stoni e  rami  di  palme  sulla  vòlta.  Lo  scalone  sbucava 
nel  corridoio  di  levante,  dinanzi  alla  grande  finestra 
che  metteva  nella  terrazza  del  primo  chiostro. 

—  È  là,  —  disse  il  Priore,  inchinandosi  verso 
un'ombra  nera  che  passava  dietro  i  vetri. 

L'Abate,  dall'esterno,  attaccò  il  viso  al  finestrone  e 
riconosciuti  i  visitatori  esclamò,  gestendo  : 

—  Apri,  apri,  Ludovl — 

Il  Priore  fece  girare  la  spagnoletta,  e  presa  la  mano 
del  superiore  la  .baciò  rispettosamente  ;  il  principe  e  il 
principino  seguirono  l'esempio. 

—  Benedetti,  figliuoli,  benedetti!...  Questo  è  dunque 
il  nostro  monachino?  Oh,  che  bel  monachino  ne  vo- 
gliamo fare!...  Consalvo,  eh?  —  domandò  rivolto  al 
principe  ;  poi,  al  ragazzo  :  —  Consalvo,  tu  sei  contento 
di    stare  con   noi,   che?... 


— •   172  — ■ 

—  Rispondi!...    Rispondi  a  Sua  Paternità... 
Il  ragazzo  disse,   guardandolo  in  viso  : 

--  SI. 

—  Bravo!...  Che  bel  ragazzo!...  Che  occhi!...  Tu 
starai  qui  con  lo  zio,  crescerai  buono  e  santo  come  lui, 
che?...  —  e  mise  affabilmente  una  mano  sulla  spalla 
del  Priore,  il  quale  mormorò,  arrossendo  : 

—  Padre   Abate  !... 

Questi  s'avviò,  appoggiandosi  al  bastone.  Il  Priore 
gli  stava  alla  destra,  il  principe  alla  sinistra  :  Consalvo 
era  andato  ad  affacciarsi  all'  inferriata,  guardava  giù 
nel  chiostro  contornato  da  un  portico  che  reggeva  la 
terrazza  superiore,  pieno  di  statue,  di  vasche  dove 
l'acqua  cantava,  di  sedili  distribuiti  fra  le  aiuole  sim- 
metriche, con  un  padiglione  in  centro,  di  stile  gotico, 
a  quattro  archi,  la  cui  vòlta  di  lastre  lucide  faceva 
Sipecchietto  al  sole.  Il  ragazzo  curiosava  ancora  quando 
suo  padre  lo  chiamò  :  la  comitiva  (^lirigevasi  al  quar- 
tiere dell'Abate,  posto  accanto  a  quello  del  Re,  nel  cor- 
ridoio di  mezzogiorno,  dove  ogni  uscio  era  sormontato 
da  grandi  quadri  rappresentanti  le  vite  dei  santi.  Giunto 
dinanzi  alla  sua  porta,  l'Abate  diede  qualche  ordine  al 
cameriere,  poi  tutti  si  diressero  al  Noviziato,  pel  cor- 
ridoio dell'Orologio,  lungo  piij  di  cento  canne,  il  cui 
finestrone  di  fondo  pareva  piccolo,  dall'opposta  estre- 
mità, come  un  occhio  di  bue.  Passarono  dapprima  ac- 
canto al  secondo  chiostro,  il  quale  aveva  il  portico  al 
primo  piano  e  la  terrazza  al  piano  s.uperiore  come 
l'altro;  anch'esso  era  coltivato:  tutt' un  boschetto  di 
aranci  e  di  cedri  dal  fogliame  scuro  che  i  frutti  d'oro 
punteggiavano.  Poi  si  lasciarono  dietro  il  Coro  di  notte 
dove  sbucava  un'altra  scala,  poi  l'orologio;  né  il  cor- 
ridoio finiva  ancora.  L'Abate,  tra  il  principe  e  il  Priore, 
chiacchierava  con  una  volubilità  straordinaria,  semi- 
nando il  discorso  di  che?...  aspirati  ai  quali  non  la- 
sciava dare  risposta.  I  Fratelli  che  incontravano  lungo 
il  loro  cammino  si  fermavano  tre  passi  innanzi  alla  co- 
mitiva, chinavano  il  capo  giungendo  le  mani  sul  petto 


al  passagg-io  dei  superiori.  E  sulla  porta  del  Noviziato 
stava  Fra  Carmelo,  che  scorto  il  ragazzo  gli  apri  le 
braccia    con    aria   festosa,    esclamando  : 

—  C'è  venuto!.,.  C'è  venuto!... 

Padre  Raffaele  Cùrcuma,  il  Maestro  dei  novizii, 
venne  incontro  all'Abate,  e  gli  fece  strada  fino  alla  sala 
delle  lezioni  dov'erano  riuniti  tutti  i  fanciulli,  Giovan- 
nino Radali  fra  gli  altri,  da  sei  mesi  a  San  Nicola. 

—  Questo  è  il  nostro  nuovo  monachino,  —  spiegava 
Sua  Paternità.  — .  Abbraccia  il  cug-i netto  !...  La  tua 
camera  è  pronta,  or  ora  ci  andremo.  Adesso  tu  la- 
scerai il  tuo  nome  ;  ti  chiamerai  Serafino.  Il  tuo  cugi- 
netto  si  chiama  Angelico,  che?...  Questo  qui  è  Pla- 
cido, questo  Luigi — 

Erano  frattando  arrivati  due  camerieri  con  vassoi 
pieni  di  dolci,   ai  quali   i  novizii  facevano  festa. 

—  Vedrai  che  è  bello,  qui,  —  diceva  il  Maestro  al 
nuovo  arrivato,  accarezzandolo.  —  Ti  divertirai,  con 
tanti  compagni.... 

Consalvo  chinava  il  capo,  lasciava  che  dicessero. 
La  curiosità  del  primo  momento  gli  era  passata,  sen- 
tiva adesso  una  gran  voglia  di  piangere  ;  nondimeno 
guardava  tutti  in  viso,  quasi  in  atto  di  sfida,  per  non 
darla  vinta  a  suo  padre  che  aveva  per  forza  voluto 
ficcarlo  li  dentro.  E  Fra  Carmelo  era  stupito  della 
sua  franchezza  :  tutti  gli  altri  ragazzi,  il  primo  giorno, 
avevano  gli  occhi  rossi,  dicevano  che  non  volevano 
starci,  piangevano  immancabilmente  quando  il  barbiere 
recideva  le  loro  chiome,  quando  lasciavano  gli  abiti 
secolari  per  vestire  la  nera  tonacella.  Invece  il  princi- 
pino, andato  via  suo  padre  dopo  1'  ultimo  predicozzo, 
si  lasciava  fare,  vedeva  cadere  i  capelli  sotto  le  cesoie 
senza  dir  nulla,  indossava  il  saio  come  se  l'avesse  por- 
tato fin  dalla  nascita. 

— ,  Bravo!...  Sempre  così  contento  ha  da  starci!... 
Vedrà  poi  quanti  giuochi,  quanti  spassi — 

Il  ragazzo  rispose,   duramente  : 

—  Io  sono  il  principe  di  Francalanza;  non  sempre 
ci   starò. 


—   T74  — 

—  Sempre?...  Chi  l'ha  detto?...  Ci  starà  qualche 
anno,  finché  imparerà —  Semipre  ci  stanno  i  suoi  zii — 
Adesso,   adesso  andremo  da   Padre  don  Blasco 

E  presolo  per  mano,  gli  fece  rifare  la  via  tenuta 
al  venire,  fino  alla  camera  del  Decano,  che  «ra  nel 
corridoio  di  mezzogiorno,  col  quadro  di  San  Giovanni 
Boccadoro  suU'  uscio. 

— ■  Deo  gratias  ?.... 

—  Chi  è  ?  —  rispose  il  vocione  del  monaco. 

L'uscio  s'aperse  un  poco,  ed  egli  comparve,  in  pan- 
taloni e  maniche  di  camicia,  con  la  pipa  in  bocca,  in 
mezzo  alla  camera  sottosopra  come  un  campo  lavorato. 

—  Qui  c'è  il  nipotino  di  Vostra  Paternità,  che  viene 
a   baciar  la  mano   alla   Paternità  Vostra. 

—  Ah,  isei  qui?  —  esclamò  il  monaco,  nettandosi 
le  labbra  col  rovescio  d'  una  mano.  —  Va  bene,  tanto 
piacere  !  —  aggiunse,  senza  fargli  neppure  una  carezza  ; 
poi,  rivolgendosi  al  Fratello  :  —  Conducetelo  a  spasso 
nella  Flora. 

Dopo  tante  grida  contro  l'ignoranza  e  la  mala  edu- 
cazione del  iproniipote,  il  monaco  era  montato  in  bestia 
quando  il  principe  aveva  deciso  di  metterlo  a  San  Ni- 
cola. Ce  lo  mettevano  per  educazione  ?  Voleva  dire  che 
non  erano  buoni  di  educarlo  in  casa  !  Allora  aveva  ra- 
gione lui  quando  diceva  che  davano  al  ragazzo  di  begli 
esempii  ?  Ma  Giacomo  voleva  mettere  il  figlio  a  San 
Nicola  anche  per  gli  studii  :  come  se  gli  Uzeda  aves- 
sero mai  saputo  fare  di  più  della  loro  firma!  E  poi  ci 
voleva  molto  a  dargli  qualche  maestro,  se  avevano  la 
fregola  di  farne  un  letterato?  I  maestri,  però,  poco 
o  molto,  bisognava  pagarli,  e  questo  era  il  solo  e  vero 
motivo  della  deliberazione  :  risparmiare  4  baiocchi; 
perchè  ai  Benedettini  non  solamente  non  si  pagava 
nulla,  ma  le  stesse  famiglie  degli  scolari  ci  guadagna- 
vano qualcosa  !... 

Le  camere  del  Noviziato  aprivano  tutte  in  un  giar- 
dino destinato  unicamente  al  diporto  dei  ragazzi  ;  non 
c'erano    soltanto    fiori,    ma    alberi    fruttiferi,    aranci,    li- 


--  ^75  — 

nìoni,  mandarmi,  albicocchi,  nespoli  del  Giappone,  e 
la  mattina  un  pigolio  assordante  di  passeri  svegliava 
i  novizii  prima  ancora  che  Fra  Carmelo  venisse  a  chia- 
marli per  le  divozioni  che  andavano  a  dire  nella  cap- 
pella. Finito  di  pregare  tornavano  tutti  nelle  loro  ca- 
mere, facevano  una  colazione  frugale  perchè  il  pranzo 
era  a  mezzogiorno,  e  ripassavano  le  lezioni  per  tro- 
varsi pronti  all'arrivo  dei  lettori  che  insegnavan  loro 
r  italiano,  il  latino  e  l'aritmetica,  più  la  calligrafìa  e 
il  canto  corale,  le  domeniche.  A  terza,  dopo  le  lezioni, 
c'era  la  messa,  che  scendevano  ad  ascoltare  in  chiesa; 
la  più  grande  di  Sicilia,  tutta  marmo  e  stucco,  bianca 
e  luminosa,  con  la  cupola  che  sfondava  il  cielo  e  l'or- 
gano di  Donato  del  Piano  costato  tredici  anni  di  lavoro 
e  diecimila  onze  di  denari.  Subito  dopo  da  messa,  i 
novizii  andavano  al  refettorio,  certe  volte  in  quello 
grande  insieme  coi  Padri,  certe  altre  da  soli,  nel  pic- 
coilo,  secondo  prescriveva  la  Regola;  ma  lo  spasso  co- 
minciava più  tardi,  dopo  il  desinare,  quando  si  spar- 
pagliavano per  il  giardino,  dove  isi  mettevano  a  gio- 
care a  rimpiattino,  alle  bocce,  ai  castelletti,  oppure 
zappavano  o  coltivavano  ciascuno  i  propria  alberi,  op- 
pure mandavano  per  aria  aquilotti  e  palloni.  Oltre  il 
muro  di  cinta,  distendevasi'  un  terreno  incolto,  tutto 
lava  e  sterpi,  fino  alla  Flora  —  il  giardino  grande  de- 
stinato al  diporto  dei  monaci,  dove  i  ragazzi  andavano 
di  tanto  in  tanto,  a  rincorrersi  pei  grandi  viali  —  e  il 
principino,  che  aveva  subito  preso  le  abitudini  del  con- 
vento ed  era  il  più  diavolo  di  tutti,  spesso  arrampica- 
vasi  su  quel  muro,  tentava  di  scavalcarlo  e  andarsene 
nella  sciava;  ma  allora  il  Padre  Maestro  e  Fra  Car- 
melo ammonivano  : 

—  Di  là  non  si  passa!...  Non  t'arrischiare  da  quella 
parte,  che  ci  bazzicano  gli  Spiriti  :  se  t'afferrano  ti 
portano  via  con  loro — 

—  Li  hai  visti  tu,  cotesti  Spiriti  ?  —  domandò  una 
volta  Consalvo  a  Giovannino  Radali. 

—  Io,    no;   ci  vanno  la   notte,   dicono. 


-  176- 

E  la  notte  non  potevano  g^uardarci  perchè,  dopo  la 
passeggiata  vespertina  che  facevano  giù  in  città,  e 
dopo  la  cena,  rientravano  per  lo  studio  e  per  le  pre- 
ghiere della  sera. 

Fra  Carmelo  teneva  loro  compagnia,  badava  che 
non  mancassero  di  nulla,  e  quando  non  c'era  da  fare, 
li  svagava  parlando  dei  novizii  d'un  tempo,  che  adesso 
erano  monaci  o  alle  case  loro,  narrando  le  storie  anti- 
che, il  famoso  furto  della  cera  nella  notte  del  Santo 
Chiodo  ;  la  rivoluzione  del  Quarantotto,  quando  San 
Nicola  era  servito  di  quartier  generale  a  Mieroslawski  ; 
la  venuta  di  Re  Ferdinando  e  della  Regina  nel  1834; 
ma  diffondendosi  più  che  altro  intorno  alle  vicende 
del    monastero. 

Nel  primo  principio  non  si  sapeva  bene  chi  lo  avesse 
fondato,  ma  il  1136  certi  santi  Padri  Benedettini  s'e- 
ran  ritirati,  per  meditare  e  far  penitenza,  nei  boschi  del- 
l'Etna e  lì,  coll'aiuto  del  conte  Errico,  avevano  eretto 
il  primo  convento  di  San  Leo.  San  Leo  era  uno  dei 
tanti  crateri  spenti  del  Mongibello,  tutto  coperto  di  bo- 
schi e  sei  mesi  dell'anno  ammantato  dalla  neve;  una 
vera  solitudine  adatta  al  santo  scopo.  In  inverno  la 
tramontana  turbinava  intorno  al  povero  e  rustico  fab- 
bricato, tagliava  la  faccia,  scottava  le  mani,  gelava 
ogni  cosa  :  tanto  che  molti  dei  monaci  s'eran  buscate 
gravi  malattie,  non  resistendo  all'' intemperie.  Per  tanto 
avevano  ottenuto  di  poter  mandare  gl'infermi  più  giù, 
in  un  ospizio  fabbricato  nel  bosco  di  San  Nicola;  e  11, 
come  ci  si  stava  meno  a  disagio,  cominciarono  ad  an- 
dare anche  parte  dei  monaci  sani.  A  San  Leo,  intanto, 
oltre  il  freddo  c'era  un  altro  spavento,  quando  la  mon- 
tagna s'apriva,  vomitando  fuoco  e  cenere  ardente  :  i 
terremoti  sconquassav^amo  la  fabbrica,  la  lava  distrug- 
geva gli  alberi  e  disseccava  le  cisterne,  la  cenere  info- 
cata bruciava  ogni  verdura.  «  Potevano  sopportare  tanti 
guai,  i  poveri  Padri  ?  »  La  meditazione  stava  bene,  ma 
se  il  suolo  mettevasi  a  ballar  la  tarantella,  chi  poteva 
più    riconcentrarsi  e  pregare  ?   La  penitenza  stava  an- 


—  ^11  — 

Cora  meglio  ;  ma  bisognava  pure  e\itare  che,  a  furia  di 
mortificazioni,  i  penitenti  non  se  ne  andassero  difilato 
all'altro  mondo  prima  d'aver  purgato  ì  loro  falli.  Per 
conseguenza,  impetrarono  ed  ottennero  di  stabilirsi  defi- 
nitivamente a  San  Nicola,  intorno  al  quale  venne  cre- 
scendo un  paesetto  che,  dal  Santo,  si  chiamò  Nicolosi 
per  l'appunto.  Li,  il  convento  fu  costruito  con  qualche 
comodo,  più  grande  dell'antico,  e  i  monaci  vi  resta- 
rono molti  anni  ;  però  Nicolosi  non  scherzava  neppur 
esso  :  la  neve,  se  non  sper  sei  mesi,  vi  cadeva  copiosa 
in  inverno,  e  il  freddo  era  ancora  troppo  pizzicante  ; 
tanto  che  gli  ammalati  bisognò  mandarli  in  un  altro 
os>pizio  fabbricato  apposta  più  giù,  alle  porte  di  Ca- 
tania; senza  dire  che  i  ladri  infestavano  quelle  cam- 
pagne. Veramente  i  monaci,  che  avevano  fatto  voto  di 
povertà,  non  avrebbero  dovuto  temerli  ;  perchè  «  cento 
ladri  »  come  dice  il  proverbio  «  non  possono  spogliare 
un  nudo  ;  »  ma  Re,  Regine,  Viceré  e  Baroni  avevano  co- 
minciato a  donar  roba  al  convento  ;  e  a  furia  di  rac- 
coglier legati  i  Padri  si  trovavano  possessori  di  un 
gran  patrimonio.  Ora,  chi  doveva  godersi  quelle  ric- 
chezze? i  topi?  Perciò  nel  1550,  i  Benedettini  pensa- 
rono di  venirsene  definitivamente  in  città,  mettendo  la 
prima  pietra  d'  un  magnifico  edifizio  alla  presenza  del 
Viceré  Medinaceli.  Certuni  volevan  dire  che  San  Be- 
nedetto fosse  crucciato  perché  i  suoi  figli  avevano  la- 
sciato i  boschi  e  s'erano  accasati  da  signori  in  città  : 
menzogna  patente,  poiché,  finito  che  fu  il  convento,  il 
glorioso  fondatore  dell'Ordine  Io  preservò  dal  fuoco 
del  vulcano  :  la  lava  dei  Monti  Rossi,  discesa  fino  a 
Catania,  preciso  in  direzione  del  convento,  g-iunta  di- 
nanzi ad  esso  girò  dalla  parte  di  ponente  e  andò  a 
gettarsi  in  mare  senza  fargli  alcun  danno.  È  vero  che 
nel  1693  il  terremoto  rovinò  l'edificio  dalle  fondamenta; 
però  il  castigo,  se  mai,  non  fu  inflitto  ai  soli  Padri,  ma 
a  mezza  Sicilia  che  se  ne  cascò  come  un  castello  di 
carte.  E  allora  finalmente  cominciarono  la  costruzione 
che   adesso   ammiravasi,    sopra    un    piano   tanto   gran- 

D^    Roberto.    7    Ficcrè    -    I  13 


—  178  — 

dieso  che  non  si  potè  eseguir  tutto  :  per  portarne  a 
compimento  una  metà,  i  lavori  durarono  fino  al  1735. 
La  ricchezza  dei  Padri  era  pervenuta  al  sommo  :  set- 
tantamila onze  l'anno,  e  certi  feudi  erano  cosi  vasti, 
che  nessuno  ne  aveva  fatto  il  giro  ! 

Quando  parlava  di  queste  cose.  Fra  Carmelo  non 
ismetteva  piij,  ./perchè  egli  aveva  passato  piij  di  cin- 
quant'anni  fra  quelle  mura,  e  voleva  bene  ai  Padri,  ai 
novizii,  alle  imagini  della  chiesa  ed  agli  alberi  della 
Flora,  come  se  tutti  fossero  parte  della  sua  famiglia. 
Conosceva  i  feudi,  le  tenute  e  i  poderi  meglio  di  tutti  i 
Cellerarii  di  campagna,  ciascuno  dei  quali  era  preposto 
al  governo  d'una  sola  proprietà;  e  quando  bisognava 
rammentar  qualcosa,  la  data  d'un  avvenimento  molto 
lontano,  la  misura  d'un  antico  raccolto,  tutti  ricorre- 
vano  a   lui. 

Il  principino  era  adesso  la  sua  più  grande  affezione  : 
egli  se  lo  teneva  vicino  più  che  poteva,  gli  regalava 
dolci  e  balocchi,  lo  vantava  all'abate,  al  Maestro  dei 
novizii,  agli  zii  ed  a  tutti.  Il  ragazzo,  veramente,  era 
troppo  vivace,  faceva  il  prepotente,  attaccava  lite  coi 
compagni  ;  Fra  Carmelo,  paziente  ed  indulgente,  sa- 
peva scusarlo  presso  il  Maestro,  se  commetteva  qual- 
che monellata,  e  raccomandava  prudenza  agli  altri  Fra- 
telli se  di  queste  monellate  essi  scontavan  la  pena. 

—  Bisogna  lasciarli  fare,  i  ragazzi  ;  e  poi  sono  si- 
gnori,  e  a   noi   tocca  obbedirli. 

I  Fratelli,  infatti,  erano  addetti  alle  grosse  bisogne, 
servivano  i  Padri  al  refettorio,  mangiavano  alla  se- 
conda tavola;  e  quando  i  monaci  dicevano  l'tififizio  in 
Coro,  essi  recitavano  in  un  cantone  il  solo  rosario.  Per 
entrar  novizii  e  diventar  .monaci  bisognava  esser  no- 
bili, e  Fra  Carmelo,  fanatico  di  quelle  cose  quanto 
donna  Ferdinanda,  celebrava  la  nobiltà  riunita  a  San 
Nicola.  Vi  si  trovavano  infatti  i  rappresentanti  delle 
prime  famiglie,  non  solo  della  Val  di  Noto,  ma  di  tutta 
la  Sicilia,  perchè  in  tutta  la  Sicilia  c'era  solo  un  altro 
convento  di  Cassinesi,   a   Palermo,    e  cosi   inferiore   in 


—  i79  — 

grandezza,  ricchezza  ed  importanza,  che  mandavano  lì 
da  Catania  i  monaci  stravaganti,  per  punizione.  L'A- 
bate era  un  gran  signore  napolitano,  il  secondogenito 
del  duca  di  Cosenzano  ;  da  Monte  Cassino  era  venuto 
anche  il  Padre  Borgia,  romano,  di  quella  famiglia  che 
aveva  dato  un  Papa  alla  cristianità;  e  poi  c'erano  gli 
isolani,  i  Gerbini,  che  discendevano  da  re  Manfredi  per 
via  di  donne  ;  i  Salvo,  venuti  in  Sicilia  con  gli  Svevi  ; 
i  Toledo,  i  Requense,  i  Melina,  i  Currera  spagnuoli 
come  gli  Uzeda;  i  Cùrcuma  e  i  Sagomi,  di  nobiltà  lon- 
gobarda; d  Grazzeri,  discesi  di  Germania;  i  Corvitini, 
fiamminghi  ;  i  Carvano,  i  Costante,  francesi  ;  gli  Ema- 
nuele, appartenenti  ad  un  ramo  dei  Paleologhi,  impe- 
ratori d'Oriente. 

—  Basta  essere  ai  Benedettini,  o  monaco  o  novizio, 
per  significare  che  uno  è  signore  —  spiegava  Fra  Car- 
melo al  .principino.  —  Qui  entrano  soltanto  quelli  delle 
prime  case,   come  Vostra   Paternità. 

Ai  ragazzi  toccava  il  Vostra  Paternità  e  il  don, 
come  ai  monaci,  e  tutte  le  volte  che  un  Padre  o  un 
Novizio  passava  dinanzi  ai  Fratelli,  questi  dovevano 
inchinarsi,  piegandosi  in  due,  incrociando  le  braccia 
sul  petto;  e  se  erano  seduti,  alzarsi  in  piedi  per  salu- 
tare. C'era  uno  di  questi  Fratelli,  Fra  Liberato,  vec- 
chissimo, quasà  centenario,  non  più  buono  a  nulla,  il 
quale  usciva  dalla  sua  camera  per  tremare  al  sole  sopra 
una  sedia  a  bracciuoli  ;  un  giorno  il  principino  gli  passò 
dinanzi  e  il  vecchio  non  s'alzò.  Allora  il  ragazzo  riferi 
la  cosa  al  Maestro,  il  quale  fece  al  Fratello  una  lavata 
di  capo  coi  fiocchi. 

—  È  istolidito,  poveretto  !  —  disse  Fra  Carmelo, 
scusandolo.  —  Quando  ci  facciamo  vecchi,  torniamo 
peggio   di   quand'eravamo   bambini  ! 

Consalvo  riceveva  cosi  le  stesse  lezioni  che  gli  aveva 
fatte  donna  Ferdinanda,  le  digeriva  meglio  che  non 
l'altre  del  latino  e  dell'aritmetica.  Esse  gli  davano 
un'idea  straordinaria  di  quel  che  valeva,  ma  gli  pro- 
curavano anche   di   solenni   scapaccioni   dai   compagni, 


—    tSo  — 

specialmente  ()ai  maggiori  d' cth,  pel  disprezzo  col 
quale  li  trattava.  INIichcle  Rocca  si  gloriava  d'avere 
anche  lui  un  Viceré  tra  gli  antenati  ;  ma  Consalvo  cor- 
reggeva :  «Viceré?  Presidente  del  regno!...»  E  l'al- 
tro :  ((  No,  viceré »  e  Consalvo  :  «  No,  presidente » 

finché  Michelino,  infuriato,  gli  si  slanciava  addosso. 
Allora,  piuttosto  che  venire  alle  mani,  egli  gridava  al 
soccorso  e  a  Fra  Carmelo  toccava  comporre  la  lite. 
Ma  ricominciava  con  gli  altri,  attaccava  brighe  sopra 
brighe.  Quasi  tutte  quelle  famiglie  baronali  avevano 
un  nomignolo  spesso  ingiurioso  o  avvilitivo,  col  quale 
erano  conosciute  in  città  più  che  col  vero  nome.  I 
Fiammona  si  chiamavano  i  Caratelli,  perché  corpac- 
ciuti come  mezze  botti  ;  i  San  Bernardo  Piange  le  fave, 
allusione  alla  miseria  in  cui  erano  ridotti;  i  Currera 
Tignosi  perchè  tutti  con  le  teste  calve  come  palle  da 
bigliardo  ;  i  Salvo  Mangia  Saliva,  altri  peggio  ancora. 
Il  principino,  a  corto  di  argoimenti,  gridava  ai  compa- 
gni :  «Oh,  dei  Pancia-di-crusca!...  Oh,  dei  Cute-di- 
porco  !...  »  e  quelli,  non  potendogli  rendere  pane  per 
focaccia,  giacché  il  nomignolo  degli  Uzeda,  I  Viceré, 
diceva  la  loro  antica  potenza,  se  lo  mettevano  sotto, 
quando  riuscivano  ad  agguantarlo,  e  lo  pestavano 
bene.  Fra  Carmelo  accorreva,  con  le  mani  in  testa, 
per  liberare  il  suo  protetto  e  predicar  la  pace,  l'amore 
reciproco,  l'attenzione  allo  studio. 

Durante  le  lezioni,  quando  si  dava  la  pena  di  stare 
attento,  Consalvo  capiva  tutto  e  raccoglieva  lodi  e  pre- 
mii  ;  ma  del  resto  non  c'erano  castighi,  che  i  maestri 
lettori,  tutti  preti  di  bassa  estrazione,  non  osavano  nep- 
pure dar  dell'asino  agli  scolari.  Il  Priore,  in  segno  di 
soddisfazione  pei  buoni  rapporti  del  Maestro,  veniva 
a  trovare  qualche  volta  il  nipote  al  Noviziato,  portan- 
dogli regali  di  dolci  e  di  libri  sacri  ;  don  Blasco,  al 
refettorio,  gli  dava  qualche  scappellotto,  a  modo  di 
carezza;  ma  la  prima  volta  che  Fra  Carmelo  lo  con- 
dusse al  palazzo,  in  permesso,  per  mezza  giornata,  tutta 
la  famiglia,  riunita  per  la  circostanza,  gli  fece  gran 
festa. 


—  Che   bel   monachino  !...    Che  bel   monachino  !... 
La   principessa,    dolente    di   non   averlo   più    con    sé, 

ma  rasseg-nata  come  sempre  ai  voleri  del  marito,  se  lo 
mangiava  dai  baci,  l'abbracciava  stretto  stretto  con 
tanto  maggior  forza,  quanto  maggiore  repulsione  le 
ispiravano  gli  altri;  donna  Ferdinanda  anche  lei,  venuta 
apposta  al  palazzo,  gli  prodigò  molte  carezze  ;  Lucre- 
zia, placatasi  ormai  che  non  correva  più  pericolo  di 
vederselo  in  camera,  gli  diede  confetti  e  biscotti  ;  il 
principe,  senza  smettere  l'abituale  severità,  lodò  i  figli 
obbedienti.  Don  Eugenio  fece  una  predica  intorno  ai 
benefizi!  dell'istruzione;  perfino  lo  zio  Ferdinando  scese 
dalle  Ghiande  per  assistere  a  quella  visita.  Manca- 
vano però  la  zia  Chiara  e  il  -marchese  :  sicuri  d'avere 
il  tanto  aspettato  e  desiderato  figliuolo,  un  triste  giorno 
la  gravidanza  era  andata  in  fumo;  essi  portavano  da 
quel  momento  il  lutto  della  speranza  perduta.  C'era 
invece  una  bambina  di  sei  anni  che"  guardava  il  mona- 
chino con  grandi  occhi  curiosi  e  una  balia  che  teneva 
in  braccio  un  lattante. 

—  Le  tue  cugine,  le  figlie  dello  zio  Raimondo,  — 
spiegò   la   principessa. 

—  E  la  zia  Matilde  ? 
— ■  Sta  poco  bene.... 

Ma  donna  Ferdinanda  troncò  quegli  stupidi  discorsi, 
e  prese  a  interrogare  il  nipotino  intorno  ai  compagni, 
alla  vita  del  monastero,  all'impiego  della  giornata,  in- 
tanto che  Fra  Carmelo  tesseva  l'elogio  del  ragazzo  alla 
madre. 

—  Ti  faresti  monaco?  — ■  gli  domandò  il  principe, 
per  chiasso.  —  Ci  staresti  sempre,  al  convento  ? 

— .  Si,  —  rispose  e^li,  per  non  dargliela  vinta.  —  È 
bello  stare  a  San  Nicola!... 

I  monaci  infatti  facevano  l'arte  di  Michelasso  :  man- 
giare, bere  e  andare  a  spasso.  Levatisi,  la  mattina, 
scendevano  a  dire  ciascuno  la  sua  messa,  giù  nella 
chiesa,  spesso  a  porte  chiuse,  per  non  esser  disturbati 


—     l82    _ 

dai  fedeli  ;  poi  se  ne  andavano  in  camera,  a  prendere 
qualcosa,  in  attesa  del  pranzo,  a  cui  lavoravano,  nelle 
cucine  spaziose  come  una  caserma,  non  meno  di  otto 
cuochi,  oltre  gli  sgoiatteri.  Ogni  giorno  i  cuochi  rice- 
vevano da  Nicolosi  quattro  carichi  di  carbone  di  quer- 
cia, per  tenere  i  fornelli  sempre  accesi,  e  solo  per  la 
frittura  il  Cellerario  di  cucina  consegnava  loro,  ogni 
giorno,  quattro  vesciche  di  strutto,  di  due  rotoli  cia- 
scuna, e  due  cafissi  d'olio:  roba  che  in  casa  del  prin- 
cipe bastava  per  sei  mesi.  I  calderoni  e  le  graticole 
erano  tanto  grandi  che  ci  si  poteva  bollire  tutta  una 
coscia  di  vitella  e  arrostire  un  pesce  spada  sano  sano  ; 
sulla  grattugia,  due  sguatteri,  agguantata  ciascuno 
mezza  ruota  di  formaggio,  stavano  un'ora  a  spiallar- 
vda  ;  il  ceppo  era  un  tronco  di  quercia  che  due  uomini 
non  arrivavano  a'd  abbracciare,  ed  ogni  settimana  un 
falegname  che  riceveva  quattro  tari  e  mezzo  barile  di 
vino  per  questo  servizio,  doveva  segarne  due  dita,  per- 
chè si  riduceva  inservibile,  dal  tanto  trituzzare.  In  città, 
la  cucina  dei  Benedettini  era  passata  in  proverbio;  il 
timhallo  di  maccheroni  con  la  crosta  di  pasta  frolla,  le 
arancine  di  riso  grosse  ciascuna  come  un  mellone,  le 
olive  imbottite,  i  crespelli  melati  erano  piatti  che  nessun 
altro  cuoco  sapeva  lavorare;  e  pei  gelati,  per  lo  spu- 
mone, per  la  cassata  gelata,  i  Padri  avevano  chiamato 
apposta  da  Napoli  don  Tino,  il  giovane  del  caffè  di 
Benvenuto.  Di  tutta  quella  roba  se  ne  faceva  poi  tanta, 
che  ne  mandavano  in  regalo  alile  famiglie  dei  Padri  e 
dei  novizi!,  e  i  camerieri,  rivendendo  gli  avanzi,  ci  ri- 
pigliavano giornalmente  quando  quattro  e  quando  sei 
tari  ciascuno. 

Essi  rifacevano  le  camere  ai  monaci,  portavano  le 
loro  ambasciate  in  città,  li  accompagnavano  al  Coro 
reggendo  loro  le  cocolle,  e  li  servivano  in  camera  se  le 
LL.  PP.  si  sentivano  male,  o  si  seccavano  di  scendere 
al  refettorio.  LI  il  servizio  toccava  ai  Fratelli  :  a  mez- 
zogiorno, quando  tutti  erano  raccolti  nell'immenso  sa- 
lone dalla  volta  dipinta  a  fresco,  rischiarato  da  venti- 


-   i83  - 

quattro  finestre  grandi  come  portoni,  il  Lettore  set- 
timanario  saliva  sul  pulpito  e  alla  prima  forchettata 
di  maccheroni,  dopO'  il  Benedicite,  si  metteva  a  biasci- 
care. Il  giro  della  lettura  cominciava  dai  più  piccoli 
novizii  fino  ai  monaci  più  vecchi,  per  ordine  d'età;  ma 
una  volta  arrivato  ai  Padri  di  fresca  nomina,  rico- 
minciava per  evitare  quel  fastidio  ai  grandi,  i  quali  se 
ne  stavano  comodamente  seduti  dinanzi  alle  tavole  di- 
sposte lungo  i  muri,  sopra  una  specie  di  largo  mar- 
ciapiedi; l'Abate,  nel  centro  del  gran  ferro  di  cavallo, 
aveva  una  tavola  per  sé.  I  Fratelli  portavano  intanto 
attorno  i  piatti,  a  otto  per  volta,  sopra  un'asse  chia- 
mata portiera  che  reggevano  a  spalla.  Distinguevansi 
i  pranzi  e  i  pranzetti,  questi  composti  di  cinque  por- 
tate, quelli  di  sette,  nelle  solennità  ;  e  mentre  dalle 
mense  leva  vasi  un  confuso  rumore  fatto  dell'acciottolio 
delle  stoviglie  e  del  gorgoglio  delle  bevande  mesciute 
e  del  tintinnio  delle  argenterie,  il  Lettore  biascicava, 
dall'alto    del    pulpito,    la    Regola    di    San    Benedetto: 

« 34°  comandamento:   non  esser  superbo;  35°:  non 

dedito  al  vino;  36°:  non  gran  mangiatore;  37°:  non 
dormiglione;    38°:   non   pigro — » 

La  Regola,  veramente,  andava  letta  in  latino  ;  ma  al 
principino  e  agli  altri  novizii,  aspettando  che  la  potes- 
sero comprendere  in  quella  lingua,  la  spiegavano  nella 
traduzione  italiana,  una  volta  il  mese.  San  Benedetto, 
al  capitolo  della  Misura  dei  cibi,  aveva  ordinato  che 
per  la  refezione  d'ogni  giorno  dovessero  bastare  due 
vivande  cotte  e  una  libbra  di  pane  ;  «  se  hanno  poi  da 
cenare,  il  Cellerario  serbi  la  terza  parte  di  detta  libbra 
per  darla  loro  a  cena  ;  »  ma  questa  era  una  delle  tante 
auiichità  —  come  le  chiamava  Fra  Carmelo  —  della 
Regola.  Potevano  forse  le  Loro  Paternità  mangiare 
pane  duro  ?  E  la  sera  il  pane  era  della  seconda  infor- 
nata, caldo  fumante  come  quello  della  mattina.  La  Re- 
gola diceva  pure  :  «  Ognuno  poi  s'astenga  dal  mangiar 
carne  d'animali  quadrupedi,  eccetto  gli  deboli  et  in- 
fermi ;  »   ma   tutti    i   giorni   compravano   mezza   vitella, 


oltre  il  pollame,  le  salsicce,  i  salami  e  il  resto;  e  in 
quelli  di  magro  il  capo  cuoco  incettava,  appena  sbar- 
cato, e  prima  ancora  che  arrivasse  alla  pescheria,  il 
miglior  pesce.  Molte  altre  «antichità»  c'erano  veramente 
nella  Regola  :  San  Benedetto  non  distingueva  Padri  no- 
bili e  Fratelli  plebei,  voleva  che  tutti  facessero  qualche 
lavoro  manuale,  comminava  penitenze,  scomuniche  ed 
anche  battiture  ai  -monaci  ed  ai  novizii  che  non  adem- 
pissero il  dover  loro,  diceva  insomma  un'altra  quantità 
di  coglionerie,  come  le  chiamava  più  precisamente  don 
Blasco.  Articolo  vino,  il  fondatore  dell'Ordine  prescri- 
veva che  un'emina  al  giorno  dovesse  bastare;  «ma 
quelli  ai  quali  Iddio  dà  la  grazia  di  astenersene,  sap- 
piano d'averne  a  ricevere  propria  e  particolare  mer- 
cede. »  Le  cantine  di  San  Nicola  erano  però  ben  prov- 
vedute e  meglio  reputate,  e  se  i  monaci  trincavano 
largamente,  avevano  ragione,  perchè  il  vino  delle  vigne 
del  Cavaliere,  di  Bordonaro,  della  tenuta  di  San  Basile, 
era  capace  di  risuscitare  i  morti.  Padre  Currera,  se- 
gnatamente, una  delle  più  valenti  forchette,  si  levava 
di  tavola  ogni  giorno  mezzo  cotto,  e  quando  tornava 
in  camera,  dimenando  il  pancione  gravido,  con  gli  oc- 
chietti lucenti  dietro  gli  occhiali  d'oro  posati  sul  naso 
fiorito,  dava  altri  baci  al  fiasco  che  teneva  giorno  e 
notte  sotto  il  letto,  al  posto  del  pitale.  Gli  altri  monaci, 
subito  dopo  tavola,  se  ne  uscivano  dal  convento,  si  spar- 
pagliavano pel  quartiere  popolato  di  famiglie  ciascuna 
delle  quali  aveva  il  suo  Padre  protettore.  Padre  Ger- 
bini,  la  cui  camera  era  piena  di  ventagli  e  d'ombrel- 
lini che  le  signore  gli  davano  ad  accomodare,  comin- 
ciava il  giro  delle  sue  visite;  Padre  Galvagno  se  ne 
andava  dalla  baronessa  Lisi,  Padre  Broggi  dalla  Cal- 
dara,  altri  da  altre  signore  ed  amiche.  Tornavano  al- 
l'ave, per  entrare  in  chiesa,  ma  quelli  che  venivano  un 
poco  più  tardi,  oa  cui  doleva  il  capo,  se  ne  salivano 
direttamente  in  camera  ;  e  non  già  per  dormire,  che  la 
sera,  fino  a  tre  ore  di  notte,  quando  si  serravano  i  por- 
toni, c'erano  visite  di  parenti  e  d'amici,  si  teneva  con- 


versazione,  molti  Padri  facevano  la  loro  partita.  Un 
tempo,  anzi,  per  colpa  di  Padre  Agatino  Renda,  gioca- 
tore indiavolato,  c'era  stato  un  giuoco  d'inferno  :  in 
una  sola  sera  Raimondo  Ùzeda  aveva  perduto  cinque- 
cent'onze,  e  più  d'un  padre  di  famiglia  s'era  rovinato; 
tanto  che  i  superiori  dell'Ordine,  dopo  aver  chiuso  un 
occhio  su  molte  marachelle,  avevano  do\Tjto  finalmente 
prendere  qualche  provvedimento.  I  Era  appunto  allora 
venuto  da  Monte  Cassino,  in  qììmità  di  Abate,  Padre 
Francesco  Cosenzano,  e  per  un  po'  di  tempo,  con 
l'autorità  della  fresca  nomina,  aiutato  dai  buoni  mo- 
naci, che  non  ne  mancavano,  quel  bravo  vecchietto 
era  riuscito  a  infrenare  i  peggiori;  ma,  poi,  coll'andar 
del  tempo,  zitti  zitti,  a  poco  a  poco,  cjuesti  erano  tor- 
nati alle  abitudini  di  prima  :  gioco,  gozzoviglie,  il  quar- 
tiere popolato  di  ganze,  i  bastardi  ficcati  nel  convento 
in  qualità  di  Fratelli  —  dei  Padri  —  nuovo  genere 
di  parentela  !  E  i  timidi  tentativi  di  resistenza  dell'A- 
bate gli  avevano  scatenato  contro  un'opposizione  vio- 
lenta. Don  Blasco  fu  dei  più  terribili.  Egli  aveva  tre 
ganze,  nel  quartiere  di  San  Nicola  :  donna  Concetta, 
donna  Rosa  e  donna  Lucia  la  Sigaraia,  con  una  mezza 
dozzina  di  figliuoli  :  e  l'Abate  lasciava  correre,  sebbene 
fosse  uno  scandalo  che  tutte  quelle  mogli  e  quei  fi- 
gliuoli della  mano  manca,  anzi  di  nessuna  mano,  ve- 
nissero a  udir  la  santa  messa  recitata  dallo  stesso  mo- 
naco. Poi,  tutte  le  mattine,  egli  scendeva  in  cucina, 
ordinando  che  m.andassero  i  migliori  bocconi  alle  sue 
amiche,  e  i  giorni  di  magro  si  metteva  sul  portone  per 
aspettar  l'arrivo  dei  cuochi  col  pesce,  in  mezzo  al 
quale  faceva  la  sua  scelta,  ordinando  :  «  Taglia  un  ro- 
tolo di  questa  cernia  e  portalo  a  donna  Lucia!»  E  l'A- 
bate lasciava  correre.  Ma  un  giorno  finalmente  i  nodi 
vennero  al  pettine,  per  causa  di  costei.  Il  convento 
possedeva  una  buona  metà  del  quartiere  in  mezzo  al 
quale  sorgeva  :  i  tre  palazzotti  della  piazza  semicirco- 
lare dinanzi  alla  chiesa  e  una  quantità  di  case  terrene 
tutt'intorno    alle   mura.    Da    queste   fabbriche   ricavava 


—  i86  — 

una  magra  rendita,  perchè  parte  erano  affittate  a  prezzi 
di  favore  a  vecchi  fornitori  o  sagrestani  ritirati,  parte 
erano  addirittura  concesse  come  elemosina  a  povera 
gente,  a  famighe  nobili  cadute  in  bassa  fortuna.  Ora 
don  Blasco,  con  una  particolare  affezione  per  donna 
Lucia  Carino,  la  Sigaraia,  le  aveva  fatto  concedere 
un  bel  quartierino  di  abitazione  nel  palazzotto  di  mez- 
zogiorno e  una  bottega  sottoposta  dove  suo  marito 
teneva  il  negozio  dei  tabacchi.  L'Abate,  visto  che  que- 
sta donna  Lucia  non  era  né  indigente  né  nobile  deca- 
duta e  che  non  vantava  altro  titolo,  per  godersi  la  casa, 
fuorché  l'amicizia  .scandalosa  di  don  Blasco,  mentre 
poi  tanti  e  tanti  poveri  diavoli  non  sapevano  dove  dar 
del  capo,  pensò  di  ordinarle  che  o  pagasse  regolar- 
mente l'affitto  del  quartiere  e  della  bottega,  oppure  che 
sgomberasse.  Don  Blasco,  a  cui  già  il  fare  da  mora- 
lista del  nuovo  Abate  aveva  dato  ai  nervi,  tanto  che 
non  aspettava  se  non  l'occasione  per  aprire  il  fuoco,  a 
questa  intimazione  riferitagli  dall'amica  piangente,  di- 
ventò una  bestia,  salvo  il  santo  battesimo,  e  fece  cose 
dedl'altro  mondo,  gridando  pei  corridoi  del  convento, 
sotto  il  muso  dei  Decani  e  dietro  l'uscio  dell'Abate, 
che  se  qualcuno  avesse  osato  dar  lo  sfratto  o  preten- 
dere un  baiocco  dalla  Sigaraia,  l'avrebbe  avuto  a  far 
con  lui.  E  disciplinata  l'opposizione  ancora  incerta  e 
tentennante,  raccolto  intorno  a  sé  la  schiuma  del  con- 
vento, i  monaci  che  non  potevamo  digerire  le  austere 
ammonizioni  del  superiore  e  'la  fine  del  giuoco  e  di 
tutti  gli  scandali,  se  prima  era  stato  lo  spavento  del 
Capitolo,  da  quel  giorno  divenne  un  diavolo  scatenato. 
Per  amor  della  pace,  il  povero  Abate  dovè  rimangiarsi 
il  !Suo  provvedimento,  ma  l'Uzeda  senior  non  si  placò 
per  questo,  che  dove  potè  trovare  argomento  da  susci- 
tare mormorazioni  e  liti,  non  diede  tregua  al  suo  «  ne- 
mico. »  Ciusto,  l'Abate,  ammirato  dei  severi  costumi  e 
della  scienza  di  don  Lodovico,  s'era  messo  a  proteg- 
gerlo, fino  a  sostenerne  poi  l'elezione  al  Priorato;  per 
ciò   don  Blasco,   il  quale  voleva  aver  egli  quel  posto, 


accomunò  il  nipote  e  il  superiore  nell'odio  feroce  e  ine- 
sting^uibiIe. 

C'erano  stati  sempre  numerosi  partiti,  a  San  Ni-  "^ 
cola;  perchè,  trattandosi  d'amministrare  un  patrimo- 
nio grandissimo,  e  di  maneggiare  grossi  sacchi  di  de- 
naro, e  di  distribuire  larghe  elemosine,  e  di  dar  lavoro 
a  tanta  gente,  e  d'accordar  case  gratuite  e  posti  non 
meno  gratuiti  al  Noviziato,  e  d'esercitare  insomma  una 
notevole  influenza  in  città  e  nei  feudi,  ciascuno  inge- 
gnavasi  di  tirar  l'acqua  al  suo  mulino;  ma,  al  tempo 
dell'arrmiisisione  del  principino,  i  contrasti  erano  quo- 
tidiani e  violenti.  L'Abate  aveva,  prima  di  tutto,  i  suoi 
partigiani;  ma  non  tutti  i  buoni  monaci  erano  per  lui, 
non  garbando  a  qualcuno  che  il  supremo  potere  fosse 
in  mano  d'un  forestiere.  Don  Blasco  col  suo  codazzo 
cercava  d'attirar  costoro,  gridando  che  bisognava  man- 
dare a  casa  sua  quel  «  napolitano  mangiamaccheroni  »  ; 
ma,  benché  d'accordo  su  ciò,  l'opposizione  si  divi- 
deva poi  novamente,  quando  aveva  da  scegliere  il  suc- 
cessore. Non  mancava  il  partito  di  quelli  che  dichia- 
ravano non  aver  partito  ;  e  don  Lodovico,  modello  del 
genere,  tenendosi  da  parte,  navigando  sott'acqua,  era 
riuscito  ad  agguantare  il  Priorato.  Parecchi  sostene- 
vano anzi  che,  in  fin  dei  conti,  egli  era  il  solo  merite- 
vole d'aspirare  alla  dignità  abaziale  ;  ma  allora  suo 
zio,  per  evitare  che  quel  «  gianfottere  »  si  ponesse  in 
capo  la  mitra,  quasi  sosteneva  l'Abate  Cosenzano.  Né 
lo  stesso  don  Lodovico  ammetteva  che  gli  parlassero 
della  promozione  :  se  qualcuno  gliela  prediceva,  pro- 
testava : 

—  L'Abate  per  ora  è  Sua  Paternità  ed  a  me  tocca 
obbedirlo    prima   d'ogni    altro. 

L'Abate  in  persona,  ;stanco  di  quella  galera,  gli  con- 
fidava di  volersi  ritirare  per  cedergli  il  posto  :  quando 
pure  non  avesse  pensato  a  mettersi  da  canto^  presto  o 
tardi  la  morte  non  ci  avrebbe  pensato  per  lui  ?  E  il 
Priore  : 

—  \"ostra    Paternità    non    parli    di    queste    cose!... 


—   i88  — 

Sono  cose  che  contristano  il  cuore  ti 'un  figlio  devoto, 
Padre  Reverendissimo. 

Il  vecchio  lo  prendeva  allora  a  suo  confidente,  si 
lagnava  del  poco  rispetto  dei  monaci,  dello  scandalo 
che  molti  continuavano  a  dare  con  la  loro  vita  liber- 
tina.   Il    Priore    scrollava   il   capo,    in   atto   dolente  : 

—  Il  g-Iorioso  nostro  fondatore.  Padre  dei  monaci,  ci 
insegna  qual  è  il  rimedio  contro  gli  errori  dei  traviati  : 
l'orazione  dei  buoni,  acciocché  il  Signore,  che  tutto 
può,   dia  salute  agli  infermi  fratelli — 

Per  tanto  egli  non  riprendeva  nessuno,  non  dava 
corso  ai  richiami  che  spesso  venivano  a  fargli,  lasciava 
che  ognuno  cocesse  nel  proprio  brodo.  Fra  quella  tren- 
tina di  cristiani  non  c'era  mai  un  momento  di  pace  e 
d'accordo.  Se  la  quistione  delle  persone  divideva  il  con- 
vento in  un  certo  modo,  i  partiti  erano  poi  scompi- 
gliati dalla  politica  che  raggruppava  i  Padri  in  ordine 
tutto  diverso.  V'erano  i  liberali,  quelli  che  al  Quaran- 
totto avevano  parteggiato  pel  Governo  provvisorio  e 
ospitato  la  rivoluzione  in  persona  dei  suoi  soldati;  e 
v'erano  i  borbonici,  che  i  liberali  chiamavano  sorci. 
Don  Blasco  capitanava  questi  ultimi,  in  mezzo  ai  quali 
stavano  molti  amici  del  Priore;  i  liberali,  che  nelle 
quistioni  d'ordine  interno  erano  quasi  tutti  con  l'Abate 
effettivo,  borbonicissimo,  obbedivano  politicamente  al- 
l'Abate onorario  Ramira,  quello  del  Quarantotto. 
Quindi,  se  spesso  s'udivano  le  voci  dei  Padri  che  dice- 
vano male  parole  ai  Fratelli  e  mandavano  a  quel  paese 
i  camerieri,  gli  strepiti  salivano  al  cielo  appena  comin- 
ciavano le  discussioni  sugli  avvenimenti  pubblici,  al- 
l'ombra dei  portici  o  dinanzi  al  portone:  liberali  e  bor- 
bonici quasi  venivano  alle  mani,  a  proposito  della  fine 
della  guerra  di  Crimea,  del  Congresso  di  Parigi,  della 
parte  che  vi  sosteneva  il  Piemonte.  Don  Blasco  era 
violento  contro  quel  «  piemontese  mangiapolenta  »  di 
Cavour  e  lo  colmava  d'improperii,  rammentando  la 
storia  della  rana  e  del  bue,  profetando  che  sarebbe 
scoppiato  a   furia  di   gonfiarsi   come   una   vescica.    Era 


—    iScj  — 

più  terribile  ancora  contro  il  sistema  costituzionale  di 
cui  i  liberali  avevano  l'uzzolo  :  esclamava  che  il  miglior 
atto  compiuto  da  Ferdinando  II  era  stato  il  15  maggio, 
quando  aveva  fatto  prendere  a  baionettate  «  i  buffoni 
e  i  ruffiani  «  di  palazzo  Gravina.  E  se  i  liberali  dice- 
vano che  avrebbero  dato  il  ben  servito  al  Re  un'altra 
volta,    gridava  : 

—  Lo  manderete  via  voi  altri,  se  mai  ;  che  ve  ne 
basta  l'animo,  con  quei  pancioni  ! 

E  quando  sentiva  esaltare  la  bontà  del  giovane  Re  di 
Sardegna,  alzava  le  braccia  sul  capo,  scotendo  le  mani 
come  alacce  di  pipistrello,  con  un  gesto  d'orrore  di- 
sperato :  «  Passa  Savoia  !...  Passa  Savoia  !...  »  Nel  171 3 
quando  Vittorio  Amedeo,  assunto  al  trono  di  Sicilia, 
era  venuto  nell'  isola,  in  pompa,  traA-ersandola  da  un 
capo  all'altro,  il  passaggio  del  nuovo  sovrano  era  stato 
seguito  da  una  ma] 'annata  co-me  da  un  pezzo  non  si 
rammentava  l'eguale;  e  nelle  popolazioni  spaventate 
ed  ammiserite  era  rimasto  in  proverbio  quel  detto  : 
((.Passa  Savoia!  Passa  Savoia!...»  come  il  sintomo 
d'una    sciagura,    d'un   castigo   di    Dio. 

—  E  volevano  un  altro  dei  loro,  al  Quarantotto, 
come  se  non  fosse  bastato  il  primo!  Ci  volevano  ri- 
durre peggio  di  quel  Piemonte  morto  di  fame  che 
spoglia  i  conventi!... 

Anche  tra  i  novizii  v'erano  partiti  politici  :  i  liberali, 
rivoluzionarli,  piemontesi  ;  e  i  borbonici,  napolitani, 
sorci;  ma  se  fra  i  monaci  i  due  campi  disponevano  di 
forze  quasi  eguali,  qui  i  liberali  erano  in  maggio- 
ranza. 

— ■  Sono  tutti  i  morti  di  fame,  — ■  spiegava  don  Bla- 
sco  al  iprincipino  ;  —  quelli  che  a  casa  loro  non  hanno 
di  che  mangiare,  e  qui  disprezzano  il  ben  di  Dio  e  le 
lasagne  che  gli  piovono  in  bocca  bell'e  condite  ! 

Questo  non  era  vero  del  tutto,  perchè  capitanava  1 
novizii  liberali  Giovannino  Radall-Uzeda,  il  quale  ap- 
parteneva ad  una  famiglia  che  per  nobiltà  e  ricchezza 
veniva  subito  dopo  gli   Uzeda   del  ramo  diritto  :   quan- 


iQO    

tunque  secondogenito,  se  fosse  rimasto  al  secolo  gli  sa- 
rebbe toccato  il  titolo  vitalizio  di  barone.  Ma  il  princi- 
pino seguiva  egualmente  le  opinioni  degli  zii  don  Blasco 
e  donna  Ferdinanda  :  amico  e  compagno  di  giuoco  del 
cugino,  era  suo  avversario  in  politica;  e  quando  i  rivo- 
luzionarli parlavano  fra  di  loro,  quando  complottavano 
per  sollevare  il  convento  e  scendere  in  piazza  con  una 
bandiera  di  carta  tricolore,  egli  stava  alle  vedette  e 
interrogava  i  più  ingenui,  e  poi  andava  a  ripetere  le 
notizie  allo  zio,  perchè  li  denunziasse  all'Abate;  tanto 
che  don  Blasco  ebbe  presto  in  tutt'altra  considera- 
zione il  pronipote. 

—  Questo  gianfottere  non  è  poi  tanto  minchione 
quanto  pare....  Si,  si,  —  approvava,  lodando  lo  spio- 
naggio di  Consalvo  ;  —  ascolta  quel  che  dicono  e  poi 
vieni   a   riferirmelo. 

Anche  tra  i  Fratelli  la  politica  metteva  dissidii  e  ni- 
mistà; i  più  furbi,  veramente,  non  s' impacciavano  né 
di  Cavour  né  di  Del  Carretto,  e  badavano  a  ingrassare 
le  loro  famiglie  con  le  racimolature  del  monastero,  ma 
parecchi  parteggiavano  o  pel  governo  o  per  la  rivolu- 
zione. Uno  specialmente.  Fra  Cola,  capo  rivoluzionario, 
parlava  sempre  di  ricominciar  la  giocata  del  Quaran- 
totto ;  i  novizii  liberali  gli  facevano  raccontare  la  storia 
di  quel  tempo;  e  quando  egli  li  serviva,  a  tavola, 
quando  versava  in  giro  l'acqua  od  il  vino  dal  gran 
boccale  di  cristallo  che  reggeva  con  la  destra,  faceva 
di  nascosto,  con  l' indice  e  il  'medio  della  sinistra,  '1 
segno  d'una  forbice  che  taglia.  Il  principino  domandò 
un  giorno  a  Giovannino  Ridali  che  volesse  dire  ;  il 
cugino   rispose  : 

— ■  Vuol  dire  che  ai  sorci  bisogna  tagliargli  le  code. 

Consalvo  riferì  la  cosa  allo  zio,  e  Fra  Cola,  in  pu- 
nizione, fu  mandato  alla  casa  di  Licodìa,  in  mezzo  alla 
malaria.  Fra  Carmelo,  per  tanto,  non  s'occupava  mai 
di  politica,  e  quando  gli  domandavano  se  era  liberale  o 
borbonico,   faceva  il  segno  della   santa  croce  : 

—  Vi  scongiuro  per  parte  di  Dio  !  So  molto  di  que- 
ste cose  !  Queste  sono  opere  del  Nemico  ! 


—   I9X  -^ 

Per  lui  non  c'era  altro  mondo  fuori  di  San  Nicola, 
né  altra  potestà  fuor  di  quella  dell'Abate,  del  Priore  e 
dei  Decani.  Bisognava  sentirlo,  quando  enumerava  tutti 
i  diciotto  titoli  dell'Abate,  quando  nominava  i  Re,  le 
Reg-ine,  i  Principi  reali,  i  Viceré,  i  Baroni  che  avevano 
dotato  il  convento.  Ogni  domenica,  in  Capitolo,  l'A- 
bate leggeva  la  litania  di  quei  reali  o  principeschi  do- 
natori, in  suffragio  delle  cui  anime  andavano  dette  al- 
trettante messe  quotidiane  ;  ma  spesso  ne  recitavano 
una  sola  all'intenzione  di  tutti,  quanti  :  il  ristoro  dei 
morti  era  lo  stesso,  e  i  vivi  non  stavano  a.  perdere 
tanto  tempo. 

In  generale,  i  Padri  avevano  fretta  di  sbrigarsi,  e 
intendevano  fare  il  comodo  loro.  Per  non  scendere  giiJ 
in  chiesa,  a  mattutino,  quando  faceva  freschetto,  essi 
avevano  ordinato,  molti  anni  addietro,  la  costruzione 
di  un  altro  Coro,  chiamato  Coro  di  notte,  in  mezzo  al 
convento;  ed  anzi  era  costato  parecchie  migliaia  d'onze, 
tutto  di  noce  scolpito  ;  ma  adesso  i  Padri  non  si  leva- 
vano neppure  per  andar  li,  a  due  passi  ;  restavano  a 
covar  le  lenzuola  fin  a  giorno  chiaro,  e  il  mattutino  lo 
facevano  recitare  per  loro  conto  ai  Cappuccini,  dietro 
pagamento.  Viceversa  poi,  nelle  grandi  solennità  re- 
ligiose, a  Natale,  a  Pasqua,  per  la  festa  del  Santo 
Chiodo,  tutti  prendevano  parte  alle  cerimonie  la  cui 
magnificenza    sbalordiva   la   città. 

Le  prime  a  cui  assistette  il  principino  furono  quelle 
della  Settimana  Santa.  Durante  un  mese  la  chiesa  fu 
sossopra,  per  la  costruzione  ^del  Sepolcro,  in  fondo  alla 
navata  di  sinistra  :  chiusa  da  un  grande  impalcato,  con 
le  finestre  sbarrate,  tutta  adorna  di  candelabri  di  cri- 
stallo splendenti  come  blocchi  di  diamanti,  e  di  vasi  col 
grano  lasciato  crescere  al  buio  perché  non  prendesse 
colore,  e  popolata  di  statue  rappresentanti  la  Sacra 
Famiglia  e  gli  Apostoli,  era  veramente  irriconoscibile. 
Il  giovedì,  a  terza,  tutto  il  monastero  scese  in  chiesa, 
pel  Pontificale,  con  l'Abate  alla  testa,   a  cui  i  novizii 


portavano  il  bacolo,  la  initra  e  l'anello  e  i  caudatarìi 
reg-gevano  lo  strascico.  L'apparato  era  quello  della 
Regina  Bianca,  tutto  di  drappo  rosso  ricamato  d'oro,  e 
sull'organo  maestoso  di  Donato  del  Piano,  tenori, -bassi 
e  baritoni  scritturati  a  posta,  cantavano  il  Passio  che 
la  folla  pigiata  stava  a  sentire  come  al  teatro.  Dirim- 
petto al  soglio  dell'Abate,  nei  posti  migliori,  c'erano 
tutti  gli  Uzeda  :  il  principe  e  il  conte  con  le  mogli, 
donna  Ferdinanda,  Lucrezia,  Chiara  col  marito;  i 
quali,  scorto  Consalvo,  gli  facevano  segni  col  capo, 
sua  madre  e  la  zitellona  specialmente,  ammirando  la 
sua  cotta  candida  e  insaldata  a  mille  piegoline,  lavoro 
speciale  delle  Suore  di  San  Giuliano.  S'udiva  per  tutta 
la  chiesa,  quando  la  voce  potente  dell'organo  taceva, 
un  ronzio  come  d'alveare,  un  urtarsi  di  seggiole,  lo 
stropiccìo  dei  passi  ;  luccicavano  i  fucili  e  le  sciabole 
dei  soldati  disposti  dinanzi  alle  tre  porte  e  lungo  le 
navate  per  aprire  il  varco  alla  processione,  più  tardi. 
Intanto  dodici  poveri  rappresentanti  i  dodici  Apostoli, 
erano  entrati  nel  Coro;  l'Abate,  inginocchiato,  lavava 
loro  i  piedi  —  seconda  lavatura  ;  essendo  la  prima 
già  fatta  in  sagrestia  affinchè  Sua  Paternità  per  lavar 
quei  piedi  non  s'induciasse  le  mani. 

Un  mormorio  venne  in  quel  momento  dal  fondo 
della  chiesa;  Consalvo,  dall'altare  maggiore,  si  voltò  e 
vide  che  lo  zio  Raimondo,  lasciato  il  suo  posto,  si  fa- 
ceva largo  tra  la  folla  dirigendosi  verso  una  signora. 
Era  donna  Isabella  Persa.  Come  tutte  le  altre  dame, 
per  la  tristezza  della  Passione,  vestiva  di  nero;  ma  il 
suo  abito  era  cosi  ricco,  tanto  guarnito  di  gale  e  di 
merletti,  da-  parere  un  abito  da  ballo.  Arrivata  tardi, 
non  trovava  un  buon  posto;  Raimondo,  raggiuntala, 
le  diede  il  braccio  e  la  condusse,  in  mezzo  a  una  doppia 
ala  di  curiosi,  alla  propria  seggiola,  accanto  a  quella  di 
sua  moglie.  La  contessa  Matilde,  che  usciva  quel  giorno 
la  prima  volta  dopo  l'infermità,  era  tutta  bianca  in  viso, 
e  l'abito  di  lana  nera  contribuiva  a  farla  parere  ancora 
più  pallida.   Poi,  giusto  in  quel  punto  Gesù  moriva  :  la 


chiesa  oscuravasi  repentinamente,  i  Fratelli  rovescia- 
vano i  candelieri  sugli  altari,  toglievan  via  le  tovaglie 
bianche  e  le  sostituivano  con  quelle  violacee,  avvolge- 
vano d'un  velo  la  croce;  e  i  monaci  anch'essi,  lasciati 
i  paramenti  di  festa,  indossavano  quelli  del  corrotto. 
Nella  penomibra,  i  ceri  risplendevano  con  fiamma  più 
viva,  e  il  santo  Sepolcro  era  una  raggiera,  dalle  tante 
torce,  dalle  tante  lampade,  dai  tanti  riflessi  dei  cri- 
stalli e  degli  ori.  Donna  Isabella  guardava  con  l'oc- 
chialetto  lo  spettacolo,  mentre  il  conte,  chino  su  lei, 
le  nominava  ad  uno  ad  uno  i  monaci  e  i  novizii. 

—  Qiiello  11  non  è  il  vostro  nipotino?...  Che  bel 
chierichetto,  contessa!... 

Matilde  fece  col  capo  un  gesto  ambig-uo.  L'organo 
intonava  il  Miserere,  e  il  canto  doloroso  era  pieno  di 
sospiri  profondi,  di  lunghi  lamenti  che  facevano  echeg- 
giare ogni  angolo  della  chiesa  scura,  di  schianti  ter- 
ribili iper  cui  l'aria  tremava,  di  gemiti  lunghi  come 
quelli  del  vento  invernale.  Pareva  che  il  mondo  dovesse 
fifìire,  che  non  vi  fosse  speranza  più  per  nessuno  ;  Gesù 
era  morto,  era  morto  il  Salvatore  del  mondo;  e  i  mo- 
naci, a  due  a  due,  con  l'Abate  a  capo,  scendevano  dal- 
l'abside, giravano  per  l'immensa  chiesa  tra  due  file  di 
soldati  che  contenevano  la  folla  e  presentavano  le  armi 
capovolte;  poi  l'Abate  deponeva  l'Ostia  al  sepolcro.  In- 
ginocchiata, col  capo  sulla  seg'giola  e  il  viso  nascosto 
dal  fazzoletto,  la  contessa  singhiozzava  pianamente  ; 
donna   Isabella  esclamava  : 

—  Che   effetto   produce   questa  funzione!... 

Aveva  anch'ella  gli  occhi  un  po'  arrossati,  ma  quando 
il  conte  le  ridiede  il  braccio  per  condurla  in  sagrestia 
s'appoggiò  a  lui   languidamente. 

—  Per  legge,  non  potrei  venire —  protestava.  — 

Sono  ammesse  le  sole  famiglie — 

—  Ma  che!...  Siete  con  noi  !  Diremo  che  siamo  cu- 
gini.... 

Nella  sagrestia  ai  parenti  dei  monaci  e  dei  novizii 
era  offerto  un  lauto  rinfresco  :  giravano  i  vassoi  con  le 

Be    Roberto.    I    Viceré    -    l  '  13 


—  194  — 

tazze  di  cioccolata  fuimante,  con  le  gramolate  e  i  dolci 
e  il  pan  di  Spagna.  Consalvo,  in  mezzo  alla  mamma  e 
a  donna  Isabella,  riceveva  carezze  e  complimenti  pel 
modo  esemplare  col  quale  aveva  preso  parte  alle  fun- 
zioni ;  Padre  Gerbini,  senza  avere  ancor  lasciato  i  pa- 
ramenti mortuari i,  salutava  le  signore,  le  invitava  per 
la  cerimonia  del  domani. 

E  il  venerdì  g-li  Uzeda  arrivarono  coi  Persa  ;  il  conte 
dava  il  braccio  a  donna  Isabella,  che  portava  un  altro 
abito  nero,  più  galante  del  primo.  I  sagrestani  ave- 
vano serbato  loro  gli  stessi  posti,  facendovi  la  guardia 
in  mezzo  alla  folla  burrascosa.  Ma  i  soldati  la  frena- 
vano, e  quando  l'organo  accompagnava  il  canto  lugu- 
bre delle  Tre  Ore  d'agonia,  il  silenzio  era  profondo; 
solo  Raimondo,  seduto  accanto  a  donna  Isabella,  le 
diceva  all'orecchio  cose  che  la  facevano  sorridere.  In- 
tanto l'Abate  eseguiva  la  cerimonia  della  Deposizione 
dalla  Croce  :  preso  il  Crocifisso  velato,  lo  deponeva 
per  terra,  sopra  uno  dei  gradini  dell'altare,  dove  un 
cuscino  di  velluto,  tutto  trapunto  d'oro,  era  preparato 
apposta.  I  monaci  se  ne  andavano  via,  il  Sepolcro  re- 
stava un  momento  vuoto;  a  un  tratto,  mentre  l'or- 
gano riprendeva  più  triste  le  sue  lamentazioni,  tutti 
riuscivano  dalla  sacrestia,  in  processione,  a  due  a  due, 
col  Superiore  alla  testa  ;  erano  senza  scarpe,  coi  piedi 
nelle  calze  di  seta  nera,  per  l'Adorazione  della  Croce. 
Inginocchiandosi  a  ogni  passo,  in  mezzo  alla  siepe  dei 
soldati,  scendevano  fino  alla  porta  maggiore,  risali- 
vano fi'no  all'altare,  li  ad  uno  ad  uno  si  buttavano 
per  terra  dinanzi  al  cuscino  del  Cristo  morto  e  lo  ba- 
ciavano. La  folla  saliva  sulle  seggiole,  per  godersi 
meglio  tutta  la  vista,  donna  Isabella  e  Raimondo  si 
passavano  il  cannocchiale,  intanto  che  la  contessa, 
genuflessa,  pregava  piangendo.  Alla  fine  della  ceri- 
monia, altro  rinfresco  in  sacrestia  ;  il  principino,  vez- 
zeggiato da  tutti,  fece  servire  prima  i  suoi  parenti  : 
don  Eugenio  beveva  cioccolata  come  fosse  acqua,  si 
ficcava  in  tasca  i  dolci  che  non  poteva  mangiare  ;  ma 
la  zia  Matilde   non  prese   nulla. 


—   105  - 

Il  Sabato  Santo,  per  la  funzione  della  Resurrezione, 
Consalvo  non  la  vide  ;  lo  zio  Raimondo  dava  sempre 
il  braccio  alla  signora  Fersa. 


VII. 


Ogini  sera,  al  capezzale  della  bambina,  tenendola 
per  la  manuccia  fredda  e  bianca  come  di  cera,  senza 
fare  alcun  moto  col  braccio  irrigidito  per  non  destare 
la  piccola  dormiente,  la  contessa  vegliava  fino  a  tardi. 
A  notte  alta  serravano  i  portoni  e  nella  casa  addor- 
mentata non  s'udiva  piij  alcun  rumore;  solo  dallo 
stanzino  attiguo  veniva  il  lieve  russare  della  balia 
accanto  al  letticciuolo  di  Teresina.  Raimondo  non  rien- 
trava. Sul  comodino  stavano  schierate  le  bottiglie  dei 
inedicamenti,  i  vasetti  di  pomata,  tutta  la  farmacia 
prescritta  dal  dottore  per  la  povera  malatuccia.  Era 
erpete  quell'infermità,  dicevano;  cattivo  umore  che 
si  sfogava  con  eruzioni  cutanee,  con  ingorghi  di  glan- 
dole  :  tutti  sintomi  rassicuranti,  poiché  volevan  dire 
che  l'organismo   espelleva   il   principio   morboso. 

Ella  s'era  votata  alla  Madonna  delle  Grazie,  le 
aveva  promesso  di  vestire  il  suo  abito  fino  alla  guari- 
gione di  Lauretta;  in  cuor  suo  aveva  chiesto  un'altra 
grazia  alla  Madonna  :  di  illuminare  Raimondo,  di  ri- 
destare il  suo  affetto  di  marito  e  di  padre. 

Fin  da  quando  erano  andati  a  Milazzo,  secondo  la 
promessa  fattale  al  Belvedere  dopo  il  colera,  egli  aveva 
ricominciato  a  smaniare,  a  mostrarsi  infastidito  e 
crucciato,  a  dichiarare  che  non  poteva  restare  a  lungo 
lontano  da  casa  sua  per  gli  affari  della  divisione.  Ed 
ella  s'era  appena  sgravata,  stava  ancora  tra  vita  e 
morte  dopo  un  parto  difficilissimo,  quando,  addotta 
una  chiamata  del  fratello,  egli  se  ne  parti.  Rimase 
lontano  pochi  giorni,  ma  era  la  prima  volta  che  l'ab- 


—    [gfi  — 

bandonava,  giusto  nel  momento  che  la  compagnia  e 
l'assistenza  di  lui  le  erano  più  necessarie.  La  nuova 
tristezza  non  giovò  certamente  a  darle  forza  per  vincer 
presto  il  male;  ma  un  dolore  più  grande  l'aspettava  e 
i  suoi  presagi  dovevano  tutti  avverarsi,  poiché  la  crea- 
tura che  ella  aveva  portata  in  grembo  mentre  il  suo 
cuore  agonizzava,  era  venuta  al  mondo  cosi  debole 
e  stremata  e  cagionevole  che  pareva  da  un  momento 
all'altro  dovesse  mancare.  Lunghi  e  lunghi  mesi  erano 
cosi  passati,  quasi  un  anno  intero,  senza  che  ella  po- 
tesse lasciar  la  casa  paterna  e  il  capezzale  della  bam- 
bina :  durante  quell'anno  Raimondo  era  andato  e  ve- 
nuto, partito  e  ritornato  parecchie  volte,  ed  ella  aveva 
a  poco  a  poco  fatta  l'abitudine  a  quelle  assenze,  non 
potendo  seguirlo  né  opporsi  alle  ragioni  d'affari  che 
le  adduceva.  Quan'do  i  medici  ordinarono  il  muta- 
mento d'aria  alla  creaturina  convalescente,  egli  volle 
condurre  tutti  a  Catania.  Anche  il  barone  lasciava 
Milazzo,  andava  a  Palermo  con  l'altra  figlia  Carlotta; 
perciò  Teresina,  non  potendo  restar  sola,  venne  col 
babbo.  Non  era  parso  vero  a  Matilde  di  vedere  Rai- 
mondo premuroso  per  le  figlie,  ed  ella  aveva  quasi 
benedetto  le  sue  sofferenze,  se  per  esse  godeva  di 
quella  tregua  ;  ma  appena  arrivata  in  casa  degli  Uzeda, 
aveva  visto  ricadere  la  sua  fìgliuolina  e  Raimondo  tra- 
scurarla, lasciarla  sola  in  mezzo  a  quei  «  parenti  » 
che  la  guardavano  come  prima  di  traverso  e,  cosa  più 
dura  al  suo  cuore  di  madre,  la  ferivano  nelle  sue 
bambine.  Della  più  piccola  deridevano  le  sofferenze 
e  predicevano  la  morte  ;  ma  le  maggiori  ostilità  erano 
contro  Teresina.  La  bambina,  vivace,  curiosa,  inquieta, 
commetteva  spesso  qualche  monelleria,  guastava  qual- 
che cosa  nei  suoi  giuochi,  gridava  allegramente  cor- 
rendo per  le  stanze;  allora  la  rimproveravano,  la  man- 
davano via;  il  principe  diceva  d'aver  messo  Consalvo 
ai  Benedettini  giusto  per  star  tranquillo  in  casa,  e 
invece  gli  disordinavano  tutto,  gli  toccava  udire  strilli 
peggio    di    prima Egli    era    più    indulgente     per    la^ 


—  197  — 

propria 'figlia,  l'altra  Teresina,  e  tutta  la  famiglia  e 
g'ii  stessi  servi  trattavano  diversamente  le  due  cug-i- 
nette,  dando  il  primo  posto  alla  principessina.  La 
stessa  principessa  Margherita,  sola  buona  e  dólce,  non 
poteva  inascondere  la  preferenza  per  la  figliuola  ;  e 
Matilde,  benché  riconoscesse  che  avevano  ragione, 
soffriva  di   questa   disparità   di   trattamento. 

Teresina  sua,  a  sei  anni,  era  vana  come  una  don- 
nina :  si  g^uardava  a  lung"o  allo  specchio,  assisteva  al- 
l'acconciarsi della  mamma  sgranando  tanto  d'occhi, 
andava  matta  pei  nastri,  per  gli  spilloni,  per  le  pezze 
vecchie  ;  e  la  zitellona  se  la  prendeva  con  la  civetteria 
di  sua  madre,  scoteva  la  testa  predicendo  male  del- 
l'avvenire, faceva  ipiangere  la  contessa  a  quella  specie 
di  malia  operata  contro  l'innocente.  Incrudelivano  su 
lei  per  un'altra  ragione,  adesso;  perchè  il  viaggio  del 
barone  a  Palermo  aveva  lo  scopo  di  combinare  il  ma- 
trimonio dell'altra  figlia  Carlotta.  Pretendevano  che 
questa  non  si  maritasse,  che  ella  s'opponesse  ai  disegni 
del  padre,  alla  felicità  della  sorella,  afifinchè  tutta  la 
sostanza  paterna  restasse  un  giorno  a  lei  !  E  poiché 
simili  calcoli  non  capivano  nella  sua  mente,  la  guar- 
davano in  cagnesco,  la  martoriavano  nelle  sue  bam- 
bine, quasi  ella  avesse  loro  portato  via  qualcosa 

Raimondo,  in  verità,  non  mostravasi  per  nulla  cruc- 
ciato dei  disegni  di  matrimonio;  ma  ricominciava  a 
trascurarla,  scappava  via  subito  dopo  colazione,  tor- 
nava al  finire  del  desinare  per  andar  fuori  un'altra 
volta  fino  a  notte  tarda.  A  veder  maltrattate  le  sue 
figlie,  Matilde  sentiva  le  lacrime  salirle  agli  occhi  ; 
si  chiudeva  in  camera  con  Teresina,  la  scongiurava 
di  star  buona,  si  studiava  di  trattenerla  quanto  più 
a  lungo  era  possibile  perchè  non  tornasse  di  là  ;  né 
quando  Raimondo  rincasava  ella  accusava  i  parenti  di 
lui,  per  evitargli  un  dispiacere,  perchè  non  dicessero 
che  veniva  a  sem.inar  zizzania  in  famiglia  :  lo  pregava 

soltanto  di  non  lasciarla  sempre  sola L'ostilità  degli 

Uzeda  verso  di   lei,    i   rimproveri   e  gli   scherni   rivolti 


—  198  — 

alle  sue  creaturine,  tutto  le  sarebbe  parso  nulla,  se  la 
gelosia  non  fosse  tornata  a  roderla.  Egli  aveva  ripreso 
a  corteggiare  la  Persa,  andava  a  trov^arla  in  casa, 
tutte  le  domeniche  in  chiesa  s'  incontravano  alla 
stessa  messa  :  ed  ella  non  poteva  piij  pregare,  veden- 
dosi dinanzi  costei,  comprendendo  che  egli  non  l'aveva 
dimenticata,  che  era  di  nuovo  sedotto  dalla  sua  ele- 
ganza, dalla  languidezza  dei  suoi  atteggiamenti,  dai 
gesti  studiatamente  graziosi  coi  quali  portavasi  il  faz- 
zoletto profumato  alle  labbra,  o  agitava  il  ventaglio 
di  piume,  guardandosi  attorno,  o  chinava  il  capo  sul 
libro  delle  preghiere  senza  voltarne  mai  una  pagina!... 
In  chiesa!  nella  casa  di  Dio!...  Ella  non  poteva  com- 
prendere quella  commedia,  le  pareva  un  continuo, 
enorme  sacrilegio.  E  a  San  Nicola,  per  le  cerimonie' 
della  Passione,  era  venuta  con  abiti  di  gala,  come  ad 
un  allegro  spettacolo,  facendo  voltar  la  gente  con  la 
sconvenienza  del  suo  contegno!...  Perchè  dunque  Rai- 
mondo doveva  metterle  vicino  costei,  far  notare  anche 
lui  alla  gente  un'assiduità  che  già  dava  argomento  a 
mormorazioni?...  Il  giorno  di  Pasqua,  piangendo  di 
dolore  e  di  tenerezza,  ella  s'era  confessata  con  suo 
marito,  al  capezzale  di  queir  innocente  :  «  Per  questo 
giorno  solenne,  per  amore  di  questa  innocente,  giu- 
rami che  non  mi  farai  più  soffrire »  Ed  egli  le  aveva 

domandato:  «Che  ti  faccio?  Di  che  m'accusi?...»  — 
«  Mi  lasci,  trascuri  le  tue  figlie,  non  pensi  a  noi,  non 
ci  vuoi  piij  bene —  »  Scrollando  il  capo,  Raimondo 
aveva  esclamato  :  «  Le  tue  solite  fissazioni,  le  tue  so- 
lite fantasie!...  Ti  trascuro?  Come  ti  trascuro? 
Quando,  perchè,  per  chi  ti  dovrei  trascurare?...  »  Pc 
chi?...  Per  chi?...  E  con  più  calore  egli  aveva  ripreso: 
«  Sicuro,  per  chi  ?  Ricominci,  colla  tua  sciocca  gelosia  ? 
Ti  sei  messa  qualche  altra  fisima  in  testa?...  Per  don- 
n' Isabella,  eh?...  »  l'aveva  nominata  lui!  «  Ho  capito! 
Perchè  le  ho  ceduto  la  mia  sedia,  perchè  l'ho  invitata 
con  noi  !...  Ma  queste,  cara  mia,  sono  regole  di  buona 
creanza.  Bisognava  venire  in  questa  bicocca  miserabile 
per  sentirsi  rimproverare  una  cosa  simile  I...  » 


—   199  — 

E  in  quell'estate  del  '57  fu  visto  più  assiduo  coi 
Farsa;  al  teatro,  dove  andava  tutte  le  sere,  nella  bar- 
caccia, saliva  spesso  nel  loro  palco  quand'era  la  loro 
volta  d'abbonamento;  li  incontrava  anche  dalla  zia 
Ferdinanda,  dalla  quale  donna  Isabella  andava  spes- 
sissimo :  al  Casino  dei  Nobili  g"iocava  quasi  sempre 
col  marito,  dal  quale  si  lasciava  vincere  ogni  giorno. 
Quantunque  potesse  servirsi  della  carrozza  del  fra- 
tello, aveva  comperato  una  magnifica  pariglia  di  puro- 
sangue e  un  phaeton  nuovo  fiammante  col  quale  an- 
dava dietro  alla  carrozza  dei  Fersa  :  alla  Marina, 
quando  c'era  musica,  scendeva,  lasciando  le  redini 
al  cocchiere,  per  mettersi  al  loro  sportello  e  chiac- 
chierare con  donna  Isabella,  con  la  suocera  e  col  ma- 
rito. Vestiva  con  maggiore  ricercatezza  del  solito,  non 
stava  mai  in  casa  se  non,  come  per  una  coincidenza 
tutta  fortuita,  quando  essi  venivano  a  far  visita  alla 
principessa.  Il  tema  del  suo  discorso  era  continua- 
mente Firenze,  la  vita  delle  grandi  città,  l'eleganza 
e  la  ricchezza  degli  altri  paesi  ;  egli  si  metteva  vicino 
a  donna  Isabella,  esclamando  :  «  Voi  sola  mi  capite  !  » 
quando  se  la  prendeva  con  la  sorte  che  l'aveva  fatto 
nascere  in  quella  bicocca  e  ve  l' inchiodava,  mentre 
non  avrebbe  voluto  metterci  i  piedi,  mai  più.  «  Ma 
che  proprio  ho  da  lasciar  qui  l'ossa?  Non  credo!  Non 
è  possibile  !...  »  E  udendolo  parlare  a  quel  modo,  Ma- 
tilde chiedeva  a  sé  stessa  perchè,  dimque,  egli  non 
andava  via  e  non  manteneva  l'altra  parte  della  pro- 
messa fattale  un  anno  e  mezzo  addietro,  quella  di  tor- 
nare alla  loro  casa  fiorentina  ?  Per  gli  affari,  forse  ? 
Ma  quantunque  Raimondo  non  le  tenesse  discorso  di 
queste  cose,  ella  sapeva  che  della  divisione  non  si 
parlava  ancora  e  ilon  si  sarebbe  parlato  per  un  pezzo. 
•  Prima  il  colera,  poi  lo  strascico  d'  inquietudini  che 
la  pestilenza  avevu  lasciato,  poi  la  partenza  del  fra- 
tello, erano  state  lagioni  per  la  quali  il  principe  non 
aveva  parlato  della  divisione.  Adesso  quel  nuovo  lusso 
costava    a    Raimondo;    egli    chiedeva   continuamente   a 


Giacomo  somminii»lrazioni  in  denaro,  e  questi  non  gli 
faceva  ripetere  le  richieste,  dimostrando  tuttavia  che 
era  ormai  tempo  di  procedere  alla  sistemazione  defi- 
nitiva dell'eredità;  ma  a  Raimondo  tornava  comodo 
prendere  i  quattrini  senza  stare  a  far  conti,  a  citare  i 
pagatori  morosi,  o  ad  impacciarsi  in  tutte  le  noie  grosse 
e  piccole  dell'amministrazione.  Quando  il  fratello  gli 
esponeva  un  dubbio,  o  chiedeva  il  suo  parere  intorno 
alla  proroga  d'un  affitto,  alla  conclusione  d'una  ven- 
dita, egli  rispondeva:  «Fa'  tu,  fa'  come  credi...» 
L'importante,  per  lui,  ei-a  aver  denari;  alle  volte,  ri- 
chiedendone con  troppa  frequenza,  il  principe  gli  di- 
ceva :  a  Veramente,  i  fattori  non  hanno  ancora  pa- 
gato; abbiamo  avuto  molte  spese  :  però,  se  vuoi,  posso 

anticiparti   quel   che   ti   bisogna »   ed   egli   prendeva 

1  quattrini  a  titolo  d'anticipo  o  di  prestito.  Non  s'oc- 
cupava insomma  di  nulla  fuorché  di  spendere,  con  una 
cieca  fiducia  nel  fratello,  la  quale  faceva  andare  in 
bestia  don  Blasco.  Già  il  monaco,  saputo  l'affare  delle 
cambiali,  aveva  gettato  fuoco  e  fiamme  contro  il  prin- 
cipe, dichiarandolo  capace  d'aver  falsificato  la  firma 
della  madre,  perchè  «  quella  bestia  di  mia  cognata 
era  una  testa  di  cavolo,  sì,  ma  non  al  punto  di  piantar 
debiti  da  una  parte  e  di  serbar  quattrini  dall'altra.  » 
E  aveva  ricominciato  ad  aizzare  gli  altri  nipoti  contro 
«  queir  imbrog'lione  »,  spingendoli  ad  impugnare  la 
validità  di  quegli  effetti  che  chiamava  «  cavalli  di  ri- 
torno ))  perchè,  se  non  erano  falsi  del  tutto,  dovevano 
essere  vecchie  cambiali  ritirate  dalla  principessa,  tro- 
vate da  Giacomo  tra  le  carte  e  rimesse  a  nuovo  per 
la  circostanza  !  Ma  poiché  quell'altre  bestie  di  Chiara, 
del  marchese,  di  Ferdinando,  di  Lucrezia  facevano 
orecchio  da  mercante  —  come  non  si  trattasse  dei  loro 
proprii  interessi  !  —  il  monaco  quasi  quasi  era  stato 
sul  punto  di  dimenticare  l'antica  avversione  per  Rai- 
mondo e  di  andare  a  svelargli  le  magagne  del  coerede 
e  fratello,  a  gridargli  :  «  Apri  gli  occhi,  se  no  ti  met- 
terà   nel    sacco   e    ti    mangerà!...»    \'edendo    ora    che 


erano  tutt'una  cosa,  si  rodeva  il  fegato  notte  e  giorno, 
e  un  ultimo  fatto  l'aveva  inviperito  e  indotto  a  strepi- 
tare contro  quei  «  pazzi  e  birbanti  »  al  convento,  nelle 
farmacie,  anche  per  le  pubbliche  strade  con  la  prima 
persona  capitata.  Alla  zolfara  àelVOleastro  gli  Uzeda, 
scavando  scavando,  avevano  oltrepassato,  sotterra,  il 
confine  della  proprietà  superficiale  :  i  proprietarii  limi- 
trofi iniziavano  quindi  una  lite.  Raimondo,  a  cui  l'ap- 
posizione d'una  semiplice  firma  in  coda  alle  ricevute 
ed  ai  contratti  già  pesava,  mostrò  in  quell'occasione 
al  signor  Marco,  che  veniva  per  fargli  leggere  gli  atti 
della  lite,  il  proprio  fastidio  per  tutte  quelle  continue 
«  seccature  »  ;  allora  il  signor  Marco  gli  propose  : 
«  Vostra  Eccellenza  perchè  non  fa  una  procura  al  signor 
principe  ?  Cosi  risparmierà  tante  noie  e  le  cose  an- 
deranno  anche  più  spedite,  fin  a  quando,  pagate  le  so- 
relle di  Vostra  Eccellenza,  si  procederà  alla  divi- 
sione  »   Raimondo   non   se  lo   fece  dire   due   volte   e 

firmò  subito  l'atto  col  quale  il  principe  ebbe  mandato 
d'amministrare  l'eredità  m  nome  anche  del  coerede. 

Ora  Matilde,  conosciuto  l'accordo,  aveva  doman- 
dato a  sé  stessa  perchè  mai  Raimondo  restava  ancora 
in  Sicilia?  Se  non  s'occupava  più  degli  affari,  qual 
altro  interesse  ve  lo  tratteneva  ?  Ed  ella  ricominciava 
a  struggersi  di  gelosia,  vedendolo  ancora  una  volta 
accanto  a  quella  donna,  non  potendo  soffrire  di  do- 
verla trattare  da  amica  mentre  una  voce  interiore  l'av- 
vertiva di  non  fidarsene.  Ammalata  di  cuore  e  d'  ima- 
ginazione, con  la  sensibilità  eccitata  dai  dolori  con- 
tinui, ella  adesso  credeva  ai  funesti  presentimenti,  te- 
meva e  sospettava  di  tutto.  Nella  felice  ingenuità  di 
altri  tempi,  avrebbe  mai  accolto  il  sospetto  che  il  prin- 
cipe lasciasse  libero  Raimondo  di  fare  quel  che  più  gli 
piaceva  e  quasi  secondasse  i  suoi  vizii,  e  lo  incitasse 
a  giocare  e  gli  procurasse-  le  occasioni  di  veder  quella 
domna,  per  distorg'lierlo  dagli  affari  ed  averne  solo  il 
maneggio?  Un  sospetto  cosi  tristo  non  le  sarebbe  nep- 
pure passato  pel  capo  quando  ella  credeva  tutti  buoni 


e  sinceri  ;  adesso,  spaventata  deg-li  altri  e  di  sé  stessa, 
non  riusciva  a  combatterlo...  Come  respingerlo,  se  il 
principe  pareva  mettere  ogni  impegno  perchè  donna 
Isabella  venisse  al  palazzo  Francalanza,  mentre  la 
suocera  di  lei,  donna  Mara  Persa,  cominciava  a  mo- 
strare una  specie  di  diffidenza  per  qiielle  relazioni  di- 
venute troppo  intime?... 

Donna  Mara  Persa  aveva  tollerato  molte  cose  alla 
nuora  palermitana;  la  rifoluzione  méssale  in  casa,  il 
mal  nascosto  compatim.ento  col  quale  la  trattava,  i 
gusti  costosi  e  le  opinioni  ardite  ;  ma  chiusi  tutt'e  due 
gli  occhi  quando  ne  soffriva  lei  stessa,  non  intendeva 
chiuderne  neppure  uno  se  era  in  giuoco  suo  figlio. 
L'amicizia  degli  Uzeda,  sissignore,  stava  benissimo  e 
le  faceva  anche  tanto  piacere  :  ma  che  Raimondo  stesse 
sempre  alle  costole  dell'  Isabella,  in  casa  propria  o  in 
quella  di  lei,  in  chiesa,  al  teatro  ed  al  passeggio,  forse 
usava  a  Pirenze  ed  era  una  cosa  elegante,  di  quefie 
che  lei,  educata  al  vecchio  modo,  non  comprendeva; 
ma  non  le  piaceva  nient 'affatto  e  non  intendeva  che 
continuasse.  Senza  addurne  la  ragione  per  non  mettere 
il  carro  avanti  ai  buoi,  aveva  fatto  capire  al  figlio  ed 
alla  nuora  che,  trattando,  da  buoni  amici  gli  Uzeda, 
non  c'era  poi  bisogno  che  si  spartissero  il  sonno.  Ella 
predicava  ai  Turchi  :  Mario  Persa  era  più  che  mai 
infatuato  del  principe  e  del  conte,  donna  Isabella 
sempre  insieme  con  la  principessa,  con  Lucrezia  e  con 
donna  Ferdinanda.  Allora,  vedendo  inutili  le  proprie 
esortazioni,  poco  sofferente  di  sapersi  disobbedita  e 
inascoltata  in  una  cosa  che  la  nuora  doveva  intendere 
alla  prima,  donna  Mara  s'era  mostrata,  incapace  di 
nascondere  quel  che  aveva  in  corpo,  inusitatamente 
acre  ed  ironica  verso  di  lei,  e  nello  stesso  tempo  aveva 
dichiarato  al  figliuolo  il  motivo  delle  proprie  inquie- 
tudini. Tuttavia,  per  non  precisar  troppo,  s'era  man- 
teiuiLa  sulle  generali,  dicendo  che  quella  vita  in  comune 
era  pericolosa,  che  in  casa  Uzeda,  oltre  ai  tanti  uomini 
che   vi   bazzicavano,   si  trovavano  due  giovani  come  il 


--    203    — 

principe  e  il  conte  accanto  ai  ciuali  non  istava  bene 
che  r  Isabella  si  lasciasse  vedere  continuamente — 
Suo  fig'lio,  però,  non  l'aveva  lasciata  finire  :  «  Il  prin- 
cipe ?  Raimondo?  I  miei  mig-liori  amici?...»  e  dal- 
l'indignazione passando  al  riso:  «Sospettar  di  loro? 
Di  due  buoni  padri  di  fan^i.g-lia  ?...  »  Ne  le  ragionate 
insistenze  della  madre  ebbero  altra  risposta.  Frattanto 
donna  Isabella,  al  piglio  severo,  ai  modi  bruschi  su- 
bitamente adottati  dalla  suocera,  se  prima  aveva  mo- 
strato di  stare  in  quella  casa  con  una  specie  dì  pru- 
dente ma  dolorosa  rassegnazione,  prendeva  adesso 
decisamente  l'attitudine  d'una  vera  vittima.  Con  Rai- 
mondo, quando  costui  le  diceva  la  noia,  1'  infelicità 
della  vita  di  provincia,  ella  scrollava  il  capo,  appro- 
vava, ma  soggiungendo  che  si  poteva  star  bene  anche 
in  una  campagna  o   in  un  deserto,  a  patto  di  sentirsi 

circondati  di  premure  e  d'affetto di  vedersi  intorno 

persone  care capaci  di  comprendervi  e  d'apprez- 
zarvi—  E  donna  Mara  gonfiava,  gonfiava,  vedendo  che 
niente  riusciva,  cercando  un  mezzo  più  energico  per 
metter  fine  a  quella  «  commedia  ».  Fersa,  per  conto 
suo,  continuava  a  non  accorgersi  di  nulla,  perchè 
avrebbe  negato  la  luce  del  giorno  prima  di  sospettar 
della  moglie  e  di  Raimondo,  col  quale  faceva  vita  in- 
sieme e  stava  tutto  il  giorno  e  tutte  le  sere  a  chiac- 
chierare o  a  giocare  al  Casino  o  nella  barcaccia  del 
Comunale.  Egli  era ,  più  che  mai  orgoglioso  dell'ami- 
ciziia  che  gli  dimostrava  il  principe,  dei  lunghi  discorsi 
che  questi  gli  teneva,  mentre  Raimondo  e  donna  Isa- 
bella discorrevano  in  un  angolo;  e  cascava  poi  dalle 
nuvole  quando  la  madre  gli  veniva  a  dire,  bruscamente  : 
«  Andiamo  via,  che  è  tardi  !...  » 

Ora  un  bel  giorno  Raimondo,  andato  a  far  visita 
in  casa  Fersa,  e  dopo  aver  visto  donna  Isabella  dietro 
le  vetrate,  s' udì  rispondere  dalla  cameriera  che  non 
c'era  nessuno.  Li  per  lì,  egli  rimase;  a  un  tratto  fu 
per  dare  tmo  spintone  alla  porta  ed  entrare  a  viva 
forza;  ma  riuscito  a  stento  a  contenersi,  scese  le  scale 


204    

ed  uscì  nella  via  rosso  in  viso  come  per  un  colpo  di 
sole.  Subito  aveva  capito  donde  veniva  la  botta,  es- 
sendosi già  accorto  della  freddezza  di  donna  Mara  ; 
e  all'  idea  della  contrarietà  e  dell'ostacolo,  il  sang"ue 
g-li  ribolliva  nelle  vene,  g-li  saliva  alla  testa,  gli  fa- 
ceva  veder   fosco Fin   a   quel   momento,   egli   aveva 

cercato  la  compagnia  di  donna  Isabella  perchè  gli 
pareva  una  delle  poche  signore  con  le  quali  poter  di- 
scorrere, perchè  gli  rammentava  la  società  di  fuori 
via,  perchè  gli  piaceva  di  persona,  anche,  ma  non 
molto,  non  tanto  da  voltar  l'animo  alla  sua  conquista. 
Non  r  idea  di  cagionare  la  rovina  di  lei,  non  l'ami- 
cizia del  marito  lo  avevano  distolto  da  questo  propo- 
{limento  ;  Persa  anzi,  con  la  sua  adorazione  per  la  mo- 
glie e  la  cieca  fiducia  che  dimostrava  a  lei, ed  a  lui,  gli 
pareva  destinato  alla  solita  disgrazia;  e  donna  Isabella, 
con  quel  suo  contegno  da  vittima,  con  1'  istinto  della 
civetteria  che  la  dominava,  con  i  suoi  eterni  discorsi 
sulle  anime  fatte  per  comprendersi,  doveva  provare 
troppa  voglia  d'esser  compresa.  Egli  aveva  sempre 
riso  dell'amore,  della  passione,  ed  appunto  perciò  sua 
moglie  lo  seccava,  perciò  non  aveva  perseguito  mai 
altro  che  il  piacere  comodo,  pronto  e  sicuro  ;  per- 
ciò la  previsione  delle  noie  che  l'avventura  con  la 
Fersa  avrebbe  potuto  cagionargli  l'aveva  indotto  a 
non  spingere  troppo  avanti  le  cose.  Al  Belvedere,  pel 
colera,  dove  donna  Isabella  doveva  venire  e  non  era 
poi  venuta,  egli  s'era  quasi  rallegrato  del  mancato 
ritrovo,  divertendosi  con  l'Agatina  Galano,  quasi  in- 
teramente dimenticando  la  lontana.  Rivedutala,  la 
tentazione  era  risorta,  e  allora  i  piagnistei  di  sua 
moglie  l'avevano  resa  più  forte;  poi  l'opposizione  di 
donna  Mara  aveva  messo  nuova  esca  al  fuoco.  Era 
cosi  fatto,  che  gli  ostacoli  lo  eccitavano,  lo  rendevano 
smanioso  e  restìo  come  un  puledro  che  senta  il  morso. 
Tuttavia  s'era  contenuto  ancora,  pensando  all'avve- 
nire, ai  fastidii  sicuri,  ai  pericoli  possibili;  ora,  di  re- 
pente,   la    consegna    che    gli    vietava    il    passo    in    casa 


di  lei  ,g-li  metteva  addosso  una  gran  \ogiia  di  sfondare 
quell'uscio  e  di  portar  via  quella  donna.  L'  istinto 
sanguinario  dei  vecchi  Uzeda  predoni  l'arrovellava; 
se  avesse  potuto,  avrebbe  fatto  un  eccesso  come  quel- 
l'avo che  s'era  buttato  coi  cavalli  addosso  al  capitan 
di  g^iustizia.  Adesso,  non  tanto  i  tempi  quanto  le  cir- 
costanze erano  diverse;  egli  non  poteva  fare  uno  scan- 
dalo, gli  conveniva  piuttosto  dissimulare,  ricorrere  alla 

politica  ed  all'astuzia Appena  arrivato  a  casa,  scrisse 

all'amica  per  dirle  che  aveva  compreso  «  gì'  ingiusti 
sospetti  »  dei  suoi  parenti,  per  lagnarsi  che  «  in  quel- 
l'odioso paese  »  non  fosse  possibile  stringere  e  man- 
tenere «  le  relazioni  d'amicizia  ».  La  lettera  fu  reca- 
pitata per  mezzo  di  Pasqualino  Riso,  cocchiere  del 
principe,  il  quale  la  diede  al  cocchiere  di  donna  Isa- 
bella, che  g-li  era  compare.  Donna  Isabella  rispose 
immediatamente,  per  la  stessa  via,  querelandosi  della 
«  schiavitù  »  in  cui  era  tenuta,  della  sospettosa  «  cat- 
tiveria »  esercitata  su  lei,  ringraziandolo  frattanto  dei 
suoi  «  delicati  »  sentimenti,  dell'»  amicizia  »  di  cui  le 
dava  prova  e  che  ella  ricambiava  «  di  tutto  cuore  »  ; 
scongiurandolo  però  di  «  rinunziare  a  rivederla  »  per 
non  urtare  la  suscettibilità  di  «  certe  persone  ».  Era 
lo  stesso  che  dirgli  :  «  Fate  di  tutto  per  trionfare  della 
loro  opposizione....  »  I  due  cocchieri  compari  tornarono 
a  vedersi  tutti  i  g-iorni,  a  riferire  ambasciate  verbali  : 
Pasqualino,  di  piantone  all'angolo  di  casa  Persa,  cor- 
reva al  Casino  dei  Nobili  ad  avvertire  il  padrone,  che 
aveva  messo  11  il  suo  quartier  generale,  delle  uscite 
di  donna  Isabella  :  cosi  egli  la  seguiva  eg-ualmente  da 
per  tutto.  Del  resto,  l'avvicinava  ancora  alla  carrozza 
e  le  faceva  visita  al  teatro,  le  rare  volte  che  non  c'era 
la  suocera;  perchè,  sordo  ag'li  ammonimenti  materni, 
dolente  degli  ingiusti  sospetti,  il  marito  era  con  lui 
come  prima,  anzi  gli  faceva  maggiori  dimostrazioni  di 
amicizia,  quasi  a  scusarsi  della  condotta  della  madre, 
■e  veniva  .assiduamente  al  palazzo.  Tutti  gli  Uzeda  pa- 
reva si  fossero  data  la  voce  per  proteggere  e  secondare 


—   2o6  — 

quei  due.  Mentre  essi  parlavano  fra  loro,  in  un  angolo, 
il  (principe  o  donna  Ferdinanda  stavano  a  chiacchiera 
con  Persa,  lo  conducevano  in  un'altra  stanza;  la  zi- 
tellona andava  spesso  attorno  con  donna  Isabella  e 
quando  incontrava  il  nipote  si  ferjmava  per  dargjli 
l'ag-io  di  stare  con  l'amica;  meglio,  la  invitava  più 
spesso  a  casa  e  Raimondo  non  tardava  a  sopravve- 
nire. Si  vedevano  anche  dagli  altri  parenti  dei  Fran- 
calanza,  dalla  duchessa  Radali,  dai  Grazzeri,  piij 
spesso  dalla  cugina  Graziella  che  era  divenuta  grande 
amica  di  donna  Isabella.  Tutti  poi  cospiravano  per 
non  lasciare  accorgere  di  nulla  la  contessa  ;  però,  av- 
vertita da  una  specie  di  senso  divinatore,  Matilde 
comprendeva  che  suo  marito  le  sfuggiva  ;  e  dal  dolore 
si  struggeva  in  pianto.  Ora  che  la  sua  bambina  stava 
meglio,  che  ella  avrebbe  potuto  respirare  tranquilla, 
quel  pensiero  non  le  dava  più  pace.  Ella  sapeva  che, 
a  contrariarlo,  Raimondo  s' incaponiva  peggio  nei  suoi 
capricci  ;  che,  se  v'era  un  mezzo  di  ridurlo,  questo 
consisteva  nel  lasciarlo  fare  di  suo  capo;  ma  come 
rassegnarsi  a  saperlo  pieno  di  un'altra,  a  sentirsi 
un'altra  volta  guardata  con  occhio  tra  curioso  e  com- 
passionevole da  Lucrezia,  dalla  marchesa,  dagli  estra- 
nei, dai  servi  ?  E  gli  si  stringeva  al  fianco  timida  e 
supplice,  gli  diceva  la  sua  gelosia,  lo  scongiurava  di 
jnon  farla  soffrire  se  era  vero  che  inom  pensava  a 
quella   donna. . . . 

—  Maledetto  paese  !  —  esclamava  con  voce  con- 
citata suo  marito.  —  Chi  è  che  inventa  simili  infamie? 
Sei  stata  tu  stessa  ?  Hai  messo  in  piazza  i  tuoi  scioc- 
chi  sospetti,  di'   la  verità? 

—  Io?...    Io?... 

—  Vuoi  rovinarla,  vuoi  farmi  ammazzare  da  suo 
marito  ? 

E  allora  un  altro  terrore  l'aveva  agghiacciata  :  se 
anche  Fersa  isi  fosse  accorto  di  qualche  cosa  ?  se 
avesse  voluto  vendicarsi?...  A  un  tratto,  ella  vedeva 
suo  marito  freddato,  in  mezzo  a  ima  strada,  con  una 


palla  in  fronte,  con  un  colpo  di  pugnale  al  fianco  :  tutte 
le  volte  che  egli  tardava  a  rincasare,  giungeva  le  mani, 
si  premeva  il  cuore,  quasi  udendo  le  grida  delle  per- 
sone di  servizio  atterrite  all' improvviso  arrivo  del 
corpo  esanime;  e  accarezzando  le  sue  bambine  pian- 
geva come  se  già  fossero  orfanelle.  Le  coceva  sopra 
ogni  cosa  di  non  potersi  sfogare  con  nessuno,  di  non 
aver  qualcuno  che  la  confortasse  almeno  di  una  buona 
parola.  Al  padre  non  poteva  dir  jiuUa,  e  gli  Uzeda  te- 
nevano il  sacco  a  quell'altra;  chi  non  spingeva  fino 
a  tanto  il  rancore  contro  l' intrusa,  restava  neutrale, 
non  s'accorgeva  neppure  di  lei. 

Don  Eugenio  aveva  già  finito  e  spedito  a  Napoli 
la  memoria  su  Massa  Annunziata.  Portava  per  titolo  : 
«  Intorno  la  convenienza  —  di  essere  intrapreso  il  di- 
scavo —  della  Sicola  Pompei,  ossivero  Massa  An- 
nunziata, —  vetusta  terra  niongihellese  ■ — •  sepolta 
nell'anno  di  grazia  1669  —  dalle  ignivome  lave  di 
quell'incendio  vulcanico  — ■  con  tutte  le  sue  ricchezze 
che  conteneva  —  memoria  sommessa  al  Real  Governo 
delle  Due  Sicilie  — •  da  don  Eugenio  Uzeda  di  Fran- 
calanza  e  Mirabella,  —  Gentiluomo  di  Camera  di  Sua 
Maestà  {con  esercizio).  La  sera,  egli  leggeva  alla  società 
la  sua  prosa,  sulla  brutta  copia.  C'erano  espressioni 
di  questo  g^enere  :  «  Quandocchesia  nel  1669  tra  le  più 
terribili    eruzioni    la   nostra    vi    cadendo    annoverata — 

Dopoché     appiacevolirono     alquanto    i    tremuoti A 

quale  opera  tuttosi  in  Pompei  intentando  si  viene... 
Non  mi  s' impunti  in  superbia  alle  conghietture  azzar- 
darmi  »   Erano  il  frutto  di  riforme  gramanaticali  da 

lui  studiate.  Perchè  apostrofare  soltanto  gli  articoli, 
i  pronomi  e  le  particelle  ?  Egli  scriveva  :  «  Il  flagell'  ac- 

cuorav'    i    naturali La    lav'    avanzavas'    inconjtr' a 

quel  borgo »  Per  dar  più  scioltezza  al  discorso  di- 
ceva :    «  Ne   continuando  »   invece  di    «  continuandone  » 

ed    anche    «gli    proporre»    invece    di    «  propbrgli » 

Don  Cono   soltanto  gli  dava   retta,    discutendo   se  so- 


-     2o8 

ìeuììc  dovesse  scriversi  con  una  o  con  due  clic  ;  tutti 
gli  altri  voltavano  le  spalle  a  quella  bestia  che  dopo 
aver  perduto  per  la  sua  bestialità  due  impieg-hi,  aspet- 
tava d'esser  nominato  direttore  degli  scavi  !  Don 
Blasco  e  donna  Ferdinanda,  fra  g-li  altri,  ma  ciascuno 
per  suo  conto,  glielo  spiattellavano  sul  muso,  senza 
riguardi  ;  cantavano  ai  sordi  però,  che  il  cavaliere  era 
sicuro  'questa  volta  d'aver  afferrato  la  fortuna  pel 
ciuffo.  Il  marchese  e  Chiara,  venendo  tutti  i  giorni 
al  palazzo,  .era  preciso  come  se  non  ci  fossero;  perchè, 
mentre  la  gente  parlava  d'una  cosa  e  .d'  un'altra,  essi 
ad  altro  non  pensavano  che  alla  prole.  Ogni  mese, 
in  un  certo  periodo,  Chiara  pareva  proprio  nelle  nu- 
vole :  non  rispondeva  alle  domande  che  le  facevano, 
o  rispondeva  a  vanvera  ;  poi  traeva  in  disparte  tutte 
le  signore,  una  dopo  l'altra,  e  sottoponeva  loro  al- 
l'orecchio certi  suoi  quesiti.  Pertanto,  quando  don 
Blasco  andava  a  casa  di  lei,  aizzandola  nuovamente 
contro  il  principe  e  Raimondo,  non  gli  dava  retta,  con 
la  testa  scombussolata  dalla  continua  ed  intensa  aspet- 
tazione. Ferdinando,  da  canto  suo,  lasciava  più  che 
mai  cantare  lo  zio  monaco.  Felice  d'essere  assoluto 
padrone  delle  Ghiande,  vi  s'era  sbizzarrito  a  modo 
suo;  a  poco  a  poco  però  il  podere  era  caduto  in  rovina, 
ed  eg-li  se  n'era  accorto.  Tutte  le  cose  lette  nei  libri 
d'ag-ricoltura  aveva  voluto  provare  :  appurato,  per 
esempio,  che  in  ogni  albero  i  rami  possono  fare  da 
radici  e  le  radici  da  rami,  aveva  preso  a  sperimentar 
la  verità,  schiantando  gli  aranci  alti  e  rigo,gliosi  per 
ripiantarli  capovolti  :  ad  ^  uno  ad  uno  tutti  gli  alberi 
erano  morti.  Nondimeno  egli  non  si  sarebbe  deciso  a 
smettere  quelle  sue  speculazioni,  se  non  ne  avesse  pen- 
sate altre  di  diverso  genere.  Fra  i  molti  libri  che  com- 
prava glien'erano  capitati  alle  mani  alcuni  di  mec- 
canica ;  allora,  rammentati  g^li  antichi  amori  con 
l'orologiaio,  aveva  preso  un  fattore  per  lasciargli  in 
balia  il  podere,  e  s'era  messo  a  fabbricare  ruote  ed 
ingranaggi.   Perchè  mai  l'acqua  nelle  pompe  aspiranti 


— ■  2og  —  • 

non  andava  mai  più  su  di  cinque  canne  ?  Per  la  pres- 
sione atmosferica.  Non  c'era  mezzo  di  controbilan- 
ciarla? Ed  aveva  costrutto  un  suo  trabiccolo  dove,  per 
lavorar  di  manubrio,  l'acqua,  non  che  a  cinque  canne, 
non  saliva  neppure  ad  un  pollice.  La  colpa  fu  tutta 
degli  operai  che  non  avevano  capito  i  suoi  ordini  : 
egli  si  mise  intorno  ad  un  problema  molto  più  vasto  : 
il  moto  perpetuo —  Di  quel  che  avveniva  in  casa,  di 
quel  che  operavano  gli  altri  non  s'impacciava,  dira- 
dava sempre  più  le  sue  visite  al  palazzo  ;  se  non  fosse 
stato  per  Lucrezia,  non  ci  sarebbe  andato  mai.  Sua 
sorella,  però,  se  era  occupata  a  far  segnali  a  Bene- 
detto Giulente,  non  scendeva  giù  in  sala.  L'amoreg- 
giamento  continuava  più  forte  di  prima  ;  in  ogni  sua 
lettera  il  giovane  le  diceva  che  il  tempo  della  domanda 
si  veniva  sempre  approssimando,  che  fra  un  anno  il 
loro  voto  si  sarebbe  conipiuto.  Lucrezia,  quantunque 
non  ci  fosse  più  quel  diavolo  di  Consalvo,  pure,  perchè 
non  le  frugassero  in  mezzo  alle  sue  cose,  chiudeva  a 
chiave  la  sua  camera  quando  scendeva  al  piano  di 
sotto,  né  il  principe  diceva  nulla  pel  disordine  che  ne 
derivava. 

Cosi,  nessuno  dei  legatarii  s'occupava  della  divi- 
sione ;  e  quanto  a  Raimondo,  egli  era  più  che  mai  in- 
tento alla  bella  vita  e  ad  inseguire  donna  Isabella  in 
terra,  m  cielo  e  in  ogni  luogo.  Pasqualino  Riso  non 
faceva  quasi  più  servizio,  occupato  com'era  a  spiar 
le  mosse  della  signora,  a  portar  lettere  ed  ambasciate. 
Gli  altri  servi  ne  erano  perfino  gelosi  :  il  sotto-cocchiere, 
specialmente,  a  cui  toccava  tutta  la  fatica  e  Matteo 
il  cameriere.  Essi  parlavano  a  denti  stretti  della  for- 
tuna capitata  al  compagno,  non  capivano  come  il  prin- 
cipe continuasse  a  pagarlo  precisamente  come  prima, 
lasciandolo  a  disposizione  del  fratello;  e  dal  dispiacere 
quasi  voltavano  casacca,  perchè,  mentre  prima  erano 
contrarli  alla  contessa,  adesso  la  compiangevano,  di- 
cevano che  non  meritava  quel  tradimento  e  quel  trat- 
tamento  

De    Roberto.    1    Viceré    -    I  H 


— •  :ìio  — 

L'acredine  deg-li  Uzeda  contro  la  Palmi  diveniva 
veramente  troppo  viva,  esercitavasi  specialmente  sulle 
iìglie,  perchè  i  mali  traiti  usati  ad  esse  addoloravano 
la  contessa  più  che  quelli  diretti  personalmente  a  lei. 
V'erano  giorni  terribili,  quando  donna  Ferdinanda  al- 
zava la  mano  su  Teresina,  che  ella  passava  a  piangere 
come  una  bambina,  a  bere  le  sue  lacrime  perchè  non 
cadessero  sulle  lettere  che  scriveva  al  padre,  per  na- 
sconderg-'li  il  proprio  dolore,  per  dargli  a  intendere  che 
era   felice — 

Ai  primi  di  settembre,  avvicinandosi  la  villeggia- 
tura, il  barone  giunse  da  Milazzo  per  vedere  le  nipo- 
tine  e  condurre  tutti  con  sé  nelle  sue  campagne,  dov'era 
venuto  anche  il  promesso  di  Carlotta  :  il  matrimonio 
si  sarebbe  celebrato  fra  un  anno.  Il  principe  lo  volle 
ospite  al  palazzo,  anche  ,gli  altri  che  erano  tanto  duri 
per  la  figlia  lo  accolsero  con  un  certo  garbo,  quasi 
per  non  lasciargli  sospettare  la  mala  grazia  usata  con 
lei Né  egli  le  lesse  in  viso  i  lunghi  patimenti;  su- 
perbo di  quel'la  parentela,  della  nobiltà  di  quella  casa, 
s'affermava  nell'  idea  d'aver  assicurato  la  felicità  di 
Matilde.  Questa,  all'a^rrivo  del  padre,  all'annunzio  che 
egli  veniva  per  condurli  via  tutti,  ricominciò  a  tremare 
per  un'altra  ragione,  per  l'antica  paura  che  tra  il 
padre  e  il  marito  scoppiasse  la  guerra.  Raimondo  non 
si  sarebbe  rifiutato  di  seguire  il  suocero?...  Invece, 
improvvisamente,  un  raggio  di  sole  brillò  nella  sua 
lunga  tristezza  :  all'  invito  del  barone  Raimondo  ri- 
spose ordinando  i  preparativi  del  viaggio.  Era  niente, 
quel  consenso;  non  poteva  rassicurarla,  giacché  in 
città  nessuno  sarebbe  rimasto,  in  quella  stagione,  e  la 
Persa  andava  come  gli  altri  anni  a  Leonforte  ;' pure, 
nell'angustia  a  cui  era  ridotta,  1'  idea  di  andar  via 
dalla  casa  degli  Uzeda,  di  tornar  da  suo  padre,  per 
consenso  e  in  compagnia  di  Raimondo,  le  faceva 
trarre   liberamente    il    reapiro. 

Il  principe  invitò  tutti  al  Belvedere.  Li  però  le  cose 
non   andarono   molto    lisce,    e    i   primi    a    provocare    i 


—    21  I    — 

dissidi!  furono  Chiara  e  il  marchese  Federico.  Comin- 
ciando a  perdere  la  speranza  di  quel  figlio  tanto  aspet- 
tato, quasi  vergognosi  di  aver  annunziato  ogni  mo- 
mento una  gravidanza  che  non  si  confermava  mai, 
marito  e  mo,glie  erano  ormai  pieni  d'  una  malinconia 
che  a  poco  a  poco  diventava  una  specie  d' irritabilità, 
d'  izza  ilatente  e  senza  oggetto  determinato.  La  mar- 
chesa, per  suo  conto  particolare,  non  poteva  rasse- 
gnarsi alla  mancata  maternità,  se  n'accusava  come 
d'una  colpa,  e  per  farsi  perdonare  dal  marito,  se  prima 
aspettava  ogiii  sua  parola  come  quella  d'  un  oracolo, 
adesso  preveniva  i  suoi  g"iudizii,  intuiva  le  sue  vo- 
lontà. Egli  non  aveva  il  tempo  di  voltarsi,  per  esempio, 
al  soffio  molesto  spirante  da  una  finestra  aperta,  che 
Chiara  già  gridava  alle  persone  di  servizio  di  chiu- 
dere ogni  cosa,  minacciando  di  cacciar  via  tutti  al 
rinnovarsi  della  trasouraggine  ;  in  conversazione, 
quando  qualcuno  raccontava  un  fatto  o  manifestava 
un'  idea,  ella  leggeva  ne,gli  occhi  al  marito  se  la  cosa 
non  gli  andava  a  verso,  e  allora  ribatteva  vivacemente 
prima  che  egli  avesse  ancora  aperto  bocca.  Federico, 
per  non  esser  da  meno,  si  mostrava  dello  stesso  umore 
di  lei,  e  cosi  tutte  le  liti  che  evitavano  tra  loro  le  at- 
taccavano invece  con  gli  altri.  Ora  1'  inizio  della  guerra 
col  principe,  del  quale  erano  ospiti,  fu  l'affare  del  le- 
gato alla  badìa  di  San  Placido.  Ostinandosi  Giacomo 
a  considerarlo  nullo  per  la  mancanza  dell'approvazione 
regia,  la  Madre  Badessa  aveva  chiamato  gli  avvocati 
del  monastero,  i  quali  ad  una  voce  dichiararono  che 
le  ragioni  del  principe  non  valevano  un  fico  secco  ; 
che  la  principessa,  buon'anima,  non  aveva  niente  af- 
fatto istituito  un  benefizio,  ma  lasciata  un'eredità 
cìim  onere  missannn  ;  quindi  che  mancava  assoluta- 
mente la  necessità  dell'approvazione  regia,  quindi  che 
lai  principe  doveva  metter  fuori  le  duemila  onze  ;  questi 
invece  si  incaponiva  nefll 'altra  interpretazione,  e  da 
^povera  Suor  Crocifissa  piang'eva  sera  e  mattina.  In 
;  un    momento    di    malumore,    viste    inutili    le    trattative 


amichevoli,  la  Badessa  aveva  confidato  al  marchese 
ed  a  Chiara  un'altra  birbonata  del  principe  :  donna 
Teresa,  felice  memoria,  prima  di  partire  pel  Belve- 
dere, donde  non  doveva  più  tornare,  le  aveva  artidato, 
perchè  la  custodisse  nel  tesoro  della  badia  e  la  conse- 
gnasse al  signor  Marco,  il  quale  doveva  poi  darla  a 
Raimondo,  una  cassetta  piena  di  monete  d'oro  e  d'og- 
getti preziosi  :  appena  spirata  la  madre,  Giacomo  s'era 
presentato  per  ritirare  il  deposito  ;  e  poiché  ella  aveva 
opposto  qualche  dhicoltà,  era  tornato  col  signor  Marco, 

al  quale  non  aveva  potuto  rifiutarlo 

Marito    e    moglie    restarono    un   poco    scandalizzati, 
ma  non  si  sarebbero  smossi,  se  la  Badessa,  per  tirarli 
dalla     sua,    non     avesse     loro    detto    che    il     glorioso 
San  Francesco  di  Paola  non  aveva  più  reso  fecondo  il 
loro  matrimonio  e  che  la  prima  gravidanza  era  andata 
in  fumo,  perchè  essi  lasciavano  consumare  il  sacrilegio 
in   danno  della  badia.    Con  questa  pulce  nell'orecchio, 
si    rivoltarono    tutt'e    due   contro   il   principe,    ma    spe- 
cialmente  Chiara  persuadeva  il  marito  delle  birbonate 
del  fratello.    Il   marchese   chinava   il  capo   alle   ragioni 
della  moglie,   e  a  poco   a  poco  dalla  fondazione   delle 
messe   e   dal  carpito   deposito  venivano   alle  altre   qui- 
stioni   dell'eredità  :    alla   divisione   arbitraria,   al  nume- 
rario   sottratto,   ai   conti   rifiutati,    alla   pretesa   che   la 
finta  epoca  dell'assegno  facesse  fede  dell'avvenuto  pa- 
gamento,   a   tutte   le   ragioni    di   don    Blasco,    il    quale 
scendeva   apposta  da   Nicolosi  per   soffiar  nel   bossolo. 
Fra   sette   mesi   si   sarebbero   compiti   i   tre  anni   dalla 
morte    della   madre,    dopo   i    quali   le    donne    dovevano, 
riscuotere   la    loro   parte,    che    il   principe,    quantunque! 
avesse    promesso    di    pagare    anticipatamente,     teneva 
ancora    per    sé;    bisognava    dunque   mettere    presto    inj 
chiaro    tutte   quelle    cose,    stabilire   ciò    che    veramente) 
toccava  loro.   Ma  reciprocamente  persuasi  che,   se  noni 
reclamavano,    Giacomo  li   avrebbe  messi   in  mezzo,   né 
la  moglie   né   il   marito   osavano   lagnarsi   direttamente 
col    fratello    e    cognato,    tanto    era    forte    l' istinto    del 


— •    213    — ' 

rispetto  verso  il  capo  della  casa.   Chiara  però,  volendo 
dimostrare  il  proprio  zelo,  si  mise  ad  istigare  Lucrezia, 
Derchè  poi   questa   cercasse   di   trarre   dalla   sua   anche 
Ferdinando  :  ella  si  chiudeva  in  camera  con  la  sorella, 
o  la  tirava  in  un  ano-olo,  per  dirle  tutte  le  rasfioni  dello 
zio  monaco,  ao-o-iung-endo  che  lei.   Lucrezia,  era  la  più 
sacrificata  di  tutti,  poiché,  continuando  la  politica  della 
madre,    Giacomo    non    l'avrebbe    maritata,    o    l'avrebbe 
maritata    il    più    tardi     possibile,    per    restar     padrone 
d'amministrar    la    dote.    Lucrezia,    non    comprendendo 
nulla    desrli    affari,    la    lasciava    dire,    rispondeva  :    «  La 
vedremo!...    Ho  da'dire  anch'io  la  mia!...  »  Non  con- 
fidava alla  sorella  di  voler  bene  a  Benedetto  Giulente, 
né  avrebbe  dato  retta  alle  Istisfazioni  di  lei,  come  non 
ne  aveva  dato  a  quelle  dello  zio  monaco,  se  il  principe, 
accortosi   di    quei    secreti   conciliaboli,   di    quei   tentativi 
di    con.o-iura   fatti   nella   sua  propria   casa,    mentre   ^- 
devano    della    sua    ospitalità,    non    avesse    trattato   più 
freddamente  le  sorelle  e  tolto  il  saluto  a  Giulente.   Lu- 
crezia,   risaputolo   e  consultatasi   con  la   cameriera,    la 
ciuale  'disse  che  era  tempo  di  farsi   sentire  se  il  prin- 
cipe   si    portava     male     anche     col    «  si.ofnorino  »,    apri 
l'orecchio  alle   raq"ioni   di  Chiara.    La   sorda  ostilità   tra 
fratello   e   sorelle    si    inasorì    al    riforno    dal    Belvedere, 
quando   Lucrezia  cominciò  a   lao-narsi  con   Ferdinando, 
per    farlo    entrare    nella   legfa.    Allora    entrò    in    iscena 
padre  Camillo,    il   confessore. 

Tornato  da  Roma  dopo  la  morte  della  princioessa, 
il  Domenicano  era  rimasto,  con  stupore  di  tutti,  con- 
fessore del  principe  come  ai  tempi  della  madre.  Gia- 
como non  solamente  s'accostava  al  sacramento  della 
penitenza  oo-ni  mese,  ma  chiamava  in  casa  il  Padre 
spirituale,  prendeva  consi.oflio  da  lui  come  aveva  fatto 
donna  Teresa,  e  don  Blasco  fiottava  contro  «  questo 
collotorto  g-esuita  »  che  dopo  aver  fatto  da  spia  alla 
madre,  faceva  ora  da  spia  al  figfliuolo,  ras^ione  per  cui 
«  ouel  ladro  »  di  Giacomo  non  lo  aveva  preso  «  a  calci 
nel  preterito  ».    Ma  Padre   CartiIUo,    tutto  Gesù   e  Ma- 


—    214    — 

donna,  neppure  udiva  le  diatribe  del  Cassinese;  e  presa 
un  giorno  a  parte  Lucrezia,  le  cominciò  un  lungo  di- 
scorso per  dirle  che  dichiararsi  malcontenta  del  testa- 
mento materno  era  un  peccato  eguale  a  quello  di 
disobbedire  alla  madre  in  vita.  La  principessa,  da 
madre  saggia  e  giusta,  aveva  ripartita  la  sua  sostanza 
«  con  la  bilancia  »,  perchè  al  cuore  di  una  madre  tutti 
i  figli  dovevano  essere  «  egualmente  cari  ».  Certo  il 
principe  e  il  conte  avevano  ottenuto  una  parte  privi- 
legiata ;  ma  erano  appunto  il  principe,  cioè  il  capo 
della  casa,  l'erede  del  titolo,  e  il  conte,  cioè  quell'altro 
dei  figli  maschi  che  aveva  una  famiglia  da  mantenere 
con  lustro.  Per  gli  altri,  la  sant'anima  aveva  fatto  le 
parti  eguali  «fino  all'ultimo  baiocco».  Le  davano  a 
intendere  che  avrebbe  potuto  aver  terre,  invece  di 
moneta?  Egli  citò  l'antichità,  i  testamenti  dei  defunti 
principi  di  Francalanza,  l' istituzione  fedecommissaria 
e  la  legge  salica,  portando  ad  esempio  quel  che  era 
avvenuto  nella  generazione  precedente.  Donna  Ferdi- 
nanda aveva  forse  avuto  beni  stabili  ?  Adesso,  si,  ne 
possedeva  ;  ma  perchè,  dotata  di  quello  spirito  di  ac- 
corta prudenza  che  era  tradizionale  nella  famiglia, 
aveva  moltiplicato  il  capitale  lasciatole  dal  padre,  in- 
vertendolo successivamente  in  case  e  poderi.  C'era 
anzi  di  più  :  chi  aveva  preso  moglie,  fra  tutti  quei 
figli  ?  Nessuno  !  Don  Blasco,  con  vocazione  «  esem- 
plare »,  aveva  rinunziato  agli  adescamenti  del  mondo 
per  professarsi.  La  primogenita  s'era  chiusa  a  San  Pla- 
cido, né  il  duca  e  don  Eugenio  avevano  preso  moglie, 
né  donna  Ferdinanda  marito.  Perchè  ?  Perchè  essi  si 
consideravano  come  semplici  depositarii  della  loro 
parte  di  sostanza!  Nella  presente  generazione,  la  regola 
aveva  avuto  due  eccezioni  :  il  conte  che  aveva  sposato 
donna  Matilde,  Chiara  che  era  diventata  marchesa  di 
Villardita.  Ma  qui  rifulgeva  il  zelante  amor  materno 
della  principessa.  Non  tutte  le  persone  son  fatte  ad  un 
modo  ;  ciò  che  ad  uno  pare  soverchio  od  inutile  è  ad 
altri  conveniente;  chi  si  contenta  di  uno  stato  e  chi  ne 


i 


-.  215  — 

soffre.  La  buon'anima  aveva  compreso  che  per  la  fe- 
licità di  Raim.ondo  il  matrimonio  era  necessario,  quindi 
gfli  aveva  dato  mog^lie,  senza  badare  a  sacrifìzii.  Per 
Chiara,  una  propizia  occasione  erasi  presentata,  ed  a 
fìxie  di  assicurare  la  felicità  di  quella  figlia  la  princi- 
pessa le  aveva  perfino  forzato  la  mano  :  adesso  il  tempo 
dimostrava  da  qual  parte  fosse  stata  la  ragionevo- 
lezza !  Quanto  a  lei,  Lucrezia,  Dio  aveva  permesso 
che  sua  madre  morisse  prima  del  tempo  in  cui  avrebbe 
dovuto  pensare  all'avvenire  di  lei  ;  ma,  se  questa  era 
stata  una  gran  disgrazia,  non  voleva  poi  dire  che  l'av- 
venire di  lei  non  stesse  a  cuore  al  fratello  maggiore. 
Era  strano  parlare  a  una  ragazza  di  certe  cose,  ma  la 
necessità  lo  stringeva.  Certo  il  desiderio  della  santa 
memoria,  desiderio  ragionatissimo,  fondato  sopra  ar- 
gomenti positivi  e  non  sopra  capricci,  era  che  ella 
restasse  in  casa;  ma  se,  tutt'al  contrario,  ella  avesse 
creduto  pel  proprio  meglio  di  fare  altrimenti,  le  da- 
vano forse  a  intendere  che,  volendo  ella  maritarsi, 
il  principe  le  si  sarebbe  opposto?  Quando  si  fosse 
presentata  l'occasione  di  accasarla  bene,  col  decoro 
conveniejite  al  suo  nome,  il  principe  non  l'avrebbe 
lasciata  sfuggire.  Ma  bisognava  aver  fiducia  in  lui, 
esser  sicura  che  egli  non  poteva  desiderare  altro  che 
il  bene  della  sorella,  considerandosi  investito  d'una 
specie  di  tutela  morale.  E  non  dare  l'esempio  d'un 
dissidio  funesto,  che  sarebbe  stato  di  scandalo  in  questo 
mondo,    e    d'  infinita     amarezza     alla     sant'anima     nel 

mondo  di  là 

Mentre  il  confessore  teneva  questo  discorso  a  Lucre- 
zia, il  principe  ne  teneva  un  altro  un  poco  diverso  a 
donna  Ferdinanda.  La  zitellona,  pure  vituperando  i 
Giulente,  s'era  col  tempo  rassicurata  sulle  loro  pretese; 
quella  bestia  del  duca  non  essendo  più  li  a  secon- 
darle, ella  credeva  che  l'amoreggiamento  fosse  finito 
del  tutto.  Invece  un  giorno  che  si  parlava  della  respon- 
sabilità dei  capi  di  famiglia  quando  in  casa  vi  sono  ra- 
gazze da  marito,  Giacomo  disse  alla  zia  che  anche  Lu- 


—    2l6    

crezia  avrebbe  dovuto  uri  g'iorno  o  l'altro  accasarsi,  che 
da  parte  sua  l'avrebbe  lasciata  libera  di  prendersi  chi 
meg-lio  le  piaceva,  tanto  più  che  una  scelta  ella  doveva 
averla  gìh  fatta — 

La  zitellona   si    rivoltò   come   un   aspide  : 

—  Ha  scelto  ?  Ha  scelto  ?  E  chi  è  che  ha  scelto  ? 

—  Chi?  il  solito  Giulente 

Ella  diventò  rossa  in  viso  quasi  fosse  sul  punto  di 
soffocare. 

—  Ah  si?...   Ancora?...  E  tu  l'hai  lasciata  fare? 

—  Vostra  Eccellenza  sa  bene  come  siano  tutti  di 
casa  —  rispose  il  principe,  sorridendo.  —  Quando  ci 
mettiamo  qualcosa  in  capo,  è  difficile  indurci  a  mutar 
sentimento.... 

—  Ah,  è  diffìcile?  Le  farò  veder  io  se  è  difficile  o 
è  facile  !... 

Da  quel  momento  la  zitellona  diventò  una  vipera 
con  la  nipote  :  le  sgridate,  per  una  rag'ione  o  per  un 
pretesto  qualunque,  s'udivano  fin  giù  nelle  scuderie; 
le  allusioni  ironiche  ai  romanzetti  fioccavano  acri  e 
pungenti,  gl'insulti  contro  i  Giulente  si  seguivano  e 
non  si  rassomigliavano.  Diceva  cose  enormi  dei  vicini, 
li  accusava  d'ogni  porcheria  e  perfino  di  crimini.  Non 
si  contentava  più  di  dire  che  erano  ignobili,  affermava 
che  il  nonno  del  vecchio  Giulente  aveva  accumulato  i 
primi  quattrini  facendo  il  bottinaio  a  Siracusa,  suo 
figlio  aveva  rubato  il  municipio,  suo  nipote  il  governo, 

tutte    le    donne    erano    state    altrettante    baldracche 

Lucrezia  la  lasciava  dire.  Non  capivano  che  più  s'ac- 
canivano contro  Giulente  più  ella  pensava  a  lui,  che 
ogni  discorso  diretto  a  distoglierla  dal  suo  proposito 
glielo  ribadiva  in  capo  più  saldo.  «  Sposerò  Benedetto, 
o  nessuno  »,  diceva  alla  cameriera,  dopo  quelle  sfu- 
riate. «Hanno  voglia  di  gridare;  quando  sarà  l'ora, 
Io  sposerò.  »  Il  principe  intanto,  dopo  averle  sciolto 
contro  quel  cane,  la  trattava  meno  duramente.  Un 
giorno  che  la  donna  iportava  una  lettera  di  Giulente 
alla  padroncina,  egli  le  tolse  la  carta  di  mano,  ne  lesse 


217   — ■ 

l'indirizzo  e  gliela  restituì.  Donna  Vanna  corse  dalla 
signorina  per  dirle,  ansante  :  «  Vostra  Eccellenza  stia 
di  buon  animo  !  \''uol  dire  che  ci  ha  piacere,  che  final- 
mente   s'è   persuaso »    Egli    aveva   anche    raggiunto 

lo  scopo  di  rompere  la  lega  tramata  contro  di  lui,  per- 
chè il  marchese  Federico,  fanatico  della  nobiltà  quanto 
gli  Uzeda,  udendo  che  la  cognatina  incaponivasi  nel 
voler  sposare  Giulente,  aveva  dimostrato  il  proprio 
dispiacere  per  quel  partito  ;  allora  sua  moglie  s' era 
schierata  con  la  zia  contro  la  sorella,  dandole  della 
stravagante,  accusandola  dì  pazzia.  Lucrezia  invece, 
sfogandosi  con  Vanna,  rammentava  le  smanie,  ì  pianti, 
gli  svenimenti  di  Chiara  quando  l'avevano  costretta  a 
sposare  il  marchese  :  «  E  adesso  si  mette  con  quelli 
che  vogliono  costringere  me  !  Non  m' importa  della 
sua  opposizione  !  Una  pazza  di  quella  fatta  !  Una  ban- 
diera al  vento  !  Ora  è  tutt'  una  cosa  col  marito  che 
prima  non  poteva  sentir  nominare  ;  domani  cambierà 
un'altra   volta:    vedrai!...» 

In  mezzo  a  quella  guerra,  tornò  Raimondo  da  Mi- 
lazzo, senza  la  famiglia.  Non  s'occupò  neppure  un 
quarto  d'ora  della  casa  e  dei  parenti;  appena  arrivato 
si  chiuse  con  Pasqualino,  il  domani  fu  visto  seguire  in 
chiesa  la  Persa  ;  le  mormorazioni  dei  servi,  dei  curiosi, 
degli  scioperati  del  Casino  dei  Nobili  ricominciarono. 
Aveva  detto  a  sua  moglie  che  sarebbe  rimasto  lontano 
una  settimana,  per  affari,  ma  dopo  due  mesi  non  le 
annunziava  ancora  il  ritorno.  Alle  lettere  di  lei  rispon- 
deva chiedendo  tempo,  o  non  rispondeva  affatto;  in 
carnevale,  Matilde  lo  raggiunse,  accompagnata  dal  pa- 
dre. Egli  l'accolse  con  tre  parole,  pronunziate  fred- 
dissimamente : 

—  Perchè  sei  venuta  ? 

Aveva  combinato  una  serie  di  divertimenti  con  gli 
amici  che  gli  davano  mano;  il  giovedì  grasso,  in  un 
carro  rappresentante  un  vascello  dove  tutti  erano  ma- 
scherati  da  marinai,   passò  e  ripassò   sotto  la  casa  di 


—    2l8    — 

donna  Isabella,  scag-liando  fiori  e  confetti  per  un  quarto 
d'ora  ogni  volta  contro  i  suoi  balconi;  il  sabato,  a  una 
festa  a  contribuzione  nelle  sale  del  Palazzo  comunale 
ballò  tutta  la  sera  con  lei  ;  il  lunedi  ricominciò,  al  ve- 
glione del  Comunale.  E  Matilde,  lasciata  sola  dal  padre 
che  era  andato  a  raggiungere  le  bambine,  ripeteva  tra 
sé  quella  domanda,  le  sole  parole  che  egli  aveva  tro- 
vato per  rispondere  alla  premura  di  lei  :  «  Perchè  sono 
venuta?»  Per  assistere  a  questo!...  Egli  dunque  con- 
tinuava a  fingere,  a  mentire,  ad  ingannarla;  anzi,  nep- 
pure se  n'era  data  la  pena  !  Appena  arrivato  a  Mi- 
lazzo, aveva  smaniato  come  un  pazzo  contro  la  vita 
di  quella  spelonca,  l'aveva  torturata  con  lagnanze,  con 
rimproveri,  con  un  malcontento  quotidiano,  con  un 
malumore  di  tutti  i  momenti,  finché  non  era  riuscito  a 
scappare.  Ma  ingiustizie,  sgarbi,  violenze,  gli  avrebbe 
perdonato  ogni  cosa,  tanto  gli  voleva  ancora  bene; 
gli  perdonava  perfino  1'  indifferenza  con  la  quale  trat- 
tava le  sue  figlie,  le  innocenti  creature  che  erano  san- 
gue suo  !  ma  vederselo  sfuggire,  ma  saperlo  tutto 
d'un'altra,  ma  ritrovare  sulla  persona  di  lui  il  profumo 
degli  abiti,  delle  mani,  dei  capelli  di  quell'altra;  questo 
no,   ella   non   poteva   soffrirlo  ! 

—  Ah,  ricominci  ?  Sei  dunque  venuta  per  rompermi 
di  nuovo  la  testa  ?  — ■  rispondeva  egli  ai  suoi  tentativi 
di  rimostranze,  ai  suoi  timidi  rimproveri.  —  Perchè 
non    te   ne    sei    rimasta   con   tuo    padre,    dunque  ? 

—  Perché  io  debbo  stare  con  te,  perchè  il  mio  posto 
è  al  tuo  fianco,  e  perchè  nemmeno  tu  devi  lasciarmi  ! 

— ■  E  chi  ti  lascia?  Se  volessi  lasciarti,  ti  pare  che 
sarebbe  troppo  dififìcile  ?  A  quest'ora  avrei  già  fatto  fa- 
gotto, e  me  ne  sarei  andato  a  Firenze,  a  Parigi,  o  a 
casa  del — 

—  Andiamo  via  insieme  !  Perchè  non  torniamo  a 
Firenze?  Abbiamo  li  la  nostra  casa.... 

—  Perchè   in   questo   momento   ho   qui   da   fare  ! 

—  Se  hai  dato  la  procura  a  tuo  fratello.... 

—  Ho   dato  la  procura  per  gli   affari  ordinarli   del- 


— •  2jg  — • 

l'amministrazione;  ora  bisogna  ve?.. re  alla  divisione  e 
pagare  le  mie  sorelle,  perchè  compiscono  tre  anni  dal- 
l'aperta successione  :  hai  capito  ?  O  vuoi  fatto  il  conto  ? 
Mia  madre  è  morta  nel  maggio  del  '55  e  siamo  nel 
marzo  del  '58....  Sono  tre  anni,  si  o  no?  \'uoi  saper 
altro  ? 

—  Perchè   mi   parli  cosi?   Che   t'ho   detto   di   male? 

—  Nulla  !  Nulla  !  Nulla  !  Soltanto,  ti  pare  che  sia 
un  bel  gusto  sentirsi  rotto  il  capo  ad  ogni  poco  con 
questi    sospetti   continui  ? 

—  No,  no;  non  lo  farò  più....  non  ti  dirò  più 
niente.... 

Sarebbe  stato  capace  di  porre  in  atto  la  sua  minac- 
cia, di  abbandonarla,  di  abbandonar  le  sue  figlie!... 
Gli  nascondeva  quindi  il  proprio  dolore,  vedendo  che  egli 
continuava  peggio  di  prima,  come  se  ogni  rimostranza 
fosse  stata  invece  un  incitamento.  Adesso  dicevasi  che 
anche  Persa  aveva  finalmente  dato  ascolto  alla  madre, 
aprendo  gli  occhi,  facemdo  capire  al  conte  che  quelle 
assiduità  non  gli  piacevano  ;  e  infatti  non  conduceva 
più  sua  moglie  dagli  Uzeda,  né  si  vedeva  più  Raimondo 
avvicinare  donna  Isabella  in  pubblico  ;  viceversa  egli 
segTjiva  la  carrozza  dei  Persa  con  la  propria  da  per 
tutto,  quasi  inseguendoli  ;  e  in  chiesa,  al  teatro,  le  si 
piantava  dirimpetto,   senza  più  lasciarla  con  gli  occhi. 

Un  giorno  la  cugina  Graziella,  venuta  al  palazzo 
a  chieder  del  principe,   si  chiuse  con  lui   per   dirgli  : 

—  Cugino,  debbo  tenervi  un  discorso  molto  grave — 
—  Da  molti  anni,  da  quando  Giacomo  aveva  preso 
moglie,  si  davano  del  voi.  —  Donna  Mara  Persa  mi 
ha  fatto  parlare  da  un'amica...  per  questa  storia  di 
Raimondo  ! 

— ■  Quale  storia  ?  —  domandò  il  principe,  quasi  non 
comprendendo. 

—  Non    sapete    quel    che    si    dice?...    Raimondo    s'è 

messo  in  testa  d'inquietare  donna   Isabella e  se  ne 

accorge  ognuno,  per  dire  il  fatto  della  verità 

—  Io   non   mi   sono  accorto  di   niente. 


—  Non  importa,  cugino;  ve  lo  dico  io!...  Ed  è  una 
cosa  che  non  sta  bene  e  che  mi  dispiace —  Un  tempo, 
s' incontravano  spesso  in  casa  mia,  ed  io  li  ricevevo 
a  braccia  aperte.  Potevo  sospettar  niente  di  male  ?  Al- 
trimenti non  mi  sarei  prestata  ad  una  cosa  simile  ! 
Raimondo  è  padre  di  famiglia,  donna  Isabella  ha  ma- 
rito anche  lei:  che  vogliono  fare?...  In  casa  Persa  c'è 
guerra  scatenata  tra  siiocera  e  nuora  :  bisognerebbe 
persuadere   il   cugino  a   farla   finita,   una   buona   volta. 

—  E  perchè  lo  dite  a  me  ?  —  rispose  Giacomo, 
stringendosi  nelle   spalle. 

—  Perchè  ?  Perchè  io  non  ho  molta  confidenza  con 
Raimondo —  e  poi,  sarebbe  meglio  che  gli  parlaste 
voi,   che   siete   il  capo   della  casa,   e  potete 

—  Sbagliate.  Io  non  posso  nulla  :  qui  ciascuno  fa 
a  m.odo  suo.  Altro  che  capo  !  Persuadetevi  che  per  poco 
non  sono  la  coda!... 

La  cugina  tornava  a  invocare  l'autorità  del  cugino, 
il  principe  a  lagnarsi  della  mancanza  d'accordo  che  ci 
era  in  quella  famiglia,  mentr'egli  invece  avrebbe  vo- 
luto che  tutti  fossero  uniti,  affezionati  l'uno  con  l'al- 
tro, disposti  ad  aiutarsi,  a  consigliarsi  vicendevolmente. 

—  Volete  che  io  parli  a  mio  fratello  ?  È  capace  di 
rispondermi  :  «  Di  che  cosa  ti  mescoli  ?»  E  non  sa- 
rebbe la  prima  risposta  di  questo  genere —  Cara  cu- 
gina, voi  sapete  che  teste  quadre  sono  le  nostre!...  No, 
no,  credete  a  me  :   sarebbe  inutile,   se  non  peggio. 

La  cugina,  a  cui  non  pareva  vero  di  poter  mettere 
le  mani  in  pasta,  ricominciò  quel  discorso  con  la  prin- 
cipessa. 

—  Dici  davvero?...  —  esclamò  donna  Margherita, 
la  quale  non  si  era  avvista  mai  di  niente.  - —  Povera 
Matilde  !...   Non   meritava   questo   trattamento  ! 

—  È  quel  che  dico  io  !  Con  una  moglie  tanto  gra- 
zi®sa,  non  si  capisce  perchè  Raimondo  cerchi  distra- 
zioni fuori  casa —  Ma  la  testa  degli  uomini:  chi  sa 
leggere  in  questo  libro?...  Mi  dispiace  quanto  l'anima! 
Due   famiglie  disturbate,    mentre  avrebbero  potuto  vi- 


—    22  1    ^ — 

vere  in  pace  ed  armonia!...  Basta,  il  cugino  dovrebbe 
adesso  persuadersi  di  lasciar  quieta  donna  Isabella.  Per 
me,  non  avrei  difficoltà  di  dirglielo  a  viso  aperto  :  non 
ho  già  paura  che  mi  mangi  !  Ma  sai  bene  :  è  vero  che 
siamo  cugini  ;  ma  che  si  potrebbe  dire,  che  io  cerco 
di  mettere  il  naso  negli  affari  altrui  ?  che  cerco  di 
seminar  zizzania?  mentre  sa  Dio  se  mi  dispiace,  quan- 
to l'anima  !... 

La  principessa  scrollava  il  capo,  sinceramente  addo- 
lorata, tanto  più  che  non  poteva  far  nulla.  Suo  marito 
non  le  aveva  ingiunto  di  badare  ai  casi  proprii,  sotto 
pena  di  averla  a  far  con  lui?...  E  la  cugina  Graziella 
cominciò  ad  armeggiare  intorno  a  Matilde,  deliberata 
di  dire  ogni  cosa  a  lei  stessa.  Non  era  la  moglie  ? 
Chi  più  di  lei  poteva  aver  diritto  di  parlare  a  Raimondo 
e  interesse  a  distoglierlo  da  quella  tresca?...  Riuscita 
una  sera  a  capitarla  sola  nella  Sala  Rossa,  cominciò 
a  chiederle  notizie  del  barone,  e  del  matrimonio  della 
sorella,  e  della  salute  delle  bambine. 

—  Verranno  qui,  o  andrete  voi  a  raggiungerle  ? 

—  Non  so,  —  rispose  Matilde,  imbarazzata.  —  Non 
so   che   deciderà   Raimondo. 

—  Capisco  !  —  rispose  la  cugina,  sospirando.  —  Gli 
uomini  vogliono  far  di  loro  capo oggi  una  cosa,  do- 
mani   un'altra Voi,    naturalmente,    vorreste    andare 

al  paese  vostro,  insieme  con  vostro  padre.  S' ha  un 
bel  dire,  la  famiglia  del  marito,  si,  sì,  si,  ma  la  pro- 
pria non  si  dimentica  mai  !  Anche  il  cugino  dovrebbe 
persuadersi  ad  andar  via  di  qui —  sarebbe  molto  me- 
glio    anche  per  lui — 

Matilde  chinava  il  capo,  evitando  di  guardarla,  strin- 
gendo una  mano  con  l'altra.   La  cugina  continuò  : 

—  Anche  per  lui si  leverebbe  dalle  tentazioni — 

penserebbe  soltanto  alla  sua  famiglia!...  Avete  ragione 
d'essere  inquieta,  capisco,  poveretta —  Non  meritavate 

un   simile   trattamento Ma  voi   dovreste  dirglielo!... 

Siete  sua  moglie,  insomma,  la  madre  dei  suoi  figli — 
Potete  parlar  alto....  obbligarlo  a  finirla,  una  buona 
volta  !... 


—    222    — ■ 

Con  tutto  il  sang-ue  alla  fronte,  la  contessa  aveva 
chiuso  gli  occhi  ;  poi  s'era  sentita  agghiacciare  e  im- 
pallidire; a  un  tratto  portò  le  mani  al  viso  e  ruppe 
in    singhiozzi. 

—  Oh,  Signore!...  Cu.g-ina  !...  Che  avete?...  Santo 
pio  !...  Cugina,  non  fate  cosi  !... 

—  Io!...  Io!...  —  balbettava  Matilde,  con  le  labbra 
amaramente   contorte  dall'ambascia.   —   Io  che   piango 

da    due    anni Io    che    non    ho    piij    figlie Io    che 

r  ho   pregato   come   si   prega   Gesù  !... 

—  Bontà  divina  !...   Avete  ragione  !...   Ma  zitta,   non 

piangete  cosi Cugina  mia,  fatevi  animo Solo  alla 

morte  non  c'è  rimedio!...  Del  resto  io  non  credo  che 
ci  sia  stato  nulla  di  male  !...  Chiacchiere  della  mala 
gente!...  Raimondo  è  un  po'  scapato;  ma,  questo? 
Non   posso   credere  !    La   colpa,    com'è   vero    Dio,   è   di 

quell'altra Le   piace   farsi   corteggiare   un   poco,    ma 

dal  conte  di  Lumera,  figuriamoci  !...  Pura  vanità,  sta- 
tene certa  e  sicura!  Ma  non  piangete!.,.  Queste  cose, 

santo   Dio,   mi   fanno  male Una  famiglia  cosi  bella, 

dove  avrebbe  potuto  esserci  la  pace  degli  angeli,  con 
due  veri  angioletti  che  sembrano  scesi  dal  Paradiso!... 
Ma  vostro  marito  deve  saperlo;  vedrete  che  capirà — 
Perchè  non  chiamate  vostro  padre  ?  Tocca  a  lui  aiu- 
tarvi  

Il  barone,  invece,  le  scriveva  rimproverandole  l'ab- 
bandono delle  figlie,  accusandola  di  voler  più  bene  al 
marito  che  a  quelle  creature,  chiamandola  a  casa  per 
assistere  al  matrimonio  della  sorella.  Ella  tentò  ancora 
nascondergli  la  tempesta  scatenatasi  su  lei,  la  tortura 
a  cui  la  poneva  con  quelle  accuse;  ma  nell'autunno 
egli    venne    a    trovarla,    imiprovvisamente,    solo. 

—  Che  cosa  succede?  Sei  ammalata?  Che  cos'ha 
tuo  marito?  Perchè  non  m'hai  scritto?  Perchè  non 
sei  venuta  ? 

Ella  protestò  che  non  accadeva  nulla,  che  s'era  sen- 
tita poco  bene,  che  appunto  per  questo  non  aveva  po- 
tuto andar  da  lui.   L'imminenza  d'una  spiegazione  tra 


suo  padre  e  Raimondo  l'atterriva;  conoscendo  11  ca- 
rattere prepotente,  i  modi  sprezzanti  di  suo  marito,  e 
gli  scatti  d'ira  di  cui  suo  padre  era  capace,  ella  viveva 
con  l'animo  sospeso,  dimenticava  i  suoi  dolori  per  evi- 
tare uno  scoppio,  tanto  più  che  il  barone  pareva  non 
aver  creduto  alle  sue  proteste,  mostrava  un  viso  ac- 
cigliato in  quella  casa  che  prima  era  stato  superbo 
d'abitare.  Adesso  stava  molto  fuori,  tornava  con  ciera 
più  rannuvolata,  non  rivolgeva  la  parola  a  Raimondo. 
Una  sera  si  chiuse  in  camera  con  lei  e  le  disse  : 

— ■  Mi  vuoi  dire  finalmente  quando  la  smetterai  ? 
Non   negare,  è  inutile;   so  tutto 

Ella   tremava   in  tutta   la   persona,    balbettando  : 

—  Che  sai?  Io  non  capisco non  so  nulla 

—  So  che  tuo  marito  fa  una  bella  vita,  ti  dimostra 
un  grande  amore  —  esclamò  il  barone  con  voce  gra- 
vida  di    sorde    minaccie.    —    Ho    ricevuto    una    lettera 

anonima;  sono  venuto  per  questo La  buona  gente 

non  manca!...  Ma  poiché  tu  non  parli —  poiché  non 
ti  confidi  a  tuo  padre!...  Adesso  bisogna  mettere  le 
carte  in  tavola,  hai  capito  ?  —  e  picchiò  forte  con  una 
mano  contro  l'altra. 

—  Sì,    si,    non   t'inquietare — 

Non  sapeva  adesso  donde  le  venisse  quella  calma 
sovrumana,  quella  forza  di  negare  la  cagione  del  suo 
lungo  cordoglio  : 

—  Xon    t'inquietare,    babbo    mio    caro non    vedi 

come  sono  tranquilla?...   Te  lo  giuro,   non   so   nulla 

Saranno  calunnie c'è  tanta  cattiva  gente!...  Un  ano- 
nimo !...  Prendi  sul  serio  quel  che  scrive  un  anonimo?... 

Il  barone  passeggiava  per  la  camera  facendo  scop- 
piettare r  indice  contro  il  pollice,  volgendo  intorno 
accigliato  gli  sguardi. 

—  Tanto  meglio  !...  Tanto  meglio  !...  Ma  qui  bi- 
sogna finirla  con  questo  andirivieni  continuo  !  Bisogna 
decidersi  a  stare  in  un  posto  qualunque,  ma  stabil- 
mente, a  casa  propria,  coi  figli,  come  tutti  gli  altri 
cristiana.... 


— •    224    ~ 

—  È  quello  che  diciamo  anche  noi....  Credi  forse 
che  non  ne  siamo  persuasi?...  Raimondo  vuol  tornare 
a  Firenze  ;    ci   saremmo   già.   se   non   fossero  gli   affari 

della  divisione,   il  pa^gamento  delle  mie  cognate — 

E   sorridendo  soggiunse  :   —  Ti  pesano  forse,   le  bam- 
bine ? 

—  Non  far  la  stupida.   Con  me,   sai,   non  ci   riesci. 

Ella  sentiva  in  ogni  parola  del  padre,  in  quell'  im- 
peto a  stento  frenato,  che  egli  aveva  acquistato  la  cer- 
tezza del  tradimento  di  Raimondo,  di  qualche  cosa  di 
più  grave  ancora;  e  il  cuore  le  si  chiudeva,  le  si  chiu- 
deva, come  in  una  morsa,  e  le  forze  l'abbandonavano, 
e  un  brivido  ricominciava  a  correrle  per  tutta  la  per- 
sona. Trasali  a  un  tratto  udendo  Raimondo  che  pic- 
chiava  air  lascio,  chiamandoli. 

—  Che  fate  ?  —  domandò  loro  entrando,  guardan- 
doli curiosamente. 

—  Nulla.... 

■ — ■  Nulla,  —  ripetè  il  barone.  —  Si  parlava  della 
decisione  che  dovete  prendere —  Vuoi  continuare  a 
star  senza  casa,  a  pagar  quella  di  Firenze  per  tenerla 
chiusa  ? 

— -Io  ?  —  rispose  Raimondo,  con  tono  stupito,  co- 
me cascando  dalle  nuvole.  —  Io,  se  potessi  —  pro- 
ruppe, —  a  quest'ora  sarei  scappato  anche  a  piedi  da 
questo  fetido  paese.  Ah,  vi  pare  forse  che  ci  stia  per 
mio  gusto,  in  mezzo  a  questi  sciocchi,  presuntuosi, 
ignoranti,  pezzenti,  invidiosi,  maleducati?...  - —  Nes- 
suno lo  teneva,  mai  s'era  scagliato  con  tanta  violenza 
contro  i  proprii  concittadini  ;  gestendo  vivacemente, 
quasi  gli  contraddicessero,  sfilava  la  litania  delle  recri- 
minazioni, comprendeva  nel  proprio  disgusto  tutta  la 
Sicilia,   tutto  il   Napolitano,  l'intera  razza  meridionale. 

—  Allora,  quando  hai  deciso  di  partire  ?  —  inter- 
ruppe secco  secco  il  barone. 

—  Quando?...  —  ripetè  Raimondo,  guardandolo  un 
momento.  —  Non  sapete  che  sono  incatenato  dagli 
affari  ? 


gpgsssSE- 


—    22S   — 

—  Gli   affari,    volendo,    si  sbrigano   in   otto   giorni. 
Raimondo   tacque   un    poco;    poi  esclamò,    stringen- 
dosi nelle  spalle  : 

—  Sbrigateli  voi,    se  potete. 

Il  barone  fece  per  replicare,  ma  la  parola  vivace  gli 
rimase  in  gola.  Raimondo,  magro,  grazioso,  elegante, 
dominava  con  gli  sgoiardi  sprezzanti,  con  l'espressione 
sottilmente  ironica  del  viso  bianco  e  delicato,  la  per- 
sona forte  e  vigorosa  del  suocero,  dalle  spalle  qua- 
drate, dai  polsi  nodosi,  dalla  faccia  abbronzata.  Si 
guardarono  un  istante,  mentre  Matilde,  impallidita, 
batteva  i  denti,  come  per  febbre;  poi  il  barone  guardò 
sua  figlia,  vide  lo  sguardo  smarrito  che  gli  volgeva, 
e   allora,   chinato   il  capo,   mormorò  : 

—  Va   bene —    va   bene Procura  soltanto   di   far 

presto Fra  giorni  si  marita  mia  figlia;  vi  aspetto 

Riparti  il  domani.  Sul  punto  di  andar  via,  disse  a 
Matilde  di  tenersi  pronta,  risoluto  com'era  a  condurla 
con  sé,  anche  sola,  per  costringere  poi  il  genero  a 
raggiungerla.  Ella  chinò  il  capo,  consentendo,  gettan- 
dogli le  braccia  al  collo  dalla  gratitudine,  poiché  com- 
prendeva che  s'era  padroneggiato  per  amore  di  lei,  per 
risparmiarle  il  dolore  d' una  triste  scena.  Ma  il  ba- 
rone era  appena  partito,  che  Raimondo  le  disse  ; 

—  Sai  che  é  curioso,  tuo  padre  ?  Crede  forse  che 
tutti  debbano  fare  a  modo  suo  ?  O  che  io  abbia  spo- 
sato lui?...  Agli  affari  di  casa  mia  voglio  pensare  da 
me,  capisci;  e  andare  dove  mi  pare  e  piace,  quando 
mi  pare  e  piace  !... 

Ella  gli  diede  ragione,  soggiogata  come  sempre 
dalla  volontà  di  lui,  allegando  appena  come  scusa  del- 
l'assente il   bene  che  voleva  ad   entrambi. 

Andarono  a  Milazzo  pel  matrimonio  di  Carlotta; 
poi,  partiti  gli  sposi  e  il  barone  per  Palermo,  torna- 
rono a  Catania,  anzi  al  Belvedere,  dov'erano  tutti  gli 
Uzeda.  LI  ella  ebbe  qualche  mese  di  tregua  :  i  Persa 
non  c'erano,  gli  Uzeda  parevano  di  nuovo  rabboniti. 
Suo  padre  scriveva  un  po'  da  Palermo,  un  po'  da  Mi- 

De  Roberto.    2    Viceré    -   I  .  15 


— ■    220    

lazzo,  un  po'  da  Messina;  andò  poi  anche  a  Napoli; 
finalmente  tornò  nell'aprile,  insieme  col  duca  d'Ora- 
goaa.  Questi  diceva  d' esser  venuto  per  affari,  d' aver 
affrettata  la  partenza  per  viaggiare  insieme  col  barone, 
ma  parlava  molto  degli  avvenimenti  pubblici,  della 
guerra  di  Lombardia,  della  malattia  di  Ferdinando  II. 
Il  barone  pareva  un  altro,  in  compagnia  del  duca;  l' in- 
timità che  s'era  stretta  fra  loro  due  durante  il  viaggio 
l'aveva  placato.  Nondimeno  ripetè  alla  figlia  l'offerta 
di  condurla  via  con  sé;  ma  poiché  Raimondo  le  aveva 
dichiarato  che  non  poteva  muoversi  ancora,  ella 
rispose  : 

—  No,  babbo —  verremo  tutti....  presto,  fra  giorni. 


Vili. 


In  piedi,  con  le  «braccia  levate,  rosso  come  un  pomo- 
doro, don  Blasco  pareva  volesse  mangiarsi  vivi  i  suoi 
contraddittori  : 

—  E  questo  si  chiama  vincere,  ah?  con  l'aiuto  dei 
più  grossi,  ah  ?  Perché  hanno  chiamato  aiuto,  allora  ? 
Perché  non  si  sono  battuti  da  soli,  se  gli  bastava  l'ani- 
mo? E  questa  la  chiamate  vittoria?  in  due  contro  uno? 

—  Nossignore  !  —  protestò  Padre  Rocca.  —  Erano 
ventimila  di  meno 

—  Centosessantamila  austriaci  contro  centoquaran- 
tamila  alleati  —  soggiunse  Padre  Dilenna. 

—  E  i  Piemontesi  si  sono  battuti  da  soli  !...  —  af- 
fermò Padre  Grazzeri. 

—  Come  ?  Dove  ?  Quando  ?  —  urlò  don  Blasco.  — 
,Che  cosa  m'andate  battendo?... 

—  Leggete  i  giornali,  se  non  sapete  !  —  fecero  gli 
altri,   a  coro. 

Allora  egli   impallidì   come  per  un'  ingiuria  mortale. 

—  Leggere  i  giornali?...  Leggere  i  vostri  giornali? 


—  Balbettava,  pareva  cercasse  le  parole.  —  .Ma  del 
vostri  g;iornali  io  mi  netto  il  fondajnento  !...  Ah,  no? 
non  volete  capire?...  Me  ne  netto  il  fondamento,  cosi.... 

—  e  fece   il  gesto. 

Il  Fratello  portinaio  mise  il  capo  dietro  il  muro  delJa 
scala  ;  dalla  terrazza  aff acciossi  Padre  Pedantoni  per 
g-uardare  giù  nel  portico  dove   s'accendeva  la  lite. 

—  Questo  non  si  chiama  rispondere!...  A  voi,  dun- 
que, chi  dà  le  notizie?...  Avete  un  servizio  d'informa- 
zioni  particolare,   se  non  leggete   i  giornali  ? 

— ■Così!...  —  continuava  a  ^gestire  »don  BJasco, 
fuori  della  grazia  di  Dio.  —  A  me  parlate  della  vostra 
carta  sporca  ?  A  me  che  vi  farei  legare  tutti  quanti, 
voi  e  chi  l'introduce  qui  dentro? 

—  Andate  a  denunziarci!...   Ne  sareste  capace!... 
— .  Farei  il  mio  dovere  ! 

— ■  Fareste  la  spia  ! 

—  A  me?... 

Padre  Massei,  che  se  la  godeva  seduto  sopra  un  se- 
dile, esclamò  a  un  tratto,  vedendo  il  gesto  con  cui  dcwi 
Blasco  sfibbiava  la  sua  cintola  di  cuoio  : 

—  Sst  !...  Sst  !...  Viene  l'Abate....  —  ma  don  Blasco 
tonò  : 

—  Me  n'  infondo  dell'Abate,  del  Priore  e  del  Capi- 
tolo !  Avanti,  chi  si  sente  da  più  !  A  me  spia,  manetta 
di  carognuoli  ?... 

Vedendo  che  diceva  sul  serio.  Padre  Dilenna  gli  si 
fece  incontro,  rabbuiato  in  viso.  Allora  Pedantoni  fu 
costretto  a  mettersi   in  mezzo,  per  dividerli  : 

—  Andiamo,  smettetela.  È  questo  il  modo?... 

Da  un  pezzo  le  discussioni  finivano  cosi,  con  le  grida, 
gì'  insulti  e  le  minaccie.  Don  Blasco  era  diventato  un 
energumeno  dopo  che  i  liberali  rizzavano  la  cresta  per 
via  degli  avvenimenti  di  Lombardia,  della  cacciata  del 
Granduca  da  Firenze,  dell'agitazione  che  propagavasi 
per  tutta  l'Italia.  «  Questa  volta  è  per  davvero  !  Son 
sonate  le  ventiquattro  !...  »  dicevano,  ed  egli  prima 
si  scagliava  contro  Napoleone  III,  contro  quel  «  figlio 


—    228    

di  non  so  chi  »  al  quale  non  bastava  la  propria  tigna 
e  veniva  a  grattare  quella  degli  altri  :  poi  tonava  che 
Francesco  li  li  avrebbe  costretti  ad  arar  dritto  :  «  Per- 
chè è  ragazzo?  Perchè  non  c'è  più  suo  padre?...  Vi 
farà  legare  dal  primo  all'ultimo!  La  vedremo'!...» 
Ma  il  suo  più  grande  furore  scoppiava  quando  i  libe- 
rali, dopo  aver  profetato  imminenti  novità  in  Sicilia, 
dopo  aver  parlato  di  moti  rivoluzionarli  già  belli  e 
pronti,  gli  adducevano  in  prova  il  ritorno  di  suo  fra- 
tello, del  duca  di  Oragua,  da  Palermo.  «  Quello  li  in 
galera,  legato  emani  e  piedi;  quell'imbecille,  pazzo, 
brigante  e  traditore!...  »  Poi,  ridendo  di  sé  stesso,  lo 
vituperava  altrimenti  :  «  Lui,  pericoloso?  Quel  pezzo 
di  coniglio  ?  Lui  congiurare  ?  È  tornato  per  la  squac- 
quereUa  che  ha  addosso!...  Palermo  è  buona  per  ba- 
gordarvi, ma  in  tempo  di  trambusti  è  meglio  il  proprio 
paese,  tapparsi  in  casa  propria,  ficcarsi  dentro  un, 
forno!...  Se  tutti  i  sanculotti  sono  come  in  lui,  Fran- 
cesco regnerà  altri  cent'  anni. 

Egli  ripeteva  quéi  discorsi  fuori  del  convento,  di- 
nanzi agli  estranei  ;  dalla  Sigaraia  specialmente,  dove 
andava  tutti  i  giorni,  uscendo  dal  refettorio.  Donna 
Lucia,  all'ora  canonica,  serrava  la  bottega  e  si  met- 
teva alla  finestra  per  vederlo  uscire  dal  portone  del  con- 
vento e  infilare  quello  del  palazzotto;  allora  gli  andava 
incontro,  fino  a  mezza  scala,  con  le  figlie  e  il  marito. 
Le  ragazze  che  adesso  avevano  da  dieci  a  dodici  anni, 
erano  tal  e  quale  don  Blasco  :  grasse  e  grosse  come 
mezze  botti  ;  e  gli  baciavano  la  mano  e  gli  davano 
del  Vostra  Eccellenza  al  pari  di  Carino,  che  si  sbrac- 
ciava per  servirlo,  per  avanzargli  la  poltrona  più  co- 
moda ed  offrirgli  i  biscotti  e  il  rosolio  regalati  dal  mo- 
naco a  spese  di  San  Nicola.  Quella  era  la  visita  pub- 
blica che  don  Blasco  faceva  all'amica,  perchè  poi  ce 
n'era  una  seconda,  quando  Garino  portava  a  spasso  le 
ragazze,  e  i  due  restavano  soli.  Certe  volte  ce  n'era 
una  terza,  nella  tabaccheria.  Oltre  che  il  tabaccaio, 
Carino  faceva  il  caffettiere  e  teneva  due  tavolini  con  sei 


— ■    229    

chicchere  per  ciascuno,  ad  uso  degli  avventori,  i  quali 
erano  la  più  parte  spie  e  sbirri  e  sorci  di  polizia,  giac- 
ché egli  esercitava  una  terza  professione,  quella  del- 
l'orecchiante. Cosi,  in  mezzo  a  quel  pubblico  di  fedeli, 
don  Blasco  si  nettava  la  bocca  contro  i  sanculotti  in  ge- 
nerale e  il  fratello  in  particolare,  e  apprendeva  notizie 
di  prima  mano  intorno  ai  movimenti  dei  traditori.  Ve- 
ramente, Carino  protestava  un  gran  rispetto  pel  duca 
d'Oragua,  zio  del  principe  di  Francalanza,  apparte- 
nente ad  una  delle  prime  famiglie  del  regno  ;  e  a  sen- 
tire i  vituperii  di  don  Blasco  scrollava  un  poco  il  capo  ; 
ma,  voltando  pagina.  Sua  Paternità  aveva  poi  tutti  i 
torti  ?  Il  duca  faceva  male  a  frequentar  troppo  don  Lo- 
renzo Ciulente,  il  quale  era  un  liberale  arrabbiato  — 
naturalmente,  non  essendo  signore  !  —  e  per  mezzo  del 
console  inglese  —  la  polizia  sapeva  ogni  cosa  !  —  fa- 
ceva venire  giornali,  proclami  e  altra  roba  proibita; 
a  don  Lorenzo,  anzi,  avean  fatto  una  visita  domici- 
liare ;  ma  dal  duca  non  andavano,   pel  rispetto  dovuto 

alla  famiglia  Uzeda Questo  appunto  don  Blasco  non 

poteva  soffrire  :  che  egli  godesse  dell'  immunità,  che  si 
parlasse  di  lui  come  d'un  capo  rivoluzionario  senza 
che  corresse  rischi  di  sorta  ;  voleva  che  lo  trattassero 
come  gli  altri,  che  lo  legassero  più  stretto  degli  altri. 
«  Sono  tutti  cani  arrabbiati  !  Ci  vuole  il  bastone  !  Ci 
vuole  la  museruola  !  »  Carino  scrollava  il  capo  :  l'In- 
tendente Fitalia  non  avrebbe  potuto  permettere  che 
si  molestasse  il  duca  d'Oragua,  finché,  beninteso,  egli 
non  si  arrischiava  troppo  ;  ma  questo  era  certo  e  si- 
curo :  che  un  gran  signore  come  lui  aveva  tutto  da 
perdere  e  niente  da  guadagnare  m.ettendosi  coi  «  mal- 
pensanti n  e  gli  arruffapopolo  :  il  signor  Intendente 
gliel 'aveva  detto  a  faccia  a  faccia  !...  Allora,  udendo 
che  suo  fratello  andava  dal  rappresentante  del  Go- 
verno,  don   Blasco   sfogava   a   un   altro  modo  : 

—  Volpone!  Camaleonte!  Giubba  rivolta!...  Come 
possono  fidarsene  ?  È  del  partito  di  chi  vince  !  Li 
giuoca  tutti  !  Tradirebbe  suo  padre  che  lo  creò  I... 


E  andando  via  dalla  Sigaraia  ripeteva  quei  discoisi 
in  pubblico,  nella  farmacia  di  Timpa,  che  era  il  quar- 
tier  generale  dei  fedeli,  mentre  in  quella  di  Cardarella 
sì  davan  convegno  i  rivoluzionarli.  Se  qualcuno,  scan- 
dalizzato dalla  violenza  del  monaco,  gli  faceva  osser- 
vare che  non  stava  bene  parlare  in  tal  modo,  agli 
estranei,  del  proprio  fratello  : 

—  Fratello?  —  protestava  egli.  —  Io  non  ho  fra- 
telli !  Non  ho  parenti  !  Non  ho  nessuno  :  com'  ho  da 
cantarvelo  ?... 

Si  dava  al  diavolo,  perchè  niente  andava  a  modo 
suo,  al  palazzo.  L'anno  innanzi,  al  momento  della  sca- 
denza del  termine  stabilito  dalla  principessa  pel  pa- 
gamento alle  figlie.  Chiara  e  Lucrezia  non  erano  an- 
date d'accordo;  il  marchese,  biasimando  l'amore  della 
ragazza  per  Giulente,  s'era  riavvicinato  al  principe,  il 
quale  gli  aveva  fatto  la  corte,  trattandolo  con  le  molle 
d'oro,  per  propiziarselo.  Ferdinando,  intento  a  met- 
tere insieme  un  museo  di  storia  naturale  alle  Ghiande, 
non  s'era  neppure  informato  di  quel  che  avveniva; 
così,  non  solamente  i  legatarii  non  avevano  chiesto  i 
conti,  ma  il  principe,  adducendo  la  mancanza  di  quat- 
trini, aveva  ottenuto  dal  marchese  di  poter  ritardare  il 
pagamento  fino  all'altr'anno.  La  seconda  scadenza  era 
arrivata,  e  Giacomo  non  pagava  ancora,  scusandosi 
con  le  inquietudini-  pubbliche,  col  ristagno  degli  affari, 
con  la  scarsità  del  raccolto  e  l'impossibilità  di  ven- 
derlo. E  don  Blasco  non  si  dava  pace  udendo  che  i 
nipoti,  dimenticate  le  loro  ragioni,  accettavano  perfino 
i  continui  ritardi,  i  pretesti  furbeschi  del  princLp>e. 
Quelle  bestie  di  Federico  e  di  sUa  moglie,  specialmente, 
non  davano  più  retta  a  nessuno,  al  settimo  cielo  per  la 
speranza  d'un  figliuolo  —  come  se  dalla  pancia  di 
Chiara  dovesse  venir  fuori  il  Messia  !  —  e  quel  babbeo 
di  Ferdinando  rìduceva  il  giardino  un  pestilente  car- 
naio, preso  a  un  tratto  dalla  smania  d'imbalsamare  ani- 
mali —  senza  accorgersi  che  il  piij  animale  di  tutti 
era  lui  stesso  !  Quell'altra  sciagurata  di  Lucrezia,  poi, 


à 


—    231    — 

viveva  nelle  nuvole,  più  stravagante  di  prima,  e  im- 
pallidiva quando  nominavasi  Giulente,  lo  sbarbatello 
petulante  che  anche  lui  discorreva  di  costituzione  e  di 
libertà  !  Finalmente  c'era  la  questione  impegnata  tra 
Raimondo  che  non  voleva  muoversi,  e  sua  moglie  che 
voleva  andar  via  :  in  odio  all'intrusa  don  Blasco  si 
schierava  a  favore  del  nipote  aborrito. 

—  Partire?  Per  andar  dove?  A  Firenze  c'è  il  ter- 
remoto !  Questi  non  son  tempi  da  lasciare  il  proprio 
paese  ! 

Raimondo  adduceva  la  stessa  ragione,  e  gli  altri  la  v 
ripetevano  :  Matilde  sentiva  ordirsi  intorno  un'  altra 
con,giura  sempre  più  stretta  ;  doveva  adesso  conten- 
tarsi di  andare  e  venire  da  Milazzo  •  ogni  mese  per 
veder  le  bambine,  non  potendo  più  reggere  ai  mali 
tratti  che  usavano  loro  quei  parenti.  Suo  padre  non 
l'aveva  più  con  Raimondo,  girava  per  la  Sicilia  col 
pretesto  degli  affari,  m,a  per  lavorare  invece  contro  il 
governo  :  e  don  Blasco  e  donna  Ferdinanda  si  diver- 
tivano a  predire  che  un  giorno  o  l'altro  l'avrebbero 
buttato  in  galera,  poiché  quella  predizione  faceva  pian- 
gere l'mtrusa.  Il  duca,  invece,  parlava  molto  bene  del 
barone,  s'intratteneva  a  lungo  con  lui  quando  passava  ^ 
da  Catania  :  adesso  esaltava  il  genio  di  Cavour,  i 
trionfi  della  sua  politica;  se  gli  rimproveravano  le  an- 
tiche critiche  alla  spedizione  di  Crimea,  negava  d'a- 
verne mai  fatte;  e  giudicava  che  la  via  per  la  quale 
s'era  posto  Francesco  II  fosse  sbagliata  :  l'alleanza 
bisognava  farla  col  Piemonte,  non  con  l'Austria,  e  con- 
cedere la  costituzione,  non  inquietare  i  patriotti,  perchè 
Napoleone  aveva  parlato  chiaro  :  l'Italia  doveva  esser 
libera  dall'Alpi  all'Adriatico.... 

A  don  Blasco  veniva  di  vomitare,  udendo  queste 
cose,  e  s'arrovellava,  non  potendo  prendersela  diretta- 
mente col  fratello  maggiore;  ma  il  giorno  che  arrivò 
la  notizia  della  pace  di  Villafranca,  per  poco  non  gli 
prese  un  accidente,  dall'esultanza.  Lungo  i  corridoi 
di  San  Nicola,  dinanzi  ai  monaci  dell'altro  partito  che 


—    232    — 

tenevano,  mogi  mogi,  la  coda  fra  le  gambe,  vociava, 
trionfante  : 

—  Ah,  il  gran  Cavour  ?  Ah,  il  gran  Piemonte  ? 
Dove  sono  adesso  ?  Perchè  non  continuano  la  guerra 
da  soli?  Dov'è  andato  l'Adriatico?  Dov'è  andato  il 
mar  Tirreno  ?  E  quella  bestia  che  sputava  sentenza, 
empiendosi  la  bocca  di  Nabboleoxe  !  Napoleone  aveva 
confidato  proprio  a  lui  quel  che  voleva  fare  !  Crede- 
vano d'esserselo  posto  in  tasca.   Napoleone!... 

—  O  non  l'avevate  con  lui  perchè  non  si  grattava 
la  sua  tigna  ? 

—  Come?  Quando?  So  molto  io!...  La  baldoria  è 
finita  !...  Ma  che  Re,  Francesco  II  ?  Ma  che  Re?  Degno 
figlio  di  suo  padre  !... 

Se  avessero  fatto  lui  Re,  non  avrebbe  messo  più 
boria,  non  avrebbe  guardato  la  gente  da  tant'alto.  E  si 
sgolava  anche  al  palazzo,  vedendo  che  il  fratello  scrol- 
lava il  capo,  udendogli  sentenziare  che  l'ultima  parola 
non  era   detta. 

—  Che  ultima  e  che  prima  !  il  gran  Cavurre  ha 
fatto  fagotto  !  I  principi  legittimi  tornano  tutti  quanti  ! 
L'avete  schiacciata  male,   non  volete  capirlo  ? 

Ogni  giorno  s' informava  se  il  duca  aveva  ordinato 
i  preparativi  della  partenza  :  quel  fratello  gli  pesava 
come  un  sasso  sullo  stomaco,  non  vedeva  l'ora  che 
se  ne  tornasse  a  Palermo,  quasi  in  città  non  potesse 
regnar  pace  se  colui  non  se  n'andava.  Al  convento, 
insultava  quelli  che  osavano  ancora  contraddirgli,  le 
discussioni  minacciavano  di  finir  male  ;  lo  stesso  Abate 
aveva  dovuto  pregare  i  Padri  Dilenna  e  Rocca  di  la- 
sciarlo dire  per  evitare  lun  guaio.  Il  Priore,  invece, 
non  s'occupava  di  tutte  queste  cose  :  nessuno  sapeva 
in  qual  modo  egli  la  pensasse.  Se  gli  parlavano  di  po- 
litica, stava  a  udire,  scrollava  il  capo,  rispondeva  : 
«  Non  sono  affari  che  mi  riguardano Date  a  Ce- 
sare quel  che   è  di   Cesare »   Al   Noviziato  la   lotta 

fra   i   due   partiti   s'era  attizzata;    il  principino,    a  cui 
don  Blasco  dava  l' imbeccata,  prendeva  anche  lui  l'aria 


—  233  — 

di  un  trionfatore,  dilegg'iava  Giovannino  Radali,  capo 
dei  rivoluzionarii,  dandog^li  del  «  barone  senza  baronia  » 
e  del  «  fìg-lio  del  pazzo.  »  Il  duca  Radali,  infatti,  era 
morto  in  un  accesso  di  delirio  furioso;  la  duchessa 
vedova  aveva  quindi  stabilito  che  Giovannino,  come 
secondogenito,  pronunziasse  i  voti.  E  questo  era  un 
altro  arg-omento  col  quale  Consalvo  schiacciava  il  cu- 
gino :  «Io  andrò  via,  e  tu  resterai  sempre  qui!...» 
Giovannino,  che  nonostante  le  diverse  idee  politiche 
gli  voleva  bene,  sopportava  un  poco  i  suoi  dileggi; 
ma,  a  volte,  infuriava  in  malo  modo  :  il  sangue  gli 
montava  alla  testa,  gli  occhi  gli  s'accendevano;  sca- 
gliatosi sul  cugino,  se  lo  metteva  sotto,  malmenandolo, 
finché  Fra  Carmelo  accorreva,  con  le  mani   in   testa  : 

— .  Per  l'amor  di  Dio!...  Che  modo  è  questo?... 
Non   potete   star  cheti  ?    Pensate   a   divertirvi  ! 

Composte  le  liti,  i  radazzi  si  divertivano,  infatti.  I 
due  cugini  morivano  dalla  voglia  di  fumare  ;  Giovan- 
nino aveva  ottenuto  da  Fra  Cola,  in  gran  segreto, 
poca  semente  di  tabacco,  e  l'aveva  piantata  in  un  an- 
golo del  giardino;  cresceva  rigogliosa,  e  presto  ne 
avrebbero  fatto  sigari.  Frattanto  giocavano  da  mat- 
tina a  sera,  con  pochi  momenti  di  studio  svogliato, 
con  qualche  ora  di  funzioni  religiose. 

Per  la  festa  di  Sant'  Agata,  in  agosto,  andarono  a 
spasso  tutti  i  giorni,  assistettero  alla  processione  del 
carro,  all'oratorio  cantato  in  piazza  degli  Studii,  e  con 
più  piacere  alle  corse  dei  barberi,  che  Raimondo  chia- 
mava harharie.  Le  facevano  lungo  la  via  del  Corso, 
tra  due  siepi  vive  di  curiosi,  sui  quali  spesso  i  cavalli 
si  gettavano,  sparando  calci  ed  ammaccando  costole. 
I  cavalli  vincitori  ripercorrevano  poi  la  via  al  passo 
guidati  dai  palafrenieri  che  lanciavano  tratto  tratto 
un  grido  ai  balconi  : 

—  Affacciatevi,    principi   e    baroni, 
Che   sta  passando   il  re   degli   animali  ! 


—  234  — 

E  la  folla:  «Ole!...  »  Consalvo  stava  attento  al  ce- 
rimoniale spagnolesco  di  quelle  feste  :  il  Senato  della 
città,  nella  berlina  di  gala  grande  quanto  una  casa, 
■preceduta  da  mazzieri  e  gonfalonieri  e  caiapani  che  so- 
navano i  tamburi,  andava  a  prendere  1'  Intendente,  il 
quale  doveva  farsi  trovare  sul  portone  :  al  senatore  più 
giovane  toccava  mettere  il  piede  sulla  predella,  in  atto 
di  scendere  ;  ma  allora  il  rappresentante  del  Governo 
doveva  avanzarsi  con  le  braccia  distese,  per  impedirgli 
di  toccar  terra.  Erano  le  prerogative  della  città.  Il  Se- 
nato aveva  avuto  lunghe  contese  con  le  altre  autorità 
circa  il  posto  da  occupare  nella  cattedrale,  durante  le 
grandi  funzioni  :  per  evitare  liti  ulteriori,  s'era  trac- 
ciata per  terra  una  riga  di  marmo  che  nessuno  poteva 
varcare. 

Finita  la  festa  di  Sant'Agata,  a  San  Nicola  novizi! 
e  Fratelli  prepararono  quella  del  Santo  Chiodo,  per 
cui  ogni  anno  c'era  grande  aspettativa. 

Il  Ré  Martino,  che  la  portava  sempre  al  collo,  aveva 
regalato  quella  reliquia  ai  monaci,  nel  1393  :  era  uno 
dei  chiodi  con  un  pezzetto  del  legno  della  croce  sulla 
quale  avevano  suppliziato  Gesù.  Il  14  settembre  la 
spera  d'oro  tutta  gemmata  dove  serbavasi  la  sacra  spo- 
glia fu  esposta  all'adorazione  dei  fedeli,  mentre  l'Abate, 
circondato  da  tutti  i  Padri  con  la  cocolla,  celebrava, 
accompagnato  dal  grand'organo,  il  pontificale.  Ma  la 
vera  festa  fu  quella  della  sera,  quando  la  vasta  piazza 
di  San  Nicola  parve  trasformata  in  un  salone,  dalle 
tante  faci  accese  per  ogni  dove,  dalle  tante  seggiole 
disposte  per  le  signore  che  arrivavano  in  carrozza  dalla 
Trinità  e  dai  Crociferi,  e  venivano  ad  assistere  alla 
processione.  Questa  usciva,  a  suon  di  banda  e  di  cam- 
pane, tra  due  fila  di  soldati,  dalla  porta  maestra  della 
chiesa  che  pareva  tutta  una  fiamma  :  l'Abate  reggeva 
la  spera,  seguito  da  un  lungo  corteo  che  rientrava  dopo 
compito  il  giro  della  piazza  :  allora  cominciavano  i 
giuochi  di  fuoco,  i  razzi,  le  ruote,  le  fontane  luminose, 


—  235  — 

la  gran  macchina  finale  che  mutava  quattro  volte  di 
disegno  e  di  colori  e  finiva  col  crepitare  assordante 
d'un  fuoco  di  fila  mentre  centinaia  di  serpenti  lumi- 
nosi si  snodavano  nell'aria  scura —  Il  principino,  ac- 
canto ai  suoi  parenti,  non  aveva  tempo  di  dar  retta  a 
tutti,  facendo  gli  onori  di  casa,  giacché  nella  piazza 
e  in  tutto  il  quartiere  la  gente  era  ospite  dei  Bene- 
dettini. Tutta  la  città  s'era  riversata  lassù  :  le  signore 
con  gli  abiti  estivi  che  portavano  1'  ultima  volta,  se- 
gnando quella  solennità  la  fine  della  stagione.  Donna 
Mara  Persa,  con  la  nuora  e  i  parenti  di  costei  venuti 
da  Palermo,  stavano  dalla  parte  opposta  degli  Uzeda; 
don  Mario  era  in  campagna.  Adesso,  appena  si  salu- 
tavano, per  l'occhio  del  mondo;  a  donna  Isabella  era 
stato  proibito  di  andare  più  in  casa  di  donna  Ferdi- 
nanda o  di  altri  parenti  del  conte;  la  gente,  a  poco 
a  poco,  aveva  finito  di  chiacchierare  su  quel  soggetto. 
Lo  stesso  Raimondo  pareva  essersi  rassegnato;  non 
Jo  vedevano  più  correre  'dietro  alla  signora,  né  costei 
litigava  più  con  la  suocera,  né  s'atteggiava  a  vittima 
come  un  tempo.  Quella  sera  aveva  un  abito  veramente 
sfarzoso,  e  tante  gioie  addosso,  che  tutti  gli  occhi  si 
volgevano  su  lei.  Quando  la  folla  cominciò  a  diradarsi, 
Padre  Gerbini,  sempre  galante,  l'accompagnò  alla  car- 
rozza; e  come,  giusto  per  combinazione,  il  cocchiere 
dei  Persa  e  quello  del  principe  Prancalanza  avevano 
messo  accanto  i  loro  legni,  Raimondo  e  il  principe, 
nell'andar  via,  fecero  una  scappellata  alle  si,gnore,  alla 
quale  risposero  solo  donna  Isabella  e  lo  zio  paler- 
mitano. 

Ora,  il  domani  di  quella  festa,  una  notizia  straordi- 
naria, sbalorditiva,  incredibile,  corse  di  bocca  in  bocca 
per  la  città  :  donna  Mara  Persa  aveva  cacciato  di  casa 
la  nuora!...  «Era  vero?...  Non  era  possibile!...  Se 
la  sera  innanzi  erano  state  insieme  a  San  Nicola?... 
E  come?  perchè?  Quando  tutto  pareva  finito?...  »  Ma 
i  bene  informati  dicevano  che  non  era  finito  niente,  e 
che    la    bomba    era    scoppiata    giusto    quella   notte  per 


—  236  — 

l'assenza  di  don  Mario.  Donna  Mara,  dopo  avere  ac- 
compagnato i  parenti  della  nuora  a'I'albergo  ed  esser 
tornata  a  casa  ed  aver  preso  sonno,  aveva  udito  ru- 
more nella  camera  di  donna  Isabella  :  entrata  da  lei, 
l'aveva  trovata  mezzo  nuda,  con  la  finestra  aperta  e 
il  cappello  d'un  uomo  rotolato  per  terra.  Se  avesse 
fatto  un  momento  più  presto,  li  avrebbe  colti  sul  fatto; 
ma  dal  balcone  che  dava  sui  tetti  della  scuderia,  egli 
era  scappato  in  un  lampo.  Senza  bisogno  di  nominarlo, 

tutti  comprendevano  che  egli  era  il  conte Bisognava 

vedere,  aggiungevasi,  donna  Isabella,  pallida  come 
una  morta,  quando  la  suocera,  con  voce  strozzata,  le 
aveva  gridato  :  «  Esci  di  casa  mia  !...  »  Lì  per  li,  senza 
darle  neanche  tempo  d' infilarsi  un  paio  di  scarpe,  in 
pantofole  come  si  trovava  !  Ella  se  n'era  andata;  con 
la  cameriera  che  le  teneva  il  sacco,  all'  albergo  dove 
si  trovava  quel  suo  zio  provvidenzialmente  piovuto  da 
Palermo.  «E  se  non  c'era?  Dove  l'avrebbe  mandata? 
E   don  Mario,    il   marito?...» 

Don  Mario  arrivò  all'alba,  a  rotta  di  collo,  mandato 
a  chiamare  con  un  espresso  :  il  piangere  che  faceva  ! 
come  un  bambino!...  Ne  avea  voluto  del  bene  alla  mo- 
glie !  E  allo  stesso  conte  !  Questo  era  stato  lo  sbaglio  ! 
Sua  madre,  no  :  l'amicizia  degli  Uzeda  non  le  aveva 
dato  alla  testa;  fin  dal  principio  s'era  accorta  della 
piega  che  prendevano  le  cose.  Se  non  fosse  stata  lei, 
il  pasticcio  sarebbe  successo  molto  prima,  Raimondo 
non  avrebbe  dovuto  prender  tante  precauzioni.  Egli 
rischiava  infatti  la  vita,  ogni  volta.  Quando  Fersa  an- 
dava in  campagna,  il  conte  entrava  in  casa  di  donna 
Isabella,  avendo  comperato  tutte  le  persone  di  ser- 
vizio :  ma  dal  portone  della  stalla,  che  il  cocchiere  gli 
apriva,  doveva  salir  sul  tetto  delle  scuderie,  scaval- 
carne la  balconata  e  di  lì  entrare  in  camera  dell'amica 

Era  stato  un  vero  miracolo,  se  per  tanto  tempo  non 
l'avevano  sorpreso!...  L'ultima  notte,  scappato  senza 
cappello,  gli  sbirri  di  ronda  l'avevano  incontrato  e  sta- 
vano per  arrestarlo  ;  ma  conosciuto  che  era  il  conte 
Uzeda,    l'avevano  lasciato    andare.... 


GÌ'  increduli,  i  curiosi,  fecero  capo  alla  polizia,  ma 
li  furono  mandati  a  spasso.  E  quel  giorno  stesso  tutti 
videro  il  contino  Raimondo  al  Casino  dei  Nobili  dove 
giocò  e  chiacchierò  del  più  e  del  meno,  come  di  con- 
sueto. Possibile  che  sfidasse  fino  a  questo  punto  l'opi- 
nione pubblica?  O  non  era  piuttosto  da  dubitare 
della  storia  che  si  narrava?...  Già  correvano  le  ver- 
sioni favorevoli  a  donna  Isabella.  Era  levata,  a  mez- 
zanotte ?  J^on  aveva  sonno  !  La  finestra  aperta  ?  Per 
il  gran  caldo.  Il  cappello  per'  terra  ?  Un  vecchio  cap- 
pello del  cocchiere,  il  quale  s'era  divertito,  nel  pome- 
riggio, a  buttarlo  per  aria!...  Se  tutte  queste  cose  non 
s'erano  messe  in  chiaro  sul  momento,  bisognava  incol- 
pare quella  furia  di  donna  Mara.  Non  poteva  soffrire 
la  nuora,  tutti  sapevano  come  l'aveva  maltrattata!  Chi 
parlava  del  conte?  Che  c'entrava  il  conte?  Chi  l'aveva 
visto?  Era  a  casa  sua,  si  era  raccolto  subito  dopo  la 
processione  del  Santo  Chiodo  :  il  principe,  la  princi- 
pessa, tutta  la  famiglia,  tutti  i  servi  potevano  atte- 
starlo !  Forse  perchè,  aveva  fatto  qualche  visita,  tempo 
addietro,  alla  Persa?  Ma  s'era  allontanato  subito,  visto 
che  prendevano  in  mala  parte  un'amicizia  innocente  ! 
Aveva  dunque  ragione  di  non  voler  stare  in  quel  paese, 
di  ribellarsi  contro  la  malignità  dei  proprii  concitta- 
dini!... E  a  poco  a  poco  quelle  voci  acquistavano  cre- 
dito :  dicevasi  perfino  che  Persa  l'avesse  con  la  madre, 
per  non  aver  dato  tempo  all'accusata  di  provarsi  inno- 
cente.... Tutta  la  città  discuteva,  commentava,  giudi- 
cava ogni  notizia  relativa  al  fatto,  appassionandosi 
più  che  per  una  caduta  di  regno.  Chi  parteggiava  pel 
conte,  protestando  che  un  padre  di  famiglia  come  lui 
non  si  sarebbe  messo  a  disturbare  un'altra  famiglia; 
chi  lo  giudicava  capace  di  questo  e  d'altro,  per  sod- 
disfare un  capriccio.  Scapolo,  non  aveva  fatto  una  vi- 
taccia ?  Ammogliato,  non  aveva  fatto  tanto  soffrire  la 
povera  moglie?  In  quella  circostanza,  per  buona  sorte, 
ella  era  in  casa  di   suo  padre,   a  Milazzo. 

Giusto,    tre   giorni    dopo,    i   difensori  di    Raimondo 


-  238  — 

trionfarono  :  egli  partiva  per  Milazzo,  raggiungeva  la 
moglie  e  le  figlie.  Donna  Isabella,  da  canto  suo,  era 
partita  per  Palermo  con  lo  zio.  Chi  ardiva  ancora  affer- 
mare che  ci  fosse  stato  niente  di  male  fra  loro?  Quella 
sconsigliata  di  donna  Mara  Persa  aveva  fatta  la  frit- 
tata!... Gl'increduli  andarono  al  palazzo  Francalanza 
e  all'albergo,  per  vedere  se  quelle  partenze  eran  vere. 
Erano  verissime  :  donna  Isabella  e  Raimondo  erano 
partiti,  l'uno  per  Milazzo  e  l'altra  per  Palermo;  il 
principe  si  apparecchiava  ad  andarsene  al  Belvedere; 
Persa  con  la  madre  era  già  a  Leonforte. 

Durante  la  villeggiatura  quei  fatti  furono  il  tema 
di  ogni  discorso. 

A  Nicolosi,  tra  i  Padri  Benedettini,  se  ne  fece  un 
gran  parlare  :  Padre  Gerbini,  fra  gli  altri,  sostenne  a 
spada  tratta  l' innocenza  di  donna  Isabella,  forte  del 
fatto  che  Raimondo,  da  Milazzo,  era  partito  definiti- 
vamente per  Firenze,  dove  tornava  a  domiciliarsi  con 
la  famiglia.  Don  Blasco  però  non  apri  bocca  su  questo 
soggetto.  Egli  pareva  avesse  dimenticato  tutti  gli  affari 
della  parentela,  occupato  com'era  ad  eruttar  bestemmie 
all'annunzio  delle  novità  pubbliche,  dei  voti  delle  Ro- 
magne  e  dell'  Emilia  per  l'annessione  al  Piemonte,  della 
dittatura  di  Farini,  specialmente  del  trattato  di  Zurigo 
che  gli  die  materia  da  sbraitare  durante  tutto  l'autunno 
e  tutto  r  inverno.  Coi  Padri  del  partito  liberale  impe- 
gnava novamente  discussioni  tempestose  che  minac- 
ciavano di  non  finir  bene,  a  proposito  del  ritorno  di 
Cavour  al  ministero,  dei  plebisciti  dell'  Italia  centrale, 
di  tutti  i  sintomi  d'  un  mutamento  radicale.  Ma,  alla 
cessione  di  Nizza  e  della  Savoia  alla  Francia,  gongolò 
come  se  le  avessero  date  a  lui;  dopo  l'abortito  tenta- 
tivo di  sommossa  del  4  aprile  a  Palermo,  cantò  vit- 
toria, gridando  : 

— •  Ah,  non  vogliono  capirla,  ah!  Fermi  con  le  mani! 
Giuoco  di  m.ano,  giuoco  villano  !  Parlate,  gridate,  sbraU 
tate  finché  vi  pare,  ma  senza  rompere  nulla  !  Chi  rompe 
paga,  e  neppure  i  cocci  sono  suoi! 


—  239  — 

—  Siete  voi  che  non  volete  capirla  !  Non  vedete  che 
adesso   non  è  più  come   al  Quarantotto? 

—  Eh?  ah?  oh?  Non  piia  ?  Di  grazia,  che  c'è  di 
nuovo  ? 

—  C'è   di   nuovo  che   il  Piemonte  è  forte che   la 

Francia  sotto  mano  l'aiuta che  1'  Inghilterra —  che 

Garibaldi 

— •  Chi?...  Quando?...  La  Francia?  Bel  servizio! 
Bell'aiuto!...  Garibaldi?  Chi  è  Garibaldi?  Non  lo  co- 
nosco !... 

Imparò  a  conoscerlo  il  13  maggio,  quando  scoppiò 
come  una  bomba  la  notizia  dello  sbarco  di  Marsala. 
Ma,  contro  al  suo  solito,  egli  non  gridò,  non  disse 
male  parole  :  alzò  le  spalle  affermando  che  al  primo 
colpo  di  fucile  dei  Napolitani,  i  «  filibustieri  »  si  sareb- 
bero dispersi  :  ì  Murat,  i  Bandiera,  i  Pisacane  infor- 
mavano. 

—  La  sonata  è  un'altra  !  —  gli  disse  sul  muso  Padre 
Rocca,  dopo  lo  scontro  di  Calatafimi. 

Allora  egli   scoppiò  r 

—  Ma  razza  di  mangia  a  ufo  che  siete,  dovete  dirmi 
un  poco  perchè  vi  fregate  le  mani  ?  Avete  vinto  un 
terno  al  lotto  ?  O  credete  che  Garibaldi  venga  a  crearvi 
papi  tutti  quanti  ?  Non  capite,  teste  di  corno,  che  avete 
tutto  da  perdere  e  niente  da  buscare  ? 

Non  sapeva  darsi  pace;  l'avanzarsi  vittorioso  dei 
Garibaldini  lo  esasperava;  la  formazione  di  squadre  di 
ribelli,  il  fermento  che  regnava  in  città  e  nelle  cam- 
pagne lo  mettevano  fuori  di  sé.  Ma  il  suo  furore  ro- 
vesciavasi  particolarmente  sul  duca,  che  prendeva 
decisamente  posto  coi  rivoluzionarli,  fiutando  già  il 
cadavere.  Il  monaco  diceva  contro  il  fratello  parole 
tali  da  far  arrossire  un  lanciere,  dava  del  traditore  a 
tutte  le  autorità  perchè,  invece  di  reprimere  il  movi- 
mento, aspettavano  di  vedere,  grattandosi  la  pancia, 
se  Garibaldi  sarebbe  entrato  o  no  a  Palermo. 

—  A  Palermo  ?  Lanza  lo  schiaccerà  !  C'è  ventimila 
uomini  a  Palermo  !  Ma  bisogna  dare  esempii  !  Rizzar 
la   forca   in   piazza  del   Fortino  ! 


—  24°  — 

Invece,  le  squadre  dei  rivoltosi  si  riunivano  tutt'  in- 
torno alla  città,  i  liberali  parlavano  a  voce  alta,  gli 
sbirri  fingevano  di  non  udire,  i  «  benpensanti  »  erano 
costretti  a  nascondersi  !  E  quella  bestia  del  generale 
Clary,  con  tremila  uomini  sotto  i  suoi  ordini,  non 
usciva  dal  castello  Ursino,  non  faceva  piazza  pulita, 
lasciava  che  il  panico  dei  «  benpensanti  »  crescesse.  La 
notte  del  2"]^  in  mezzo  al  mal  celato  tripudio  dei  rivo- 
luzionarli, arrivò  la  notizia  dell'entrata  di  Garibaldi  a 
Palermo;  le  squadre  minacciavano  di  scendere  in  città 
per  attaccare  le  truppe  di  Clary,  Il  duca  invece  racco- 
mandava la  calma,  assicurava  che  i  Napolitani  sareb- 
bero andati  via  senza  tirare  un  colpo.  Quantunque  egli 
assumesse  un'aria  importante  e  protettrice  in  famiglia, 
quasi  potesse  far  la  pioggia  e  il  bel  tempo,  Giacomo 
ad  ogni  buon  fine  prese  le  disposizioni  per  mettersi 
al  sicuro  al  Belvedere.  Lucrezia,  vedendo  quei  prepa- 
rativi di  partenza,  smaniava  all'  idea  di  lasciare  Giu- 
lente,  il  quale  le  scriveva  :  «  L'ora  del  cimento  sta  per 
sonare;  io  correrò  al  posto  dove  il  dovere  mi  chiama, 
col  nome  d' Italia  ed  il  tuo  sulle  labbra  !  »  Ma  all'an- 
nunzio che,  rotto  ogni  indugio,  le  squadre  stavano  per 
scendere  in  città,  il  principe  andò  a  San  Nicola  per 
raccomandare  il  bambino  all'Abate,  al  Priore  e  a  don 
Blasco,  e  fatte  attaccar  le  carrozze,  parti  con  tutti  i 
suoi,  da  Ferdinando  in  fuori,  il  quale  né  per  pestilenze 
né  per  rivoluzioni  lasciava  le  sue  Ghiande.  Allora  il 
duca,  per  non  restar  solo  nel  palazzo  deserto,  se  ne 
venne  al  convento,  dove  il  nipote  Priore  gli  dette  una 
camera  della  foresteria.  Don  Blasco,  vistolo  11  dentro, 
parve  uno  spiritato;  sulle  prime  non  potè  articolar  pa- 
rola ;  poi,  corso  in  mezzo  ai  Padri  della  sua  camarilla, 
vociferò  : 

—  L'eroe!  l'eroe!  l'eroe!  quel  grande  eroe!...  Quel 
fulmine  di  guerra!...  S'è  ficcato  qui  per  la  paura! 
Finta  che  a  casa  non  c'è  più  nessuno  !  Gli  treman  le 
chiappe,   invece  !... 

Il   convento   infatti  cominciava   a   popolarsi   di   pau- 


—    241    •— 

rosi,  di  preti  fuggiaschi,  di  spie  borboniche,  di  gente 
invisa  ai  liberali  ;  lo  stesso  castello  non  era  giudicato 
altrettanto  sicuro.  'Pei  novizii,  quantunque  alcuni  di 
essi  fossero  stati  portati  via  dai  parenti  inquieti,  era 
una  festa  :  tante  facce  nuove,  un  incessante  andirivieni, 
la  continua  aspettativa  di  non  si  sapeva  che  cosa.  I 
ragazzi  liberali  avean  formato  anch'essi  la  loro  squa- 
dra, a  similitudine  di  quelle  accampate  fuori  la  città  : 
Giovannino  Radali  la  capitanava,  maturando  il  piano 
di  sollevare  il  convento,  di  scendere  in  piazza  e  di 
unirsi  ai  rivoltosi  grandi.  Mancavano  però  di  bandiere, 
e  col  pretesto  di  apparare  un  altarino  .mandarono  il 
cameriere  a  comprar  carta  variamente  colorata.  Il  ca- 
meriere, con  la  bianca  e  la  rossa,  ne  portò  dell'azzurra 
invece  della  verde  ;  quello  sbaglio  fu  causa  che  si  per- 
desse un  giorno.  Il  principino,  al  quale  naturalmente, 
nella  sua  qualità  di  sorcio,  i  rivoluzionarli,  non  avevano 
detto  niente,  subodorata  nondimeno  qualche  cosa  per 
aria,  aveva  deliberato  di  scoprir  paese.  Una  circostanza 
straordinaria  lo  aiutò.  Il  tabacco  piantate  insieme  col 
cugino  era  maturo  ;  le  foglie,  strappate,  poste  da  qual- 
che giorno  al  sole,  cominciavano  già  ad  accartocciarsi  ; 
gli  bastò  arrotolarle  con  le  mani  per  ottenerne  tre  o 
quattro  sigari  che  Giovannino  giudicò  pronti  ad  esser 
fumati.  Allora,  nascosti  insieme  in  un  angolo  del  giar- 
dino, perchè,  tolta  la  politica,  erano  amici,  dettero 
fuoco  ai  fiammiferi  e  cominciarono  a  tirare  le  prime 
boccate.  Usciva  un  fumo  acre,  amaro,  pestifero,  che 
bruciava  gli  occhi  e  la  gola  ;  Giovannino,  pallidissimo, 
respirava  a  stento,  ma  continuava  a  tirare  poiché  Con- 
salvo dichiarava  : 

—  Sono  eccellenti!...  Tutti  tabacco  vero!...   Non  ti 
piace  ? 

—  Sì Un  bicchier  d'acqua —    Mi  gira  il  capo..., 

Improvvisamente   si   fece   bianco  come  la  carta,    gli 

si   rovesciarono  gli  occhi   e  cominciò  a  vaneggiare  : 

—  Il  Maestro —    acqua le  bandiere..., 

'Consalvo,   sul  quale  il  veleno  agiva  più  lentamente, 

domandò  : 

De   Roberto.    Z    Viceré    -   1  16 


—    242   — 

—  Quali    bandiere?..    Dove  sono?... 

—  Sotto  il  letto la  rivoluzione Malannaggia!... 

Mi  viene  di  vomitare 

Il  principino  buttò  il  suo  sigaro  e  rientrò.  Sentiva 
Un  principio  di  nausea,  aveva  il  pie  malfermo,  la  vista 
un   po'   annebbiata;   ma   si  trascinò   fino  dal  Maestro: 

—  Han    fatto    le    bandiere per   la    rivoluzione 

sotto  il  letto....  ; 

—  Chi? 

—  Quelli —   Giovannino il  complotto 

La  nausea  saliva,  saliva,  gli  stringeva  la  gola  ;  le 
mani  gli  si  diacciavano,  ogni  cosa  gli  girava  intorno 
vorticosamente. 

—  Ma  di  che  complotto  parli?...    Che  hai? 
— •  Giovan la  ri 

Stese  le  mani  e  eadde  per  terra  come  morto.  Quando 
riacquistò  i  sensi  si  trovò  a  letto,  con  Fra  Carmelo  che 
lo  vegliava.  La  luce  era  fioca,  non  si  capiva  se  fosse 
l'alba  oppur^  il  tramonto;  né  una  voce  né  un  rumor 
di  passi  nel  convento;  solo  il  cinguettio  dei  passeri 
sugli  aranci  in   fiore. 

—  Come  si  sente?  —  domandò  il  Fratello,  premu- 
rosamente. 

—  Bene Che   è   successo?   Che   ora   è? 

—  Spunta  adesso  il  sole!...  Ci  ha  fatto  una  bella 
paura!...    Non    si    rammenta?... 

Allora,  confusamente,  egli  ripensò  ai  sigari,  alla 
nausea,  alla  denunzia.  Era  dunque  passata  tutta  una 
notte?...    E   Giovannino? 

—  Anche  lui  !...  Adesso  sta  meglio....  Il  Maestro  ha 

frugato  in  tutte  le  camere,   sotto  i  letti ha  trovato 

tante  bandiere....  Sua  Paternità  se  l'è  presa  con  me.... 
So   molto,    io,    di   queste    diavolerie  !... 

I  congiurati,  vistisi  scoperti,  erano  disperati,  non 
comprendendo  donde  venisse  il  colpo.  Ma  Giovannino, 
ristabilito  anche  lui,  s'alzava  in  quel  momento  e  pas- 
sava tra  i   compagni  costernati  : 

—  Com'è  stato?...    Sei  stato  tu?... 


—  243  — 

—  Io?...  Ah,  quel  giuda  di  mio  cugino!...  —  E  il 
sangue  gli  montò  al  viso,  con  un  impeto  selvaggio  di 
collera,  da  vero  «  figlio  del  pazzo  ».  —  Aspetta  ! 
Aspetta  ! 

Appostati  in  attesa  che  Consalvo  uscisse,  lo  circon- 
darono nel  giardino;  Giovannino  gli  si  fece  incontro, 
domandandogli  : 

— •  Sei  stato  tu,  pezzo  di  sbirro,  che  hai  detto  al 
Maestro?... 

Consalvo  capì.  Pallido  e  tremante,  cominciò  a  pro- 
testare : 

—  Maria  Santissima!...  Il  Maestro?...  Xon  sono 
stato.... 

Ma    il   cerchio   gli    si    strinse    intorno  : 

—  Negalo,  anche!...  Hai  coraggio  solo  per  men- 
tire,  sbirro  schifoso  ?  pezzo  ,di  boia  ? 

— •  Vi  giuro — 

—  Ah,  spia  fetente  !...  —  e  il  primo  pugno  gli 
piovve  sulle  spalle.  Tutti  gli  furono  addosso,  ed  egli 
cominciò  a  gridare;  ma  nessuno  poteva  udir  le  sue 
grida,  perchè,  a  un  tratto,  a  quell'ora  insolita,  tutte 
le  campane  di  San  Nicola  si  misero  a  stormeggiare 
formando  un  concerto  cosi  strano,  che  i  ragazzi  smi- 
sero di  picchiare  il  delatore,  guardandosi  turbati.  A 
un   tratto   Giovannino   esclamò  : 

— •  La   rivoluzione!...   —  e   rientrò  di   corsa. 

Le  squadre  erano  finalmente  scese  in  città,  per  dar 
l'attacco  ai  Napolitani.  Tutti  i  monaci  erano  tappati 
dentro;  l'Abate  aveva  fatto  serrare  i  portoni  dopo  che 
tutta  una  popolazione  spaventata  s'era  venuta  a  rifu- 
giare nel  convento.  Solo  il  campanile  era  rimasto  aperto 
ai  rivoltosi,  i  quali  continuavano  a  sonare  a  stormo 
mentre  s'  udiva  il  rombo  delle  prime  cannonate  del  ca- 
stello Ursino.  Don  Blasco,  nonostante  il  coltello  che 
portava  sotto  la  tonaca,  verde  dalla  bile  e  dalla  paura, 
era  venuto  a  rifugiarsi,  insieme  coi  borbonici  più  so- 
spettati, al  Noviziato,  come  in  un  cantone  piij  sicuro, 
dove,   per   via   dei   bambini,   nessuno  sarebbe   entrato; 


—  244  — 

nondimeno  diceva  ira  di  Dio  di  quel  vigliacco  dì  suo 
fratello  che  era  rimasto  dentro  col  pretesto  dei  portoni 
chiusi,  ma  complottando  ancora  con  quell'altro  «  porco  » 
di  don  Lorenzo  Giulente. 

—  Perchè  non  scende  in  piazza  ?  Perchè  non  va  :\ 
battersi?  Gli  apro  io  stesso,  se  vuole!...  Carogna! 
Traditore  !... 

Il  duca,  in  confabulazione  con  l'Abate  e  col  nipote 
Priore,  disapprovava  invece  l'attacco,  riferiva  il  savio 
e  prudente  uìtimatuin  del  generale  Clary  : 

—  Clary  mi  disse  ieri  :  «  Aspettiamo  quel  che  fa 
Garibaldi  :  se  resta  a  Palermo,  m' imbarco  coi  miei 
soldati  e  me  ne  vado;  se  no,  avrete  pazienza  voialtri: 
resterò  io.  »  Mi  pare  che  dicesse  bene  !  Che  bisogno 
c'era  d'attaccarlo?...  Le  sorti  della  Sicilia  non  si  de- 
cidono qui  !...  Ma  non  vogliono  ascoltarmi  !  Che  posso 
farci?   Io  me  ne  lavo  le  mani!... 

—  Non  vogliono  ascoltarlo  ?  —  tem<pestava  don 
BlaSco.  —  Dopo  che  li  ha  scatenati?...  E  adesso 
fa  il  gesuita?...  Per  restar  bene  col  Clary,  se  la  ciur- 
maglia   ha   la  peggio?... 

Il  cannone  tonava  di  rado  ;  gente  arrivata  dalla 
Botte  dell'Acqua,  cercando  rifugio,  diceva  che  la  mi- 
schia più  forte  era  impegnata  ai  Quattro  cantoni,  ma 
che  del  resto  i  ribelli  tiravano  sulle  truppe  alla  spic- 
ciolata, nascosti  dietro  gli  angoli  delle  case,  o  dalle 
terrazze.  Le  spie  borboniche,  pallide,  esterrefatte,  an- 
davano ficcandosi  nelle  celle  dei  Fratelli  ;  Carino,  venuto 
dei  primi  a  chiudersi  a  San  Nicola,  s' attaccava  alla 
tonaca  di  Don  Blasco  e  pareva  più  di  qua  che  di  là. 
Anche  il  principino  stava  al  fianco  dello  zio,  non  osando 
neppure  lagnarsi  delle  busse  ricevute,  mentre  Giovan- 
nino Radali  e  gli  altri  ragazzi  liberali,  attorniato  Fra 
Carmelo,  gli   dicevano  : 

—  Adesso  arriva  Garibaldi!...  Andremo  tutti  via!... 
Non   ci   torneremo   più  !... 

Prima  di  sera  cessò  lo  scampanio  e  il  cannoneg- 
giamento; don  Blasco,  andato  a  interrogare  i  passanti 


—  245  — 

dai  muri  della  Flora,  tornò  agitando  le  braccia  e  sma- 
scellandosi  dalle   risa  : 

—  La  gran  rivoluzione  è  finita!...  Sono  usciti  i 
lancieri,  hanno  nettato  le  strade!...  Evviva!...  Ev- 
viva !... 

La  notizia  venne  confermata  da  tutte  le  parti,  ma 
il  duca,  prudentemente,  restò  dentro  pel  momento.  La 
gioia  di  don  Blasco  fu  però  di  corta  durata  :  il  domani, 
avuti  gli  ordini  da  Napoli,  Clary  si  preparò  alla  par- 
tenza ;  e  consegnata  la  città  a  una  Giunta  provvisoria, 
s' imbarcò  il  giorno  appresso  con  tutti  suoi  soldati. 

Don  Lorenzo  Giulente  col  nipote,  saliti  a  San  Ni-  "^ 
cola,  invitarono  il  duca  al  Municipio,  dove  i  migliori 
cittadini  attendevano  a  disciplinare  la  rivoluzione.  Già, 
partita  la  truppa,  nella  prima  ebbrezza  della  libera- 
zione, nel  primo  Impeto  della  vendetta,  torme  di  po- 
polani avevano  dato  la  caccia  ad  uno  dei  più  tristi  e 
odiati  sorci  di  polizia,  e  uccisolo  ne  avevano  portato 
in  giro  la  testa.  Tremava  il  cuore  al  duca,  all'  idea  di 
lasciare  il  sicuro  asilo  del  monastero  e  di  scendere 
nella  città  in  fermento;  ma  i  due  Giulente  lo  assicu- 
rarono che  adesso  tutto  era  cheto  e  che  gli  amici  lo 
aspettavano.  Così  traversarono  insieme  le  vie  deserte 
peggio  che  in  tempo  di  peste,  con  tutte  le  botteghe  e 
le  finestre  sbarrate  e  un  silenzio  pauroso.  Don  Gaspare 
Uzeda,  a  dispetto  delle  assicurazioni  dei  Giulente,  nono- 
stante la  prova  della  popolarità  acquistata  tra  i  libe- 
rali, temeva  che  qualcuno  non  gli  rimproverasse  il  suo 
rimpiattamento  a  San  Nicola,  nel  giorno  dell'azione; 
che  i  rivoluzionarli  del  Quarantotto  non  gli  rammen- 
tassero le  storie  antiche  ;  le  gambe,  pertanto,  gli  va- 
gellavano nell'entrare  al  Municipio,  nel  traversar  la 
corte  piena  di  gente,  nel  salir  su  dove  deliberavano; 
ma  a  poco  a  poco  il  sorriso  gli  spuntava  sulle  labbra 
pallide  e  chiuse,  il  sangue  tornava  a  circolargli  libe- 
ramente nelle  vene,  poiché  da  tutte  le  parti  lo  saluta- 
vano rispettosamente  o  cordialmente  :  i  popolani  s' in- 


—  246  — 

chinavano,  g;li  amici  stringevangli  la  mano,  esclamando  : 
«Finalmente!...  Ci  siamo!...  Non  abbiamo  più  pa- 
droni!... Adesso  finalmente  i  padroni  siamo  noi!...» 
La  cosa  più  urgente  era  l'ordinamento  d'una  qualun- 
que forza  pubblica,  d'  una  milizia  civica  che  prestasse 
servizio  sino  alla  formazione  della  Guardia  nazionale. 
Occorrevano  quattrini  per  l'armamento  della  milizia 
e  della  guardia  :  aperta  una  sottoscrizione  per  rac- 
cogliere i  /primi  fondi,  il  duca  offerse  trecent'onzc. 
Nessuno  aveva  dato  tanto,  la  cifra  produsse  grande 
effetto  ;  quando  la  riunione  si  sciolse,  parecchie  doz- 
zine di  persone  riaccompagnarono  don  Gaspare  a  San 
Nicola.  ]     '      ■■ 

Il  domani  mattina  egli  aggiunse  altre  cent'onze  per 
l'acquisto  delle  munizioni.  Il  favore  universale  gli 
crebbe  intorno.  Mancava  lavoro,  poiché  la  città  era 
tuttavia  un  deserto  :  egli  non  lasciò  andare  a  mani 
vuote  nessuno  di  quelli  che  gli  si  rivolsero  per  sus- 
sidio. Preso  coraggio,  andò  tutti  i  giorni  al  Gabinetto 
di  lettura,  dove  i  liberali  commentavano  con  tripudio 
le  notizie  dei  progressi  della  rivoluzione  ;  si  mise  a 
capo  delle  dimostrazioni  che  andavano  a  prendere  la 
musica  dell'Ospizio  di  Beneficenza  e  al  suono  dell'  inno 
garibaldino  giravano  per  la  città.  A  poco  a  poco,  sem- 
pre ipiù  rassicurato,  quasi  domiciliossi  al  Municipio, 
dove  chiedevano  i  suoi  consigli.  Mentre  tutti  parlavano 
di  libertà  e  d'eguaglianza,  nessuno  pensava  a  prendere 
un  provvedimento  che  dimostrasse  al  popolo  come  i 
tempi  fossero  cangiati  e  i  privilegi  distrutti  e  tutti  : 
cittadini  veramente  ed  assolutamente  uguali.  Egli  pro- 
pose e  fece  decretare  l'abolizione  del  pane  sopraffino. 
Allora  diventò  un  grand'  uomo. 

Don  Blasco,  rimpiattato  al  convento,  schiumava  : 
non  tanto,  forse,  per  la  rovina  del  suo  partito  e  pel 
trionfo  dell'eresia,  quanto  per  sapere  suo  fratello  con- 
siderato a  un  tratto  come  uno  degli  eroi  della  libertà  : 
il  Governatore  non  faceva  nulla  senza  del  duca,  lo 
j   metteva  in  tutte  le  commissioni,   un  codazzo  di  animi- 


—  247  — 

ratori  lo  accompagnava  al  palazzo  Francalanza,  che 
egli  aveva  fatto  riaprire  e  riabitava  perchè  la  chiusura 
non  s' imputasse  al  borbonismo  della  famiglia  :  e  la  ^ 
gente  minuta,  gli  operai,  tutti  quelli  che  non  sape- 
vano che  cosa  sarebbe  successo,  convertivansi  al  nuovo 
partito  udendo  che  un  gran  signore  come  il  duca 
d'Oragua,  uno  dei  Francalanza,  ne  faceva  parte  :  le 
dimostrazioni  patriottiche,  di  giorno  e  di  notte,  con 
musiche  e  fiaccole  e  bandiere  si  succedevano  sotto  il 
palazzo  come  sotto  le  case  dei  vecchi  liberali,  di  quelli 
che  erano  stati  in  galera  o  tornavano  dall'esilio.  Adesso 
tutti  parlavano  in  piazza,  dai  balconi,  .per  eccitare  il 
popolo,  o  per  discutere  il  da  fare  nei  Circoli  che  si 
venivano  costituendo;  ma  il  duca,  incapace  di  dire 
due  parole  di  seguito  in  pubblico,  atterrito  dall'  idea 
di  dover  parlare  dinanzi  alla  folla,  scendeva  giù  ad 
incontrarla  al  portone,  se  la  cavava  gridando  con 
essa  :  «  Viva  Garibaldi  !  Viva  Vittorio  Emanuele  !  Viva 
la  libertà!...»  conducendo  al  caffè  i  volontarii  gari- 
baldini, pagando  loro  gelati,  sigari  e  liquori.  Formata 
la  Guardia  nazionale,  lo  fecero  maggiore  :  tutti  i  giorni 
egli  mandava  ai  corpi  di  guardia  bottiglioni  di  vino, 
focacce,  pacchi  di  sigari,  regali  di  ogni  genere.  E 
Ja  sua  fama  cresceva,  cresceva  ;  nelle  dimostrazioni  il 
grido  di  i«  Viva  Oracqua  »  —  come  pronunziavano  i 
più  —  era  altrettanto  frequente  quanto  «  Viva  Ga- 
ribaldi !  »  o  («Vittorio  Emanuele!...»  Queste  enor- 
mità ridussero  don  Blasco  a  un  cupo  silenzio,  più 
terribile  delle  grida  ;  il  monaco  non  era  però  alla 
fine  delle  prove.  I  forusciti,  i  briganti  che  s'arrola- 
vano  per  seguire  l'anticristo  dove  furono  alloggiati? 
A  San  Nicola  !... 

All'annunzio  che  la  colonna  di  Nino  Bixio  e  di  Me- 
notti Garibaldi  sarebbe  giunta  a  Catania,  il  Governa- 
tore aveva  mandato  un  ufficio  all'Abate  comunican- 
dogli di  aver  disposto  che  i  soldati  della  libertà  fossero 
ospitati  nel  convento  dei  Padri  Benedettini.  L'Abate, 
borbonico    fino    alle    ciglia,    voleva    fare    qualche    diffì- 


—  248  — 

colta  ;  ma  il  Priore  don  Lodovico  lo  persuase  che  non 
era  il  caso  di  opporsi.  Il  27  luglio  la  Guardia  nazionale 
andò  incontro,  fuori  le  porte,  alla  colonna  che  entrò 
in  città  fra  un  uragano  d'applausi;  e  i  volontarii 
s'acquartierarono  a  San  Nicola,  nei  corridoi  del  primo 
piano  e  in  quello  dell'Orologio  :  la  paglia  sparsa  per 
terra,  le  rastrelliere,  i  fucili,  le  giberne,  le  baionette, 
le  canne  di  pipa  ridussero  il  convento  un  assedio.  Per 
andare  al  refettorio,  don  Blasco  doveva  traversare 
due  volte  il  giorno  quell'inferno;  egli  passava  muto, 
pallido,  fremente,  mentre  i  soldati  gridavano  evviva 
al  Priore  don  Lodovico  che  faceva  distribuire  vino  e 
focacce  !  Tutto  il  giorno,  giù  nei  cortili  esterni,  essi 
eseguivano  esercizii  ;  Bixio  stava  a  invigilare  con  un 
frustino  in  mano,  accarezzando  tratto  tratto  le  spalle 
dei  più  restii.  «  In  nome  della  libertà  !  In  odio  all'an- 
tica tirannide!...  »  facevano  osservare  i  Padri  sorci 
a  don  Blasco  ;  ma  questi  neanche  rispondeva,  pareva 
non  interessarsi  più  a  nulla,  come  alla  vigilia  del  fini- 
mondo. 

Bixio  e  Menotti  erano  alloggiati  alla  foresteria  ; 
l'Abate  li  evitava,  ma  il  Priore,  per  prudenza  —  di- 
ceva —  usava  agli  ospiti  tutti  ì  riguardi,  s' informava 
premurosamente  se  avevano  bisogno  di  nulla,  metteva 
la  Flora  a  disposizione  del  figlio  dell'anticristo,  che 
passava  i  suoi  momenti  d'ozio  coltivando  rose.  Un 
giorno,  tra  i  novizii,  che  erano  scemati  di  numero 
perchè  molte  famiglie  avevano  ritirato  i  loro  ragazzi 
in  quel  trambusto,  vi  fu  grande  aspettativa  :  Menotti 
veniva  da  loro.  Giovannino  Radali,  Pedantoni,  tutti  i 
liberali  lo  guardarono  con  gli  occhi  spalancati,  come 
uno  piovuto  dalla  luna,  senza  saper  dire  'Una  parola, 
mentre  egli  li  accarezzava.  Ma,  nel  giardino,  Giovan- 
nino corse  a  cogliere  la  più  bella  rosa  e  gliel'off'erse, 
chiamandolo:  «Generale!...»  Consalvo  se  ne  stette 
in  disparte,  aggrottato  come  lo  zio  don  Blasco,  con 
la  coda  tra  le  gambe. 

—  Adesso   non   fai   più   il   sorcio  ?   —   gli    dissero   i 


-^  249  — 

compagTii  quando  Menotti  andò  via.  —  Hai  paura  che 
ti  taglino  la  coda  ? 

Eg-li  non  rispose.  Suo  padre,  rassicurato  sull'anda- 
mento della  cosa  pubblica,  scese  un  giorno  a  trovarlo. 

— •  Non  ci  voglio  più   stare  —  gli  disse  il  ragazzo; 

—  tanti  se  ne  sono  andati — 

—   Voglio?...  —  rispose  il  principe,  con  voce  dura. 

—  Chi  t'ha  insegnato  a  dire  voglio?...  Per  ora  hai 
da  star  qui, 

E  il  duca  non  solo  approvò  quella  decisione,  ma 
indusse  il  nipote  a  tornarsene  definitivamente  con  la 
famiglia  in  città,  giacché  non  c'era  pericolo  di  sorta, 
e  quell'ostinata  lontananza,  quelle  dimostrazioni  di 
paura  potevano  esser  prese  in  mala  parte  dal  popolo. 
Arrivarono  tutti  dopo  qualche  giorno,  il  marchese  e 
la  marchesa  soli  e  gongolanti  nella  loro  carrozza  che 
andava  al  passo,  per  riguardo  della  gravidanza  di 
Chiara  finalmente  confermata  ed  arrivata  al  sesto 
mese  ;  Lucrezia  che  metteva  il  capo  ogni  minuto  allo 
sportello  quando  i  posti  di  guardia  facevano  sostare 
la  vettura,  -parendole  di  riconoscere  Giulente  in  ogni 
soldato. 

Ma  Benedetto  non  era  piia  in  Sicilia.  Nei  primi 
giorni  aveva  aiutato  lo  zio  Lorenzo  e  il  duca  a  ordi- 
nare la  rivoluzione,  arringando  il  popolo,  parlando  nei 
1^  ircoli  con  una  eloquenza  che  tutti  ammiravano,  scri- 
vendo articoli  neW Italia  Risorta  fondata  dallo  zio  per 
propugnare  l'annessione  al  Piemonte;  poi,  nonostante 
l'opposizione  del  padre  e  della  madre,  s'era  ingaggiato 
garibaldino,  nel  reggimento  delle  Guide,  ed  era  partito 
pel  continente.  Arrivando  in  città,  Lucrezia  trovò  una 
lettera  del  giovane,  il  quale  le  annunziava  che  andava 
a  raggiungere  Garibaldi  per  compiere  il  proprio  do- 
vere verso  la  patria  e  le  raccomandava  di  non  pian- 
gerlo se  gli  fosse  toccata  la  grande  sorte  di  morire  per 
r  Italia.  Ella  cominciò  a  leggere  tutti  i  giornali  e 
tutti  i  bollettini  per  sapere  che  cosa  avveniva  di  lui, 
ma  ne  capì  meno  di  prima,   incapace  di  farsi  un'  idea 


—  250  — 

intorno  alle  mosse  dell'esercito  meridionale.  Don 
Blasco,  all'arrivo  dei  parenti,  eruttò  finalmente  la  bile 
accximulata  in  tre  mesi.  Ogni  g-iomo,  venendo  al  pa- 
lazzo, vomitava  improperi!  contro  il  fratello,  colmava 
di  male  parole  lo  stesso  principe  perchè  permetteva 
che  dal  balcone  di  centro  sventolasse  l'aborrito  tri- 
colore, che  mettessero  fuori  i  lumi  per  festeggiare  le 
vittorie  dei  «  briganti  ».  Il  principe  si  faceva  tutto 
umile,  gli  dava  ragione,  esclamava  :  «  Che  posso  farci  ? 
È  mio  zio!  Posso  mandarlo  via?»  ma  si  guardava 
bene  di  fare  rimostranze  al  duca,  troppo  lieto  che  la 
popolarità  del  gran  patriotta  garentisse  anche  lui,  la 
sua  persona  e  la  sua  casa.  Però  dava  un  colpo  al 
cerchio  e  uno  alla  botte  ;  parlava  contro  il  duca  a  don 
Blasco,  contro  don  Blasco  al  duca,  sicuro  di  non  es- 
sere scoperto,  poiché  quei  due  s'evitavano  come  la 
peste.  Gli  toccava  poi  tenere  a  bada  anche  donna  Fer- 
dinanda, la  quale  era  diventata  una  versiera,  dopo 
la  caduta  del  governo  legittimo,  e  ne  invocava  il  ri- 
torno e  andava  fino  a  promettere  una  lampada  a  Santa 
Barbara  perchè  questa  saettasse  tutti  i  suoi  fulmini 
contro  i  traditori.  Chiedeva  che  il  principino  fosse  tolto 
dal  convento  infestato  dai  rivoluzionarii  ;  ingiungeva 
al  nipotino,  quando  costui-  veniva  a  casa  in  permesso 
«  Non  t'arrischiar  di  parlare  con  quei  nemici  di  Dio 
o  non  ti  guarderò  più  in  faccia  !  »  Consalvo  le  rispon 
deva  :  «  Eccellenza  si  !  »  come  al  duca  quando  costui 
tutt'al  contrario,  gli  diceva  :  «  Che  bei  soldati,  i  ga 
ribaldini  ?...  »  Dolevano  ancora  le  spalle  al  ragazzo 
dalle  busse  toccate  per  lo  spionaggio  ;  e  adesso  egli 
faceva  come  vedeva  fare  allo  zio  Priore,  che  godeva 
la  fiducia  dell'Abate  borbonico  di  tre  cotte,  e  intanto 
era  portato  in  palma  di  mano  dai  rivoluzionarii —  Che 
importava  al  principino  di  borbonici  e  di  savoiardi  ? 
Egli  voleva  andar  via  dal  Noviziato  ;  perciò  serbava 
un  segreto  rancore  contro  il  padre  che  non  l'aveva 
contentato.  Del  resto,  con  tutta  la  rivoluzione  e  la 
libertà  e  Vittorio  Emanuele  e  l'abolizione  del  pane  so- 


praffino,  a  San  Nicola  non  si  scherzava,  articolo  pri- 
vilegi. Giusto  in  quei  giorni  i  Giulente  avevano  rac- 
comandato all'Abate  un  giovanetto,  loro  lontano  pa- 
rente, rimasto  orfano  a  Siracusa  e  venuto  a  Catania 
per  farsi  benedettino.  Era  tutto  il  contrario  del  cugino 
Benedetto,  questo  Luigi  :  non  solo  avversava  la  rivo- 
luzione ;  ma  aveva,  col  timor  di  Dio,  una  grande  vo- 
cazione per  lo  stato  monastico.  E  l'Abate,  ritenendo 
provata  la  nobiltà  della  famiglia,  l'aveva  preso  a  pro- 
teggere e  fatto  entrare  al  Noviziato.  Lì,  i  nobili  com- 
pagni, senza  distinzione  di  partito,  se  ne  prendevano 
giuoco,  lo  beffavano,  gliene  facevano  di  tutti  i  colori, 
giudicandolo  indegno  di  stare  fra  loro  ;  e  tra  i  monaci 
gli  stessi  liberali  torcevano  il  muso  :  Vittorio  Emanuele  V 
andava  bene;  l'annessione  e  la  costituzione  meglio 
ancora;  ma  rinunziare  ai  loro  privilegi,  fare  d'ogni 
erba  un  fascio,  questo  era  un  po'  troppo!... 

.  «^ 

La    quistione    dell'annessione,    del    miglior    modo    di 

votarla,  appassionava  in  quel  momento  la  pubblica 
opinione  :  alcuni  volevano  affidarne  il  mandato  ad 
un'assemblea  da  eleggere,  altri  predicavano  il  suf- 
fragio diretto.  Ogni  giorno,  col  Governatore  della 
città,  e  con  don  Lorenzo  Giulente  e  i  capi  liberali,  il 
duca  sosteneva  il  plebiscito  :  «  Il  popolo  dev'essere 
lasciato  libero  di  pronunziarsi.  Si  tratta  delle  sue  sorti  I 
Vedete  come  han  fatto  nel  resto  d'Italia!...  »  Questo 
consiglio,  mentre  accresceva  a  mille  doppii  la  sua  po- 
polarità, gli  scatenava  addosso  più  violento  l'odio  di 
don  Blasco  e  di  donna  Ferdinanda,  la  critica  dello 
stesso  don  Eugenio.  Il  cavaliere,  adesso,  perduta  la 
speranza  degli  scavi  di  Massa  Annunziata,  aveva  con- 
cepito un  nuovo  disegno  :  farsi  nominare  professore 
all'Università.  Non  v'erano  stati  parecchi  signori 
pubblici  lettori?  L'impiego  era  decoroso  e  nobile; 
la  cattedra  di  storia,  specialmente,  gli  faceva  gola. 
Le  sue  conoscenze  archeologiche,  l'opuscolo  sulla 
Pompei   Sicola,   erano  buoni  titoli  :   per  averne   ancora 


—    252    — 

di  mig-liori,  egli  scriveva  una  Istoria  cronologica  dei 
Viceré  Uzeda,  luogotenenti  dei  Regi  Aragonesi  nella 
Trinacria.  Come  Gentiluomo  di  Camera,  non  si  la- 
sciava molto  vedere  ;  ma  certo  che  la  rivoluzione  sa- 
rebbe stata  schiacciata  da  un  momento  all'altro,  anche 
lui  se  la  prendeva  col  duca. 

—  Chi  parla  di  popolo  !  Se  tornassero  i  Viceré  dal- 
l'altro mondo  !  Se  sentissero  di  queste  eresie,  se  ve- 
dessero un  loro   pronipote  unirsi   alla  ciurmaglia!... 

Don  Cono,  don  Giacinto,  don  Mariano,  tutti  i  la- 
vapiatti scrollavano  il  capo,  addolorati  anch'essi  da 
quel  tralignamento  ;  però  tentavano  placare  il  giusto 
sdegno  dei  puri,  giudicando  il  liberalismo  del  duca 
un  liberalismo  di  parata,  una  necessità  politica  del 
momento;  era  impossibile  che,  in  cuor  suo,  il  figlio 
del  principe  di  Francalanza,  uno  di  quegli  Uzeda  che 
dovevano  tutto  alle  legittime  dinastie,  potesse  godere 
dell'anarchia  e   dell'usurpazione  ! 

—  Tanto  peggio  !  —  urlava  don  Blasco.  —  Capirei 
un  fedifrago  risoluto,  che  avesse  il  coraggio  del  tra- 
dimento !  Ma  se  tornano  i  Napolitani,  colui  andrà  a 
baciar   loro     il     preterito!...    Vedrete,    quando     torne- 


ranno 


Ma  non  tornavano.  Arrivavano  invece,  una  dopo 
l'altra,  le  notizie  della  partenza  di  Francesco  II  da 
Napoli,  dell'  ingresso  trionfale  di  Garibaldi,  dell'avan- 
zarsi dei  Piemontesi  incontro  ai  volontaria  Al  Belve- 
dere, dove  il  principe  tornò  alla  fine  di  settembre,  per 
la  villeggiatura,  Lucrezia  lesse  i  bollettini  della  bat- 
taglia del  Volturno  che  portavano  Benedetto  Giulente 
tra  i  feriti.  Ella  non  pianse,  ma  si  chiuse  in  camera 
rifiutando  il  cibo,  sorda  ai  conforti  di  Vanna  la  quale 
le  prometteva  che  avrebbe  cercato  di  aver  notizie  dalla 
famiglia  di  lui.  Il  Governatore  però  s'era  già  rivolto 
ai  comandanti,  al  direttore  dell'ospedale  militare  di 
Napoli;  e  la  risposta,  prima  che  sui  bollettini,  fu  resa 
di  pubblica  ragione  in  un  manifesto  affissato  al  Muni- 
cipio.   Il  volontario   Giulente  era   ferito   d'arma  bianca 


—  253  — 

alla  coscia  destra  e  si  trovava  nell'ospedale  di  Caserta; 
il  suo  stato  era  soddisfacente  e  la  guarigione  assi- 
curata. 

Egli  arrivò  quindici  giorni  dopo,  la  vigilia  del  ple- 
biscito, con  altri  volontarii  siciliani  reduci  dal  Vol- 
turno :  lo  zio  Lorenzo,  il  duca  d^Oragua,  il  Governa- 
tore fe  la  Guardia  nazionale  andarono  loro  incontro. 
Il  giovane  s'appoggiava  a  un  bastone  e  sventolava  il 
fazzoletto  con  la  sinistra,  rispondendo  agli  evviva 
della  folla.  Suo  padre  e  sua  madre  piangevano,  dalla 
commozione  ;  il  duca,  facendo  loro  dolce  violenza, 
prese  il  ferito  nella  propria  carrozza  che  s'avviò  al 
Municipio  fra  un'onda  di  popolo  acclamante.  Dal  bal- 
cone del  palazzo  di  città,  gremito  di  guardie  nazionali, 
di  reduci,  di  patriotti,  di  cittadini  ragguardevoli.  Be- 
nedetto girò  uno  sguardo  sulla  piazza  dove  nori  sa- 
rebbe cascato  un  grano  di  miglio,  poi  levò  la  sinistra. 
La  sua  fama  d'oratore  era  già  stabilita;  tacquero  a 
quel   gesto. 

—  Cittadini  !  —  cominciò  con  voce  chiara  e  ferma. 
—  Noi  non  possiamo  e  non  dobbiamo  ringraziarvi  di 
questa  trionfale  accoglienza,  sapendo  come  i  vostri  ap- 
plausi non  siano  diretti  alle  nostre  persone,  ma  all'  idea 
generosa  e  sublime  che  guidò  il  Dittatore  da  Quarto  a 
Marsala.  —  Scoppiò  un  uragano  d'applausi  in  mezzo 
al  quale  la  voce  dell'oratore  si  perde.  —  ....  sogno  di 
Dante  e  Machiavelli,  sospiro  di  Petrarca  e  Leopardi, 
palpito  di  venti  secoli ad  essa,  alla  gran  patria  co- 
mune     alla    nazione    risorta all'  Italia    una...    gli 

evviva,  gli  applausi,   il  trionfo —  Ad  ogni  periodo, 

un  gran  clamore  veniva  su  dalla  piazza;  la  gente  pi- 
giata nel  balcone  sventolava  i  fazzoletti,  il  duca  escla- 
mava all'orecchio  dei  vicini  :  «  Come  parla  bene  !... 
Che  giovane  d'ingegno!  ..  » 

—  Noi  abbiamo  fatto  il  dover  nostro  —  continuava 
l'oratore  —  come  voi  il  vostro.  Non  poche  gocce  di 
sangue,  ma  la  vita  stessa  avremmo  voluto  immolare 
alla  gran  causa....  degni  d'invidia,   non  di  rimpianto. 


—  254  — 

sono  quelli  che  poteron  dire  morendo  :  «  Alma  terra 
natia,  la  vita  che  mi  desti  ecco  ti  rendo....  »  Onore  ai 
forti  che  caddero!...  A  voi  toccò  ufficio  non  meno  su- 
perbo :  dare  all'  Europa  ammirata  l'esempio  d'un  po- 
j  polo  che  spezzate  le  sue  catene,  lasciato  in  balia  di  sé 
stesso,   già  mostrasi   degno  di   quelle  libere   istituzioni 

che    furono    suo   secolare    retaggio che    un    potere 

aborrito  e  spergiuro  osò  cancellare ma  che  splen- 
deranno di  più  vivido  raggio!...  Cittadini!  Applaudite 
voi  stessi applaudite  i  vostri  reggitori applau- 
dite questi  guerrieri  fratelli  che  dolenti  di  non  poter 
pugnare  con  noi,  tutelarono  i  vostri  focolari ap- 
plaudite questo  insigne  patrizio  che  alle  glorie  dell'avito 
blasone    accoppia   quelle    del   patriottismo    più    puro.... 

—  Egli  additava  alla  folla  il  duca,  maestoso  e  mar- 
ziale nella  divisa  di  maggiore.  Ma  questi,  all'  idea  di 
dover  rispondere,  si  ^senti  a  un  tratto  serrar  la  gola, 
vide  a  un  tratto  la  piazza  trasformata  in  un  mare  ter- 
ribile, vorticoso  e  ululante,  le  cui  ondate  saettavano 
sguardi;  e  lo  spasimo  della  paura  fu  tale  ch'egli  do- 
vette afferrarsi  alla  balaustrata.  Però  Giulente  ripren- 
deva,   nella    stretta    finale,    tra     applausi     assordanti  : 

—  Cittadini  !  Prodigioso  è  il  cammino  da  noi  fatto  in 
cinque  mesi;  ma  un  ultimo  passo  ci  resta L'entu- 
siasmo dal  quale  vi  veggo  animati  mi  dà  guanto  che 
sarà  fatto —  Il  sole  di  domani  saluti  la  Sicilia  unita 
per  sempre  alla  monarchia  costituzionale  di  Vittorio 
Emanuele  !  » 

■*  Già  i  sì  colossali  erano  tracciati  sui  muri,  sugli  usci, 
per  terra  ;  al  portone  del  palazzo  il  duca  ne  aveva  fatto 

■  scrivere  uno  gigantesco,  col  gesso;  e  il  domani,  in 
città,  nelle  campagne,  frotte  di  persone  li  portavano  al 
cappello,  stampati  su  cartellini  di  ogni  grandezza  e 
d'ogni  colore.  Donna  Ferdinanda,  al  Belvedere,  scor- 
gendo i  contadini  che,  per  non  saper  leggere,  avevano 
messo  le  schede   sottosopra,   esclamava  : 

—  75  .'  Is  !  —  e   pronunziando  chts,    chis,   che   è  la 


voce  con  la  quale  si  mandan  via  i  gatti,  commentava  : 
—  Ma  non  dicono  sì,  dicono  is,  chis,  cìiis  !  Fuori, 
chis  ì... 

Lucrezia  gonfiava,  eccitata  dalle  notizie  del  trionfo 
di  Giulente,  impaziente  di  tornare  in  città  per  rive- 
derlo,  irritata  dagli  sconvenienti  motteggi  della  zia. 

Il  principe  aveva  fatto  tracciare  anche  lui  un  gran 
sì  sul  muro  della  Villa,  per  precauzione,  e  la  folla  dei 
contadini  scioperati,  giù  in  istrada,  batteva  le  mani, 
gridava  :  «  \'iva  il  principe  di  Francalanza  !...  »  men- 
tre, dentro,  don  Eugenio  dimostrava,  con  la  storia 
alla  mano,  che  la  Sicilia  era  una  nazione  e  1'  Italia 
un'altra;    e    donna   Ferdinanda  sgolavasi  : 

—  Ah,  se  torna  Francesco  ! 

—  Zia,  non  tornerà —  —  esclamò  alla  fine  Lucrezia. 
Allora   la   zitellona   parve   volesse   mangiarsela   viva. 

—  Anche  tu,  scioccona  e  bestiaccia?  Sentite  chi 
parla  adesso  !  E  non  lo  sai  il  nome  che  porti,  pazza 
bestiona  ?  Credi  anche  tu  agli  eroismi  di  questi  rifiuti 
di  galera?  o  dei  bardassa  sguaiati  e  ciarloni? 

La  botta  era  tirata  a  Giulente;  Lucrezia  s'alzò  e 
andò  via  sbattendo  gli  usci.  Ma  il  furore  di  donna 
Ferdinanda  passò  il  segno  quando,  fattasi  alla  finestra 
ad  uno  scoppio  più  nutrito  di  applausi,  vide  passare 
i  novi^ii  Benedettini,  che  venivano  da  Nicolosi  a  ca- 
vallo agli  asini,  tutti  con  gran  sì  ai  tricorni.  Cominciò 
a  gridare  cosi  forte  contro  quel  vituperio,  che  il  prin- 
cipe accorse  : 

—  Zia,  per  carità  !  vuol  farci  ammazzare  ? 

—  È  stato  quel  gesuita  di  Lodovico!...  —  fiottava 
la  zitellona,  coi  denti  stretti,  quasi  per  mordere.  — 
Anche  i  ragazzi  !  Anche  Consalvo  !  —  E  come  il  prin- 
cipino sali  un  momento  a  salutare  i  suol,  ella  gli 
strappò  quel  cartellino  e  lo  fece  in  mille  pezzi  :  — 
Così  !... 


256  — 


IX. 


—  Bello! Bello!...    E  questi   bavagli,  come  sono 

graziosi!,..    Le  calzettine,  le   scarpette:   avete  pensato 
a  tutto  ! 

La  cugina  Graziella  esaminava,  capo  per  capo,  sotto 
gli  occhi  di  Chiara  e  del  marchese,  il  corredo  del  na- 
scituro :  sei  grandi  ceste  piene  di  tanta  roba  da  bastare 
a  un  intero  ospizio  di  lattanti;  e  trovava  parole  d'am- 
mirazione per  tutte  le  fasce,  per  tutte  le  cuffie,  per 
tutti  i  corpettini  ;  ma  ogni  tanto  si  fermava,  tirando 
forte  il  respiro,  passandosi  la  lingua  sulle  labbra, 
gravida  anche  lei  di  qualche  cosa  che  voleva  dire,  ma 
che  né  il  marchese  né  Chiara  si  decidevano  a  doman- 
darle. 

—  E  le  vesticciuole,  non  l'avete  viste  ancora  ? 
Guardate,  guardate  ! 

—  Oh,  che  bella  cosa!...  Dove  hai  trovato  questi 
merletti?...  Belle  tutte,  belle!...  Ma  più  la  bianca  coi 
nastri  celesti!   Un  amore!...   Lucrezia  ci  ha  lavorato? 

—  No,  nessuno  :  ho  voluto  far  tutto  con  le  mie 
mani, 

— ■  Ce  n'è  spesi  quattrini,  eh?...  Il  Signore  possa 
benedirveli  !,..  Avete  aspettato  un  bel  pezzo,  ora  la 
vostra  felicità  è  assicurata!...  Vi  volete  tanto  bene!... 
Per  me,  mi  gode  l'animo  quando  vedo  le  famiglie  tanto 
affiatate!...  Cosi  vorrei  che  anche  Lucrezia  fosse  con- 
tenta   Voialtri  non  sapete? 

— •  Che   cosa  ? 

Ella  abbassò  un  poco  la  voce  per  dire,  con  aria  di 
mistero  : 

—  Giulente  1'  ha  chiesta  allo  zio  duca  ! 

Ma  Chiara  continuò  a  piegare  la  biancheria  sulle 
ginocchia,   quasi   non  avesse  udito  o  non  avesse  com- 


—  257  — 

preso  che  si  parlava  di  sua  sorella  ;  e  solo  il  marchese 
domandò,  distrattamente,  riponendo  con  bell'ordine  la 
roba  nelle  ceste  : 

—  Chi   ve   l'ha  detto? 

Allora  la  cugina  sfilò  la  corona  : 

— •  Me  r  ha  detto  mio  marito,  iersera  :  certo  e  si- 
curo com'è  certo  che  siamo  qui  !  La  domanda  è  stata 
fatta  da  don  Lorenzo,  amichevolmente.  Il  duca  vuol 
esser  deputato,  e  il  giovanotto  sostiene  la  sua  elezione 
scrivendo  nell'Italia  Risorta,  e  discorrendo  ogni  sera 
di  Circolo  Nazionale  in  favore  di  lui,  perchè  ha  già 
preso  la  laurea  d'avvocato.  Quelli  della  Nazione  Ita- 
liana gli  oppongono  l'avvocato  Bernardelli,  perchè  è 
stato  in  galera:  non  par  vero,   a  che  siamo  ridotti!... 

Ma  Giulente  si  batte  come  un  leone pel  futuro  zio — 

mi  capite?...  Lucrezia  non  entra  nei  panni,  dalla  con- 
tentezza ;  però  gli  zii  don  Blasco,  donna  Ferdinanda 
e  don  Eugenio  le  daranno  da  fare —  e  il  cugino  Gia- 
como anche —  Un  Giulente  sposare  un'Uzeda?  Ci 
voleva  la  rivoluzione,  il  mondo  sottosopra,  perchè  si 
vedesse  una  cosa  simile  !  Lo  zio  duca,  mi  dispiace, 
ha  perduta  la  testa,  dacché  s'è  messo  nella  politica; 
hanno  ragione  i  suoi  fratelli!...  Voi  che  cosa  ne  dite? 

Chiara  continuava  a  maneggiare  la  bella  roba, 
bianca,  fine  e  odorosa,  del  nascituro  ;  e  il  marchese, 
temendo  che  quei  movimenti,  a  lungo  andare,  potes- 
sero  affaticarla,    le  disse  : 

—  Basta,  adesso —  lascia  fare  a  me....  Che  cosa 
ne  dico,  cugina  ?  Non  dico  niente  :  sono  cose  che  non 
mi  riguardano.  Mio  cognato  è  padrone  di  dare  sua 
sorella  a  chi  gli  piace —  Io  non  mi  mescolo  negli 
affari  altrui. 

—  Se  Lucrezia  lo  vuole  —  rincarò  Chiara  —  se  lo 
prenda  !  In  fin  dei  conti,  dobbiamo  sposarlo  noi  ?  — 
domandò   ridendo  a  Federico. 

—  Sicuro!...  Io,  cara  cugina,  sapete  se  ho  sempre 
rispettato  la  famiglia  di  mia  moglie.  Se  essi  dicono  di 
sì,  e  Lucrezia  è  contenta  !   Per  conto  mio,   ringrazio  il 

De    Roberto,    l    Viceré    -    I  17 


-  258  _ 

Signore  clic  lìnalnicntc  mi  sta  concedendo  una  gran 
consolazione;  del  resto,  facciano  quel  che  vogliono.... 
E  la  cugina  restò  con  tanto  di  naso,  avendo  fallo 
assegnamento  sopra  uno  scoppio  d'indignazione;  ma 
torta  la  bocca  quasi  per  inghiottire  un  boccone  amaro, 
esclamò  : 

—  Certamente  !  Sono  cose  che  riguardano  la  sua 
coscienza!...  E  anche  Lucrezia!  Contenta  lei  !...  È  quel 
che  dico  anch'  io  !... 

Da  quei  due  non  c'era  da  cavar  nient'altro,  fuori 
del  mondo  com'erano  per  via  della  nascita  del  figliuolo 
ormai  prossima  :  la  cugina  che  per  trascorrer  di  tempo 
non  dimenticava  di  mostrare  il  suo  interesse  per  gli 
Uzeda,  corse  difilato  in  casa  del  principe.  Sul  portone, 
una  comitiva  di  dieci  o  dodici  individui,  fra  i  quali 
J  c'erano  i  due  Giulente,  zio  e  nipote,  cercavano  del 
duca.  lElla  si  fermò,  sorridendo  a  don  Lorenzo  e  a  Be- 
nedetto, facendo  loro  segno  con  la  mano  per  chiamarli. 

—  Che  ordite,  in  tanti  rivoluzionarli  ?  \"olele  dar 
fuoco  al  palazzo  ? 

—  \"eniamo  ad  offrire  la  candidatura  al  signor  duca, 
—  rispose  don  Lorenzo,  — -  in  nome  delle  società  pa- 
triottiche. 

.. — ■  Bravo!  Mi  rallegro  della  scelta!... 

E  la  commissione  stava  per  salire  dal  grande  sca- 
lone quando  Baldassarre,  spuntato  dal  secondo  cortile, 
e  fatta  strada  a  donna  Graziella,  avvertì  :  — •  Nos- 
signori !...    Favoriscano   da  questa   parte 

Il  principe,  infatti,  approvando  il  liberalismo  dello 
zio  e  godendo  dei  vantaggi  della  sua  popolarità,  non 
aveva  potuto  permettere  che  tutti -.gH_^calzacani  dai 
quali  era  circondato  entrassero  nel  nobile  quartiere 
delle  Sale  Rossa  e  Gialla  :  aveva  quindi  destinato  due 
stanze  dell'amministrazione,  a  destra  dell'entrata,  per- 
chè- il  duca  vi  ricevesse  anche  i  lustrastivali,  se  cosi 
gli  era  a  grado.  Mentre  i  delegati  giravano  dunque 
dalla  parte  delle  stalle,  donna  Graziella  saliva  pompo- 
samente   il    sontuoso  scalone    ed   era   introdotta   presso 


—  259  — 

la  principessa.  II  principe,  in  compagnia  della  moglie, 
gridava  qualche  cosa,  quando,  all'apparir  della  cu- 
gina,  tacque    subitamente. 

—  Non  sapete  che  ci  sono  visite?  —  disse  costei, 
entrando.  —  La  commissione  delle  società —  per  of- 
frire la   candidatura   al   duca Una   bella   commedia, 

g-iacchè  tutto  fu  combinato  prima...  E  solo  i  Giulente, 
di  persone  conosciute;  tutto  il  resto,  <;£rte-  farre-!... 

—  Mio  zio  è  padrone  di  ricevere  chi  vuole  —  ri- 
spose il  principe.  —  Adesso  i  tempi  sono  mutati,  e 
non  si  posson  fare  tante  difficoltà....  È  quel  che  dicevo 
anche  a  mia  moglie....  —  E  voltati  i  tacchi,  stava  per 
andarsene,  quando  la  voce  di  donna  Ferdinanda,  che 
sopravveniva,  lo  fece  fermare.  La  zitellona,  più  gialla 
del  solito,  sudava  fiele,  con  una  ciera  arcigna  e  dura 
da    mettere    spavento. 

—  Dunque  è  vero  ?  —  domandò  a  denti  stretti, 
senza   neppure   accorgersi  di  donna   Graziella. 

—  Me  r  ha   detto  lui  stesso,  —  rispose  il   principe. 

—  Dinanzi  alla  cugina   possiamo  parlare Gli   pare 

una  cosa  bellissima,  un  partito  vantaggioso,  un  terno 
al  lotto.... 

—  E  tu  non  gli  hai  detto  nulla,  tu  ? 

—  Io  ?  Gli  ho  detto  che  dovrebbe  tornare  nostra 
madre  dall'altro  mondo,  per  sentire  una  cosa  simile  ! 
per  vedere  ciò  che  succede  in  questa  casa  !  in  qual 
modo  si  rispettano  le  sue  volontà!...  Questo  gli  ho 
detto;  ma  è  lo  stesso  che  dirlo  al  muro Vostra  Ec- 
cellenza   sa   come    siamo   fatti,    in   famiglia Ma   la 

colpa  non  è  dello  zio —  Se  Lucrezia  non  avesse  dato 
retta  a  quel  bardassa,  crede  Vostra  Eccellenza  che 
le  cose  sarebbero  arrivate  a  tanto  ?  I  Giulente  sono 
stati  sempre  presuntuosi,  hanno  avuto  sempre  la  sma- 
nia di  giocare  a  pari  con  tutti;  ma  un'idea  simile  non 
sarebbe  loro  passata  pel  capo,  senza  la  stramberia 
di   mia  sorella.... 

La  principessa  non  fiatava,  donna  Graziella  non  par- 
lava  noppur   lei,    ma   guardando    ora    il    principe   ora 


—  26o  

donna  Ferdinanda  scrollava  il  capo,  come  per  dire  che 
era  cosi,  proprio  così.  La  zitellona  si  mordicchiava 
le  labbra  sottili,  torcendo  il  grifo,  fiutando  l'aria  con 
le   narici  dischiuse. 

—  Se.  mia  sorella  non  fosse  stravagante  - —  conti- 
nuava il  principe,  • —  non  penserebbe  a  maritarsi,  con 
quella  salute  ;  non  darebbe  retta  a  quel  rompicollo  che 
le  dice  di  volerle  bene  per  vanità,  facendo  il  repubbli- 
cano ;  e  rispetterebbe  invece  i  consigli  di  nostra 
madre,    non  darebbe   motivo   di   dispiacere   a   noi,    non 

si    preparerebbe    tanti    guai Perchè,    speriamo    pure 

che  si  ravveda  e  lo  zio  muti  opinione  ;  ma  se  questo 
matrimonio  dovesse  farsi,  la  prima  sacrificata  sarebbe 
lei!...  Crede  di  trovare  in  casa  di  quella  gente  quel 
che  ha  nella  propria  ?  Crede  che  potranno  andare 
d'accordo,    con  tanta   diversità"  d'educazione  e  di — 

A  un  tratto  comparve  Lucrezia.  Il  principe  tacque 
come  per  incanto;  la  principessa  si  fece  ancora  più 
piccola  sulla  sua  poltrona,  la  cugina  spalancò  meglio 
gli  occhi  e  l'orecchie. 

— ■  Buon  giorno,  zia —  cominciò  la  ragazza;  ma 

donna  Ferdinanda,  levatasi  da  sedere  e  presala  per 
mano,   le  disse  brevemente  : 

— •  Vieni  con  me. 

Passò  di  là  e  chiuse  l'uscio.  La  cugina  che  le  aveva 
accompagnate  con  gli  occhi,  quando  si  voltò  vide  che 
il  principe  era  scomparso  da  un'altra  parte.  Allora, 
rimasta  sola  con  la  principessa,  cominciò  a  dimenarsi 
sulla  sua  seggiola.  Sarebbe  andata  ad  origliare,  se 
avesse  potuto,  se  avesse  osato  farne  proposta  ;  invece 
le  toccava  contenersi  e  chiacchierare,  mentre  udivasi 
tratto  tratto  la  voce  di  donna  Ferdinanda  alzarsi  tanto 
che  le  parole  arrivavano  intere:  «Voglio?  Voglio?... 
Prima   creperai!...    L'avvocato?...    Crepa,   piuttosto!...  » 

—  Santo  Dio,  mi  dispiace  !...  È  una  cosa,  cugina.... 

«  La  vedremo,  ti  dico  !...  »  gridava  donna  Ferdi- 
nanda ;  subito  dopo  la  voce  si  spense;  la  cugina  ri- 
prese : 


201    

—  Lucrezia  dovrebbe  pensare —  dare  ascolto  a  chi 
parla  pel  suo.... 

«Non  vuoi  sentirla,  bestiaccia ?...  »  Queste  parole 
furono  gridate  cosi  forte,  che  la  cugina  e  la  princi- 
pessa tesero  tutt'  e  due  le  orecchie.  Passò  qualche 
minuto  di  silenzio  profondo;  di  botto,  s'udì  il  runnore 
d'una  seggiola  rovesciata  e  subito  dopo  quello  secco 
e  brusco  di  un  violento  ceffone.  La  principessa  levossi 
in  piedi,  giungendo  le  mani;  la  cugina  corse  all'uscio 
ad  origliare.  Più  nulla  :  né  voci,  né  pianto.  Donna 
Ferdinanda  ricomparve  sola  e  venne  a  sedersi  tran- 
quillamente vicino  alla  nipote,  stirandosi  la  palma  della 
mano  arrossita.  Parlò  del  più  e  del  meno,  volle  sapere 
che  cosa  avevano  a  desinare  e  domandò  notizie  di  Te- 
resina,  che  giusto  quel  giorno  era  a  San  Placido,  dalla 
zia  Crocifissa.  Poi  si  alzò  per  andarsene;  la  cugina 
l'accompagnò. 

Intanto  giù  nell'amministrazione  i  delegati  delle  so- 
cietà, ammessi  in  presenza  del  duca,  erano  stati  da 
costui  invitati  a  sedersi  in  giro;  Giulente  nipote,  pren- 
dendo a  parlare  in  qualità  d'oratore,  diceva  : 

—  Signor  duca,  in  nome  dei  sodalizii  patriottici  il 
Circolo  Nazionale,  1'  Unione  Civica,  la  Lega  Operaia, 
il  Riscatto  Italiano,  i  Figli  della  Nazione,  dei  quali  le 

presento   le    rappresentanze veniamo   a   compiere    il 

mandato  afifiidatoci,  di  pregarla  affinchè  ella  accetti  la 
candidatura  al  Parlamento  Italiano.  Il  paese  ben  co- 
nosce di  chiederle  un  sacrifizio,  e  un  sacrifizio  non 
lieve;  ma  il  patriottismo  di  cui  ella  ha  dato  tante  e 
si  splendide  prove,  ci  dà  guanto  che  anche  una  volta 
vorrà   rispondere   all'appello  del   paese — 

I  tre  o  quattro  popolani  tenevano  il  cappello  con 
tutt'  e  due  le  mani,  stretto  come  se  qualcuno  volesse 
portarlo- loro  via;  Giulente  zio  guardava  per  terra.  II 
duca,  finito  il  discorsetto  del  giovane,  rispose,  cer- 
cando le  parole  una  dopo  l'altra,   con  voce  strozzata  : 

—  Cittadini,    sono   confuso e    vi   ringrazio,    vera- 


202    

mente —    Sono   stato  felice orgoglioso  anzi  direi..., 

di  aver  potuto  contribuire,  come  ho  potuto,  al  riscatto 
nazionale —  e  della  grand'opera  dell'unificazione  della 
nazione....  Ma,  veramente,  ciò  che  voi  mi  doman- 
date—  è  superiore  alle  mie  povere  forze È  un  man- 
dato—  Permettete!...  —  soggiunse  con  altro  tono 
di  voce,  vedendo  far  gesti  di  diniego  —  che  non  saprei 
come     disimpegnarlo....    al    quale    è   d'uopo     attitudini 

speciali  che  io  non  possiedo E  non  vi  mancheranno 

patriotti  che  assai  meglio  di  me potranno  rispon- 
dere agli  interessi della  tutela  degli  interessi del 

nostro  paese  ! 

— •  Perdoni  !  —  riprese  il  giovanotto.  —  Noi  ap- 
prezziamo il  delicato  sentimento  che  le  fa  dire  cosi  : 
la  sua  modestia  non  le  poteva  dettare  diversa  risposta. 
Ma  della  capacità  di  lei  dev'esser  giudice  —  perdoni  ! 

—  lo  stesso  paese.  Se  ella  avesse  altre  ragioni  per 
rifiutare,  ragioni  private  o  d'affari,  noi  e'  inchine- 
remmo, non  potendo  permettere  che  il  suo  sacrificio 
vada  troppo  oltre.  Ma  se  1'  unica  obbiezione  consiste 
nella  sua  incapacità,  ci  permetta  di  dirle  che  non 
tocca  a  lei  riconoscere   se  è  capace  o  pur  no  ! 

Tacendo  Giulente,  il  sarto  Belila,  dei  Figli  della 
Nazione,   disse  : 

—  Duca,   l'operaio  vuole  a  Vostra  Eccellenza Ci 

sono  tanti  che  brigano  il  voto,  ma  noi  non  ci  abbiamo 
fiducia.  Vogliamo  un  buon  patriotta  e  un  signore  come 
Vostra  Eccellenza — 

Allora,  rivolto  ai  compagni,  Giulente  zio  disse,  con 
tono  di   bonarietà   scherzosa,  accarezzandosi  la  barba  : 

—  Non  abbiate  paura:  il  duca  vuol  farsi  pregare 

— ■  Farmi  pregare?  —  esclamò  il  candidato,  ridendo. 

—  Mi  prendete  forse  per  un  dilettante  di  pianoforte  ? 
Tutti    sorrisero    e    il    ghiaccio    si    ruppe.    Smessa    la 

dignità  grave  e  il  linguaggio  fiorito  dell'ambasceria, 
ognuno  disse  la  sua,  in  dialetto,  alla  buona,  per  in- 
durre il  duca  acl  accettare.  Sul  nome  di  lui  si  sareb- 
bero  mossi    d'accordo;    in   caso   di    rifiuto,    i   voti   si   sa- 


—    203    — 

rebbero  sperperati  sopra  tre  o  quattro  persone;  e 
poiché  era  quella  la  prima  elezione  alla  quale  chiama- 
vasi  il  paese,  bisognava  che  essa  riuscisse  l'afferma- 
zione unanime  della  volontà  del  collegio.  Questo  ri- 
sultato non  poteva  ottenersi  se  non  per  mezzo  dell'ac- 
cettazione del  duca  ;  dinanzi  a  lui  tutti  gli  altri  si 
sarebbero  ritirati;  il  suo  rifiuto  avrebbe  fatto  pullulare 
altre  ambizioncelle  di  patriotti  dell'  ultim'ora.  A  quel- 
r  insistenza,   il  duca  esclamava: 

• — ■  Signori  miei  !...  mi  confondete  !...  Siete  troppo 
buoni....   Non  so  che  rispondere!... 

—  Risponda  si —  accetti!...  Ci  vuol  tanto?...  Se 
lo  vogliamo  ! 

— ■  Ma  io  non  sono  adatto Sento  tutta  la  respon- 
sabilità del  mandato —  Non  si  scherza!  Altro  è  dare 
qualche  consiglio  in  Municipio,  confortato  da  tutti  voi  ; 
altro   è   sedere  tra  i   rappresentanti   del    Parlamento!... 

— •  Signori  miei,  —  fece  a  un  tratto  Giulente  zio, 
mettendo  fine  al  cortese  contrasto.  —  Sapete  che  vi 
dico?  La  nostra  commissione  è  compita:  il  duca  sa 
qual  è  il  desiderio  di  tutti;  per  ora  egli  non  ci  dice 
né  si  né  no;  lasciamo  che  ci  dorma  sopra:  domani, 
dopo  domani,  quando  avrà  ben  ponderato,  quando  si 
sarà  consigliato  con  i  suoi  amici,  ci  darà  una  risposta, 
e  speriamo  che  sarà  la  desiderata 

—  Ecco!  Grazie,  cosi —  —  rispose  il  duca.  —  Be- 
nissimo; vi  prometto  che  ci  penserò,  che  farò  il  pos- 
sibile     Ma    intanto   grazie    a    tutti  !    Ringraziate    per 

me  le  società;  verrò  poi  io  stesso  a  fare  il  mio  do- 
vere !... 

Egli  li  trattenne  ancora,  discorrendo  delle  notizie  -^ 
del  giorno,  interessandosi  alla  cosa  pubblica,  toccando 
di  sfuggita  i  provvedimenti  che  bisognava  reclamare 
dal  governo  di  Torino  pel  bene  del  paese,  per  il  mi- 
gliore assestamento  del  nuovo  regime.  Prese  da  un 
cassetto  della  scrivania  una  scatola  di  sigari  :  sigari 
d'Avana,  color  d'oro,  dolci  e  profumati,  e  ne  fece 
larga    distribuzione,    stringendo    la    mano    a    tutti,    ma 


—  264  — 

più  forte  ai  due  Giulente.  Il  domani,  l'Italia  Risorta 
portava  un  articolo  di  fondo  di  Benedetto  sulle  immi- 
nenti elezioni,  nel  quale  era  detto  :  «  Due  soltanto  i 
criterii  ai  quali  possono  ispirarsi  i  votanti  :  l' inteme- 
rato patriottismo  che  sia  arra  dell'  italianità  dell'eletto 
—  la  cospicuità  della  posizione  sociale  che  gli  per- 
metta svolgere  la  propria  missione  con  queir  indipen- 
denza che  dà  guanto  di  disinteresse  e  di  sincerità.  Ora 
allorquando  il  paese  ha  la  fortuna  di  possedere  un 
Uomo  che  risponde  al  nome  di  duca  Gaspare  Uzeda 
d'  Oragua,  noi  crediamo  che  ogni  discussione  si  riduca 
un  fuor  d'opera,  e  che  tutti  i  voti  dei  cittadini,  giu- 
staimente  gelosi  del  bene  pubblico,  debbano  concen- 
trarsi sul   nome   dell'  illustre    Patrizio  !  » 

La  gran  maggioranza  del  collegio  era  per  lui  e  nel 
coro  degli  adepti  le  voci  discordi  rimanevano  soffocate. 
I  pili  infervorati  erano  i  popolani,  gli  operai,  la 
Guardia  nazionale,  la  gente  spicciola  che  non  godeva 
del  voto,  ma  trascinava  con  sé  i  votanti.  Se  qualcuno 
tentava  addurre  argomenti  contro  quella  candidatura, 
era  subito  ridotto  al  silenzio.  Gli  Uzeda  erano  tutti 
borbonici  fin  sopra  i  capelli  ?  Tanto  maggior  merito 
da  parte  del  duca  nell'aver  abbracciato  a  dispetto 
della  parentela  la  fede  liberale  !  Al  Quarantotto  egli 
non  aveva  preso  un  partito  ?  Ma  non  aveva  tradito, 
come  tant'altri  !...  Però  quelle  voci  parevano  ridotte 
al  silenzio,  e  risorgevano  a  un  tratto  piìi  insistenti. 
Fin  dall'estate,  fin  da  quando  i  Napolitani  erano  an- 
dati via,  di  tanto  in  tanto  si  trovavano  attaccati  alle 
cantonate  o  circolavano  pei  caffè  e  le  farmacie  certi 
fogli  anonimi  dove  si  leggevano  brutte  notizie,  giu- 
dizi! inquietanti,  oscure  minaccie;  questa  roba  era  di- 
venuta pitj  rara,  ma  adesso  ricominciava  a  circolare 
e  conteneva,  oltre  che  funesti  pronostici  sull'avvenire 
della  rivoluzione,  allusioni  maligne  contro  le  persone 
piij  in  veduta,  e  specialmente  contro  il  duca.  Erano 
poche  parole,  in  forma  dubitativa  o  interrogativa,  ma 
trovavasi   sempre  qualcuno  che  le   spiegava.    Che  cosa 


—  205  — 

aveva  fatto  il  Patriotta  nella  giornata  del  31  maggio? 
S'era  nascosto  a  San  Nicola,  diceva  il  commento. 
E  il  cannocchiale  del  Quarantotto  ?  Quello  col  quale 
s'era  goduto  l'attacco  e  l' incendio,  attorniato  dai  sol- 
dati di  Ferdinando  II  !  E  le  visite  all'Intendente  ?  Per 
trovarsi  dalla  parte  del  manico,  se  alla  rivoluzione 
toccavano  colpi  di  granata — 

Il  duca,  a  cui  i  Giulente  avevano  tenuto  nascosti 
quegli  attacchi,  ordinando  perfino  alle  guardie  nazio- 
nali di  non  presentare  al  maggiore  quei  manifesti 
quando  li  spiccicavano  dai  muri,  cominciò  a  chiederne 
notizie,  insistette  per  leggerli.  Impallidì  un  poco  ve- 
dendo il  suo  nome,  percorrendo  rapidamente  le  frasi 
in  cui  si  parlava  di  lui;  ma  non  disse  nulla. 

—  E  non  poter  sapere  da  qual  mano  vengono  !  — 
esclamava  Benedetto.  • —  Non  poter  dare  una  buona 
lezione  a  questi  vigliacchi  ! 

—  Che  possiamo  farci  !  —  rispose  allora  l'offeso.  — 
Sono    i    piccoli    inconvenienti    delle    rivoluzioni   e    della 

libertà.  Ma  la  libertà  corregge  sé  stessa Non  ve  ne 

date    pensiero — 

Però,  appena  quei  due  se  ne  furono  andati,  egli 
si  mise  il  cappello  in  capo  e  salì  difilato  a  San  Nicola, 
dove   chiese   del   Priore   don    Lodovico. 

—  Guarda  che  tuo  zio,  —  gli  disse  tranquillamente 
—  giuoca  a  un  brutto  giuoco.  I  cartelli  anonimi  ven- 
gono da  lui  e  dalla  sua  comarca.  Che  egli  se  la  prenda 
con  me,  non  m' importa  ;  mi  giova,  anzi,  procuran- 
domi maggiori  simpatie  ;  ma  se  continua  a  prendersela 
con  tutti,  a  sparger  sospetti  e  notizie  bugiarde,  potrà 
toccargli  qualche  dispiacere.  Te  l'avverto,  perchè  tu 
che  gli  stai  vicino  glielo  faccia  sapere.  A  lungo  an- 
dare tutto  si  scopre Badi  ! 

Il  Priore  non  ne  fiatò  con  don  Blasco,  ma  riferì  ogni 
cosa  all'Abate  perchè  questi  ne  tenesse  parola  con 
qualcuno  degli  amici  del  monaco.  Padre  Galvagno  fu 
incaricato  della  commissione;  all'udire  quel  discorso, 
don  Blasco  mutò  di  colore. 


—  266  — 

—  Dite  a  me  ?  —  esclamò.  —  Siete  impazziti,  voi 
e  chi  vi  manda.  Dovete  sapere  che  se  io  ho  da  dire 
ciò  che  sento,  lo  dico  sul  muso  a  chi  si  sia,  occorrendo 
anche  a  Francesco  II,  che  Dio  sempre  feliciti  !  —  e 
fece  un  inchino  profondo.   —  Figuratevi  un  po'   se  ho 

paura  di  questa  manetta  di  briganti  e  carognuoli  e 

—  e  qui  ricominciò  a  sfilare  una  litania  più  terribile 
delle  solite. 

Ma  i  cartelli  anonimi  divennero  da  quel  giorno  più 
rari,  e  a  poco  a  poco  cessarono.  Il  monaco,  a  cui  la 
bile  quasi  schizzava  dagli  occhi,  sfogavasi  in  casa  del 
principe  —  quando  il  duca  non  c'era  —  dicendo  cose 
enormi  contro  il  fratello,  insultandolo,  infamandolo, 
rovesciandogli  addosso  epiteti  di  novissimo  conio,  a 
petto  ai  quali  quelli  scambiati  tra  facchini  e  donne 
di  mal  affare  erano  complimenti  e  zuccherini.  E  la 
sua  rabbia  aveva  un  bersaglio  più  vicino  e  più  diretto 
nella  nipote  Lucrezia.  Questa  vipera  osava  ancora  pen- 
sare a  quella  carogna!  L'avevano  allevata  perchè  li 
mordesse  tutti  quanti,  insozzando  il  nome  degli  Uzeda, 
facendone   ludibrio,    sposando   quella  carogna  ! 

—  Ah,   razza  putrida  e  schifosa  !   Ah,   porco  Viceré 

che   la   creasti  !...    Meglio  sarebbe   stato (mettere  al 

mondo  soltanto  bastardi,  era  1'  idea  espressa  dalle 
turpi  parole)  piuttosto  che  generare  questo  nipotame 
sozzo  e  puzzolente  !... 

Furono  quelli  i  giorni  più  tremendi  per  Lucrezia. 
Erano  tutti  scatenati  contro  di  lei  :  o  non  le  rivolge- 
vano la  parola,  o  la  colmavano  d' improperii  ;  donna 
Ferdinanda  l'afferrava  pel  braccio  dandole  pizzicotti 
che  portavano  via  la  pelle  ;  don  Blasco  un  giorno  per 
miracolo  non  se  la  messe  sotto.  Pallida  e  muta,  ella 
lasciava  passare  la  tempesta,  chinava  gli  occhi,  non 
piangeva,  non  si  lagnava,  non  si  confidava  a  nessuno, 
non  chiedeva  aiuto  allo  zio  duca  che  sapeva  amico 
di  Benedetto  e  fautore  del  matrimonio,  non  diceva" 
una   parola  dei  suoi  tormenti  a   Ferdinando  che  veniva 


J 


—  267  — 

al  palazzo  unicamente  per  lei,  lasciando  in  asso  le  sue 
bestie  imbalsamate  e  da  imbalsamare.  Soltanto  quando 
si  chiudeva  in  camera  con  Vanna,  per  avere  le  lettere 
del  g-iovane,  le  diceva,  con  un  sorriso  freddo,  a  fior 
di  labbro  : 

—  È   inutile!   Lo   sposerò!... 

Egli,  frattanto,  continuava  a  propugnare  l'elezione 
del  duca,  con  la  parola  in  mezzo  ai  Circoli,  con  gli 
scritti  neWItalia  Risorta  e  nelle  stampe  volanti  inti- 
tolate :  Chi  è  il  duca  d'Oragua,  Un  Patrizio  patriotta, 
e  via  discorrendo.  «  Fin  dal  1848  1'  insigne  gentiluomo 
schierossi  contro  il  Governo  del  Re  Bomba,  tanto  mag- 
giore il  suo  merito  in  quanto  egli  non  aveva  da  rim- 
proverargli torti   fatti  a  lui  od  ai   suoi,   ma  al  popolo  "^ 

intero Nel    lungo    periodo    di    preparazione    noi    lo 

vediamo  a  Palermo,  intrinseco  dei  più  chiari  patriotti 
portare  il  contributo  della  sua^  attività  e  delle  sue  so- 
stanze alla  causa  nazionale.  Ai  primordii  del  movi- 
mento liberatore,  corre  in  patria,  poiché  egli  vuol  parte 
dei  dolori  e  delle  gioie  dei  suoi  amati  concittadini.  Qui 
è  largo  del  suo  prezioso  ausilio  ai  liberali,  e  fa  sentire 
ai  rappresentanti  dell'esecrato  Borbone  la  voce  che 
ormai  lo  condanna.  Egli  versa  il  suo  contributo  per  la 
formazione  delle  squadre  volontarie,  sussidia  quanti 
liberali  perseguitati  soffrono^  nell'  indigenza.  Ritirati 
gli  sgherri  di  Francesco,  accorre  tra  i  primi  a  regolare 
il  governo  della  città,  si  ascrive  tra  le  fila  della  nazio- 
nale milizia,  palladio  di  libertà;  acquista  per  essa  di- 
vise, munizioni  e  non  pochi  brandi.  Apre  la  sua  casa 
avita  a  Bixio  ed  a  Menotti,  rende  ai  liberatori  gli  onori 
della  città.  iSoUecitato  a  rappresentare  il  primo  collegio 
al  Parlamento,  modestamente  declina  l'offerta,  volendo 
esser  primo  ai  sacrifici,  ultimo  agli  onori.  Ma  il  Paese 
lo  vuole.  La  sorella  Palermo  ce  lo  invidia.  E  chi  porta 
il  nome  di  Duca  d'Oragua  non  può  sottrarsi  alla  vo- 
lontà del   Paese.    Egli  sarà  il   nostro  deputato  !  » 

Il  duca,  da  canto  suo,  riparlava  al  principe  del  ma- 
trimonio Idi   Lucrezia,   tesseva  l'elogio  del  giovane,   as- 


—  268  — 

serica  che  era  un  partito  da  non  lasciar  sfug-gire, 
perchè  i  Giulente  avevano  quel  solo  figliuolo  al  quale 
sarebbero    andate    tutte   le   loro    sostanze. 

—  Conviene  lanche  per  un'altra  ragione,  —  spie- 
gava al  nipote,  —  che  non  baderanno  alla  dote — 

— .  Che.  ci  badino  o  no,  che  cosa  m'importa?  — 
rispondeva  il  principe.  —  Lucrezia  ha  quello  che  ha  ; 
Vostra   Eccellenza   crede  che   io  glielo  voglia   negare? 

—  Chi  ha  detto  questo?  Dico  che  si  contentano  di 
quello   che  ha — 

—  Sono  affari  che  non  mi  riguardano.  Sarebbe  cu- 
rioso che  io  .impedissi  a  mia  sorella  di  fare  quel  che  le 
aggrada,  alla  sua  età  !  La  volontà  di  nostra  madre 
forse  poteva  essere  che  restasse  in  casa;  ma  nostra 
madre  è  all'altro  mondo;   e  quando  pure  vivesse.... 

Egli  insisteva  spesso  su  iquesto  _  tono,  ripeteva  che 
sua  sorella  era  libera  di  prendersi  Giulente,  ma  le  pa- 
role gli  cascavano  di  /bocca,  troncava  a  mezzo  il  di- 
scorso, come  se  avesse  dell'altro  da  dire,  e  tacesse 
poi  per  prudenza,  per  convenienza,  >per  non  parere 
ostinato.  Tanto  che  il  duca  un  giorno  gli  domandò  : 

—  Ma  parla  chiaro  !  Sei  contrario  a  questo  matri- 
monio ? 

—  Io?...  Quando  è  approvato  da  Vostra  Eccel- 
lenza !... 

— ■  Giulente  non  ti  piace  ? 

—  Ha  da  piacere  a  me?...  È  un  buon  giovane; 
basta  saperlo  amico  di  Vostra  Eccellenza —  Discreta- 
mente agiato,  anche....  Io  non  ho  i  pregiudizii  della 
zia    Ferdinanda   e   di   don    Blasco  ;    i   tempi    oggi    sono 

mutati Vostra   Eccellenza  si   persuada  pure   che   se 

Lucrezia   crede    di   poter  essere   felice  con   lui,   io   non 

mi  opporrò Però  è  giusto  che  neppur  lei  mi  cerchi 

Hte!... 

— •  Perchè    dovrebbe   cercartela?... 

—  Perchè?...  Perchè?...  Vostra  Eccellenza  non  sa 
nulla,  era  a  Palermo  in  quel  tempo!...  —  E  allora  gli 
confidò  i   di.spiaceri  che  la  sorella  gli  aveva  dati,   com- 


—  269  — 

plollando  con  Chiara,  col  marchese,  con  Ferdinando, 
aocampando  diritti,  interpretando  a  modo  suo  la  legge, 
accusandolo  perfino  di  volerla  spogliare  con  tutti  gli 
altri.  —  Adesso,  se  va  a  marito,  bisognerà  finirla  con 

tutta  questa  storia E  Vostra   Eccellenza   vedrà  che 

cominceranno  da   capo  ! 

—  Nossignore  !  —  rispose  il  duca,  fermamente.  — 
Il  matrimonio  si  farà,  ma  prendo  impegno  che  tu  non 
sarai  molestato. 

Già  Padre  Camillo  aveva  tenuto  un  simile  discorso 
alla  ragazza.  Aveva  cominciato  a  dirle  che  quell'unione 
era  avversata  da  tutti,  in  famiglia,  non  perchè  presu- 
mevano che  restasse  zitella  —  quantunque!...  benché!... 
—  ma  per  la  ragione  che  non  era  un  .partito  conve- 
niente. La  considerazione  della  nascita  aveva  certo  la 
sua  importanza  ;  non  tanto  per  sé  stessa  quanto  per 
quella  della  educazione,,  dei  principii  morali  e  religiosi 
che  implicava.  Giulente  era  forse  un  buon  giovane  — 
non  voleva  infamarlo,  senza  conoscerlo  —  ma  profes- 
sava dottrine  pericolose,  parteggiava  pei  nemici  del- 
l'ordine (sociale,  del  potere  legittimo,  della  Santa 
Chiesa  ;  e  non  si  contentava  di  far  ciò  a  parole,  ma 
veniva  agli  atti.  E  una  Uzeda,  una  nipote  della  beata 
Ximena,  una  figlia  del  principe  di  Francalanza,  avrebbe 
sposato  costui  ?  Come  era  possibile  che  s' intendes- 
sero ?  L'amore,  l'accordo  poteva  regnare  fra  loro? 
E  poi,  lasciamo  star  questo,  ma  Giulente,  benché  fa- 
coltoso, l'avrebbe  mantenuta  con  quel  lusso  al  quale 
era  stata  avvezza?  Aveva  idee  ed  abitudini  signorili?... 
Dunque,  la  famiglia  non  si  opponeva  per  puro  ca- 
priccio, ma  per  ragioni  valide  e  gravi.  Però,  dice,  ella 
stessa  doveva  esser  miglior^  giudice  di  tutto  questo  : 
poteva  forse  sentirsi  animata  da  tanto  amore  da  an- 
dare incontro  anche  ai  disagi  materiali  dell'esistenza, 
da  sperare  di  poter  convertire  il  giovane.  Opera  meri- 
toria, zelo  encomiabile;  ma  la  quistione  pri.ncipale, 
unica,  era  che  senza  l'approvazione,  il  beneplacito,  la 
benedizione   di  quelli  che   rappresentavano  le  felici   me- 


morie  di  suo  padre  e  di  sua  madre  non  poteva  sperar 
pace  e  prosperità. 

Lucrezia   non  aveva  risposto  una   sillaba. 

—  Che  cosa  vogliono  —  disse,  quando  il  confessore 
tacque  —  per  lasciarmelo  sposare  ?  Dicano  ciò  che 
vogliono  ;    farò   come    vorranno. 

— ■  Ne  ero  sicuro  !  —  esclamò  il  Domenicano  con 
accento  di  gioioso  trionfo.  —  Ero  certo  che  una  buona 
ragazza  come  te  non  avrebbe  risposto  altrimenti.  E  il 
principe  che  ti  vuol  bene,  ti  sosterrà  !  Mettetevi  d'ac- 
cordo, siate  sempre  uniti-:  questo  è  il  vostro  interesse 
reciproco  e  la  consolazione  di  chi   vi  guarda  di  lassij. 

Cosi,  quando  il  duca,  che  non  aveva  ancora  parlato 
con  la  nipote  della  domanda  di  Giulente,  gliela  par- 
tecipò e  le  disse  nel  tempo  stesso  che  Giacomo  desi- 
derava, prima  che  gli  si  desse  una  risposta,  sistemare 
le  quistioni  d' interesse,  Lucrezia  si  dichiarò  pronta. 
Il  principe,  che  aveva  tenuto  molte  conferenze  col  signor 
Marco  ed  era  stato  molti  giorni  chiuso  nello  scrittoio, 
venne  fuori  a  chiedere,  anche  a  nome  del  fratello  cop- 
rede,  che  fosse  presa  come  base  la  divisione  fatta  dalla 
madre,  dimostrandone  con  gran  lusso  di  documenti  e 
di  cifre  la  giustezza;  dimostrando  altresì  che  la  parte 
del  padre  non  era  mai  esistita  fuorché  nella  fantasia 
dello  zio  don  Blasco.  Esistevano  però  le  cambiali  che 
egli  aveva  pagato  ;  sua  sorella  doveva  dunque  soste- 
nere la  sua  parte  in  proporzione  del  legato  :  a  conti 
fatti,  non  le  toccavano  più  di  ottomila  onze.  Lucrezia 
accettò  questa  somma.  Il  testamento  materno  prescri- 
veva poi  che  il  principe  dovesse  pagarle  gli  interessi 
al  cinque  per  cento  ;  ma  nei  cinque  anni  trascorsi  dalla 
morte  della  madre,  non  aveva  egli  mantenuto  la  so- 
rella, di  tutto  punto,  dandole  casa,  vitto,  servizio, 
abiti,  uso  della  carrozza,  ecc.  ecc.  ?  Doveva  egli  so- 
stenere del  proprio  queste  spese  ?  Se  sua  sorella  fosse 
stata  in  bisogno,  certo  egli  l'avrebbe  raccolta  in  casa 
per  l'affetto  che  le  portava,  ricordandosi  che  era  dello 
stesso    sangue.    Ma   ella   aveva   la   sua   roba  :    non    era 


(.luiKjuc  i^inslo  né  ella  stessa  poteva  accettare  clie  per 
cinque  anni  il  fratello  l'avesse  mantenuta.  Rifatto  il 
conto,  gli  interessi  delle  ottomila  onze  rappresenta- 
vano appunto  le  spese  del  mantenimento;  dunque  non 
le  toccava  altro  che  il  capitale.  Lucrezia  disse  ancora 
di  sì.  Tutto  parve  cosi  stabilito,  ma  all'  ultimo  mo- 
mento il  principe  mise  allo  zio  duca  una  nuova  con- 
dizione : 

— .  Io  voglio  regolare  anche  la  situazione  degli  altri 
legittimarli.  Avevano  tutti  ragione,  o  hanno  torto  tutti  : 
non  pare  a  Vostra  Eccellenza  logico  e  giusto?  Giacché 
dobbiamo  metter  mano  alla  carta  bollata,  bisogna 
uscirne  in  una  sola  volta.  Ne  parli  Vostra  Eccellenza 
agli  altri  e  li  metta  d'accordo. 

Chiara  e  il  marchese  non  avevano  le  stesse  ragioni 
per  chinare  il  capo  ai  patti  del  principe,  ma  il  mo- 
mento era  propizio  per  tentar  d'  indurre  anche  questi 
altri  ad  una  transazione,  giacché  non  vivevano  se  non 
dell'attesa  del  figlio,  e  la  gioia  di  cui  l' imminenza  del- 
l'avvenimento li  colmava  era  tale  che  li  disponeva  a 
passar  sopra  ad  ogni  altro  interesse.  Perciò  quando 
il  duca  riferi  loro  che  Lucrezia  si  maritava  ed  aveva 
concluso  la  transazione,  approvarono,  giudicando  sol- 
tanto che  l'affare  degli  interessi  trattenuti  come  com- 
penso delle  spese  di  mantenimento  faceva  poco  onore 
al   principe.   Contenta  lei,   del   resto,   contenti   tutti. 

—  Adesso  dovete  aggiustarvi  anche  voialtri! ■ — 

aggiunse  il  duca,  col  tono  d'affettuosa  imposizione  con- 
sentitogli non  tanto  dalla  qualità  di  zio,  quanto  dallo 
avere  accettato  di  tenere  al  fonte  battesimale  il  na- 
scituro. 

Il  marchese,  scambiata  un'occhiata  con  la  moglie, 
rispose  : 

—  Se   Vostra    Eccellenza   vuole   cosi 

—  Il  conto  di  Chiara  è  naturalmente  lo  stesso  di 
quello  di  Lucrezia;  ma  per  lei  non  c'è  la  questione 
degli  interessi,   e   Giacomo   li   pagherà   fino   all'  ultimo. 

— .  Io  ho  preso  la  mia  cara  Chiara  pel  bene  che  le 


voglio,    e    non     pei   quattrini....     —    e  chinatosi    sulla 
moglie,  Federico  la  baciò  in  fronte. 

—  Ma  il  legato  dello  zio  canonico  ?  l'assegno  ma- 
trimoniale ?  —  rammentò  ella,  per  non  lasciare  sopraf- 
fare il  generoso  marito. 

—  Giacomo  non  intende  riconoscerli,  e  non  so  se 
ha  ragione  o  torto....  Ma  ormai  bisogna  uscirne!  A 
voi,  per  ora,  qualche  migliaio  d'onze  non  fa  niente;  io 
le  compvenserò,   a  suo  tempo,   al  mio  figlioccio!... 

Cosi  fu  concluso,  con  giubilo  immenso  del  marito  e 
della  moglie.  Restava  Ferdinando,  dal  quale  il  prin- 
cipe voleva  le  duemila  onze  della  quota  di  debiti.  Sul- 
l'animo del  Babbeo  Lucrezia  sola  poteva  ;  ella  però, 
invece  di  parlare  col  fratello,  si  mise  a  letto,  rifiutando 
di  veder  gente,  accusando  sofferenze  misteriose.  Il  Bab- 
beo, saputa  la  malattia  della  sorella,  venne  a  trovarla, 
tutti  i  giorni;  ma  Lucrezia  pareva  l'avesse  special- 
mente con  lui.  La  cameriera  le  aveva  detto  ed  ella 
stessa  s'era  accorta  che  Giacomo  la  strozzava;  ma,  per 
vincerla  contro  i  parenti,  sarebbe  passata  sopra  a  ben 
altro.  Adesso  ella  sentiva  il  male  che  preparava  al 
fratello  minore,  il  solo  che  le  volesse  bene,  inducen- 
dolo a  spogliarsi  d' un  poco  della  magra  eredità,  la 
pili  magra  di  tutte  le  porzioni  ;  ma  nella  sua  testa  le 
parti  s' invertivano  :  il  torto  era  di  Ferdinando  che 
non  s' interessava  a  lei,  che  non  le  domandava  che 
cosa  avesse,  che  non  rimoveva  1'  ultimo  ostacolo  alla 
conclusione  del  matrimonio.  Ferdinando  invece  non 
sapeva  nulla  di  nulla,  e  restò  a  bocca  aperta  quando 
il  duca,  per  cavare  una  buona  volta  i  piedi  da  quel 
pecoreccio,  gli  riferi  ogni  cosa. 

—  È  venuto  un  buon  partito  a  tua  sorella...  Bene- 
detto Giulente,  sai,  quel  giovane  tanto  intelligente,  che 
si    è   fatto    tanto  onore.... 

—  Ah,    sì?  Va  bene,   ci  ho  piacere — 

—  Ma  naturalmente  Giacomo  vuol  prima  sistemare 
gì'  interessi,  concludere  la  divisione  rimasta  per  aria. 
Lucrezia  s'è  accordata.  Chiara  anche  lei  ;  però  tuo  fra- 


tello  vuol  definire  la  pendenza  con  te,  una  \olta  che 
è  la  stessa  quistione Questa  è  la  miilattia  di  Lu- 
crezia— 

—  E   perchè   non   me    n'ha   parlato   prima? 

Egli    accorse    al   capezzale    dell'  inferma,    per    dirle  : 

—  Stupida!    T'affliggi    per   questo?     Lo   zio   mi    ha 

narrato  ogni  cosa Se  t'accordi  tu,  non  ho  ragione  di 

accordarmi  anch'io?  Bisognava  dirlo  subito!  Sei  con- 
tenta  cosi?... 

Il  giorno  dell'elezione  era  vicino;  i  due  Giulente,  ma 
più  specialmente  Benedetto,  avevano  scovato  gli  elet- 
tori, compiute  tutte  le  formalità  dell'iscrizione;  mat- 
tina e  sera  veniva  gente  a  trovare  il  duca  per  dichia- 
rargli che  avrebbero  votato  per  lui  :  i  Giulente  non 
mancavano  mai.  La  vigilia  della  votazione,  mentre  ap- 
punto il  candidato  dava  udienza  ai  suoi  fautori,  il 
cameriere  del  marchese  venne  di  corsa  a  chiamare  il 
principe  e  la  principessa,  perchè  Chiara  era  sul  punto 
di  partorire.  Quando  Giacomo  e  Margherita  arrivarono 
in  casa  di  lei,  trovarono  Federico  che  smaniava  come 
un  pazzo,  dall'ansietà,  non  potendo  assistere  la  soffe- 
rente, chiamando  però  a  ogni  tratto  la  cameriera,  la 
cugina  Graziella  o  una  delle  tre  levatrici  che  si  davano 
il  cambio  al  letto  della  partoriente.  Il  principe  restò 
con  lui  e  la  principessa  entrò  nella  camera  di  Chiara. 
Nonostante  il  travaglio  del  parto,  costei  aveva  un'aria 
beata,  sorrideva  tra  due  contorcimenti,  raccomandava 
che    rassicurassero    suo   marito. 

—  Ditegli  che  non  soffro Va'  tu  stessa,  Mar- 
gherita     Ah  !...    Poveretto è  sulle  spine 

Il  suo  desiderio  di  tanti  anni,  il  suo  voto  pili  ar- 
dente, era  dunque  sul  punto  d' esser  conseguito  !  I 
dolori  s'attutivano,  a  quest'  idea;  ella  non  soffriva  quasi 

più   pensando    all'ambascia   del   marito Quando  la 

principessa    tornò    in  camera,    la    levatrice    esclamava  : 

—  Ci    siamo!...    Ci   siamo!... 

— •  Presenta    la   testa?    —   domandò   la    cuo-ina,    che 

De    Roberto.    7    Viceré    -    1  18 


—  274  — 

reggeva  per  le  ascelle  la  marchesa  in  preda  all'  ultima 
crisi. 

—  Non  so...  Coraggio,  signora  marchesa Che  è?... 

A  un  tratto  le  levatrici  impallidirono,  vedendo  di- 
sperse le  speranze  di  ricchi  regali  :  dall'alvo  sangui- 
noso veniva  fuori  un  pezzo  di  carne  informe,  una  cosa 
innominabile,  un  pesce  col  becco,  un  uccello  spiu- 
mato ;  quel  mostro  senza  sesso  aveva  un  occhio  solo, 
tre   specie   di   zampe,    ed   era   ancor   vivo. 

—  Gesij  !   Gesù  !  Gesù  ! 

Chiara,  per  fortuna,  aveva  perduto  i  sensi  appena 
liberata,  la  principessa  che  s'era  aggirata  per  la  ca- 
mera senza  toccar  nulla,  incapace  di  dare  aiuto  alla 
partoriente,  voltava  adesso  il  capo,  dal  disgusto  pro- 
dottole da  quella  vista;  e  le  levatrici,  la  cugina,  la  ca- 
meriera  si   guardavano   costernate,    esclamando  : 

—  E  chi  vuol  dare  la  notizia  al  marito  ! 

Giusto  il  marchese,  non  udendo  più  nulla,  chia- 
mava : 

—  Cugina!...  Donn' Agata  !...  Come  va?...  Cu- 
gina!...   Non  viene   nessuno? 

Fu  donna  Graziella  quella  che  dovette  andargli  in- 
contro e  prepararlo  al  brutto  colpo  : 

—  Cugino,   di    buon'animo!...    Chiara    è   liberata — 

—  È  maschio?...  È  femmina?...  Cugina!...  Perchè 
non  parlate  ? 

—  Fatevi  animo!...  Il  Signore  non  ha  voluto.... 
Chiara  sta  bene;  questo  è  l'importante — 

Il  principe,  entrato  a  vedere  l'aborto  il  cui  unico 
occhio  erasi  spento,  tentò  d'impedire  al  cognato  sma- 
niante  l'entrata  nella  camera  della  moglie;  ma  non  vi 
riusci.  Dinanzi  al  mostro  che  le  levatrici  costernate 
avevano  deposto  sopra  un  mucchio  di  panni,  il  mar- 
chese restò  di  sasso,  portando  le  mani  ai  capelli.  Frat- 
tanto sua  moglie  tornava  in  sensi,  guardava  in  giro 
gli   astanti. 

—  Federico!...  È  maschio?...  —  furon  le  prime  pa- 
role che  spiccicò. 


ÀJ 


—  Stia  zitta  !  —  iiigiunsero  a  una  voce  le  donne, 
mettendosi  dinanzi  all'aborto  iper  impedire  che  lo  scor- 
gesse.   —  Non   le   dite   nulla   per  ora  — 

—  Federico  !    —   chiamava    ancora   la   puerpera. 

—  Chiara!...  Come  stai?  —  esclamò  il  marchese, 
accorrendo.   — ■  Hai   sofferto  molto  ?   Soffri   ancora  ?    ^ 

—  No,   nulla....    Nostro  figlio? 

—  Chiara,  confortati!  È  una  femminetta —  —  an- 
nunziò la  cugina,  accorrendo.  —  Che  importa  !...  È 
tanto  bellina  ! 

—  Peccato!...  —  sospirò  ella.  —  Sei  dolente  per 
questo  ?  —  •domandò  poi  al  marito,  vedendone  la  ciera 
buia. 

—  ÌVIa  no,  no  !...  Tutti  i  figliuoli  sono  cari  lo 
stesso — 

- — -  E  dov'è?...  Portatela  qui —  —  fece  ella,  con 
un   nuovo   sospiro. 

In  quello  stesso  punto  la  cameriera,  dietro  ordine 
della  principessa,  portava  via  il  feto  avvolto  in  un  pan- 
no,  cercando   di   non   farsi   scorgere. 

—  È  lì  !...  —  esclamò  Chiara.  —  Voglio  vederla — 
Allora  una  grande  confusione  ammutolì  tutti  quanti. 

Federico,  accarezzandole  le  mani,  baciandola  in  fronte, 
le    disse  : 

— ■  Coraggio,    figlia   mia!...    Fatti   coraggio Vedi 

che  anch'  io  mi   rassegno  !    Il   Signore  non  volle.... 

—  È   morta  ?  —  domandò  ella,   impallidendo. 

—  No è   nata    morta Coraggio,    poveretta  !... 

Purché  tu  stia  bene il  resto  è  nulla  :  sia  fatta  la  vo- 
lontà di  Dio. 

—  Voglio  vederla. 

Tutti  la  circondarono,  insistendo  per  dissuaderla  da 
quel  proposito  :' giacché  era  morta!  perchè  angustiarsi 
a  quella  vista?  bisognava  che  ella  s'avesse  riguardo; 
l'importante   adesso  era  la   salute  di  lei! 

—  Voglio   vederla,   —  ripetè  seccamente. 
Bisognò  contentarla.    Non   pianse,   non  provò  racca- 
priccio nell'esaminare  quell'abominio;  disse  al  marito: 


—  276  — 

—  Era  tuo  fig-^lio!... 

E  ordinò  che  .non  1j  portassero  via,  pel  momento. 
Arrivarono  frattanto  gli  altri  parenti,  don  Eugenio, 
donna  Ferdinanda,  la  duchessa  Radali,  i  cugini  del 
marchese  ;  tutti  si  condolevano,  ma  auguravano  miglior 
fortuna  per  la  prossima  volta.  Arrivò  anche  il  duca, 
verso  sera,  a  fare  i  suoi  convenevoli  ;  ma  restò  poco, 
poiché  i  Giulente  lo  aspettavano  g^iù,  per  riferirgli  le 
ulthne  notizie  intorno  alle  disposizioni  del  collegio  :  Be- 
nedetto pareva  Garibaldi  quando  disse  a  Bixio,  «  Nino, 
domani   a  Palermo!...» 

Il  domani  infatti  egli  corse  su,  e  giù  per  le  sezioni, 
per  le  case  dei  votanti,  sollecitando  la  formazione  dei 
seggi,  interpretando  la  leg-ge  che  riusciva  nuova  a  tutti, 
incitando  la  gente  a  deporre  nell'urna  il  nome  d'Oragua. 
Frattanto  in  casa  di  Chiara,  quasi  in  segno  di  protesta 
contro  quell'ultima  pazzia  del  duca,  s'erano  riuniti  tutti 
gli  Uzeda  borbonici,  ad  eccezione  di  don  Blasco  il  quale 
dopo  la  transazione  dei  nipoti,  la  conclusione  del  ma- 
trimonio di  Lucrezia  e  la  candidatura  del  fratello,  pa- 
reva veramente  impazzito.  La  marchesa  stava  discre- 
tamente in  salute  e  sopportava  anche  con  sufficiente 
rassegnazione  la  sua  disgrazia  ;  il  marchese  non  la- 
sciava il  capezzale  della  puerpera  e  si  chinava  a  par- 
larle all'orecchio:  nessuno  dei  due  ascoltava  i  motti 
feroci  di  donna  Ferdinanda  contro  il  fratello,  i  ragio- 
namenti storico-critici  che  il  cavaliere  teneva  al  prin- 
cipino, venuto  anche  lui  a  far  visita  alla  zia  col  Priore 
e  Fra  Carmelo.  Chiara  aveva  mandato  a  chiamare  Fer- 
dinando, e  lo  aspettava  con  viva  impazienza  :  quando 
egli  apparve  se  lo  fece  venire  accanto  e  gli  parlò  piano, 
lungamente.  Poi  chiamò  la  cameriera,  e  cavato  di 
sotto  al  guanciale  un  mazzo  di  chiavi,  glielo  diede, 
ordinandole  in  mezzo  al  frastuono  della  conversazione  : 

—  Sai  la  boccia  dello  strutto,  nel  riposto?...  la 
grande?...  Prendila,  vuotala  e  nettala  bene —  Ma  bene, 
mi   raccomando  !   Se  c'è  acqua  calda  è  meglio. 

Pront.'i  che  fu  la  boccia,  Ferdinando  andò  a  vederla. 


—  ^n  — 

—  Va  bene,  —  disse  ;  —  adesso  occorre  Io  spirito. 
La  marchesa  ordinò  che  andassero  a  comprarlo  ;   e 

allora  in  mézzo  al  cerchio  dei  parenti  stupefatti,  fu  re- 
cato il  feto,  giallo  come  di  cera,  che  Ferdinando  lavò, 
asciug'ò  e  introdusse  poi  nella  boccia  dove  versò  lo  spi- 
rito e  adattò  il  tappo. 

—  C'è  un  po'  di  sego?...   di  creta?... 

— ■  Ho  il  mio. cerotto,  se  ti  serve —  disse  il  mar- 
chese. 

E  del  cerotto  che  appestava  la  camera,  Ferdinando 
spalino  r  incastratura  del  tappo,  perchè  non  entrasse 
aria  nel  recipiente.  La  marchesa  seguiva  attentamente 
l'operazione;  Consalvo,  con  gli  occhi  spalancati,  guar- 
dava quel  pezzo  di  grasso  diguazzante  nello  spirito  ; 
a  un  tratto  disse  a  don  Lodovico  : 

—  Zio,    non  pare  la  capra  del   Museo  ? 

Al  Museo  dei  Benedettini  c'era  infatti  un  altro  aborto 
animalesco,  un  otricciuolo  con  le  zampe,  una  vescica 
sconciamente  membrificata  ;  ma  il  parto  di  Chiara  era 
più  orribile.  Don  Lodovico  non  rispose  ;  fatta  una 
breve  visita  alla  sorella,  andò  via.  Anche  gli  altri  a 
poco  a  poco  se  ne  andarono,  lasciando  Chiara  sola  col 
marito  a  guardar  soddisfatta  quel  pezzo  anatomico, 
il  prodotto  più  fresco  della  razza  dei  Viceré.  Premeva 
al  principe  di  tornare  dallo  zio  duqa  ;  per  fargli  cosa 
grata,  prese  con  sé  il  figliuolo,  quantunque  fosse  l'ora 
che  il  ragazzo  doveva  tornare  al  convento.  La  famiglia 
era  appena  arrivata  al  palazzo,  che  s'udirono  di  lon- 
tano suoni  confusi  :  battimani,  grida,  squilli  di  tromba 
e  colpi  di  gran  cassa.  Una  dimostrazione  di  cittadini 
d'ogni  classe- con  bandiere  e  musica,  capitanata  dai 
Giulente,  veniva  ad  acclamare  il  primo  deputato  del 
collegio,  r  insigne  patriotta.  Il  portinaio,  vedendo  ar- 
rivare quella  turba  vociferante,  fece  per  chiudere  il 
portone  ;  ma  Baldassarre,  mandato  giù  dal  duca, 
gì' ingiunse  di  lasciarlo  spalancato.  La  folla  gridava: 
((Viva  il  duca  d'Oragua  !  Viva  il  nostro  deputato  !  » 
mentre   la   banda   sonava   l' inno   di   Garibaldi   e   alcuni 


monelli,  animati  dalla  musica,  facevano  capriole.  I 
Giulente,  il  sindaco,  altri  otto  o  dieci  cittadini  pitli  rag- 
guardevoli parlamentavano  con  Baldassarre,  volendo 
salire  a  complimentare  l'eletto  del  popolo;  poiché  il 
duca  si  trovava  su,  nella  Sala  Gialla,  il  maestro  di  casa 
ve  li  accompagnò  :  Benedetto  Giulente,  appena  entrato, 
vide  Lucrezia  accanto  alla  principessa,  ancora  col  cap- 
pellino in  capo.  Il  duca,  fattosi  incontro  ai  cittadini, 
strinse  la  mano  a  tutti,  prodigando  ringraziamenti, 
mentre  dalla  via  veniva  il  frastuono  delle  grida  e  degli 
applausi,  e  il  principe,  visto  nel  crocchio  un  iettatore, 
impallidiva  mormorando  :  u  Salute  a  noi  !  Salute  a 
noi  !  »  Fu  il  nuovo  eletto,  pertanto,  quello  che  presentò 
Giulente  alle  nipoti.  Il  giovane  s' inchinò,  esclamando 
raggiante  : 

— •  Signora  principessa,  signorina,  sono  felice  e  su- 
perbo di  presentar  loro  la  prima  volta  i  miei  omaggi 
in  questo  fausto  giorno  che  è  di  festa  per  la  loro  casa 
come   per    tutto    il    paese — 

—  Viva  Oragua!...  Fuori  il  duca!...  \'iva  il  depu- 
tato !  —  urlavano  giù. 

E  Benedetto,  quasi  fosse  già  in  casa  sua,  spalanco 
il  balcone.  Allora  il  duca  impallidì  peggio  del  nipote  : 
egli  doveva  "adesso  parlare  alla  folla,  aprire  finalmente 
il  becco,  dire  qualcosa.  Stringendosi  a  Benedetto,  bal- 
bettava : 

—  Che  cosa?...  Che  debbo  dire?...  Aiutami  tu,  mi 
confondo — 

—  Dica  che  ringrazia  il  popolo  della  lusinghiera 
dimostrazione —  che  sente  la  responsabilità  del  man- 
dato, ma  che  consacrerà  tutte  le  sue  forze  ad  adem- 
pierlo   animato  dalla  fiducia,  sorretto —  —  Ma  poi- 
ché le  grida  raddoppiavano,  egli  lo  spinse  verso  il 
balcone. 

Appena  il  deputato  apparve,  un  clamore  più  alto 
levossi  dalla  via  formicolante  di  teste  ;  salutavano  coi 
cappelli,  coi  fazzoletti,  con  le  bandiere,  vociando  : 
Evviva!    Evviva!...    Giallo    come   un    morto,    afferrato 


—  279  — 

alla  ringhiera  con  tutte  e  due  le  mani,  con  la  vista 
ottenebrata,  immobile  in  tutta  la  persona,  l'onorevole 
cominciò  : 

— ■  Cittadini — 

Ma  la  voce  si  perdeva  nel  tumulto  vasto  e  incessante, 
nel  coro  assordante  degli  applausi  ;  l'atteggiamento  del 
deputato  non  faceva  capire  che  egli  volesse  discorrere. 
Benedetto  alzò  un  braccio;  come  per  incanto  ottenne 
silenzio. 

—  Cittadini!  —  cominciò  il  giovanotto;  —  in  nome 
di  voi  tutti,  in  nome  del  popolo  sovrano,  ho  comuni- 
cato   all'illustre    patriotta —     Evviva    Oracqua  !... 

Evviva  il  Duca!...  —  la  splendida,  l'unanime  affer- 
mazione dell'intero  collegio Alle  tante  prove  d'abne- 
gazione da  lui  date  al  paese —  —  Evviva!  Evviva!... 
— •  il  duca  d'Oragua  aggiunge  quest'altra  :  di  obbe- 
dire ancora  una  volta  alla  volontà  del  paese  e  di  rap- 
presentarci in  quell'augusto  consesso  dove  per  la  prima 
volta  concorreranno   i   figli — 

Ma  non  potè  finire  quel  periodo.  Le  acclamazioni,  i 
battimani  soffocavano  le  sue  parole  ;  gridavano  :  «  Viva 
r  unità  italiana  !  Viva  Vittorio  Emanuele  !  Viva  Orac- 
qua !  Viva  Garibaldi  !...  Altri  aggiungevano:  Viva 
G  inlente  !    Viva   il  ferito    del    Volturno!... 

— ■  Lo  slancio  da  cui  vi  vedo  animati  — •  egli  pro- 
seguiva, — •  è  la  più  bella  conferma  del  responso  del- 
l'urna —    di    quell'urna   donde   ancora   una   volta  esce 

la   libera la   sovrana   volontà  d'un   popolo   divenuto 

padrone  di   sé Cittadini!   Il  18  febbraio   1861,   tra  i 

rappresentanti  della  nazione  risorta  noi  avremo  la  som- 
ma ventura  di  veder  sedere  il  duca  d'Oragua.  Viva  il 
nostro  deputato!...    Viva  l'Italia!... 

Uno  scroscio  finale  d'applausi  rintronò  e  la  folla  co- 
minciò a  rimescolarsi.  Una  seconda  volta,  con  voce 
strozzata,  senza  un  gesto,  senza  un  moto,  il  duca  aveva 

cominciato:  «Cittadini »  ;  ma  giù  non  udivano,  non 

comprendevano  ch'egli  fosse  per  parlare.  Allora,  vol- 
tatosi verso  le  persone  che  gremivano  il  balcone,  egli 
disse  : 


—  28o  — 

—  Volevo  aggiungere  due  parole —  ma  se  ne  van- 
no      Possiamo    rientrare — 

Sorrideva,  traendo  liberamente  il  respiro,  come  libe- 
rato da  un  incubo,  stringendo  la  mano  a  tutti,  ma 
più  forte  a   Benedetto,   quasi  volesse  spezzargliela. 

—  Grazie  !...  Grazie  !...  Non  dimenticherò  mai  que- 
sto giorno — 

Guidò  il  giovane  nella  stanza  attigua  perchè  pren- 
desse congedo  dalle  signore,  accompagnò  tutti  fino 
alla  scala.  Quando  rientrò,  il  principe,  liberato  anche 
lui  dall 'incubo  della  iettatura,  ricominciò  a  complimen- 
tarlo,   additandolo  come   esempio  al   figliuolo  : 

—  Vedi?  Vedi  quanto  rispettano  lo  zio?  Come  tutto 
il  paese  è  per  lui  ? 

Il  ragazzo,  stordito  un  poco  dal  baccano,  domandò  : 

—  Che  cosa  vuol  dire  deputato  ? 

—  Deputati  —  spiegò  il  padre  —  sono  quelli  che 
fanno  le  leggi  nel  Parlamento. 

—  Non  le  fa  il  Re  ? 

—  Il  Re  e  i  deputati  assieme.  Il  Re  può  badare  a 
tutto  ?  E  vedi  lo  zio  come  fa  onore  alla  famiglia  : 
quando  c'erano  i  Viceré,  i  nostri  erano  Viceré  ;  adesso 
che   abbiamo  il   Parlamento,  lo  zio  è  deputato!... 


PARTE   SECONDA 


Quando  in  città  si  seppe  che  il  conte  Raimondo  era 
piovuto  da  Firenze  in  casa  Uzeda,  ospite  inatteso,  solo, 
senza  bag'agli,  con  una  sacca  nella  quale  aveva  fic- 
cato appena  la  poca  biancheria  occorrente  in  viaggio, 
fu  un  sussurro  generale,  uno  scambio  di  commenti, 
di  supposizioni,  di  domande  curiose  ed  insistenti  come 
per  un  grave  avvenimento  pubblico.  La  prima  notizia 
corsa  di  bocca  in  bocca  diceva  che  il  contino  aveva 
abbandonato  la  moglie  per  separarsene  definitivamente. 
I  bene  informati  sapevano  che  donna  Isabella  Persa, 
da  Palermo,  se  n'era  andata  a  Firenze,  dopo  la  rivo- 
luzione. Questo  solo  fatto  non  bastava  a  spiegar  tante 
cose  ?  Era  dubbio  soltanto  se  l'amica  avesse  raggiunto 
il  contino  di  sua  propria  iniziativa  o  d'accordo  con  lui. 
Dicevano  alcuni  che  ella  era  andata  nel  continente  per 
divertirsi,  senza  pensare  più  all' Uzeda;  ma  perchè 
sceglier  proprio  la  città  dov'egli  stava?  Lei  come  lei 
aveva  oramai  ben  poco  da  perdere.  Poteva  forse  spe- 
rare d'essere  ripresa  dal  marito,  dopo  due  anni  di  se- 
parazione ?  Vivendo  la  suocera,  non  era  possibile  ;  don 
Mario  poteva  anche  commettere  la  debolezza  di  perdo- 
nare, tanto  più  che  voleva  ancora  bene  alla  moglie  e 
la  piangeva  giorno  e  notte  peggio  che  se  fosse  morta  ; 
ma  la  madre  vegliava  per  lui.  Donna  Isabella,  dunque, 
non  arrischiava  più  nulla;  anzi,  non  potendo  resistere 
alle  tentazioni,  così  giovane  com'  era,  piuttosto  che 
procurarsi  nuovi  amici  le  conveniva  tornare  col  primo  : 
l'unico  errore  le  sarebbe  stato  cosi  più  facilmente  ri- 
messo....    Ma    per    Raimondo    la    cosa    era    diversa. 


C'erano  i  figli  di  mezzo,  due  innocenti  creature!...  E 
la  buona  gente  compiangeva  la  contessa,  cosi  mite,  cosi 
dolce,  cosi  devota  al  marito  e  condannata  intanto  — 
che  cosa  è  il  mondo  !  —  ad   una  vita  d'angustie. 

La  servitù,  al  palazzo  Francalanza,  non  discorreva 
d'altro,  dimenticava  perfino  il  fidanzamento  di  Bene- 
detto Giulente  con  la  signorina  Lucrezia.  Quest'avve- 
nimento, benché  previsto  e  discusso  da  tanto  tempo, 
aveva  già  provocato  un  risveglio  dei  partiti  in  cui  i 
famigliari  del  principe  eran  divisi  ;  e  mentre  Giuseppe, 
il  portinaio,  si  scappellava  inchinandosi  all'arrivo  del 
fidanzato  come  se  rincasasse  il  padrone  in  carne  ed 
ossa,  Pasqualino  Riso  non  si  toccava  neppure  il  ber- 
retto, da  sotto  l'arco  del  secondo  cortile  dove  stava  a 
prendere  il  sole,  e  a  mala  pena  degnavasi  d'abbassar 
la  pipa  e  di  voltarsi  di  fianco  se  gli  veniva  di  tirare 
uno  scaracchio.  Solo  Baldassarre  serbava  la  sua  bella 
imparzialità,  badando  esclusivamente  al  servizio  e  trat- 
tando il  promesso  della  signorina  come  lo  vedeva  trat- 
tato dal  principe  :  con  grande  compitezza  ma  senza 
confidenza,  a  I  padroni  sono  padroni  »  diceva  il  maestro 
di  casa  ;  e  se  udiva  il  basso  servitorame  discutere  con 
troppo  calore  della  scelta  della  padroncina,  rimandava 
i  famigli  alla  stalla  e  gli  sguatteri  in  cucina.  «  È  forse 
tua  sorella,  animale  ?  »  Che  cosa  avevano  essi  da  ve- 
dere se  donna  Ferdinanda  e  don  Blasco,  sempre  d'ac- 
cordo quantunque  non  si  potessero  tollerare,  non  veni- 
vano più  al  palazzo,  disapprovando  il  matrimonio  ? 
Faceva  veramente  un  certo  effetto  anche  a  lui,  Bal- 
dassarre, che  una  degli  Uzeda  dovesse  sposare  un 
avvocato  :  ma  il  giovanotto  aveva  studiato  per  suo  pia- 
cere, non  già  per  esercitare  la  professione.  E  quan- 
tunque non  fosse  della  costola  d'Adamo,  pure  aveva 
l'educazione  dei  signori,  dava  deW  Eccellenza  al  padre 
e  alla  madre;  quand'era  entrato  in  casa  della  promessa 
aveva  regalato  alla  servitù  quel  che  si  deve.  Forse  i 
suoi  parenti  non  erano  molto  fini  ;  ma  gli  sposi  non 
dovevano  fare  tutta  una  casa  con  loro.  Per  tutte  queste 


-283  - 

ragioni,  Baldassarre  non  poteva  permettere  che  i  suoi 
dipendenti  cicalassero  ;  ma  le  chiacchiere  non  finivano 
mai,  e  soltanto  l'arrivo  del  contino  le  avviò  sopra  un 
altro  soggetto.  Che  il  padroncino  Raimondo  non  fosse 
venuto  per  affari,  come  certuni  volevano  dare  a  inten- 
dere, era  certo  e  sicuro  agli  occhi  della  servitù  :  se  fosse 
venuto  per  aifari  avrebbe  portato  almeno  una  valigia, 
non  già  quella  sacca  con  due  camicie  e  .due  ,paia  di 
calze  e  di  mutande  ;  ne  avrebbe  avuta  quella  brutta 
ciera,  lui  che  era  sempre  di  buon  umore,  lontano  dalla 
moglie  !  Gli  affari,  se  mai,  li  aveva  col  principe  suo 
fratello,  e  invece  se  ne  andava  tutti  i  giorni  dalla  zia 
donna  Ferdinanda,  quella  che  era  servita  di  coperchio, 
nei  primi  tempi  dell'amicizia  con  la  Fersa.  E  donna 
Ferdinanda  diceva  chiaro  a  tutti  la  sua  opinione  :  allo 
stato  delle  cose,  attesa  l' incompatibilità  dei  caratteri 
tra  marito  e  moglie,  non  c'era  da  far  altro  che  sepa- 
rarsi, da  buoni  amici  :  mettere  le  ragazze  in  collegio, 
maritarle  al  più  presto,  e  del  rimanente  ciascuno  per 
la   sua  via. 

Il  principe,  invece,  non  parlava  al  fratello  né  della 
moglie  né  delle  bambine,  neppure  per  chiedergli  se 
eran  vive  o  morte.  Raimondo,  per  conto  suo,  pareva 
avesse  lasciata  la  lingua  a  casa  o,  se  diceva  qualcosa, 
parlava  del  più  e  del  meno,  con  aria  distratta,  impac- 
ciandosi meno  che  mai  di  quel  che  avveniva  in  famiglia. 
Dell'accordo  dei  legatarii,  del  matrimonio  di  Lucrezia 
non  aveva  fiatato,  come  fossero  cose  che  non  lo  ri- 
guardassero punto,  o  intorno  alle  quali  egli  avesse  già 
manifestato  la  propria  opinione.  E  appena  appena  s'ac- 
corse  di   Giulente,   del   futuro  cognato. 

Lucrezia  trionfava  :  Benedetto  veniva  tutte  le  sere 
a  farle  la  corte  ;  fra  sei  mesi  sarebbe  stato  suo  ma- 
rito. Della  transazione  strozzata,  del  sacrifizio  fatto  per 
proprio  conto  e  quasi  imposto  agli  altri,  non  si  ram- 
mentava neppure.  Il  giovane,  articolo  interesse,  quasi 
non  l'aveva  -lasciata  dire,  poiché  voleva  lei  e  non  la 
dote,  poiché  a  quel  patto  s'era  ottenuto  il  consenso  del 


-^  284  — 

principe.  Tutta\ia  questo  consenso  era  così  freddo  che 
pareva  strappato  per  forza  ;  senza  contare  che  don 
Blasco  e  donna  Ferdinanda  non  venivano  più  al  palazzo, 
che  lo  stesso  don  Eugenio  faceva  il  viso  dell'arme  al 
futuro  nipote.  Ma  più  i  parenti  si  mostravano  con- 
trarli al  matrimonio,  maggiori  dimostrazioni  d'affetto 
ella  faceva  a  Benedetto.  «  Non  dar  loro  retta  :  sono 
tutti  pazzi  !  Senza  ragione  ti  odiano,  senza  ragione 
un  bel  giorno  faranno  pace!...  »  E  gli  narrava  le  loro 
pazzie,  gli  suggeriva  il  modo  come  disarmarli,  come 
prenderli  dal  loro  debole.  Il  giovane  non  aveva  bisogno 
dei  suoi  consigli,  giacché  poneva  ogni  studio  nel  farsi 
accettare  dai  futuri  parenti,  sapendo  che,  se  avrebbe 
potuto  fare  un  matrimonio  migliore  quanto  a  interesse, 
non  ne  avrebbe  potuto  fare  uno  migliore  quanto  a  no- 
biltà. E  i  Giulente  avevano  la  mania  d'essere  nobili 
o  per  lo  meno  nobilitati  dalla  lunga  serie  di  magistrati 
avuti  in  casa  :  il  loro  più  grande  cruccio  era  per  la 
mancata  istituzione  del  maggiorasco.  Pertanto  custo- 
divano gelosamente  i  diplomi  e  i  ritratti  di  tutti  i  dot- 
tori, giudici  e  presidenti  dai  quali  discendevano,  e  si 
vantavano  per  le  nobili  alleanze  contratte,  specialmente 
nelle  ultime  generazioni.  Cosi  agli  occhi  della  gente 
che  non  andava  troppo  pel  sottile^  erano  considerati 
come  nobili  ;  come  a  nobili  senza  titolo  davano  loro  del 
cavaliere;  ma  i  puri  li  tenevano  a  una  certa  distanza. 
In  queste  condizioni  il  matrimonio  di  Benedetto  con 
la  sorella  del  principe  di  Francalanza  era  una  fortuna, 
e  come  tale  la  consideravano  don  Paolo  e  donna  Eleo- 
nora sua  moglie.  Dall'orgoglio  d'essere  riusciti  a  com- 
binarlo, non  s'accorgevano  neanche  della  freddezza  e 
dell'ostilità  degli  Uzeda,  o  l'attribuivano  al  liberalismo 
di  Benedetto  :  il  giovane,  vano  com'essi,  ma  meno  ac- 
cecato, la  notava,  e  lavorava  a  vincerla.  S'era  subito 
accaparrata  la  simpatia  della  principessa,  evitando  di 
darle  la  mano  e  lodandole  la  bellezza  e  la  grazia  di  Tere- 
sina.  Non  molto  difficile  fu  la  conquista  dì  don  Eugenio, 
che  da  principio  affettava  di   non  accorgersi  di  lui.    Il 


,  —  285  — 

g-iovine,  indettato  da  Lucrezia,  gli  si  mise  a  parlare  di 
cose  storiche  e  artistiche,  dei  Viceré  Uzeda,  ascoltando 
a  bocca  aperta  le  sentenze  del  cavaliere;  poi  lo  pregò  di 
fargfli  vedere  le  sue  collezioni  d'arte  e  si  profuse  in  elogi 
alla  vista  di  tutti  i  cocci  e  di  tutte  le  tele  imbrattate, 
pasteggfiando  a  superlativi  dinanzi  ai  Tiziano  ed  ai  Tin- 
toretto,  che  dichiarò  superiori  a  tutti  i  quadri  degli 
stessi  autori  conservati  nel  Museo  di  Napoli.  Venuto 
Raimondo,  però.  Benedetto  si  trovava  spesso  tra  due 
fuochi,  perchè  don  Eugenio  e  don  Cono  magnificavano 
le  glorie  cittadine,  i  patrii  monumenti,  e  Raimondo 
interrompeva  il  suo  mutismo  solo  per  denigrarli.  Giu- 
lente  dava  un  colpo  al  cerchio  ed  un  altro  alla  botte, 
non  sapendo  come  prenderli,  giacché  non  andavano 
mai  d'accordo.  Pur  d'ammirare  i  forestieri,  Raimondo 
quasi  disprezzava  la  nobiltà  della  sua  casa  ;  don  Eugenio 
invece  lavorava  assiduamente  alla  sua  Istoria  Crono- 
logica. Non  parendogli  che  questo  titolo  sonasse  abba- 
stanza, lo  aveva  mutato  in  quello  di  Discettazione'  isto- 
rico -cronologica;  ma  poiché  don  Cono  sosteneva  che 
discettazione  non  equivaleva  a  dissertazione,  tra  i  due 
s'erano  impegnate  discussioni  molto  piìi  lunghe  e  vivaci 
che  non  intorno  al  modo  di  scrivere  solenne,  se  con 
una  o  con  due  elle.  Richiesto  del  suo  parere.  Benedetto 
pensò  un  poco  non  al  vocabolario,  ma  alla  freddezza 
che  gli  dimostravano,  alla  guerra  dichiaratagli  dal  mo- 
naco e  dalla  zitellona. 

— •  Credo  che   siano   sinonimi —   rispose. 

—  Avete  capito,  testa  dura  ?  —  disse  allora  don 
Eugenio  trionfante  a  don  Cono.  —  V'arrendete  final- 
mente?... 

Il  principe,  dal  canto  suo,  giovavasi  del  futuro  co- 
gnato in  altro  modo.  Il  codice  sardo  aveva  sostituito, 
nel  mag^gio  1861,  quello  napolitano,  e  giudici,  avvocati 
e  litiganti  ammattivano  sulla  nuova  legge.  Benedetto, 
un  po'  per  amore  allo  studio,  un  po'  per  zelo  patriot- 
tico, lo  aveva  sviscerato  col  suo  maestro;  e  allora,  di- 
scorrendo  di    questo   e    di    quello,    il   principe    induceva 


—  286  — 

il  giovnnottn  a  istituire  confronti  fra  i  due  testi,  a  indi- 
carne le  differenze  e  le  concordanze  ;  certe  volte,  con 
l'aria  di  parlare  in  tesi  generale,  di  casi  imaginarii  o 
senza  interesse,  gli  prendeva  vere  consultazioni  legali. 
Un  giorno  gli  domandò  che  cosa  pensava  circa  il  le- 
gato della  Badia.  Giulente,  quantunque  credesse  il  con- 
trario, gli  rispose  che  il  caso  era  dubbio,  che  la  nullità 

di    quella    istituzione   potevasi    benissimo    sostenere 

Per  ingraziarsi  tutti  quegli  Uzeda  egli  ne  secondava  e 
incoraggiava  le  pretese  ;  ma,  dall'orgoglio  di  fre- 
quentar la  loro  casa,  dalla  superbia  d'  imparentarsi  con 
essi,  accettava  quella  parte,  sposava  sinceramente  le 
cause  dei  futuri  parenti  :  la  Discettazione  del  cavaliere 
gli  pareva  un'opera  veramente  utile;  le  ragioni  del 
principe  veramente  plausibili.  \^anità  aristocratiche 
del  padre  e  infatuamento  liberale  dello  zio  si  davano 
la  mano  in  lui  ;  talché,  gloriandosi  di  discendere  dal 
Mastro  Razionale  dolenti,  sosteneva,  a  proposito  del- 
l'elezione del  duca  d'Oragua,  che  il  governo  del  paese 
doveva  esser  preso  da  «  noi  :  n  cioè  da  «  un'aristocrazia 
capace,  come  la  inglese,  d' intendere  e  di  soddisfare  i 
bisogni  della  nazione —  »  Ma,  a  quelle  uscite,  egli 
perdeva  il  cammino  fatto  :  il  principe  e  il  cavaliere  non 
sorridevano  tanto  di  sprezzo  per  le  teorie  liberali  quanto 
per  udire  quel  «  noi  »  in  bocca  sua,  nel  vedere  un  Giu- 
lente prender  sul  serio  la  propria  nobiltà.  Quando  ii 
giovine  parlava  dei  suoi  passati,  degli  onori  che  ave- 
vano ottenuti,  delle  tradizioni  signorili  della  propria 
casa,  dello  stemma  di  famiglia,  il  principe  si  lisciava 
la  barba,  don  Eugenio  guardava  per  aria,  la  principessa 
chinava  gli  occhi,  i  lavapiatti  ammiccavano  fra  loro, 
la  stessa  .Lucrezia,  a  quel  subito  gelo  diffuso  per  l'aria, 
si  veniva  rannuvolando,  mentre  approvava  con  un  gesto 
del  capo,  ma.  senza  fiatare. 

Una  sera  egli  rammentò  il  canonico  Giulente,  fiorito 
nel  secolo  scorso,  celebre  per  certe  opere  di  diritto 
ecclesiastico,  specialmente  pel  grande  trattato  Del  Ma- 
irimonio.  Raimondo,  presente,  pareva  interessarsi  a 
quel    discorso. 


-287  - 

—  Nuova  è  la  trattazione,  —  diceva  Benedetto,  — 
del  capitolo  sugli  impedimenti,  impedienti  e  dirimenti. 
Ho  avuto  per  le  mani  molte  opere  sul  soggetto  ;  ma  lo 
sviluppo,  la  ricchezza  di  testi  e  di  commenti  di  questa 
sono  davvero  ammirabili. 

—  SI,  si....  —  confermò  per  quella  volta  il  cava- 
liere;  —  l'ho  letta  anch'io. 

—  Come  hai  detto?  —  domandò  Raimondo.  —  Im- 
pedimenti ?... 

■ — ■   Impedienti    e   dirimenti. 

—  Impedimento  impediente  però,  —  fece  osservare 
don   Eugenio,  —  mi  pare  la  stessa  cosa. 

—  Eccellenza  sì;  —  egli  dava  già  dell'Eccellenza 
al  futuro  2Ìo  ;  —  ma  dicesi  impediente  per  distinguerlo 
da  dirimente;  in  altre  parole:  ostacoli  che  impediscono 
la  celebrazione  e  ostacoli — 

—  Permetti  !  — -  interruppe  il  Gentiluomo  di  Ca- 
mera. —  Impedimento  che  impedisce  è  una  bella  stram- 
beria !    L'impedimento   può   forse   favorire? 

Benedetto  ripigliò,  con  molta  pazienza,  la  dimostra- 
zione; ma  il  cavaliere  ribatteva,  cocciuto,  che  la  «di- 
zione »  era  sbagliata,  né  tacque  se  non  quando  Rai- 
mondo esclamò,  seccato  : 

— .  Ma  zio,  lo  vada  a  dire  ai  canonisti  !  Se  questa 
è  l'espressione  legale  !  E  i  dirimenti,  —  domandò  a 
Giulente,  —  quali-  sono  ? 

—  Gli  impedimenti  dirimenti  sono  quelli  che  annul- 
lano il   matrimonio  quando  è   già  contratto. 

—  Cioè? 

— ■  Eh!...    Se  ne  contano  più  d'una  dozzina anzi 

quattordici,    precisamente.    Prima    erailo    dodici,    poi    il 

Concilio  di  Trento  li  aumentò  di  due Studiai  queste 

cose  tempo  addietro;  oggi,  se  mai  —  aggiunse  voltan- 
dosi verso  Lucrezia,  • —  piuttosto  che  gl'impedimenti 
dovrei   studiare  le  ragioni  del  sacramento   magno 

—  Il  Sacramento?...  —  fece  Lucrezia  che  era  già 
nelle  nuvole.   —  È   esposto  alla  Cattedrale. 

Tutti    sorrisero,    e   per   quella    sera    il    discorso   restò 


lì.  Ma  qualche  giorno  dopo  Raimondo  ridomandò  cu- 
riosamente al  futuro  cognato  : 

—  E  cosi,  non  hai  rammentato  quali  sono  gli  im- 
j>edimenti    dirimenti  ? 

—  Sì ma  non  tutti  —  rispose  Benedetto,  che  in 

presenza  della  promessa  non  voleva  spiegar  certe  cose. 
E  li  disse  in  latino  :  —  Error,  conditio,  votum,  co- 
gnatìo,    crimen 

—  Basta!  Basta!  È  inutile,  non  capisco....  —  E 
gli  voltò  le  spalle. 

Però,  prim.a  d' andar  via,  Benedetto  lo  chiamò  da 
parte  : 

— ■  Non  potevo  spiegarmi  dinanzi  alle  donne.  Gli 
impedimenti  sono  questi  :  —  E  li  enumerò  e  li  spiegò 
tutti,    in   italiano. 

Qualche  giorno  dopo  quel  discorso  vi  fu  un  gran 
ciarlare  tra  la  servitù,  giù  nella  corte  :  correva  in  paese 
la  voce  che  il  duca  stesse  per  tornare  da  Torino,  uni- 
camente allo  scopo  d'accomodare  l' imbroglio  del  con- 
tino. Baldassarre,  al  quale  domandavano  se  la  notizia 
era  vera,  si  stringeva  nelle  spalle  :  «  So  molto,  io  ! 
Avanzate  nulla  dal  duca,  che  l'aspettate?...»  Ma  la 
notizia  era  vera  :  la  ripetevano  Giulente,  suo  zio  don 
Lorenzo,  tutti  gli  amici  politici  del  deputato,  é  anzi 
parlavasi  d'andargli  incontro,  se  veniva  per  via  di 
terra,  e  di  preparargU  una  dimostrazione.  Egli  giunse 
per  via  di  mare  e  non  era  solo:  il  barone  Palmi,  rtomi- 
nato  senatore  dopo  la  rivoluzione,  lo  accompagnava. 
Questi,  invece  che  al  palazzo,  come  le  altre  volte,  scese 
all'albergo.  La  cosa  parve  molto  grave.  Voleva  dun- 
que dire  che  tutto  era  rotto  fra  il  contino  e  sua  mo- 
glie ?  che  si  trattava  già  di  separazione?  Ma  allora, 
il  duca?  Perchè  tornava  anche  lui?... 

In  città  l'arrivo  del  deputato  mise  una  rivoluzione, 
e  subito  cominciarono  a  piovere  visite  per  lui  :  prima 
di  tutti  don  Lorenzo  Giulente  col  nipote,  poi  alcune 
autorità,    le    rappresentanze    di    parecchie    società    poli- 


28c)    — 

tiche;  poi  una  quanUtà  di  cittadini  d'ogni  classe,  pezzi 
grossi,  antichi  amici  e  nuovi  patriotti  che  venivano  a 
salutare  l'Onorevole,  a  ringraziarlo  delle  grandi  cose 
fatte  a  Torino  e,  mentre  e'  erano,  a  chieder  notizia 
degli  affaretti  particolari  che  gli  avevano  raccoman- 
dati. Come  al  tempo  dell'  elezione  egli  riceveva  giù, 
nelle  stanze  dell'  amministrazione,  e  ringraziava  dei 
ringraziamenti,  s'ammantava  di  modestia;  ma,  alle  do- 
mande degli  ammiratori,  descriveva  le  sedute  del  Par- 
lamento, la  visita  fatta  a  Vittorio  Emanuele  e  al  «  po- 
vero »  Cavour,  la  vita  politica  della  capitale  ;  e  tutti 
stavano  intenti  a  udirlo.  Non  aveva  aperto  bocca,  in 
Parlamento,  neppure  per  dir  si  o  no  ;  ma  in  sala  l'udi- 
torio non  lo  spaventava,  composto  com'era  di  gente 
più  o  meno  familiare  che  gli  stava  dinanzi  in  atto  defe- 
rente ;  ed  egli  assaporava  il  suo  trionfo,  loquace  quanto 
una  pica  vecchia,  senza  neppur  avvertire  la  fatica  del 
viaggio.  Cavour  gli  aveva  promesso  mari  e  monti  :  che 
peccato  che  il  gran  ministro  fosse  morto!  Ma  il  governo 
era  egualmente  ben  disposto  verso  la  Sicilia  :  presto 
avrebbe  messo  mano  a  ferrovie,  a  porti,  a.  grandi  opere 
pubbliche.  Per  vegliare  al  mantenimento  delle  pro- 
messe, in  quei  giorni  egli  non  avrebbe  dovuto  lasciare 
la  capitale  ;   ma  era  dovuto  venire  in  fretta  e  in  furia 

per  certi  gravi  affari  di  famiglia per  sistemare  certe 

faccende Non  si  sbottonava,  ma  tutti  comprende- 
vano lo  stesso.  Le  visite  si  seguirono  fino  a  sera;  quelli 
che  volevano  parlargli  da  solo  a  solo  non  si  movevano, 
parevano  decisi  di  restare  a  dormire  con  lui.  Quando 
ne  ebbe  abbastanza,  egli  fece  un  segno  a  don  Lorenzo, 
e  questi  condusse  via  tutti. 

Ma  l'Onorevole  non  andò  a  letto.  Raimondo,  avver- 
tito da  Baldassarre  che  lo  zio  voleva  parlargli,  lo  aspet- 
tava impaziente,   smanioso,   nella  sua  camera. 

—  Che  cosa  vuoi  fare?  —  cominciò  il  duca,  senza 
tanti  preamboli. 

—  A  proposito  di  che?  —  rispose  il  nipote,  quasi 
non  comprendesse. 

De    Roberto.    /    Viceré    -    I  19 


—  2go  — - 

—  A  'proposito  di  tua  moglie  e  della  tua  famiglia!... 
Tuo  suocero  è  qui,  non  sai  ? 

—  Io  non  so  nulla. 

—  Dopo  che  sei  scappato  via  come  un  fuggiasco  ! 
Dopo  che  non  ti  sei  fatto  vivo  per  due  mesi  !  Adesso 
mi  par  tempo  che  questa  storia  finisca....  —  Egli  par- 
lava con  tono  grave  d'autorità,  passeggiando  per  la 
camera  con  le  mani  incrociate  sul  dorso  ;  Raimondo, 
sedutosi,  guardava  per  terra,  come  un  ragazzo  intimi- 
dito dalla  minaccia  d'  una  lavata  di  capo. 

—  Che  hai  da  dire  contro  tua  moglie  ?  —  domandò 
a  un  tratto  don  Gaspare,  fermandoglisi  dinanzi. 

—  Io?  Nulla.... 

—  Lo  sapevo  bepe  !  \'olevo  sentirne  la  conferma 
dalla  stessa  tua  bocca.  Perchè,  dico,  solo  se  avessi  avuto 
da  lagnarti  di  Matilde  si  potrebbe  spiegare  la  tua  con- 
dotta !  Allora,  come  mai  l'hai  lasciata? 

— .  Io  non  r  ho  lasciata. 

— ■  Come?  Sei  qui  da  due  mesi,  non  le  hai  scritto 
un  rigo,  non  ti  sei  curato  di  nessuno  dei  tuoi,  quasi 
non    esistessero;    e  dici — 

—  Sono  venuto  qui  perchè  avevo  da  fare.  Non 
posso  star  cucito  alla  gonna  di  mia  moglie,   insomma. 

E  lo  guardò  in  faccia. 

—  Va  bene  ;  qui  non  si  parla  di  star  cucito  !  —  ri- 
spose il  duca.  —  Ma  uno  che  parte  per  affari,  per 
isvago,  per  una  ragione  qualunque,  non  va  via  come 
te  ne  sei  andato  tu,  non  lascia  la  casa  per  l'albergo.... 

— •  Non  è  vero  ! 

—  Me  r  ha  detto  tuo  suocero....  1'  ho  sentito  ripetere 
da  tutti.... 

—  È  falso  !  —  ripetè  il  nipote  con  yoce  forte  e  un 
poco  stridente. 

Allora  il  duca  battè  in  ritirata. 

—  Sarà  falso,  tanto  meglio....  Del  resto  non  è  que- 
sto l'importante....    Il  fatto  è  fatto adesso  si  tratta 

di  pensare  all'avvenire.  Se  non  è  vero  che  hai  lasciato 
tua  moglie,  non  dovresti  avere  difficoltà  di  riunirti 
con  lei  ! 


—  2yi    — 

—  Non    ne   ho,   —   rispose    Raimondo,   alzandosi. 
Lo  zio    restò    un    nionienlo   a   guardarlo,    quasi    non 

fosse  sicuro   d'aver   udito   bene,   poi    ripetè: 

—  Sei    pronto    a    riprenderla  ? 

—  Sono  pronto  a  tutto,  purché  smettano  questa 
commedia. 

— ■  Meglio  ancora  !...  Vuol  dire  che  esageravano,  che 

m'hanno  informato  male Tanto  meglio! Domani 

tuo  suocero  può   venire  ? 

—  Venga  domani,  venga  quando  gli  pare  !  Vorrei 
piuttosto  sapere  perchè  ha-  fatto  la  buffonata  di  scen- 
dere all'albergo?  Poteva  restarsene  al  suo  paese,  in- 
vece di  fare  questa  sciocca  commedia,  invece  di  dar  da 
ciarlare  alle  persone  con  una  condotta  da  pulcinella.  — 
Egli  parlava  adesso  duramente,  a  denti  stretti  ;  con 
gli  occhi  rossi  ;  e  il  duca,  cambiato  tono  anche  lui, 
esclamava,  secondando  il  nipote  : 

—  Questo  è  vero tu  hai  ragione L'ho  messo 

in   croce   per    dissuaderlo!...    Ma   quel    santo   cristiano 

è   fatto   a   un  certo   modo Del   resto   non    importa: 

diremo  che  non  voleva  dare  impaccio  a  Giacomo....   si 

troverà   una   ragione E   tu,    comprendi   che  bisogna 

pigliare  gli   uomini  come   sono,   che  bisogna  avere   un 

po'  di  politica  nel  mondo Divertiti,  —  aggiunse  con 

un  sorrisetto  allusivo;  —  ma  senza  dar  nell'occhio, 
salvando  le  apparenze.  È  già  increscioso  che  sia  suc- 
cesso un   primo  guaio.... 

—  Vostra  Eccellenza  ha  da  dirmi  altro  ?  —  do- 
mondò  Raimondo,  interrompendolo  bruscamente.  — 
Se  non   ha  da  dirmi  altro,  buona  notte. 

Il  domani,  verso  mezzogiorno,  quando  s' aspettava 
il  barone,  che  la  carrozza  di  casa  era  andata  a  pren- 
dere, piovve  donna  Ferdinanda.  Erano  oltre  sei  mesi 
che  non  saliva  piij  le  scale  del  palazzo,  dal  giorno  che 
c'era  entrato  Giulente.  Fin  all'  ultimo  momento  ella 
aveva  sperato  d' impedire  che  la  mostruosità  si  com- 
pisse; ma  poiché  Lucrezia  non  sentiva  più  gli   schiafii 


— 292  — 

né  i  pizzicotti,  quasi  fosse  divenuta  di  stucco,  e  Gia- 
como si  difendeva  gettando  la  colpa  sullo  zio  duca, 
sul  Babbeo  e  sulla  stessa  sorella,  la  zitellona  era  final- 
mente andata  via  facendo  sbattere  tutti  gli  usci,  gri- 
dando :  Riderà  bene  chi  riderà  l'ultimo!  »  e  appena 
giunta  a  casa,  chiamata  la  cameriera,  il  cocchiere  e 
il  mozzo  di  stalla,  aveva  tratto  dall'armadio  un  foglio 
di  carta  e  l'aveva  fatto  in  mille  pezzi  :  «  Neppure  un 
soldo,  cosi  !...  »  Ella  pretendeva  che  i  nipoti  le  por- 
tassero obbedienza  e  le  stessero  sottomessi  per  via  dei 
quattrini  che,  non  avendo  figliuoli,  avrebbe  loro  la- 
sciati ;  la  distruzione  del  testamento,  in  presenza  della 

servitù,   era  la  pena  della  loro  ribelliohe Il  principe, 

sulle  prime,  era  stato  zitto,  per  lasciar  passare  la  tem- 
pesta, poi  aveva  mandato  dalla  zia  Fra  Carmelo  col 
figliuolo  perchè  la  vista  del  nipotino  prediletto  pla- 
casse quella  furia,  poi  era  andato  egli  stesso  a  tro- 
varla, a-  prendersi  addosso,  umile  e  muto,  la  pioggia 
di  rimproveri  rovesciata  dalla  zitellona.  E  a  poco  a 
poco,  pel  bisogno  di  sentirsi  far  la  corte,  per  non  poter 
rinunziare  a  ingerirsi  nelle  faccende  dei  nipoti,  ella 
s'era  venuta  placando,  ma  senza  andar  da  loro  :  la  casa 
dei  suoi  maggiori  era  profanata,  contaminata  dalla 
presenza  di  quel  pezzente,  di  quel  bandito,  di  quell'as- 
sassino che  chiamavasi  Benedetto  Giulente,  avvocato, 
avvocato!  Neppur  l'arrivo  di  Raimondo  l'aveva  ri- 
mossa dal  suo  proposito  ;  del  resto  il  nipote  era  ve- 
nuto da  lei  assiduamente  a  prendere  i  suoi  consigli.  In 
odio  alla  Palma,  per  distruggere  quel  matrimonio 
stretto  contro  il  suo  piacere,  ella  aveva  spinto  il  gio- 
vane alla  rottura  definitiva.  Come  Giulente,  la  Palmo 
macchiava  la  casa  degli  Uzeda  :  ella  non  voleva  che 
ci  rimettesse  piede.  E  difendeva  donna  Isabella  contro 
le  accuse  di  cui  l' udiva  fare  oggetto  :  anche  lei  era 
stata  sacrificata  con  quell'  ignobile  Farsa,  farsa  tutta 
da  ridere  :  niente  di  più  naturale  che  quel  matrimonio 
tanto  male  assortito  fosse  finito  peggio  ;  se  avessero 
dato  la   Finto  a   Raimondo,   allora  si!...    A  un  tratto, 


—  293  — 

una  sopra  l'altra  le  avevano  portate  le  due  notizie  del- 
l'arrivo del  duca  e  del  barone  e  dell'imminente  ricon- 
ciliazione tra  suocero  e  genero.  Raimondo  non  s'era 
fatto  vivo;  l'avvenimento  stava  per  compiersi  ad  insa- 
puta di  lei  !  Allora,  il  tempo  di  far  attaccare,  e  subito 

al  palazzo Quando  ella  entrò  nella  Sala  Gialla  c'erano 

il  principe  e  la  principessa,  don  Eugenio,  il  duca,  Lu- 
crezia col  promesso.  Chiara  col  marchese,  e  Rai- 
mondo che  passeggiava  come  un  leone  in  gabbia.  Be- 
nedetto Giulente,  appena  la  vide  entrare,  s'alzò  rispet- 
tosamente :  ella  gli  passò  dinanzi  come  se  fosse  uno 
dei  mobili  sparsi  per  la  sala  ;  non  rispose  al  saluto  di 
nessuno  tranne  a  quello  di  Raimondo  che  trasse  in  di- 
sparte verso  una  finestra. 

— .  Vecchia  pazza  !  —  disse  Lucrezia  al  fidanzato, 
avvampando   subitamente   in   viso. 

Egli  scrollò  il  capo  con  un  sorriso  d'  indulgenza;  ma 
il  duca  s'avvicinò  alla  coppia,  quasi  a  compensarla 
della   sgarberia  della  sorella. 

—  Il  barone  dovrebbe  esser  qui,  —  disse  guardando 
l'orologio.  —  Sarei  andato  io  stesso  a  prenderlo  se  non 
avessi  temuto  di  dare  troppa  importanza  a  una  cosa 
che   non  dovrebbe  averne   nessuna 

—  Vostra  Eccellenza  ha  fatto  benissimo,  —  rispose 
Benedetto.  —  Le  ciarle  sarebbero  state  piia  lunghe — 
Non  per  questo,  —  aggiunse,  —  è  minore  il  merito 
di  Vostra  Eccellenza  per  aver  ricondotta  la  pace  in  una 
famiglia   che.... 

—  Piccoli  malintesi  !  I  giovani  hanno  le  teste  calde  ! 
—  esclamò  con  un  sorriso  tra  di  modestia  e  di  com- 
patimento l'Onorevole. 

Raimondo  aveva  finito  intanto  di  parlare  con  la  zia 
e  ricominciava  a  passeggiare  su  e  giù  :  era  verde  in 
viso  e  si  morsicchiava  i  baffi,  torcendo  le  labbra,  con 
le  mani  in  tasca. 

Donna  Ferdinanda  adesso  sedeva  accanto  alla  mar- 
chesa, la  quale  era  al  s<'ttimo  cielo  per  essere  incinta 
di   sette    mesi.    Dopo   due    disgraziate   gravidanze    pas- 


—  294  — 

sale  ad  ascoltare  ogni  prescrizione  di  medici,  ogni 
consiglio  di  levatrici  e  ogni  opinione  di  femminucce, 
aveva  finalmente  mutato  sistema  di  punto  in  bianco, 
facendo  a  modo  suo  in  tutto  e  per  tutto,  andando  fuori 
in  carrozza  e  a  piedi,  salendo  e  scendendo  scale,  tran- 
gugiando tutte  le  miscele  che  immaginava  dovessero 
giovarle.  Ella  dichiarava  alla  cognata  di  non  esser  mai 
stata  così  bene  come  ora  :  «  Quegli  asini  !  Quegli  im- 
postori!... E  le  levatrici?...  L'altro  giorno  non  ebbe 
l'ardire  di  venir  da  me,  donn'Anna?  La  presi  per  le 
spalle  e  le  dissi  :  «  Cara  donn'Anna,  tre  mesi  dopo  che 
sarò  partorita  se  volete  venire  a  trovarmi  mi  farete 
tanto  piacere  ;  ma  per  adesso  andatevene  che  non  ho 
bisogno  di  voi!...  m  Tutt' intorno  gli  altri  parlavano 
piano,  come  nella  camera  d'un  ammalato,  ma  al  ru- 
more di  una  carrozza  che  entrava  nel  cortile  ogni  di- 
scorso cessò.  Il  duca  passò  nell'anticamera  per  andare 
incontro  all'amico;  si  vide  comparire  invece  dinanzi 
la  cugina   Graziella. 

—  Come  sta  Vostra  Eccellenza  ?  Ho  saputo  del  suo 
arrivo  ed  ho  detto  :  andiamo  subito  a  baciar  le  mani 
allo  zio.  Mio  marito  voleva  venire  anche  lui  ;  ma 
l'hanno  chiamato  di  fretta  al  tribunale  per  una  causa 
seccantissima.   Verrà  più  tardi  a  fare  il  suo  dovere.... 

Raimondo,  vedendola  spuntare,  soffiò  più  forte,  e 
andò  a  dire  concitato  allo  zio  : 

— ■  Quest'  altra  pettegola,  adesso  ?  Ha  da  esserci 
tutta  la  città  ?. . .  Non  vede  Vostra  Eccellenza  che  scena 
ridicola?...  *'^ 

—  Pazienza!...  Pazienza!...  —  cominciò  il  iuca ; 
ma  già  un'altra  carrozza  entrava  nel  cortile.  Egli  ri- 
passò di  là  e  poco  dopo  comparve  insieme  col  senatore. 
Questi  era  pallidissimo,  si  vedeva  sotto  le  sue  guance 
il    movimento    delle    mascelle    nervosamente    contratte. 

—  Raimondo,  —  esclamò  il  deputato  disinvolto  e 
conciliante;  -^—  c'è  qui  tuo  suocero 

Il  conte  s'era  fermato.  Senza  cavar  le  mani  di  tasca 
fece  col  capo  un  breve  gesto  di  saluto  e  disse  : 


—  295  -^ 

— ■  Come    sta  ? 
Palmi    rispose  : 

—  Bene  ;  stai,  bene  ?  —  E  salutò  in  giro  gii 
astanti.  -■' 

Nessuno  fiatava,  gli  sguardi  si  volgevano  tutti  sul 
barone.  Anche  le  mani  gli  tremavano  un  poco,  e  non 
guardava  in   viso   il   genero. 

—  Accomodatevi,  don  Gaetano  !  —  riprese  il  duca, 
prendendolo  pel  braccio  e  facendogli  amichevole  vio- 
lenza. Palrni  allora  sedette  tra  la  principessa  e  la  mar- 
chesa ;  donna  Ferdinanda  s' impetti,  affondando  il 
mento   nel  collo   come  un   gallinaccio. 

—  Matilde  sta  bene  ?  —  domanda  la  principessa. 
— •  Bene,   grazie. 

— ■  Le  bambine  ? 

— ■  Benissimo. 

Raimondo,  ritto  in  mezzo  alla  sala,  si  guardava  la 
destra,  facendo  scattare  l'unghia  del  pollice  contro  tutte 
le  altre.  Il  duca  tossicchiò  un  poco,  come  per  un  prin- 
cipio di   raucedine  ;  poi  gli  domandò  : 

—  Tu  quando  raggiungeresti  tua  moglie  ? 
Egli   rispose   secco  e  breve  : 

—  Anche  domani. 

—  Matilde  però  la  vogliamo  un  poco  qui,  —  sog- 
giunse lo  zio,  guardando  gli  altri  parenti,  quasi  a 
chiedere  il  loro  assenso;  ma  nessuno  disse  nulla.  — 
Allora,  —  continuò,  —  potreste  fare  cosi  :  tu  andrai 
a  prenderla  e  poi  ve  ne  verrete  tutti  insieme.  Che  ne 
dite,   barone  ? 

—  Come  credete,  —  rispose  Palmi. 

A  un  tratto  s' udì  per  la  terza  volta  una  carrozza 
che  entrava  nel  cortile  e  tutti  gli  occhi  si  volsero  verso 
l'uscio  d'entrata.  Chi  poteva  essere?  Ferdinando?  La 
duchessa?... 

.Spuntò   don    Blasco. 

Il  monaco,  come  la  sorella,  non  metteva  piede  al  pa- 
lazzo dal  giorno  del  fidanzamento  di  Lucrezia  ;  come 
donna  Ferdinanda,  ne  aveva  scagliata  la  colpa  sul  prin- 


—  2g6  — 

eipe,  ed  era  rimasto  talmente  sordo  ad  ogni  giustifica- 
zione, che  quest'  ultimo  s'era  finalmente  seccato  d' in- 
sistere, non  avendo  da  sperarne  eredità  come  dall'altra. 
Allora,  vistosi  solo,  senza  poter  occuparsi  degli  affari 
della  parentela,  costretto  a  udirne  le  notizie  di  seconda 
o  di  terza  mano,  per  mezzo  del  marchese  Federico  o 
degli  estranei,  il  monaco  s'era  sentito  perso.  Le  brighe 
del  convento  l'occupavano  fino  a  un  certo  punto;  le 
grida  e  le  bestemmie  contro  i  liberali,  quantunque  rad- 
doppiate dopo  la  sistemazione  del  nuovo  ordine  di  cose, 
non  gli  bastavano,  non  avevano  gusto  se  egli  non  le 
proferiva  tra  i  suoi,  nello  stesso  luogo  dov 'erasi  com- 
pito il  trioiifo  di  quel  rinnegato  del  fratello,  dove  quel 
cialtrone  di  Giulente  doveva  vomitare  le  sue  eresie. 
Cosi,  sbuffante  e  smaniante,  più  di  una  volta  era  stato 
sul  punto  d'andarsene  dal  principe;  ma,  giunto  a 
mezza  via,  s'era  pentito,  non  aveva  voluto  dare  al  ni- 
pote la  soddisfazione  di  cedere  pel  primo.  All'annunzio 
dell'arrivo  del  duca  e  del  barone,  della  pace  che  si 
doveva  celebrare  tra  suocero  e  genero,  non  era  stato 
più  alle  mosse. 

Il  principe  gli  andò  incontro  a  baciargli  la  mano. 
Lucrezia  e  Giulente,  seduti  accanto,  erano  i  più  vicini 
all'uscio  d'entrata;  e  il  giovanotto  s'alzò,  come  aveva 
fatto  per  la  zitellona,  al  passaggio  del  monaco;  ma 
questi  tirò  dritto  verso  il  centro  della  sala.  Al  secondo 
affronto,  Lucrezia  si  fece  più  rossa,  e  costretto  il  pro- 
messo a  sedere  : 

—  La  pagheranno,  sai  !  —  disse,  —  la  pagheran- 
no!... Se  mi  vedranno  più  in  questa  casa!...  Se  t'arri- 
schierai   di   guardarli   più    in   viso!... 

Il  duca  parve  non  accorgersi  dell'arrivo  del  fratello. 
Per  animare  la  conversazione  languente,  e  vincere  la 
freddezza  da  cui  tutti  erano  impacciati,  e  rendersi  utile, 
la  cugina  aveva  cominciato  a  chiedergli  notizie  del 
suo  viaggio  attraverso  l'Italia;  e  il  deputato  parlava 
n   vapore  : 

—  La    baraonda    di    Napoli,    eh  ■'   Che   paesone  !    Pa- 


—  297  — 

reva  che  tolta  la  Corte,  i  ministeri,  tutto  il  movimento 
della  capitale,  dovesse  spopolarsi,  ridursi  come  una 
città  di  provincia;  invece  cresce  ogni  giorno,  è  piij  ani- 
mata di  prima.  Anche  Torino  è  piena  di  vita,  però  in 
modo   diverso 

—  In  modo  diverso....  —  ripetè  il  barone,  con  tono 
di   condiscendenza,  come   per    non    restare   in    silenzio. 

—  È   vero  che  somfglia  a  Catania  ?  —  domandò   il 
marchese. 

Raimondo  sciolse  lo  scilinguagnolo  per  dire,  con  sot- 
tile ironia  : 

—  Tal  e  quale,  sai  !  Due  gocce  d'acqua — 

—  Le  strade  dice  che  son  tagliate  allo  stesso 
modo.... 

—  Ma    si!    Ma   sì!...    Anzi    diciamola   tutta:    Torino  y' 
è  piiJ   brutta,  più  piccola,   più  povera,   più   sporca.... 

Allora  Chiara  saltò  su  in  difesa  del  marito  : 

—  Questa  smania  di  dir  sempre  male  del  proprio 
paese  non  l'ho  mai  capita — 

—  Scusa  !  —  protestò  il  duca.  —  Qui  nessuno  ne 
dice   male — 

—  Lo  stesso  paragone  è  impossibile,  —  disse  Be- 
nedetto, conciliante. 

Donna  Ferdinanda  alzò  lentamente  gli  sguardi  per 
volgerli  dalla  parte  donde  venitva  la  voce  ;  ma,  giunta 
a  mezza  strada,  li  diresse  alla  parte  opposta,  alla  fine- 
stra dove  don  Blasco  udiva  dal  nipote  le  notizie  del- 
l'accaduto. 

— •  Dice  che  raggiungerà  sua  moglie  e  che  poi  se 
ne  torneranno  qui.  È  stato  lo  zio  duca  quello  che  ha 
combinato  ogni  cosa.  Per  me,  facciano  quel  che  vo- 
gliono. Ma  vedrà  che  ricominceranno.  Vorrei  sbagliare, 
ma  siamo  ancora  al  principio — 

—  Quella  bestia  perchè  ci  s'è  messo?  Non  ha  abba- 
stanza tigna  in  capo?  Ha  da  ficcare  dovunque  il  naso? 
Ma  il  perchè  lo  so  io,  il  perchè —  lo  so  io,  il  perchè  !  — 

E  stava  per  continuare,  per  vuotare  il  sacco,  quando 
entrò  Baldassarre,  grave  e  dignitoso  come  la  solennità 
richiedeva  : 


—  298  — 

—  Eccellenza,  —  disse  al  duca,  —  ci  sono  le  rap- 
presentanze delle  società  che  chiedono  d'ossequiare  Vo- 
stra Eccellenza. 

Il  deputato  non  ebbe  tempo  di  rispondere  che  il  ba- 
rone s'alzò  : 

—  Duca,   fate  pure,   vi  lascio  libero. 

—  Ma  no,  restate!...  Un  momento,  e  torno  su- 
bito.... 

—  Ho   qualche   cosa   da  sbrigare   anch'io;    grazie! 

—  Verrete   almeno  a   pranzo   con   noi  ? 

— ■  Grazie;  parto  oggi  stesso;  ho  fissato  uno  straor- 
dinario. 

Fu  inutile  insistere  ;  il  barone  opponeva  un  rifiuto 
cortese,  ma  freddo.  Salutò  tutt'  in  giro  e  andò  via 
accompagnato  dal  duca  che  scendeva  giù  a  ricevere  i 
suoi  elettori,  mentre  Raimondo  s'avviava  da  parte  sua 
alle  proprie  stanze.  E  i  tre  non  erano  scomparsi,  che 
nella  Sala  Gialla  cominciò  un  mormorio  generale  : 

—  Che  maniera  di,  stare  in  casa  della  gente  !  — 
esclamò  donna  Ferdinanda.  ■ —  Non  ha  detto  dieci  pa- 
role in  mezz'ora!  —  rincarò  la  cugina;  —  che  cosa 
aveva  ?  che  gli  hanno  fatto  ?  —  E  il  marchese  :  — 
Quando  si  è  di  quell'umore  non  si  va  in  casa  delle 
persone  !...  —  E  come  faceva  il  sostenuto  !  —  aggiunse 
sua  moglie. 

Benedetto   Giulente,   dal    suo   posto,   osservò  : 

—  Quella  partenza  pare  un  pretesto....  per  rifiu- 
tare.... 

Allora,  senza  rivolgersi  al  giovanotto,  ma  quasi  ri- 
spondendo all'  idea  da  lui  annunziata,  don  Blasco  tonò  : 

— ■  La  bestia,  l' imbecille  e  il  buffone  in  questo  caso 
è  chi   invita  ! 

Benedetto,  quantunque  il  monaco  non  lo  guardasse, 
fece  col  capo  un  gesto  tra  d'assenso  a  ciò  che  quegli 
diceva,   tra  di   scusa   per  l' insistenza   del   duca. 

—  Pareva  concedesse  una  grazia  speciale,  onoran- 
doci della  sua  presenza  !  —  continuava  frattanto  donna 
Ferdinanda.   —  Come  se   non  si  fosse  trattato  d' inte- 


—  299  — 

ressi  suoi  !  Come  se  la  colpa  di  ciò  che  è  successo  non 
fosse  sua  !  E  quella  bestia  che  lo  prega  per  giunta  e 
che  gli  dà  ragione  !  Per  renderlo  piij  presuntuoso  ed 
arrogante  !... 

Benedetto,  che  le  stava  seduto  quasi  di  faccia,  ba- 
dava a  chinare  il  capo  con  un  gesto  continuo  ed  eguale, 
come  un  automa,  e  poiché  la  cugina  cicalava  piano 
con  Chiara,  e  don  Blasco,  tirato  pel  bottone  del  sopra- 
bito il  marchese,  sfogava  con  lui,  e  il  principe  se  ne 
stava  quatto  quatto,  e  la  principessa  più  quatta  di  lui, 
quel  gesto  d'assenso  e  d'approvazione  attirò  alla  lunga 
gli  sguardi   della  zitellona. 

—  Mentre  la  ragione  sta  dalla  parte  di  Raimondo, 
—  continuava  ella,  —  che  giustamente  non  vuole  lo 
spionaggio  in  casa,  che  non  può  tollerare  la  continua 
ingerenza  del  suocero  in  tutti  i  piccoli  affari  di  casa 
propria — 

\'edendosi  guardato  due  o  tre  volte,  Benedetto,  men- 
tre continuava  ad  approvare  col  capo,  confermò  : 

—  Il  barone  ha  veramente  un  carattere  troppo  dif- 
ficile  

Donna  Ferdinanda  non  gli  rispose,  anche  perchè  in 
quel  momento  il  marchese  s'alzava,  e  Chiara  con  lui  ; 
ma,  andando  via  insieme  coi  nipoti,  fece  un  breve  cenno 
del  capo  per  rispondere  al  nuovo  e  più  profondo  e  più 
rispettoso   saluto  del   giovanotto. 

Intanto  il  duca,  giù  nell'amministrazione,  riceveva 
i  delegati  dei  sodalizii  e  una  gran  quantità  di  elettori 
influenti  e  una  vera  processione  d'ammiratori  di  ogni 
condizione  che  venivano  a  fargli  atto  di  omaggio.  La 
stessa  scena  della  sera  prima,  ma  più  grandiosa;  a 
poco  a  poco  tutta  la  città  sfilava  dinnanzi  al  deputato  ; 
per  due  persone  che  andavano  via,  quattro  ne  soprav- 
venivano ;  e  non  essendoci  più  posto  da  sedere,  tutti 
restavano  /in  piedi,  coi  cappelli  in  mano,  aspettando  i 
saluti  che  il  ducn  veniva  distribuendo  in  giro.  Alcuni 
oratori    improvvisati,    persone   che    egli    non   conosceva 


neppure,  parlavano  a  n<5me  dei  compagni,  affermavano 
in  risposta  alle  sue  espressioni  di  modestia  che  il  paese 
non  avrebbe  mai  dimenticato  ciò  che  doveva  al  signor 
duca.  Tutti  gli  altri,  a  bocca  aperta,  badavano  a  racco- 
gliere religiosamente  le  parole  dell'Onorevole;  il  quale, 
cessati  i  complimenti,  ragionava  della,  cosa  pubblica, 
prometteva  la  Venezia,  aveva  Roma  in  tasca,  assicu- 
rava insieme  col  politico  il  risorgimento  morale,  agri- 
colo, industriale  e  commerciale  del  paese.  «  Questo  era 
il  programma  di  Cavour.  Che  testa  !  Ragionava  della 
Sicilia  come  se  ci  fosse  nato  ;  sapeva  il  prezzo  dei  nostri 
frumenti  e  dei  nostri  zolfi  meglio  di  un  sensale  di 
piazza »  Il  governo  gli  aveva  promesso  una  quan- 
tità di  provvedimenti  per  l' isola,  giacché  bisognava 
pensare  a  tutto  :  dall'educazione  della  gioventù  al  la- 
voro per  gli  operai.  A  poco  alla  volta,  con  la  concordia 
e  la  pace,  la  prosperità  pubblica  e  privata  sarebbe  stata 
raggiunta.  Egli  la  faceva  quasi  toccar  con  mano,  e  le 
persone  venute  per  sapere  che  ne  era  delle  loro  do- 
mande d'un  posticino,  o  d'un  sussidio,  o  d'una  pen- 
sione, andavano  via  portandolo  alle  stelle  come  se 
avesse  colmato  loro  le  tasche,  spargendo  per  la  città 
la  nuova  della  riconciliazione  avvenuta  tra  il  conte  e 
sua  moglie  :  opera  e  merito  del  duca,  il  quale  aveva 
fatto  il  sacrificio  di  lasciar  la  capitale  in  un  momento 
come  quello  per  indurre  il  nipote  alla  ragione.  Non 
s' udivano  se  non  esclamazioni  di  lode  all'  indirizzo 
del  deputato  ;  dal  cortile  del  palazzo  al  Gabinetto  di 
lettura,  tutti  ad  una  voce  giudicavano  che  in  questa 
occasione  egli  aveva  fatto  opera  buona  e  doverosa  ; 
solamente  don  Blasco,  nella  farmacia  borbonica,  gri- 
dava  come  un   ossesso  : 

—  Ah,  gli  credete?...  Perchè  credete  che  l'ha  fatto? 
Per  dar  soddisfazione  alla  canaglia  !  Perchè  si  dica  che 

difende  la  morale!...    E  per  un'altra  ragione  ancora 

per  ingraziarsi  quell'altro  cialtrone  amico  dei  mangia- 
polenta !...  il  sonatore  dei  mici  sonagli  I...  il  barone 
con   set  le  paia  di  effe  !... 


30I   — 


II. 


Quando  la  contessa  Matilde  tornò,  dopò  due  anni  di 
lontananza,  tra  i  parenti  del  marito,  essi  medesimi, 
alla  prima,  non  la  riconobbero.  Se  era  stata  sempre 
pallida  e  magra,  adesso  era  scialba  e  scarnita  ;  il  petto 
le  si  affondava  come  se  qualche  male  lento  e  spietato 
la  rodesse,  le  spalle  le  s' incurvavano  come  per  il  peso 
degli  anni,  e  gli  occhi  incavati,  accerchiati  di  livido, 
lucenti  di  febbre,  dicevano  lo  strazio  di  un  pensiero 
cocente,   d'una   cura  affannosa,    d'una  paura  mortale. 

—  Povera  Matilde  !  Sei  stata  male  ?  —  le  domandò 
la  principessa,  a  dispetto  delle  ingiunzioni  del  marito, 
il  quale  le, /proibiva  di  avere  opinioni. 

—  Un  poco —  rispose  la  cognata,   scrollando   il 

capo,  con  un   sorriso  dolce  e  triste.  —  Adesso  è  pas- 
sato  

Infatti,  ella  si  sentiva  rinascere.  Suo  padre  non  aveva 
voluto  né  accompagnarla  in  quella  casa,  né  permet- 
terle di  condurvi  le  bambine;  eppure,  dimenticando 
quanto  vi  aveva  sofferto,  ella  vi  entrava  con  un  senso 
di  sollievo  e  quasi  di  fiducia.  La  tempesta  recente  era 
stata  cosi  forte  e  dura,  che  ella  pensava  anzi  con  un 
senso  di  rammarico  al  tempo  degli  antichi  dolori  ;  li 
aveva  giudicati  intollerabili  e  non  sapeva  di  quanto 
sarebbero  cresciuti,  a  poco  a  poco,  ma  costantemente, 
fino  a  contenderle  la  stessa  speranza  d'  un  qualunque 
ritorno  alla  pace.  Come  le  si  era  chiuso  il  cuore  ai 
primi  disinganni,  nel  vedere  che  l'amor  suo  non  ba- 
stava a  Raimondo,  che  egli  pensava  diversamente  da 
lei,  che  faceva  consistere  la  felicità  in  cose  senza  va- 
lore per  lei  !  Eppure  egli  non  l'aveva  tradita,  allora  ! 
Ma  erano  venuti  i  tradimenti,  ed  ella  li  aveva  perdonati 
poiché  tutti  gli  uomini  ne  commettono,  le  dicevano  ;  poi- 


—  302  — 

che  ella  soltanto  ne  soffriva,  silenziosamente,  in  fondo 
all'anima.  Che  cosa  avrebbe  potuto  fare,  del  resto  ? 
Che  aveva  potuto  fare  dinanzi  al  pericolo  più  grave, 
alla  minaccia  terribile?  Lasciarlo?  Egli  stesso  l'a- 
veva abbandonata  !....  Quando  ella  ripensava  a  quei  due 
anni  trascorsi  in  Toscana,  a  tutto  ciò  che  aveva  sofferto 
vedendo  prepararsi  e  non  potendo  impedire  l'ultima  ro- 
vina, ella  provava  veramente  come  un  bisogno  di  ingi- 
nocchiarsi e  di  ringraziare  il  Signore,  tanto  miracoloso 
le  pareva  il  ravvedimento  di  Raimondo.  Poteva  adesso 
sperare  che  durasse  ?  Quante  volte  egli  non  era  parso 
rinsavito,  ed  aveva  poi  fatto  peggio  ?  Due  anni  addietro, 
prima  che  scop>piasse  lo  scandalo  in  casa  di  Persa,  ella 
non  aveva  creduto  che  tutto  fosse  finito  per  lei  ?  Alla 
notizia  che  quella  donna  era  stata  scacciata  dalla  suo- 
cera, ella  aveva  compreso  la  commedia  della  rottura 
rappresentata  da  lei  e  da  Raimondo,  e  preveduto  con 
lucidità  straordinaria  quel  che  poi  era  accaduto Non- 
dimeno, la  partenza  pel  continente  l'aveva  illusa  ancora 
una  volta  ;  la  lontananza,  il  tempo,  gli  svaghi  mondani 
dei  quali  era  sempre  avido,  non  avrebbero  distrutto  nel 
cuore  di  Raimondo  il  ricordo  di  quell'altra?  Ma  colei 
doveva  aver  giurato  di  rubarglielo,  ad  ogni  costo,  se  lo 
aveva  raggiunto  a  Firenze,  se  erasi  mostrata  a  lui  da 
lontano,  da  vicino,  per  le  vie,  in  società,  tentandolo 
ovunque,  dinanzi  a  lei  stessa  !  Ella  non  accusava  più 
Raimondo,  non  sospettava  che  fosse  d'intesa  con  quel- 
l'altra, che  avesse  finto  di  fuggirla  per  ritrovarla  più 
sicuramente.  1  suoi  sospetti,  le  sue  accuse  gelose  cade- 
vano su  quella  donna  soltanto;  a  Raimondo  ella  non  ri- 
volgeva se  non  preghiere  indulgenti,  l'umile  scongiuro 
di  evitarle  nuovi  dolori.  Egli  s' infuriava,  negava  come 
altre  volte,  la  incolpava  di  volergli  creare  imbarazzi  e 
pericoli,  la  riduceva  al  silenzio  con  le  tristi  parole  che 
ancora  le  risonavano  all'orecchio  :  «  Quella  donna  è  l'ul- 
timo dei  miei  pensieri;  ma  se  non  la  finite  di  vessarmi, 
farò  qualche  pazzia,  vedrete  !  »  Ella  non  sapeva  ancora 
fino  a  qual  punto  fosse  sincero — 


-'  303  — 

11  capriccio  di  Raimondo  per  donna  Isabella,  in  ve- 
rità, s'era  sedato  appena  soddisfatto;  il  chiasso  della 
separazione,  la  paura  di  trovarsi  qualche  grossa  respon- 
sabilità materiale  sulle  spalle,  avevano  gettato  molt'ac- 
qua  sul  fuoco  dei  suoi  desiderii.  A  Firenze,  dove  s'eran 
dato  convegno,  aveva  deliberato  di  spezzare  in  un  modo 
qualunque  la  catena  da  cui  si  sentiva  avvincere,  polche 
egli  asipirava  alla  vita  allegra  e  varia,  libera,  princi- 
palmente. Ma,  per  la  notizia  del  dramma  domestico  di 
cui  era  stato  l'eroe,  egli  si  vide  posto  più  in  alto  nella 
stima  degli  scapati  amici  di  Toscana,  del  cui  giudizio 
faceva  più  conto  che  d'ogni  altra  cosa  ;  la  conquista 
d'una  signora  autentica  come  la  Fersa  gli  procurava  i 
sorrisi  di  compiacimento  un  po'  invidiosi  dei  rompicolli 
che  prendeva  a  modello.  E  donna  Isabella  gli  divenne 
per  tanto  meno  indifferente  ;  ma  la  gelosia  della  moglie 
fini  di  stringere  quel  vincolo  nel  punto  che  egli  stava 
per  giudicarlo  increscioso.  Tutte  le  volte  che  Matilde 
gli  rivolgeva  una  supplichevole  rimostranza,  egli  credeva 
suo  dovere,  come  per  una  specie  di  compenso,  di  fare 
maggiori  dimostrazioni  di  affetto  all'amica;  più  som- 
messamente sua  moglie  lo  pregava  di  non  trascurarla, 
più  smaniosamente  egli  andava  via  di  casa.  Ella  sapeva 
com'era  fatto,  com'era  intollerante  di  ogni  ostacolo, 
d'ogni  contrasto,  delle  stesse  osservazioni;  ma  poteva 
forse  tacere,  fingere  d'ignorare  quel  che  avveniva?  Po- 
teva soffrire,  senza  neanche  piangere,  ch'egli  la  la- 
sciasse sola,  lunghi  giorni,  lunghissime  notti,  che  tra- 
scurasse le  sue  figlie  per  andarsene  con  quell'altra,  per 
mostrarsi  pubblicamente  in  compagnia  di  lei,  per  con- 
durre i  propri!  amici  nella  casa  di  lei  come  in  un'altra 
casa  sua  propria?...  E  il  giorno  che  s'era  sfogata  non 
contro  di  lui,  ma  contro  quell'altra,  Raimondo  le  aveva 
ingiunto  di  tacere,  con  la  voce  grossa,  con  gli  sguardi 
cattivi,  alzando  la  mano Quella  triste  scena  era  avve- 
nuta la  vigilia  del  giorno  che  suo  padre,  diretto  a  To- 
rino, doveva  passare  da  Firenze.  II  terrore  di  spingere 
l'uno  contro  l'altro  quei  due  uomini  l'aveva  costretta  a 


—  304  — 

tacere;  e  poiché  suo  padre,  ricominciando  a  sospettare 
di  Raimondo,  aveva  mutato  a  un  tratto,  con  la  violenza 
abituale,  l'antica  affezione  verso  il  genero  in  freddezza 
diffidente  e  vigile,  ella  aveva  dovuto  bere  le  proprie 
lacrime,  cancellarne  le  tracce,  mostrarsi  allegra  e  con- 
tenta per  impedire  che  quei  due  si  scagliaissero  l'uno 
contro  l'altro.  Così  ella  s'era  consunta,  soffrendo  in  si- 
lenzio, inghiottendo  amaro  sopra  amaro,  invocando  dal 
Signore  tanta  forza  da  poter  continuare  a  fingere,  a 
illudersi,  a  credere  che  nessun  serio  pericolo  la  minac- 
ciasse. 

Ma  era  già  troppo  tardi.  Tutto  ciò  che,  nella  sua  ge- 
losia, la  moglie  gli  veniva  dicendo  contro  l'amante,  spin- 
geva Raimondo  sempre  piij  nelle  braccia  dì  quest'ul- 
tima :  poiché  Matilde  gliene  parlava  male,  voleva  dire 
che  era  invece  la  prima  delle  donne.  Quest'idea  si  con- 
ficcava tanto  più  saldamente  nella  sua  testa,  quanto 
che  donna  Isabella,  da  suo  canto,  non  gli  diceva  mezza 
parola  contro  la  contessa  ;  e  si  lagpava  appena,  discre- 
tamente, dell'odio  .che  si  vedeva  portato.  «  Quando  m'in- 
contra, mi  volta  le  spalle —  Sparla  di  me —  Che  cosa 
le  ho  fatto  ?  »  Oppure  gli  proponeva  di  rompere  e  di 
lasciarsi,  si  offeriva  in  sacrifizio  per  assicurargli  la  pace 
della  famiglia  :  «  Non  t'inquietare  di  me  !...  Me  ne  andrò, 

vivrò  -sola,  come  vorrà  Dio Andrò  a  buttarmi  ai  piedi 

di  mio  marito;  forse  mi  perdonerà —  »  Allora,,  di  ri- 
mando, egli  s'ostinava  a  far  cose  che  ella  stessa  non 
avrebbe  volute  ;  se  prima  non  aveva  nascosto  quell'ami- 
cizia, ora  l'ostentava;  se  prima  stava  poco  in  casa, 
adesso  restava  settimane  intere  senza  metterci  piede, 
senza  veder  le  sue  figlie  ;  ed  al  teatro  prendeva  posto  nel 
palco  dell'amica,  dal  principio  alla  fine  dello  spettacolo; 
ed  al  passeggio,  se  era  con  amici,  non  rispondeva  al 
saluto  di  sua  moglie,  quando  s'incontravano  :  mentre  la 
contessa  lacrimava  in  fondo  alla  sua  carrozza,  egli  an- 
dava a  piantarsi  allo  sportello  di  quella  di  donna  Isa- 
bella. 

A   Livorno,   in  principio  dell'estate,    lo   scandalo   era 


—  305  — 

cresciuto  talmente,  che  alcuni  buoni  amici  di  Raimondo, 
il  conte  Rossi  fra  gli  altri,  suo  padrone  di  casa,  l'ave- 
vano consigliato  d'esser  meno  imprudente.  Matilde,  ■! 
cui  cuore  sanguinava  da  tanto  tempo,  fu  in  quei  giorni 
straziata  da  un  altro  dolore  :  Lauretta,  che  era  sempre 
cagionevole,  appena  lasciato  Firenze  cadde  inferma.  Una 
notte  che  la  sua  bambina  vaneggiava,  in  preda  alla 
febbre,  ella  restò  in  piedi  fino  all'alba,  vegliandola,  im- 
paurita dal  rapido  aggravarsi  del  male,  aspettando  an- 
siosamente il  ritorno  di  Raimondo.  A  giorno,  egli  rin- 
casò. Doveva  esser  ebbro.  vSolo  perchè,  rotta  dal  dolore 
e  dalla  fatica,  turbata  fieramente  dalla  malattia  della 
bambina,  atterrita  dal  pericolo  che  la  povera  creatura 
correva,  ella  osò  dirgli  :  «  Ma  che  vita  è  la  tua  !...  »  egli 
le  piantò  in  viso  gli  occhi  foschi,  strinse  il  pugno  ed 
uscì  in  una  sconcia  bestemmia —  Che  disse  poi?  Che 
fece  ?  Ella  non  sapeva.  Rammentava  soltanto  che,  ria- 
vuta dallo  stordimento,  Stefana,  la  sua  cameriera,  le 
aveva  detto  che  il  padrone  era  andato  via,  con  lo  stesso 
abito  di  società  col  quale  era  rientrato,  portandosi  sol- 
tanto una  sacca,  dove  aveva  buttato  pochi  effetti  alla  le- 
sta; rammentava  d'essersi  sentita  struggere,  non  po- 
tendo corrergli  dietro,  non  potendo  lasciare  la  sua  po- 
veretta agonizzante;  d'aver  mandato  Stefana  a  Firenze, 
credendo  che  egli  se  ne  fosse  tornato  li;  d'aver  saputo 
il  giorno  seguente  che,  cercato  rifugio  in  un  albergo 
della  stessa  Livorno,  egli  s'era  imbarcato  per  la  Sicilia... 
Il  barone  arrivò  da  Torino  come  un  fulmine,  prima 
che  ella  gli  avesse  dato  notizia  dell'accaduto.  Allora  un 
altro  tormento  s'aggiunse  ai  tanti  che  la  straziavano. 
11  rancore  di  suo  padre  contro  il  genero  scoppiò  a  un 
tratto,  terribile.  «  È  andato  via  ?  Meglio  cosi  !  »  aveva 
detto  nel  primo  momento  ;  ma  poiché  ella  si  scioglieva 
in  lacrime,  non  sapendo  come  fare,  vedendo  distrutta 
la  propria  esistenza,  un  violento  moto  di  collera  gli 
cacciò  tutto  il  sangue  alla  testa  :  «  E  lo  piangi,  anche  ?... 
Lo  vorresti  difendere?...  Saresti  capace  di  corrergli  die- 
tro?... »  Impaurita,  giungendo  le  mani  per  disarmarlo. 

De    Roberto,    l    Viceré    -    I  20 


—  3o6  — 

ella  addusse,  tra  i  singhiozzi:  «  E  le  mie  figlie?...  Le 
mie  orfanelle  ?...  »  Ma  con  impeto  più  selvaggio,  egli 
proruppe:  «Ah,  il  suo  amor  paterno?...  11  bene  che 
ha  voluto  alle  sue  creature?...  Il  sangue  avvelenato  a 
quella  innocente?...  »  e  con  un  fiotto  di  parole  crude, 
minacciose,  frementi,  le  disse  la  vita  indegna  di  lui, 
ciò  che  ella  non  sapeva  ancora,  ciò  che  egli  stesso  non 
aveva  saputo  per  tanto  tempo,  addormentato  dalla  va- 
nità, dal  folle  orgoglio  d'essersi  imparentato  con  uno 
dei  Viceré.  «  Vuoi  dunque  pregarlo  per  giunta?...  Vuoi 
eh'  io  vada  a  chiedergli  scusa  per  te,  per  me,  per  quelle 
innocenti?...  Non  ti  basta,  sciocca  che  sei,  l'esperienza 
di  dieci  anni?...  \'uoi  ricominciare  a  tremargli  din- 
nanzi ?...  Credi  eh'  io  non  sappia  quel  che  hai  sofferto  ?..» 
E  come  ella  scrollava  le  spalle,  rabbrividendo,  egli 
gridò:  «Non  te  ne  importa?...  Saresti  capace  di  vo- 
lergli bene  ancora?...  » 

Si,  era  vero.  Ella  non  piangeva  per  l'avvenire  delle 
sue  bambine,  non  si  sdegnava  al  ricordo  delle  proprie 
torture  ;  se  le  aveva  patite  in  silenzio,  se  aveva  accu- 
sato soltanto  la  rivale,  se  non  aveva  mai  trovato 
una  parola  di  rimprovero  per  Raimondo,  l'unica  ragione 

consisteva  nel  bene  che  gli  portava «  Dopo  quel  che 

t'  ha  fatto?...  Non  hai  dunque  capito  che  non  1'  ha  mai 
ricambiato,  il  tuo  bene  ?  Che  non  chiede  di  meglio  se 
non  sbarazzarsi  di  te?...  Sciocca  che  sei,  gli  vuoi 
dunque  il  bene  del  cane  che  lecca  la  mano  che  lo  ha 
battuto?...  »  SI,  si,  cosi!  Il  bene  del  cane  per  il  pa- 
drone, la  devozione  d'uno  schiavo  p>er  l'essere  di  un'altra 
razza,  piìi  forte,  più  alta,  più  rara.  Sì,  la  sommessione 
del  cane  per  il  padrone;  poiché,  anche  dopo  l'onta 
estrema  che  le  aveva  inflitta,  nonostante  la  rivelazione 
brutale,  nonostante  il  legittimo  sdegno  del  padre,  ella 
pensava  di  non  poter  vivere  lontana  da  Raimondo,  di 
non  poterlo  lasciare  a  quell'altra — 

Passarono  così  per  lei  lunghi,  eterni  giorni  d'intima 
ambascia  ;  il  barone  la  trattava  con  ostentata  freddezza, 
pareva  non  accorgersi  delle  sue  lacrime;  ella  nondimeno 


-  M'7  — 

aspettava,  affrettava  coi  voti  più  ardenti  qualcosa  :  non 
il  ritorno  di  Raimondo,  che  sarebbe  stata  una  gioia 
troppo  grande,  ma  una  sua  lettera,  almeno,  di  penti- 
mento, o  l'intromissione  di  qualcuno  dei  suoi —  La 
bambina  s'era  rimessa;  ai  piedi  della  Madonna  ella  im- 
plorava il  perdono  d'un  pensiero  abominevole;  se  Lau- 
retta fosse  ricaduta,  avrebbero  potuto  chiamarlo 

S'ammalò  invece  ella  stessa.  Vedendola  piangere 
anche  nella  febbre,  il  barone  'proruppe,  col  tono  acre 
che  prendeva  cedendo:  «Non  vuoi  dunque  finirla?  Bi- 
sogna anche  dargli  questa  soddisfazione,  di  pregarlo 
per  giunta?  Bada  però  !...  »  soggiunse  con  voce  minac- 
ciosa :  «  Dal  giorno  che  tornerete  insieme,  fa'  conto  che 
io  non  ci  sia  più!...  Scegli  tra  noi  due:  non  t'ima- 
ginare  che  io  possa  aver  più  nulla  di  comune  con  lui  !...  » 
Povero  babbo  !  Burbero,  rigido,  violento  con  tutti,  egli 
aveva  sempre  ceduto  dinanzi  alle  sue  figlie,  studiandosi 
di  fare  la  voce  grossa,  mettendo  patti  che  la  violenza 
del  carattere  gli  dettava,  ma  che  l'inesauribile  bontà  del 
cuore  non  gli  permetteva,  alla  lunga,  di  mantenere. 
Scrisse  così  al  duca,  andò  insieme  con  lui  a  raggiun- 
gere Raimondo  dopo  averla  accompagnata  a  Milazzo,  e 
glielo  ricondusse.' 

Non  v'era  stato,  tra  lei  e  suo  marito,  neppure  una 
parola  relativa  al  passato;  nell'atto  che  egli  le  tornava 
vicino,  avrebbe  ella  potuto  rammentargli  i  suoi  torti  ? 
Da  parte  sua  egli  non  le  chiese  perdono,  non  le  disse 
una  buona  parola  ;  le  venne  incontro  indifferente  come 
se  l'avesse  lasciata  il  giorno  innanzi.  Né  ella  sperava 
più  di  questo.  Il  suo  bel  sogno  d'amore  e  di  felicità 
s'era  a  poco  a  poco,  di  giorno  in  giorno,  dileguato; 
adesso,  rassegnata  alle  tristezze  della  realtà,  ella  non 
chiedeva  altro  che  quiete.  Purché  Raimondo  volesse  bene 
alle  sue  creature,  purché  non  le  abbandonasse  un'altra 
volta,  ella  era  disposta  a  sopportare  ogni  cosa — 

In  casa  del  principe,  adesso,  dov'eran  venuti  pel  ma- 
trimonio di  Lucrezia,  lasciando  a  Milazzo  le  bambine, 
i  parenti  di  lui  la  trattavano  meglio.   La  sposa,  che  pa- 


—  3"«  — 

reva  non  capire  nei  panni  per  l'iniminenza  del  matri- 
monio, le  prodigava  dimostrazioni  d'affetto,  non  si  la- 
sciava guidare  da  nessuno  fuorché  da  lei  nella  scelta 
degli  abiti  e  degli  ultimi  oggetti  del  corredo;  la  princi- 
pessa, sempre  timida  e  mite,  le  dimostrava  più  di  prima 
la  propria  simpatia  ;  quanto  a  don  Blasco  e  a  donna 
Ferdinanda,  che  avevano  ripreso  a  venire  tutti  i  giorni 
al  palazzo,  parevano  anch'essi  un  poco  placati,  perchè 
invece  di  punzecchiarla  non  le  badavano  affatto.  Che 
le  importava!  Erano  così;  bisognava  prenderli  com'e- 
rano. Purché  Raimondo  non  la  lasciasse  un'altra  volta  I 
purché  quei  giorni  tremendi  dell'abbandono  non  ritor- 
nassero !  Quasi  quasi  ella  rassegnavasi  alla  lontananza 
delle  sue  bambine!...  La  compagnia  della  nipotina  Te- 
resa gliela  rendeva  più  tollerabile.  Come  somigliava  a 
Teresa  sua,  la  figlia  del  principe  !  La  stessa  bellezza  fine 
e  bionda,  la  stessa  grazia,  la  stessa  dolcezza  della  voce 
e  dello  sguardo.  Anche  i  caratteri,  in  fondo,  si  rasso- 
migliavano, quantunque  la  sua  bambina  dimostrasse  una 
vivacità  quasi  irrequieta,  mentre  la  cuginetta  era  pu. 
tranquilla  ed  obbediente.  Ma  quanta  parte  non  aveva  in 
questo  risultato  l'autorità  del  padre  ?  Mentre  Raimondo 
non  si  curava  di  sua  figlia,  la  vigilanza  di  Giacomo  pe- 
sava fin  troppo  sulla  principessina  :  egli  l'educava  a 
mortificare  i  suoi  desiderii,  a  reprimere  le  sue- volontà; 
la  faceva  restare  intere  giornate  tra  le  monache  di 
San  Placido  perché  s'avvezzasse  all'obbedienza  e  alla 
disciplina  monastica.  Povera  piccina  !  Tutte  le  volte 
che  la  mettevano  nella  ruota  per  farla  passare  dentro 
alla  Badia,  oltre  il  muro  impenetrabile  che  segregava 
le  suore  dal  mondo,  tendeva  le  braccia  alla  sua  mamma 
ed  alle  zie  con  un  sen§o  di  paura  negli  occhi  spalancati  ; 
ma  la  principessa  che  aveva  gli  ordini  del  marito,  pel 
quale  la  bambina  era  una  specie  di  muta  ambasciatrice 
incaricata  di  sedare  il  malcontento  della  Badessa  e  della 
sorella  Crocifissa,  persuadeva  la  figlia  a  star  buona,  a 
non  temere,  e  la  piccina  diceva  di  si,  di  si,  mandando 
baci  alla  sua  mamma  mentre  la  ruota  girava,  la  chiù- 


—  309  — 

deva  nello  spessore  del  muro,  la  passava  dall'altra  parte, 
nello  stanzone  freddo  e  g'rioflo  con  un  gfrande  Cristo  nero 
e  sanguinante  che  prendeva  un'  intera  parete.  La  mam- 
ma, le  monache,  tutte  e  tutti  lodavano  la  saggezza  di  cui 
dava  prova;  per  meritare  quelle  lodi,  per  non  dispiacere 
al  suo  babbo,  ella  faceva  quel  che  volevano.  La  contessa 
giudicava  che,  in  fondo,  nonostante  l'apparente  viva- 
cità, anche  Teresa  sua  era  buona  e  dolce.  Lauretta  non 
era  più  tranquilla  e  ubbidiente  della  stessa  cugina  ?  E 
pensando  ai  suoi  cari  angioletti,  ella  affrettava  col  desi- 
derio il  matrimonio  di  Lucrezia,  poiché  subito  dopo  li 
avrebbe  raggiunti. 

Tutto  era  pronto.  Nella  casa  degli  sposi,  un  quar- 
tiere adiacente  a  ouello  di  don  Paolo  Giulente,  ma 
separato,  finivano  di  dare  l'ultima  mano  alla  sistema- 
zione dei  mobili;  le  cose  erano  fatte  larghissimamente 
e  con  molto  gusto.  Il  notaio  di  famiglia  aveva  gin 
steso,  in  base  alla  transazione  e  sotto  la  dettatura  del 
principe,  i  capitoli  matrimoniali  ;  Benedetto,  per  ingra- 
ziarsi il  coe^nato,  l'aveva  lasciato  fare,  s'era  contentato 
di  cinquemila  onze,  pel  momento,  invece  di  ottomila, 
poiché  il  principe  scVi  diceva  di  non  aver  pronta  tutta 
la  somma.  A  poco  a  poco,  dal  primo  incontro  col  mo- 
naco e  con  la  zitellona,  egli  era  riuscito  a  farsi  badare 
ogni  giorno  più  da  auei  due,  continuando  a  chinare  il 
capo  come  un  burattino  a  tutto  ciò  che  dicevano.  Ar- 
ticolo politica,  don  Blasco  e  la  sorella  erano  più  arrab- 
biati di  prima,  vuotavano  il  sacco  degli  oltraggi  e  delle 
contumelie  contro  i  liberali  ;  e  allora  il  giovanotto  fin- 
geva di  non  udire,  si  voltava  dall'altra  narte,  lasciando 
che  sfogassero,  quasi  Quell'onda  di  male  parole  non  si 
rovesciasse  anche  su  lui  ;  ma  in  tutte  le  altre  circo- 
stanze, nel  corso  d'ogni  discussione,  si  schierava  dalla 
loro  parte,  dava  loro  ragione  ad  ogni  costo,  in  busca 
d'uno  sguardo,  d'un  saluto,  d'una  parola.  Giusto  in  quel 
torno,  un  debitore  di  donna  Ferdinanda,  un  certo  Cala- 
foti,  aveva  dichiarato  fallimento  dando  a  intendere  che 


—  3IO  — 

la  sua  proprietà  era  parte  venduta  e  parte  ipotecata.  La 
zitellona  strillava  come  una  gallina  spennata  viva  contro 
quel  ladro,  contro  il  sensale  che  le  aveva  proposto  l'af- 
fare, contro  il  principe  di  Roccasciano  che  lo  aveva  ap- 
provato; ma  Benedetto,  udito  di  che  si  trattava: 

—  Questo  Calafoti  lo  conosco,  —  disse  :  —  se  Vo- 
stra Eccellenza  vuole,  io  gli  potrei  parlare.  Gli  atti  che 
adduce  sono  tutti  nulli  ;  con  la  minaccia  di  impugnarli 
lo  faremo  rigar  diritto. 

Ella  non  si  fece  molto  pregare  per  dargli  il  permesso 
richiestole  ;  e  dopo  una  settimana  di  corse  e  di  tratta- 
tive Benedetto  le  ottenne  la  cessione  d'un'  ipoteca  pri- 
vilegiata. In  ricambio,  donna  Ferdinanda  non  venne 
al  palazzo  il  giorno  del  matrimonio.  Non  ci  venne  nep- 
pure don  Blasco.  Gli  affari,  va  bene  ;  i  discorsi,  pure  ; 
ma  approvare,  con  la  loro  presenza,  l'alleanza  d'un'U- 
zeda  con  Vafjocato  Giulente,  questo  poi  no.  Tranne  di 
loro  due,  del  resto,  non  mancò  nessun  altro  della  paren- 
tela, né  al  municipio,  la  mattina,  né  alla  cattedrale,  la 
sera. 

La  marchesa  Chiara  accompagnò  lo  sposalizio  per 
ogni  dove.  Era  uscita  di  conti,  ma  seguitava  ad  andare 
su  e  giij  e  non  aveva  voluto  chiamare  nessuno.  La  sera 
degli  sponsali,  stanca  del  continuo  andirivieni,  ella  s'era 
buttata  a  sedere,  ansando,  sopra  una  poltrona,  accanto 
a  donna  Eleonora  Giulente.  Forse  era  la  grande  stan- 
chezza, ma  si  sentiva  veramente  poco  bene,  provava 
sordi  dolori  e  acute  trafitture.  Coi  gomiti  appuntati  ai 
bracciali  per  tener  libero  ed  erto  il  ventre,  ella  strin- 
geva uh  poco  le  labbra  ad  ognuna  di  quelle  rapide  fitte, 
ma  come  il  marito  veniva  tratto  tratto  a  domandarle 
premurosamente  che  avesse  : 

—  Noilla  !  —  rispondeva  ;  —  sto  benissimo  ;  —  per- 
chè non  chiamassero  la  gente  dell'arte. 

Alzatasi,  fece  il  giro  delle  sale.  C'era  una  gran  quan- 
tità d'invitati,  tutta  la  parentela,  tutta  la  nobiltà,  e  poi 
i  nuovi  amici  del  duca,  le  autorità,  il  sindaco,  il  pre- 
fetto che  egli  aveva  voluti  per  dare  risalto  al  carattere 


—  311   — 

liberale  dell'alleanza.  E  mentre  la  nobiltà  borbonica  se 
ne  stava  accrocchiata  nel  salone  o  nelle  Sale  Rossa  e 
Gialla,  il  deputato  teneva  un  circolo  democratico  nella 
Galleria  dei  Ritratti,  ricevendo  i  complimenti  per  quel 
bel  matrimonio  che  era  opera  sua,  discutendo  degli  af- 
fari pubblici.  Don  Paolo  Giulente,  poiché  nelle  sale  no- 
bili non  trovava  da  appiccar  discorso,  se  n'era  venuto  ad 
ascoltarlo,  a  bocca  aperta,  non  capendo  nella  pelle  dal 
piacere  d'essere  diventato  parente  del  grand 'uomo.  Suo 
fratello  don  Lorenzo  portava  a  spasso,  per  la  circo- 
stanza, la  cravatta  verde  di  commendatore  che  l'amico 
deputato  gli  aveva  fatto  concedere  dal  g-overno  di  To- 
rino insieme  con  certi  g-rossi  appalti  :  delle  poste,  dei 
trasporti  militari.  Anche  una  buona  quantità  dei  postu- 
lanti spiccioli  cominciavano  a  vedersi  esauditi  ;  l'Onore- 
vole aveva  fatto  accordare  impieghi,  sussidiì,  croci  di 
San  Maurizio  ai  patriotti  del  Quarantotto  e  del  Sessanta, 
e  riconoscere  il  diritto  alla  pensione  dei  vecchi  impiegati 
della  rivoluzione  siciliana,  e  ammettere  nell'esercito  re- 
golare i  volontari  garibaldini,  e  spingere  la  causa  dei 
danneggiati  dalle  truppe  borboniche  i  quali  presenta- 
vano la  nota  del  loro  amor  di  patria  ;  talché  tutti  quei 
suoi  clienti  soddisfatti  o  prossimi  ad  essere  soddisfatti  lo 
ascoltavano  come  un  oracolo,  superbi  d'averlo  amico  e 
d'essere  ammessi  nella  casa  dei  Viceré,  di  vedersi  ser- 
viti  dai  camerieri  con   le  livree   fiammanti. 

Baldassarre,  in  gran  tenuta,  girava  alla  testa  della 
processione  dei  camerieri  che  reggevano  i  vassoi  pieni 
di  gelati,  di  spumoni,  di  gramolate  e  di  dolci,  e  serviva 
la  Galleria  dopo  le  sale,  ma  con  la  stessa  etichetta,  se- 
guendo l'esempio  del  principe  che  faceva  a  tutti  lo 
stesso  inchino  ;  quantunque,  per  dire  il  fatto  della  verità, 
intorno  a  Sua  Eccellenza  il  duca  ci  fossero  certi  tipi 
che  non  si  sapeva  di  dove  sbucassero:  se  prendevano 
il  piatt-ello  del  gelato,  buttavano  a  terra  il  cucchiaino, 
o  si  rovesciavano  addosso  la  gramolata  tracannandola 
quasi  fosse  acqua  fresca,  o  prendevano  i  dolci  a  manate 
come  se  non  ne  avessero  mangiato  mai  prima  di  quella 


—  312  — 

scia.   E  i  Viceré  che  g-uardavano  dall'alto  delle  pareti  ! 
Basta  :  a  lui  toccava  eseguire  gli  ordini  dei  padroni  ! 

Giusto  la  cugina  Graziella,  appartata  in  un  crocchio 
con  la  duchessa  Radali  e  la  principessa  di  Roccasciano, 
diceva  al  principino  che,  straordinariamente,  per  la  cir- 
costanza del  matrimonio  della  zia,  aveva  ottenuto  il  per- 
messo di  restar  fuori  la  sera  : 

—  Questo  qui  lo  accaseremo  noi,  a  suo  tempo  ! 
Avremo  da  sceglier  noi  chi  dovrà  sposare  ! 

Non  sapeva  in  qual  modo  significare  alla  Giulente  che 
quel  matrimonio  si  faceva  per  forza,  contro  il  piacere 
della  mag-gioranza  della  famiglia.  Ma  donna  Eleonora 
non  s'accorgeva  di  niente  :  seduta  accanto  alla  princi- 
pessa e  alla  contessa  Matilde,  sorrideva  di  beatitudine 
al  passag-gio  degli  sposi,  in  volto  ai  quali,  specialmente 
a  Lucrezia,  leggevasi  la  gioia  del  trionfo.  Del  resto,  se 
donna  Ferdinanda  e  la  cugina  le  facevano  il  viso  del- 
l'arme, la  principessa  le  usava  molte  cortesie,  la  con- 
tessa Matilde  prendeva  parte  alla  sua  felicità  di  madre  ; 
la  stessa  Chiara  veniva  a  gettarsi  nuovamente  accanto 
a  lei. 

—  Siete  stanca,  marchesa? 

—  Io?  No!  Sto  benissimo.  —  Le  trafitture  spesseg- 
giavano, quasi  le  toglievano  il  respiro  :  ella  sarebbe  stata 
felice  di  partorire  11,  su  quel  divano. 

Ferdinando,  infagottato  nell'abito  di  società  che  met- 
teva per  la  seconda  volta  in  vita  sua,  girava  attorno 
come  un'anima  in  pena,  non  conoscendo  nessuno,  da 
tanti  anni  che  faceva  la  vita  del  Robinson.  Era  venuto 
per  far  da  testimonio  alla  sorella  diletta  ed  aveva  fretta 
che  la  cerimonia  finisse  presto  per  tornare  alle  Ghiande. 

Quando  Dio  volle,  il  corteo,  sceso  giù  per  la  scala 
d'onore  e  distribuito  nelle  carrozze,  s'avviò  alla  cat- 
tedrale. La  funzione  celebrossi  nella  cappella  privata  del 
Vescovo,  da  Monsignore  in  persona  :  tutti  gl'invitati 
con  le  torce  in  mano,  gli  sposi  dinanzi  all'altane  sfol- 
gorante e  olezzante,  donna  Eleonora  Giulente  che  pian- 
geva come  una  fontana.  «  Una  cosa  commovente,  »  di- 


i 


.  —  3.13   — 

ceva  piano  il  duca  al  prefetto  che  gli  stava  a  fianco.  A 
un  tratto  vi  fu  un  rimescolio  :  Chiara,  non  potendone 
più,  s'era  lasciata  cadere  sopra  uno  sgabello.  Tutti  la 
circondarono,  ma  ella  li  rassicurava  con  un  sorrìso  : 
sorrideva  perfino  Monsignore,  sapendola  in  istato  inte- 
ressante. Il  marchese  la  trascinò  in  carrozza  mentre  il 
resto  della  comitiva  andava  in  casa  dei  Giulente,  dove 
le  cose  eran  fatte  forse  con  più  sontuosità  che  dal  prin- 
cipe :  un  rinfresco  che  non  finiva  mai,  i  gelati  che  squa- 
gliavano nei  vassoi  per  mancanza  di  consumatori  ;  e 
finalmente  gli  sposi,  si  misero  in  carrozza  e  se  ne  anda- 
rono al  Belvedere. 

Il  domani  mattina  andarono  lassù  a  trovarli,  uno 
dopo  l'altro,  i  Giulente  marito  e  moglie,  don  Lorenzo 
e  il  duca,  la  principessa  e  perfino  Chiara,  fresca  come 
una  rosa;  i  dolori  erano  svaniti,  ella  aveva  voluto  a 
forza  salire  dalla  sorella.  Gli  sposi  non  aspettavano  più 
nessuno,  quando,  nel  pomeriggio  :  drlin,  drlin,  un  tin- 
tinnio di  sonagliere,  e  la  carrozza  di  donna  Ferdinanda, 
tutta  impolverata,  si  fermò  dinanzi  al  cancello  del  vil- 
lino. La  zitellona,  come  se  li  avesse  lasciati  la  sera  pre- 
cedente, come  se  fossero  maritati  da  dieci  anni,  diede  la 
mano  da  baciare  alla  nipote,  e  appena  sedutasi  disse  a 
Benedetto  : 

—  Bell'affare  m'hai  propostò  !  Gli  altri  creditori  si 
oppongono  alla  cessione  dell'ipoteca! 

Benedetto,  dallo  sbalordimento,  non  seppe  li  per  lì 
che  rispondere  ;  ma  Lucrezia  si  voltò  con  lui  dicendo  : 

—  Non  c'è  modo  dì  accordarli? 

—  I  creditori?...    Sicuro si  possono  accordare — 

—  E  frenando  a  stento  un  sorriso,  esclamò  :  —  Vostra 
Eccellenza  non  se  ne  inquieti.  Il  credito  di  Vostra  Ec- 
cellenza era  privilegiato.  Li  faremo  stare  a  dovere,  non 
dubiti  ! 

Il  domani,  donna  Ferdinanda  tornò  col  suo  patroci- 
natore, perchè  Benedetto  gli  spiegasse  bene  il  da  fare  ; 
e  tornò  ancora  il  giorno  appresso,  e  poi  quell'altro,  fin- 
ché, per  farla  contenta,  egli  stesso  riscese  con  la  moglie 


—  314—     . 

in  eittti  a  tlipanare  in  persona  la  matassa.  Dovevano 
passare  un  mesetto  al  Belvedere,  e  ci  stettero  così  una 
settimana  appena.  Egli  non  se  ne  lagnava,  contento 
della  pace  fatta  con  la  zia,  la  quale,  se  li  aveva  cercati 
ogni  giorno  in  campagna,  venne  mattina  e  sera  a  tro- 
varli in  città.  Arrivava  per  tempo,  quando  1  Giulente 
padre  e  madre  non  erano  ancora  passati  dalla  nuora, 
la  quale  restava  a  letto  fino  a  tardi.  Benedetto,  in  piedi 
col  sole,  dava  gli  ordini  alle  persone  di  servizio  per  la 
colazione  e  il  desinare,  curava  che  la  moglie,  levandosi, 
trovasse  la  casa  ravviata,  e  tutto  in  ordine  ;  e  donna 
Ferdinanda,  dopo  aver  discorso  del  proprio  credito, 
cominciava  a  fare  le  sue  osservazioni  sulle  faccende  dei 
nipoti  :  se  desinavano  troppo  tardi  per  seguire  la  moda 
italiana  portata  da  quella  bestia  del  duca;  se  il  venerdì 
comperavano  il  pesce  troppo  caro,  quando  avrebbero 
potuto  contentarsi,  come  lei,  del  baccalà;  se  davano 
alla  cameriera  tutto  il  trattamento  invece  della  sola 
minestra  come  usava  lei  stessa  in  casa  propria.  E  a 
poco  a  poco  ficcava  il  naso  in,  tutte  le  cose  più  minute, 
pii!i  intime  :  rivedeva  i  loro  conti,  esaminava  la  nota 
della  lavandaia,  criticava  la  compera  degli  strofinacci, 
dettava  sentenze  di  economia  domestica,  biasimava  il 
largo  spendere  di  Benedetto  dopo  essersi  opposta  al 
matrimonio  perchè  i  Giulente  erano  «  pezzenti  ».  Bene- 
detto non  si  stancava  di  quella  vigilanza  curiosa  e  mi- 
nuziosa, in  grazia  della  benevolenza  di  cui  gli  pareva 
prova;  anzi,  per  ingraziarsela  meglio,  invitava  la  zia 
una  volta  la  settimana  a  desinare  e  un'altra  a  cola- 
zione; ma  la  zitellona,  che  non  si  faceva  molto  pregare 
e  che  sfruttava  in  ogni  modo  i  nipoti,  esercitava  con 
sempre  maggiore  autorità  la  sua  critica,  voleva  essere 
ascoltata  in  tutto  e  per  tutto;  non  potendo  prender- 
sela con  Benedetto,  il  quale  le  stava  dinanzi  come  un 
servitore,  punzecchiava  la  nipote  perchè  si  levava  tardi, 
perchè  fino  a  mezzogiorno  restava  discinta,  coi  capelli 
sulle  spalle  e  i  piedi  nelle  pantofole  ;  tanto  che  final- 
mente questa  disse  a  suo  marito  : 


— •   Mi  comincia  a  seccare,  sai  ! 

Allora,  per  farle  piacere,  non  importandole  il  bron- 
cio della  zia,  egli  diradò  gli  inviti  ;  ma  quando  credeva 
di  mettersi  a  tavola  solo  con  sua  moglie,  vedeva  spun- 
tare la  zitellona,  che  Lucrezia  aveva  chiamata.  Mutava 
facilmente  opinione,  Lucrezia,  da  un  momento  all'altro; 
e  tutti  la  secondavano,  non  solo  suo  marito,  ma  anche 
il  suocero  e  la  suocera  :  la  covavano  con  gli  occhi  come 
una  cosa  preziosa,  la  contentavano  a  un  cenno,  la  ser- 
vivano all'occorrenza.  Cosi  ella  si  alzava  ogni  giorno 
un  poco  più  tardi,  restava  un  paio  d'ore  senza  far 
nulla,  senza  neppure  lavarsi  ;  vestita  finalmente,  se  ne 
andava  talvolta  dalla  sorella  Chiara,  che  non  era  ancora 
partorita,  avendo  sbagliato  i  conti  d'un  mese;  ma  più 
spesso  al  palazzo,  dove  aveva  giurato  di  non  metter  più 
piede,  ma  restava  invece  tanto  che  spesso  suo  marito 
doveva  passare  a  rilevarla  all'ora  del  desinare.  Ci 
tornava  anche  la  sera  per  prender  parte  alla  solita 
conversazione  ;  talché,  tutto  sommato,  e  tolte  le  ore  del 
sonno,  ella  stava  più  nella  casa  paterna  che  nella  ma- 
ritale. I  Giulente,  del  resto,  giudicavano  naturale  che 
ella  cercasse  dei  suoi  parenti,  né  Benedetto  pensava  a 
rammentarle  gli  antichi  propositi  ;  quando,  un  bel  giorno, 
offertosi  come  al  solito  di  accompagnarla  al  palazzo,  si 
udi  rispondere  : 

—  M'  hanno  da  tagliare  tutt'e  due  le  mani,  se  vado 
più  in  quella  casa  ! 

— •  Che  é  stato?  Che  t'hanno  fatto?... 

—  Che  m'hanno  fatto?  Leggi! 

Il  principe  aveva  ritardato  di  settimana  in  settimana 
il  pagamento  delle  ultime  tremila  onze  ;  adesso  final- 
mente mandava,  per  mezzo  del  signor  Marco,  in  piego 
suggellato  diretto  a  Benedetto,  un  nuovo  conto.  Lucrezia 
l'aveva  aperto;  c'era  un  passivo,  dove  figuravano  le 
spese  della  festa  di  nozze  :  un  totale  di  centoventicinque 
onze.  Notati  gli  spumoni,  i  dolci,  i  pacchi  di  candele, 
l'olio  delle  lampade  Carcel;  ad  ogni  persona  di  servizio 
un'onza  di  regalo;  dieci  onze  di  fiori,  dodici  tari  di  car- 


—  3i6  - 

rozze  pagate  a  Baldassarre  e  persino  quindici  tari  di 
piatti  rotti.  Quando  Giulente  lesse  quella  nota,  si  mise 
a  ridere  di  cuore,  tanto  gli  parve  buffa  la  grettezza 
spinta  a  tal  segno  ;  ma  Lucrezia  era  furibonda  contro 
il  fratello. 

— •  Che  trovi  da  ridere?  È  una  schifezza  senza  esem- 
pio!... Per  quésto  ordinò  le  cose  largamente!...  Ma 
trent'onze  di  dolci,  chi  li  ha  mangiati?  Cento  rotoli  di 
roba  ?  E  quelle  quattro  rose  che  mandò  a  cogliere  al 
Belvedere?  E  i  piatti  rotti?... 

Quantunque  suo  marito  cercasse  di  calmarla,  dimo- 
strandole che  in  fin  dei  conti  il  principe  non  era  ob- 
bligato a  spendere  del  proprio,  ella  non  intendeva  ra- 
gione, -spiattellava  il  resto,  ciò  che  prima  aveva  negato 
a  sé  stessa  : 

—  Non  era  obbligato  ?  E  il  frutto  della  mia  dote  che 
s'è  pappato  per  sei  anni?  misurandomi  il  pane?  senza 
ch'io  fossi  padrona  di  comperarmi  uno  spillo?...  E  la 
transazione  a  cui  m'obbligò,  prendendomi  per  il  collo, 
per  consentire  al  nostro  matrimonio  ?  E  Ferdinando 
spogliato  con  me?...  Se  lo  guardo  piij  in  faccia,  non 
sono  più  io  !... 

Non  andò  più  infatti  al  palazzo  ;  ma  il  principe,  da 
canto  suo,  non  venne  più  da  lei  ;  alla  moglie,  che  vo- 
leva far  qualche  vìsita  alla  cognata,  ordinò  rigorosa- 
mente di  astenersene.  La  cugina  Graziella,  che  a  stento 
era  stata  a  trovare  una  volta  sposi,  segui  l'esempio  del 
capo  della  casa  ;  talché  Lucrezia  cominciò  a  dire  il 
fatto  suo  anche  a  quest'altra  pettegola  : 

—  Non  vuol  venire  a  casa  mia?  L'onore  sarebbe 
stato  tutto  suo  !  Guardate  un  po'  questa  boriosa  che 
mia  madre  non  fece  valere  un  fico  secco,  darsi  adesso 
il  tono  di  non  so  chi  !  Credono  di  farmi  dispiacere  non 
venendo  a  casa  mia  ?  Non  sanno  che  non  cerco  di  me- 
glio ?  Che  non   voglio  veder  più  nessuno  ? 

Don  Blasco,  da  canto  suo,  non  aveva  messo  piede 
neppure  una  sola  volta  dagli  sposi;  e  Lucrezia,  dichia- 
randosene contenta,    diceva   anche  tutte  le  pazzie  e  le 


—  317  — 

porcherie  elei  monaco.  Ella  l'aveva  anche  con  la  so- 
rella Chiara,  senza  che  questa  le  avesse  fatto  nulla,  e 
la  derideva  per  l'eterna  gravidanza  che  non  veniva  a 
line,  quantunque  giunta  al  decimo  mese.  Se  la  prendeva 
insomma  con  tutti,  e  alla  contessa  Matilde  che  la  veniva 
a  trovare  come  prima  : 

—  Dillo  tu,  —  diceva,  — •  che  razza  di  gente  !  Quante 
te  n' han  fatto  vedere,  ah?  Quel  birbante  di  tuo  ma- 
rito ?  Tutti  quegli  altri  che  gli  hanno  tenuto  il  sacco, 
quando  egli  andava  dietro  a  quella —  ? 

Impallidendo,  poi  arrossendo  a  quei  discorsi,  Matilde 
tentava  nondimeno  di  metter  buone  parole;  ma  l'altra 
rincarava  : 

—  E  li  difendi,  anche?  Lasciali  andare!...  Tutti  di 
una  pasta  !...  Chi  sa  quante  ne  vedrai  ancora,  povera 
disgraziata  !...  Per  me,  ringrazio  Dio  d'essere  uscita  da 
quella  galera  !...  Credono  che  io  mi  debba  rinchinare  ?... 
M'importa  assai  di  loro  e  delle  loro  visite!... 

Ora  un  giorno,  rincasando.  Benedetto,  che  per  secon- 
dare la  moglie,  non  già  per  sentimento  proprio,  aveva 
chinato  il  capo  a  quelle  sfuriate,  la  trovò  seduta  accanto 
a  don  Blasco,  al  quale  serviva  biscotti  e  rosolio —  Il 
monaco,  non  vedendo  più  Lucrezia  al  palazzo,  saputo 
della  rottura  tra  fratello  e  sorella,  era  apparso  come 
una  malombra  dinanzi  alla  nipote.  E  Lucrezia,  che 
aveva  gettato  fuoco  e  fiamme,  s'era  subito  alzata  per 
baciargli   la   mano:    «Come   sta    Vostra    Eccellenza?... 

Mio  marito  è  andato  fuori Se  V^ostra   Eccellenza  si 

ferma  un  poco,  non  tarderà  a  venire....  »  E  mentre  lo 
aspettavano,  il  monaco  s'era  fatto  raccontare  tutto  l'ac- 
caduto. Agli  sfoghi  di  lei  contro  Giacomo  e  la  cugina, 
egli  pareva  ingrassare  nel  seggiolone;  ma  non  espri-*^ 
meva  il  proprio  parere,  non  si  schierava  né  da  una  parte  \ 
né  dall'altra;  scrollava  il  capo  soltanto,  per  dar  la  corda 
alla  narratrice.  Arrivato  Benedetto,  che  non  credeva  ai 
propri!  occhi,  il  monaco  si  lasciò  baciar  la  mano  dal 
nuovo  nipote,  chiacchierò  di  tutto  un  poco,  mangiò  un 
altro  biscotto,  ci  bevve  su  un  altro  bicchierino,  e  andò 


-  3iB  - 

vìa  accompagnato  dagli  sposi  fino  al  pianerottolo.  Da 
quel  giorno,  Benedetto  non  se  lo  potè  più  levar  di  torno. 
\  eniva  continuamente,  a  ore  diverse,  quando  meno  se 
l'aspettavano;  una  strappata  di  campanello  lo  annun- 
ziava, brusca,  forte,  padronale  ;  e  una  volta  entrato, 
cominciava  a  girondolare  come  un  trottolone,  parlando 
di  centomila  cose,  guardando  in  tutti  gli  angoli,  fru- 
gando su  tutti  i  mobili,  leggendo  tutte  le  carte,  di- 
cendo la  sua  sulle  faccende  dei  nipoti  peggio  che  donna 
Ferdinanda,  ma  andando  via  appena  spuntava  costei. 
Benedetto  non  era  più  padrone  in  casa  propria,  giaccii 
nulla  sfuggiva  alla  doppia  critica  della  zitellona  e  del 
monaco  ;  ma  egli  la  soffriva  allegramente,  contento  ■. 
vedersi  oramai  trattato  da  tutti  gli  Uzeda,  solo  dolente 
della  freddezza  sorta  col  principe  per  causa  non  pro- 
pria. Ma  ciò  che  faceva  sua  moglie  era  per  lui  sempre 
ben  fatto,  ed  ella,  che  aveva  preso  al  suo  servizio  Vanna, 
dalla  quale  era  informata  di  tutto  ciò  che  avveniva  al 
palazzo,  sfogava  con  lo  zio  Blasco  contro  il  fratello,  lo 
accusava  di  averla  rubata,  di  aver  rubato  Chiara,  .  . 
voler  rubare  adesso  Raimondo  : 

—  Lo  spinge  lui  contro  la  moglie  !  Dicono  che  gli 
ha  detto  :  «  Che  ci  stai  a  fare  qui  ?  »  Per  metter  legna 
sul  fuoco  !  Deve  avere  il  suo  piano  !  Non  è  tipo  da  far 
nulla  per  nulla  !  E  Raimondo  parte  con  Matilde  ;  per 
Milazzo,  dice.  Ma  è  troppo  stupida,  insomma,  mia  co- 
gnata !  Io  ho  cercato  di  aprirle  gli  occhi  perchè  mi  fa 
pena.  La  cosa  non  finirà  bene  !...  Non  si  sono  consi- 
gliati con  Benedetto  sullo  scioglimento  del  matrimo- 
nio?... Io  gli  ho  detto  di  non  mescolarsi  in  questi  pa- 
sticci !... 

Ella  non  diceva  che  Benedetto,  mandato  a  chiamare 
da  donna  Ferdinanda,  in  casa  della  quale  Raimondo  Io 
aspettava,  lusingato  da  una  confidenza  delicatissima  so- 
pra un  affare  intimo,  se  aveva  dapprima  lottato  con  la 
propria  coscienza,  s'era  a  poco  a  poco  lasciato  vincere 
dall'onore  che  la  zitellona  gli  faceva,  mettendolo  a  parte 
d'un   secreto  di    famiglia,    sollecitando   i   consigli   di   un 


~  319  — 

parente  piuttosto  che  quelli  d'un  primo  venuto.  E  quesl.i 
idea  aveva  vinto  i  suoi  scrupoli.  Un  estraneo,  un  azzec- 
cagarbugli capace  di  tutto  per  amore  di  far  quattrini, 
non  sarebbe  stato  più  da  temere,  non  avrebbe  consigliato 
di  porre  subito  mano  alla  causa  ?  Invece  egli  contidava 
di  riuscire  a  metter  pace  fra  marito  e  moglie;  fino  al- 
l'ultimo momento  ce   ne   sarebbe   stato   il   tempo.    Poi, 
gli  ostacoli  enormi  da  superare  finivano  di  rassicurarlo. 
Lo   scioglimento  d'un   matrimonio  era   impresa   diffici- 
lissima ;  ma  donna  Ferdinanda  voleva  scioglierne  due  : 
quello   della    Fersa   e   quello  di    Raimondo,    e   i   motivi 
mancavano,  mancavano  perfino  i  pretesti,  da  una  parte 
e   dall'altra.    Che  male  commetteva  egli  dunque  rienu- 
merando  i   motivi   necessari!   dei   quali   il   cognato   gli 
aveva  già  chiesto  una  prima  volta,  e  discutendo  con  la 
zitellona   la  via  che  si  sarebbe  dovuto  tenere  se  qual- 
cuno di  quei  motivi  fosse  realmente  esistito?  Non  era 
una   pura   accademia,    una   specie   di  lezione   di   diritto 
canonico,  come  quella  del  suo  antenato,  che  il  cavaliere 
don  Eugenio,  Gentiluomo  di  Camera,  aveva  elogiato?... 
Nondimeno,   una  secreta  soggezione  Io  impacciava  di- 
nanzi a  Matilde,    sentendosi  già  complice  della  trama 
ordita  contro  la  poveretta.  La  contessa,  però,  mostra- 
vasi  più  serena  e  confidente  che  al  tempo  del  suo  arrivo 
in  casa  Uzeda;  a  poco  a  poco  ella  s'era  lasciata  vincere 
dalla    speranza,    vedendo    che    Raimondo    non    parlava 
più  di  tornare  in  Toscana,   che  le  prometteva  di  con- 
durla,   subito  dopo  il   parto  di   Chiara,   a   Milazzo  per 
raggiungere  le  bambine  e  poi  a  Torino,  dove  il  padre 
di  lei,   placatosi,  li  aspettava.   Come  suo  padre  aveva 
dimenticato  i  severi  propositi  contro  Raimondo,  anche 
Raimondo  non  poteva  aver  dimenticato  l'amore  di  quel- 
l'altra?... Non  finiva  tutto,  col  tempo?... 

E  Chiara  non  partoriva.  Il  secondo  nono  mese  stava 
per  finire  e  il  suo  ventre  non  si  sgonfiava.  I  dolori  e 
le  trafitture  erano  continui,  oramai;  ma,  col  coraggio 
dei  maniaci,  non  ne  diceva  niente  a  nessuno,  ostinata 
a  voler   sgravarsi   senza   aiuto   di   medici   o  di  levatrici. 


—   320  — 

Il  guaio  fu  che,  compito  il  decimo  mese,  ella  non  si 
liberava  ancora.  Certamente,  aveva  sbagliato  il  cal- 
colo; ma,  al  marito,  ai  parenti  che  la  esortavano  a 
chiamare  qualcuno  : 

—  Non  voglio  nessuno  !  —  rispondeva,  cocciuta, 
per  partorire  da  sola. 

— ■  Questa  è  nuova  !  —  gridava  don  Blasco,  il  quale 
voleva  ficcare  il  naso  anche  nel  ventre  della  nipote.  — 
Una  gravidanza  di  dieci  mesi  dove  s'è  vista?  Meno 
male  se  durasse  dodici,  quanto  l'asina  che  sei  ! 

Infatti,  era  cominciato  l'undecimo  mese,  secondo  il 
primo  calcolo.  E  una  sera  che  ella  non  ne  poteva  più, 
che  si  sentiva  morire  e  non  riusciva  a  nascondere  le 
proprie  doglie,  suo  marito,^  spazientito  per  la  prima 
volta  dopo  otto  anni  di  matrimonio,  gridò  : 

—  Se  qui  non  viene  un  dottore,  mi  prendo  il  cap- 
pello e  me  ne  vado. 

Venne  il  dottor  Lizio  e  si  chiuse  con  la  partoriente, 
mentre  il  marchese  aspettava  ansioso  nel  salotto,  coi 
parenti.  Udendo  che  il  chirurgo  schiudeva  l'uscio  e  chia- 
mava, corse  a  domandargli,  trepidante  : 

—  Dottore!...  È  sgravata? 

—  Ma  che  sgravare  e  aggravare  d'Egitto  !  —  esclamò 
Lizio.  —  Vostra  moglie  ha  una  ciste  all'ovaia  grande 
come  una  casa.   Un  altro  poco,  ed  era  spacciata  !... 


in. 


A  San  Nicola,  dopo  la  sistemazione  del  governo  ita- 
liano, si  faceva  la  stessa  vita  di  prima,  come  al  tempo 
dei  Napolitani;  anzi  era  questo  uno  degli  argomenti  sfo- 
derati dai  liberali  contro  i  sorci,  durante  le  discussioni 
politiche  che  s' impegnavano  continuamente  all'ombra 
dei  chiostri. 

—  Avete  visto  ?  A  darvi  ascolto  doveva  succedere  il 


- —  121  — 

finimondo,  dovevano  mandare  all'aria  il  convento,  e  in- 
vece è  sempre  ritto..., 

—  Ritto  un  cavolo  !  —  tonava  don  Blasco.  —  Aspet- 
tate e  vedrete  !... 

Pel  momento  i  monaci  seguitavano  a  far  l'arte  di 
Michelasso.  Il  principino,  crescendo,  indiavolava.  Pre- 
potente coi  Fratelli,  incuteva  adesso  un  vero  terrore 
ai  camerieri,  dai  quali  pretendeva  le  cose  piij  proibite  : 
coltelli  arrotati  per  lavorar  canne  delle  quali  faceva, 
cerchiandole  di  fil  di  ferro,  schioppi  e  pistole  ;  polvere 
da  sparo  per  caricare  queste  armi  che  gli  potevano 
scoppiare.  Dio  liberi,  tra  le  mani  e  accecarlo  di  tutt'e 
due  gli  occhi;  razzi  e  tric-trac  e  altri  fuochi  artifiziati 
per  cavarne  la  polvere,  oppure  zolfo,  salnitro  e  carbone 
per  farla  da  sé.  Aveva  una  inclinazione  istintiva  e  in- 
vincibile per  la  caccia  :  nel  giardino^  durante  la  ricrea- 
zione, non  potendo  far  altro,  tirava  sassate  agli  uccelli, 
a  costo  di  spaccar  la  testa  a  qualche  compagno,  o  s'ar- 
rampicava sui  muri  per  distruggere  i  nidi  dei  passeri 
a  rischio  di  fiaccarsi  il  collo  egli  stesso.  E  quando  i 
camerieri  non  lo  contentavano,  non  gli  procuravano  le 
reti,  il  vischio,  la  polvere,  li  strapazzava,  li  denunziava 
al  Maestro  per  colpe  inventate  di  pianta,  li  metteva 
a  più  dure  prove  buttando  all'aria  ogni  cosa  nella  pro- 
pria camera  dopo  che  essi  l'avevano  rifatta —  La  smania 
di  fumare  non  gli  era  neppure  passata.  Attribuendo 
alla  cattiva  preparazione  del  tabacco  l'ubbriacatura 
presa  al  tempo  della  rivoluzione,  volle  fumare  sigari  per 
davvero,  e  prese  un'  ubbrTacatura  più  terribile  della 
prima.  Scoperto  anche  questa  volta,  il  Maestro  si  decise 
a  dargli  un  gran  castigo,  vietandogli  di  uscire  per  una 
settimana;  ma  poi  la  settimana  fu  ridotta  a  tre  giorni, 
grazie   all'avvicinarsi  del    Natale. 

Ogni  anno,  per  questa  ricorrenza,  ciascuno  dei  no- 
vizii  doveva  recitare  una  predica,  e  riceveva  in  premio 
un'onza  di  quattrini,  quasi  tredici  lire  della  nuova  mo- 
neta, più  una  scatola  di  cioccolata  e  due  galletti  vivi. 
La  predica  di  Natale  toccava  quell'anno  '6i  a  Consalvo 

De    Roberto.    I    Vlrerè    -    I  21 


Uzeda  :  l'aveva  scritta  il  Padre  bibliotecario,  che  era 
letterato,  perciò  invece  che  nelle  poche  paginette  degli 
altri  anni,  consisteva  in  un  bel  quadernetto.  Egli  che 
aveva  una  memoria  di  ferro  e  una  faccia  tosta  a  tutta 
prova,  aspettava  la  cerimonia  con  una  tranquillità  e 
una  sicurezza  ignota  ai  compagni,  ai  quali  i  regali  co- 
stavano quindici  giorni  d'ansia  e  uno  di  vera  paura. 
Il  giorno  della  funzione,  il  Capitolo  dove  i  monaci  ave- 
vano già  preso  posto  nei  loro  stalli.  Tu  invaso  dalla 
consueta  folla  dei  parenti  maschi  :  le  donne,  per  via 
della  clausura,  restavano  accanto,  nella  sacrestia,  della 
quale  lasciavansi  spalancate  le  porte.  Tutti  esclamarono 
piano  :  «  Che  bel  ragazzo  !  Com'è  franco  e  sicuro  !  » 
quando  il  principino,  vestito  della  candida  cotta  piego- 
linata,  salì  sul  pulpito,  guardò  tranquillamente  la  folla 
degli  spettatori  e  spinse  uno  sguardo  alla  sacrestia,  ri- 
girandosi tra  le  mani  il  rotoletto  del  manoscritto  e  tos- 
sicchiando un  poco,  prima  di  cominciare.  Sotto  lo  stallo 
dell'Abate,  in  mezzo  al  principe,  al  duca  d'Oragua,  a 
Benedetto  Giulente,  don  Eugenio  diceva  :  «  Guardate 
che  padronanza  !  Se  non  pare  un  predicatore  consu- 
mato !  »  Ma  la  stupefazione  crebbe  a  dismisura  quando 
il  ragazzo,  aperto  il  fascicolo  e  datavi  un'occhiata,  lo 
abbassò,  recitando  a  memoria  :  «  Reverendi  Padri  e 
Fratelli  dilettissimi,  era  una  notte  del  piij  rigido  verno, 

allorquando  in  una  stalla  di  Nazaret »  e  tirando  poi 

via  fino  in  fondo  senza  guardare  neppure  una  volta 
lo  scartafaccio,  gestendo,  facendo  pause,  cambiando  -A 
tono  della  voce  come  un  oratore  provetto,  come  un 
vecchio  attore  sul  palcoscenico.  Finito  che  ebbe,  risceso 
che  fu,  per  miracolo  non  lo  soffocarono  dagli  abbracci, 
dai  baci  ;  la  principessa  aveva  le  lacrime  agli  occhi, 
donna  Ferdinanda  anche  lei  era  commossa;  ma,  quan- 
tunque muta,  l'ammirazione  del  deptitato,  al  quale  la 
sola  idea  della  folla  serrava  la  gola  e  annebbiava  la 
visrta,  non  era  la  meno  profonda.  «  Che  presenza  di 
spirito!  Che  franchezza!...  »  e  tutte  le  signore  lo  atti- 
ravano, l'abbracciavano,  lo  baciavano  in  viso  :  egli  la- 


sciava  fare,  restituiva  i  baci  sulle  guance  fresche  e  pro- 
fumate, torceva  il  muso  dinanzi  alle  flosce  e  grinzose  ; 
e  oltre  ai  regali  dei  convento,  intascava  le  lire  che  gli 
davano  gli  zii.  Il  piij  contento,  con  tutto  questo,  era 
Fra  Carmelo  :  gli  pareva  d'essere  l'autore  di  quel 
trionfo,  d'aver  diritto  ad  una  parte  degli  applausi,  delle 
congratulazioni,  dei  baci  delle  signore.  Non  aveva  co- 
vato con  gli  occhi  quel  ragazzo  nei  cinque  anni  del 
noviziato  ?  Non  aveva  vantato  il  suo  ingegno,  predetto 
la  sua  riuscita  ?  I  maestri  si  lagnavano  perchè  non  amava 
lo  studio  :  doveva  dunque  fare  il  medico  o  l'avvocato  o 
il  teologo  ?  Ai  Benedettini  ci  stava  per  ricevere  l'educa- 
zione conveniente  alla  sua  nascita  ;  poi  sarebbe  andato 
a  casa  sua  a  fare  il  principe  di  Francalanza  ! 

E  questo  era  il  giorno  che  Consalvo  aspettava  ;  per 
l'impazienza  di  non  vederlo  arrivare,  per  farsi  mandar 
via,  egli  sfrenavasi  sempre  piij,  metteva  con  le  spalle 
al  muro  non  più  i  Fratelli  e  i  camerieri,  ma  lo  stesso 
Maestro.  Durante  la  rivoluzione  e  subito  dopo,  i  Tignosi 
avevano  tolto  dal  convento  Michelino,  i  Cùrcuma  Ga- 
sparino,  i  Cugnò  Luigi;  né  altri  novizii  erano  entrati, 
fuorché  Camillo  Giulente,  giacché  dicevasi  che  il  governo 
avrebbe  soppresso  i  conventi.  Restavano  soltanto  coloro 
che  le  famiglie  destinavano  a  professarsi,  Giovannino 
Radali,  fra  gli  altri,  il  «  figlio  del  pazzo  ».  Morto  suo 
padre,  la  duchessa,  per  amore  del  primogenito,  desti- 
nava il  secondo  a  farsi  monaco.  Ma  Consalvo,  che  non 
doveva  professarsi,  voleva  andar  via,  al  più  presto,  su- 
bito; e  invece  suo  padre,  ogni  volta  che  egli  gli  doman- 
dava :  K  Quando  tornerò  a  casa  ?  »  rispondeva  col  solito 
suo  fare  secco  e  freddo  che  non  ammetteva  replica  : 
«  Ho  da  pensarci  io  !  »  E  non  ci  pensava  mai,  e  il  ra- 
gazzo sentiva  crescere  l'avversione  che  quel  padre  ri- 
gido, del  quale  non  rammentava  una  buona  parola,  gli 
aveva  ispirata.  Quando  andava  a  casa  in  permesso,  egli 
stava  un  momento  con  la  mamma,  poi  se  ne  scendeva 
giù  nella  corte,  passava  in  rivista  i  cavalli  e  le  car- 
rozze, domandava  il  nome  di  tutti  gli  arnesi  delle  scu- 


—  3^4   — 

derle  ;  e  la  tonaca  g-li  pesava,  perchè  non  gli  permetteva 
di  salire  a  cassetta  e  d'  imparare  a  guidare.  Aveva  tempo 
di  spassarsi,  gli  diceva  Orazio,  il  nuovo  cocchiere,  poi- 
ché Pasqualino  era  partito  per  Firenze  al  servizio  dello 
zio  Raimondo  ;  ma  egli  voleva  spassarsi  subito,  sot- 
trarsi alla  tutela  dei  monaci,  fare  quel  che  gli  piaceva. 
E  all'  idea  di  dover  tornare  nella  prigione  del  convento, 
invidiava  perfino  le  persone  di  servizio,  il  figlio  di  donna 
Vanna,  Salvatore,  che  era  entrato  in  casa  Uzeda  come 
mozzo  di  stalla,  e  passava  tutto  il  santo  giorno  a  cas- 
setta, scarrozzando  per  la  città.  Consalvo  lo  invidiava 
e  lo  ammirava  per  le  tante  cose  che  sapeva,  per  le  male 
parole  che  diceva  liberamente  ;  e  Fra  Carmelo,  sonata 
l'ora  di  ricondurlo  al  convento,  doveva  sgolarsi  un  bel 
pezzo  prima  di  stanarlo  dalla  stalla  o  dalla  scuderia. 

—  Che  hai  fatto  ?  —  gli  domandavano  la  mamma  e 
la  zia. 

—  Nulla,  —  rispondeva,  un  po'  rosso  in  viso. 

Era  stato  ad  ascoltare  i  discorsi  di  Salvatore,  che 
gli  narrava  le  gesta  di  tanti  Padri  Benedettini  : 

—  La  notte  se  n'escono  per  andare  a  trovar  le  ami- 
che, e  certe  volte  le  conducono  con  loro,  nello  stesso 
convento,  avvolte  nei  ferraioli  :  il  portinaio  finge  di  ca- 
pire che  sono  uomini  !...  Vostra  Eccellenza  che  c'è 
dentro  non  le  ha  mai  viste?... 

Non  aveva  visto  nulla,  lui  ;  e  tutte  quelle  cose  ap- 
prese in  una  volta  lo  stupivano  e  lo  turbavano. 

—  Ma  non  è  peccato?... 

—  Eh  !...  —  faceva  il  famiglio.  —  Se  avessero  co- 
minciato essi  !  Hanno  fatto  sempre  cosi,  i  monaci  !  I 
Fratelli  non  sono  quasi  -tutti  figli  dei  vecchi  Padri  ? 

— .  Anche  Fra  Carmelo  ? 

—  Fra  Carmelo?...  Fr^  Carmelo  è  un'altra  cosa — 
È  bastardo  del  bisnonno  di  Vostra  Eccellenza,  fratello 
spurio  di  don  Blasco — 

—  Perciò  mio  zio  ? 

—  E  Baldassarre  anche  lui —  fratello  bastardo  del 
signor  principe Si  sono  spassati  i  signori   Uzeda  !... 


—  325  — 

Poi,  quando  sarà  grande,  si  divertirà  anche  Vostra  Ec- 
cellenza !... 

Ah,  come  aspettava  di  crescere!  Con  quanta  impa- 
zienza, con  qual  rancore  verso  il  padre  vedeva  scorrere 
i  giorni,  le  settimane,  i  mesi  e  gli  anni,  in  quella  pri- 
gione! Con  qual  animo  udiva  adesso  le  prediche  se- 
vere dei  monaci,  <fopo  aver  saputo  la  loro  vita  !  Spesso 
discorreva  di  queste  cose  scerete  con  Giovannino,  gli 
diceva  quel  che  avrebbe  fatto  appena  fuori  del  con- 
vento; e  Giovannino  stava  a  sentire  con  aria  stralunata, 
quasi  non  capisse.  Era  cosi  quel  ragazzo,  alle  volte  fu- 
rioso come  un  diavolo,  alle  volte  inerte  come  uno  scemo. 
\^oleva  anche  lui  andar  via  dal  convento,  e  dava,  a 
giorni,  in  ismanie  terribili;  .ma  poi  si  persuadeva  dei 
ragionamenti  della  duchessa  sua  madre,  che  i  quattrini 
di  casa  erano  tutti  del  fratello  Michele,  che  a  San  Ni- 
cola sarebbe  stato  da  signore,  fra  tanti  altri  signori, 
e  si  chetava,  non  pensava  più  a  scapparsene,  non  invi- 
diava la  futura  libertà  di  Consalvo. 

Finita  l'agitazione  politica,  era  venuta  meno  una  gran 
causa  di  risse  al  Noviziato  e  tra  i  Padri  ;  ma  questi 
avevano  trovata  un'altra  ragione  di  battagliare.  Le  voci 
relative  alla  prossima  soppressione  dei  conventi  erano 
state  confermate  da  Roma  ;  non  poteva  passar  molto  che 
il  governo  degli  usurpatori  avrebbe  messo  le  mani  sui 
beni  della  Chiesa.  Don  Blasco  s'era  nettata  la  bocca 
contro  i  liberali,  i  fedifraghi,  nemici  di  Dio  e  di  loro 
stessi,  che  non  avevano  voluto  dargli  retta.  Adesso  però, 
piij  che  gridare,  bisognava  prendere  un  partito  in  pre- 
visione di  quell'avvenimento.  A  San  Nicola  s'era  sempre 
spesa  allegramente  tutta  la  rendita  del  convento,  nella 
certezza  che  la  cuccagna  sarebbe  durata  fino  alla  fine 
dei  secoli  ;  ma  col  mondo  sottosopra,  col  pericolo  che  il 
governo  abolisse  davvero  le  corporazioni  religiose,  non 
era  più  conveniente  moderare  le  spese,  perchè  il  più 
corto  non  rimanesse  poi  da  piede?  L'Abate,  come  sem- 
pre, aveva  preso  consiglio  prima  di  tutto  dal  Priore. 
Padre  don  Lodovico,  modestamente,   non  aveva  voluto 


-  3^6  - 

pronunziarsi  :  «  Che  posso  dire  a  Vostra  Paternità  ? 
L'avvenire  è  nelle  mani  di  Dio.  Dalla  nequizia  dei  tempi 
c'è  tutto  da  aspettarsi.  I  nemici  della  Chiesa  son  ca- 
paci di  questo  e  d'altro.  Non  mi  stupirei  se  ricomin- 
ciassero le  persecuzioni  dell'  infernale  Ottantanove.  » 
Eg-li  era  sincero  nel  suo  livore  contro  il  nuovo  ordine 
di  cose,  che  da  principio  aveva  appoggiato  per  poli- 
tica, per  tenersi  bene  con  la  nuova  potestà  temporale. 
Ma  la  soppressione  dei  conventi  distruggeva  tutti  i  suoi 
sogni  di  rivincita,  di  predominio,  d'onori.  Che  cosa 
gì'  importava  oramai  del  bilancio  di  San  Nicola,  mentre 
pericolava  tutto  il  proprio  avvenire,  Jl  frutto  di  quindici 
anni  di  politica,  mentre  egli  doveva  pensare  a  una 
nuova  via  da  battere,  a  un  altro  scopo  verso  il  quale 
dirigere  la  propria  attività?  E  quel  povero mo  deir.A.bate 
insisteva  per  avere  la  sua  opinione  sulle  miserie  della 
spesa  quotidiana  !  «  Dimmi  tu  come  debbo  regolarmi  ! 
Che  cosa  faresti  al  mio  posto?...  »  Un  momento,  don 
Lodovico  provò  la  tentazione  di  levarselo  dai  piedi  ; 
ma,  chinato  il  capo,  con  maggiore  umiltà  di  prima, 
rispose  :  «  Vostra  Paternità  è  troppo  buona!  Le  eco- 
nomie mi  sembrano  sempre  lodevoli.  Se  il  Signore  non 
{permetterà  che  i  suoi  servi  siano  messi  alla  prova, 
avremo  qualche   cosa    di    piij    da    destinare    alle    opere 

buone »  Così  l'Abate  s'era  pronunziato  pel  risparmio, 

d'accordo  col  Capitolo  ;  ma  i  monaci  non  furono  tutti 
d'  un  sentimento.  Tra  quelli  che  non  credevano  possi- 
bile la  soppressione,  tra  gli  altri  che  temevano  di  dover 
rinunziare  al  lusso  di  cui  avevano  sempre  goduto,  il 
partito  delle  economie  trovava  molti  oppositori.  In  mezzo 
ai  due  campi  don  Blasco  non  voleva  né  tenere  né  scor- 
ticare, scaraventandosi  a  un  tempo  contro  gli  uni  e 
gli  altri.  Combattere  il  sistema  delle  economie  con  la 
speranza  che  il  governo  non  commetterebbe  la  spoglia- 
zione, egli  oramai  non  poteva  più,  se  questa  spoglia- 
zione aveva  prevista  e  rinfacciata  ai  traditori  liberali  ; 
e  del  resto  le  economie  destinate  ad  essere  spartite  tra 
i  monaci   in  caso  di  scioglimento   erano  nel   suo  modo 


di  vedere,  poiché  egli  avrebbe  avuto  la  propria  parte, 
uscendo  dal  convento  ;  però  non  voleva  rinunziare  allo 
scialo  cui  era  avvezzo,  e  poi  lo  stesso  fatto  che  questo 
partito  era  capitanato  dall'Abate  e  dal  nipote  Priore 
e  da  tutti  quelli  del  Capitolo,  faceva  che  egli  si  sca- 
gliasse contro  di  loro,  chiamandoli  «  lerci  straccioni,  » 
gridando  :  «  \''adano  a  fare  i  locandieri  o  i  bottegai  ! 
Si  mettano  a  vender  l'olio,  il  vino  e  il  caciocavallo  ! 
A  questo  scn  buoni  !  Per  questo  mestiere  sono  nati  !...  » 
Udendo  dall'altro  canto  i  patriotti  cullarsi  nella  certezza 
che  il  governo,  in  ogni  caso,  avrebbe  pensato  a  loro, 
s'evacuava  :  «  Il  governo  vi  butterà  fuori  a  pedate  e 
vi  porgerà  il  sedere  da  baciare  !  Giuda  vendè  Cristo, 
ma  n'ebbe  almeno  trenta  denari  !  A  voialtri  toccheranno 
calci  nel  preterito  per  giunta!...  » 

In  fondo,  all'  idea  della  spartizione  dei  quattrini,  di 
possedere  finalmente  qualcosa  di  suo,  era  per  le  eco- 
nomie, pure  combattendole.  Del  resto  a  San  Nicola  la 
spesa  era  grande  non  tanto  per  il  valore  delle  cose 
acquistate,  quanto  pel  modo  regale  di  sperperare  i  quat- 
trini, di  compensare  il  più  piccolo  lavoro,  di  far  godere 
ai  primi  venuti  il  ben  di  Dio  accatastato  nei  sotterranei 
del  convento.  Con  un  certo  ordine,  lasciando  che  i 
cuochi  rubassero  un  po'  meno  di  prima,  che  i  Fratelli 
destinati  al  governo  dei  feudi  s'arricchissero  in  un 
tempo  un  poco  più  lungo  del  consueto,  c'era  da  riporre, 
ogni  anno,  una  somma  che  avrebbe  fatto  l'agiatezza 
di  parecchie  famiglie.  Ma  le  case  regalate  ai  protetti 
dei  monaci,  per  esempio,  non  bisognava  toccarle  :  don 
Blasco  avrebbe  voluto  veder  proprio  questo,  che  aves- 
sero tolta  la  bottega  e  il  quartierino  alla  Sigaraia  !  E 
né  lui  né  gli  altri  volevano  rinunziare  ai  loro  diritti  : 
spesato  ed  alloggiato,  ciascun  Padre  aveva  tre  rotoli 
d'olio  al  mese,  una  soma  di  carbone,  una  salma  di  vino, 
tutta  roba  che  andava  a  finire  dalle  amiche.  Ora  ì  ri- 
sparmi stavano  bene  ;  ma  ciascuno  pretendeva  il  suo. 
L'Abate,  o  di  buona  o  di  mala  voglia,  doveva  lasciarli 
fare.   Egli  del  resto  chiudeva  adesso  un  occhio,  perchè 


—   3-2»  — 

aveva  da  propiziarseli.  Camillo  Giulente,  compiti  ven- 
t'anni  ed  espressa  la  ferma  decisione  di  pronunziare 
i  voti,  era  passato  al  noviziato  formale.  C'era  stato  bi- 
sogno di  una  votazione,  per  questo,  e  l'opposizione  con- 
tro r  intruso,  scatenatasi  più  violenta,  aveva  gridato 
e  minacciato  alto  per  impedire  la  sanzione  dello  scan- 
dalo. Ma  l'Abate  aveva  insistito  personalmente  presso 
tutti  i  Padri,  raccomandando  quel  ragazzo,  facendo 
rilevare  le  sue  eccellenti  qualità,  il  profitto  ricavato  negli 
studii,  la  sua  triste  situazione  di  orfano  povero.  Ai  ca- 
poccia aveva  fatto  parlare  dal  Vescovo  e  scrivere  dai 
parenti,  dalle  persone  che  potevano  esercitare  qualche 
influenza  sull'animo  loro;  cosi  qualcuno  s'era  piegato, 
altri  aveva  dato  una  promessa  in  aria,  e  insomma  no- 
nostante le  grida  e  i  complotti,  Giulente  era  stato  am- 
messo, ma  per  pochi  voti.  La  Inotizia  aveva  fatto 
chiasso  :  i  nobili  improvvisati,  di  fresca  data,  se  n'erano 
rallegrati  come  di  una  fortuna  loro  propria,  riconoscendo 
r  influsso  dei  nuovi  tempi,  l'azione  spregiudicata  dei 
Padri  liberali  ;  ma,  tra  i  puri,  lo  scandalo  durava  ancora. 
Adesso,  passato  l'anno  di  prova,  innanzi  che  il  no- 
vizio potesse  pronunziare  i  voti,  bisognava  che  il  Capi- 
tolo rinnovasse  lo  scrutinio.  L'Abate,  quantunque  si- 
curo del  fatto  suo,  pure  trattava  tutti  con  le  molle 
d'oro,  s'affidava  a  don  Lodovico,  gli  esponeva  le  nuove 
ragioni  che  dovevano  indurre  i  monaci  a  dire  di  si. 
Dopo  un  primo  voto  favorevole  era  mai  possibile  darne 
uno  contrario,  se  durante  tutto  questo  tempo  il  gio- 
vanotto era  stato  il  vivente  esempio  del  rispetto,  del- 
l'umiltà,  dello  zelo  religioso?  Del  resto,  se  quel  che 
si  temeva  dovesse  realmente  accadere,  se  il  governo 
avesse  soppresso  i  conventi,  che  fastidio  poteva  dare 
il  nuovo  monaco  agli  antichi  ?  Era  bene,  anzi,  nelle 
tristizie  dei  tempi,  far  vedere  ai  persecutori  della  Chiesa 
che  lo  stato  monastico  rispondeva  a  un  vero  bisogno 
sociale,  se,  col  pericolo  di  non  goderne  più  i  vantaggi, 
i  giovani  chiedrv'ano  egualmente  di  sopportarne  i  pesi — 
E  l'Abate,  assicurato  da  don  Lodovico  che  tutto  sarebbe 


—  3^9  — 

andato  a  seconda,  dormiva  tra  due  guanciali.  Arrivato 
il  giorno  della  votazione  e  posta  ai  Padri  la  quistione 
se  volevano  fra  loro  il  Giulente,  trenta  sopra  trentadue 
votanti  risposero  no,  e  due  soli  consentirono. 

—  Per  una  volta  che  si  ragiona  !  —  esclamò  don 
Blasco  quasi  sotto  il  naso  di  Sua  Paternità. 

Il  complotto  era  stato  preparato  sottomano  da  un 
pezzo.  Alla  prima  votazione  una  metà  dei  votanti  s'eran 
lasciati  piegare  sapendo  bene  che  quel  voto  non  pre- 
giudicava nulla,  che  bisognava  poi  tornar  da  capo;  ma 
dovendo  ora  dir  sul  serio,  nessuno  aveva  piij  esitato  : 
borbonici  e  liberali,  fautori  e  avversarli  dell'Abate,  il 
partito  delle  economie  e  quello  dello  scialo,  s'erano  tutti 
accordati  nell'opporsi  all'ammissione  tra  i  discendenti 
dei  coliquistàtori  del  regno  e  dei  Viceré  di  un  pronipote 
di  mastri  notari  come  Giulente.  Non  importava  loro 
della  prossima  o  lontana  fine  della  cuccagna,  né  del- 
l'esempio da  dare  nell'interesse  della  religione;  c'era 
innanzi  tutto  il  principio  di  tener  alto,  «  il  bestiame  da 
non  confondere,  »  come  diceva  don  Blasco  ;  se  il  giovane 
era  orfano  e  povero,  gli  si  sarebbe  dato  da  dormire 
e  da  mangiare,  come  a  uno  di  quei  tanti  parassiti  che 
vivevano  sul  convento  ;  ma  permettere  che  rivestisse 
la  nobile  tonaca  benedettina?  Che  gli  si  dicesse  Vostra 
Paternità?  Che  sedesse  alla  loro  mensa?... 

E  per  tutta  la  clientela  del  convento  corse  un  lungo 
sussurro  di  approvazione  :  così  andava  fatto,  sin  dal 
principio!  Era  una  bella  lezione  data  all'Abate!...  Il 
giovanotto,  dal  dispiacere,  dalla  vergogna,  restò  un 
mese  senza  farsi  vedere.  Quando  riapparve,  pallido 
e  con  gli  occhi  rossi,  non  si  seppe  che  cosa  farne.  Se 
i  Padri  non  l'avevano  voluto,  non  era  più  possibile  ri- 
mandarlo tra  i  novizii,  alla  sua  età  e  dopo  quello  scan- 
dalo, specialmente,  che  attirava  sul  povero  diavolo  le 
beffe  e  gli  insulti  del  principino  e  dei  suoi  compagni. 
Così  l'Abate  dovette  assegnargli  una  camera  fuori 
mano,  in  fondo  a  un  corridoio  deserto  ;  e  Giulente,  la- 
sciato l'abito  di    San   Benedetto  per  l'umile   veste   del 


—  330  — 

prete,  se  ne  stava  tutto  il  giorno  a  studiare  sui  libri 
che  il  suo  protettore  gli  faceva  mandare  dalla  biblio- 
teca. Al  refettorio,  né  i  Padri  ne  i  novizii  volendolo  con 
loro,   egli  mangiava  alla  seconda  tavola,   in  compagnia 

dei    Fratelli    di   servizio Don  Lodovico   esprimeva   il 

proprio  dolore  all'Abate  per  questa  persecuzione.  Egli 
s'era  guardato  bene  dal  far  la  propaganda  della  quale 
Sua  Paternità  l'aveva  pregato,  prima  di  tutto  perche 
il  suo  proposito  di  neutralità  glielo  vietava,  poi  perchè 
neppur  lui  voleva  Giulente  al  convento.  Nondimeno 
era  stato  il  solo  a  votare  il  si,  per  dimostrare  al  Supe- 
riore la  propria  fedeltà,  sicuro  frattanto  dell'unanime 
opposizione  dei  monaci.  Dopo  l'esito  dello  scrutinio, 
gettava  la  colpa  sulla  doppiezza  dei  Padri,  che  dopo 
tante  promesse,  all'ultimo  momento,  per  uno  «  stupido  » 
pregiudizio,  s'eran  disdetti —  E  cosi  la  baracca  andava 
avanti,  col  solito  armeggio  dei  partiti,  con  le  solite 
discussioni  più  o  meno  burrascose,  quando  un  bel  giorno 
tutta  la  frateria  fu  messa  a  rumore  da  un  avvenimento 
straordinario,   come  al  tempo   della   rivoluzione. 

Garibaldi  era  già  in  Sicilia  a  far  gente,  non  si  sapeva 
perchè,  o  meglio,  si  sapeva  benissimo  :  per  andar  contro 
il  Papa.  Al  suo  avanzarsi  un  mal  represso  fremito  si 
levava  tutt'  intorno,  per  le  città  e  le  campagne,  mentre 
le  autorità  si  barcamenavano  non  sapendo  a  qual  santo 
votarsi,  e  un  po'  fingevano  d'osteggiarlo,  un  po'  gli  ce- 
devano il  passo.  Quando  egli  si  presentò  dinanzi  a  Ca- 
tania, la  guarnigione  che  doveva  arrestarlo  aveva  g:?, 
sgomberata  la  città,  e  il  prefetto  scese  al  porto  per  im- 
barcarsi sopra  un  legno  di  guerra.  E  il  Generale  entrò 
coi  suoi  volontarii  tra  due  siepi  vive  di  popolazione  che 
applaudiva  e  gridava  freneticamente,  in  mezzo  a  un  de- 
lirio d'entusiasmo  dinanzi  al  quale  le  stesse  dimostra- 
zioni del  Sessanta  parevano  tiepide  e  scolorite.  Da  un 
balcone  del  Circolo  degli  operai,  dominando  il  corso 
gonfio  di  popolo  come  una  fiumana,  egli  spiegava  lo 
scopo  della  nuova  impresa,   gettava  con  la  voce  dolce 


—  33^   — 

il  grido  della  nuova  guerra:  «e  O  Roma,  o  morte!...  » 
Poi,  dove  andò  egli  a  porre  il  suo  quartier  generale  ? 
A  San  Nicola  ! 

Le  grida,  il  trambusto  che  ci  furono  lassù  tra  i  mo- 
naci si  lasciarono  anch'essi  molto  indietro  le  dimostra- 
zioni del  Quarantotto  e  del  Sessanta.  Don  Blasco  di- 
venne un  energumeno;  disse  cose  dei  «  Piemontesi  »  eli: 
non  fucilavano  Garibaldi  e  di  Garibaldi  che  non  spaz- 
zava via  i  «  Piemontesi  »,  da  far  turare  le  orecchie  a 
un  Saracino.  E  la  sua  piij  viva  speranza,  la  fede  che  lo 
sorreggeva,  era  quest'ultima  :  che  i  due  partiti  si  ster- 
minassero reciprocamente,  che  i  briganti  della  Basili- 
cata dessero  l'ultimo  crollo  alla  baracca,  che  succedesse 
così  un  cataclisma,  il  diluvio  universale  non  piia  d'acqua 
ma  di  ferro  e  di  fuoco  perchè  il  mondo  risorgesse  pu- 
rificato dalle  proprie  ceneri.  £  i  monaci  liberaloni, 
«  quei  pezzi  di  scannapagnotte,  »  osavano  ancora  batter 
le  mani  mentre  la  rivoluzione  ordiva  la  finale  rovina 
dell'ultimo  rappresentante  delle  legittimità,  del  piij 
augusto,  del  più  sacro;  il  Santo  Padre!  Battevano  le 
mani  come  gli  arruffoni,  come  gli  affamati  in  busca  di 
un'offa,  come  i  galeotti  evasi  di  cui  si  componevano  le 
nuove  bande  !  E  dimenavano  i  fianchi  ingrassati  a  spese 
di  San  Nicola,  e  si  fregavano  le  mani  che  la  beata  cuc- 
cagna permetteva  loro  di  mantener  bianche  e  lisce  come 
quelle  delle  dame  ! 

— .  Manetta  di  mangia  a  ufo  che  siete,  avete  forse 
vinto  un  terno  al  lotto  ?  Non  capite  che  più  presto 
r  eresia  trionferà,  più  presto  vi  butteranno  in  mezzo  3 
una  strada?  Di  che  vi  rallegrate,  traditori  più  di  Giuda? 
Non  volete  capire  che  avete  tutto  da  perdere  e  niente 
da  guadagnare  ? 

—  E  con  questo? 

—  Come  con  questo  ? 

—  Ci  piglieremo  anche  noi  un  po'  di  libertà.... 

Quando  gli  dettero  quella  risposta,  il  monaco  impal- 
lidì, poi  tutto  il  sangue  gli  montò  alla  testa  e  gli  occhi 
parvero    sul   punto   di   schizzare   dalle   orbite. 


—  332  — 

^-  Ah,  si;  ve  ne  manca?  —  articolava.  —  Vi  manca 
la  libertà?...  Siete  chiusi  in  fondo  a  un  carcere,  poveri 
disgraziati  ?...  Che  libertà  vi  manca,  d'  ubbriacarvi  come 
tanti  otri  ?  >di  crepare  dalla  sazietà  ?  di  mantenere  le 
vostre  ciarpe?...  Non  lo  sapete,  no,  come  vi  chiama  la 
gente?...  —  E  spiattellò  loro  in  faccia  l'epiteto  popo- 
lare col  quale  erano  designati  da  tutta  la  città  :  —  Porci 
di    Cristo   !... 

In  mezzo  al  baccano  delle  discussioni  che  minaccia- 
vano di  finire  a  cinghiate,  il  povero  Abate  pareva  un 
pulcino  nella  stoppa,  non  sapendo  come  fare,  non  vo- 
lendo dar  mano  ad  affrettar  lo  scempio  dei  buoni  prin- 
cipi!, ma  non  potendosi  opporre  alla  venuta  dei  Gari- 
baldini. Pertanto  s'afferrava  al  Priore,  si  metteva  nelle 
sue  mani,  non  lo  lasciava  più.  Don  Lodovico,  lagnandosi 
delle  tristizie  dei  tempi,  invocando  dal  Signore  la 
cessazione  di  quelle  dure  prove,  prese  le  redini  del 
convento  e  preparò  il  ricevimento  di  Garibaldi  :  ordinò 
che  dessero  aria  al  quartiere  reale,  che  approntassero 
pagliericci  e  foraggi,  che  vuotassero  le  cantine  e  i 
riposti.  Quando  arrivò  il  Generale,  gli  andò  incontro 
fino  a  pie  dello  scalone,  accompagnò  ai  loro  alloggi  gli 
aiutanti  e  presiedè  il  pranzo  delle  camicie  rosse,  scu- 
sando l'Abate  che  una  piccola  indisposizione  costringeva 
a   letto. 

Don  Blasco,  giallo  come  un  limone,  non  potendo  più 
gridare  all'arrivo  dei  Garibaldini,  s'era  tappato  una 
seconda  volta  al  Noviziato.  Quasi  tutti  i  ragazzi  non 
e'  erano  più,  ripresi  dalle  rispettive  famiglie,  che  per 
paura  dei  torbidi  si  mettevano  in  salvo.  Solo  il  princi- 
pino, Giovannino  Radali  e  due  o  tre  altri  erano  rimasti, 
mentre  gli  Uzeda  erano  scappati  al  Belvedere,  tranne 
Ferdinando,  chiuso  come  sempre  alle  Ghiaììde,  e 
Lucrezia  con  Benedetto,  il  quale  riprendeva  il  suo  posto 
di  combattimento  in  quei  giorni  agitati,  tra  le  poche 
autorità  e  i  rari  notabili  rimasti.  Egli  si  sarebbe  anzi 
arrolato,  per  far  la  nuova  campagna  con  gli  antichi 
commilitoni,    senza   il    dovere    di   non    abbandonar    la 


—  .133  — 

moglie.  Salito  su  al  convento,  il  domani  dell'  arrivo  di 
Garibaldi,  andò  ad  ossequiare  il  Generale,  che  lo  rico- 
nobbe subito,  gli  strinse  la  mano,  e  lo  intrattenne  un 
pezzo  non  ostante  l'andirivieni  delle  commissioni,  delle 
rappresentanze  di  ogni  genere  accorrenti  incontro 
all'antico  Dittatore.  La  incertezza  e  l'inquietudine,  le 
speranze  e  i  timori  intorno  a  quel  che  sarebbe  seguito 
erano  universali.  Quali  disegni  aveva  Garibaldi?  Quali 
ordini  i  rappresentanti  dell'autorità?  Il  conflitto,  se 
mai,  sarebbe  scoppiato  a  Catania  ?  Che  cosa  avrebbe 
fatto  la  Guardia  nazionale?...  Non  si  sapeva  nulla; 
certuni  dicevano  che  il  Governo  fosse  secretamente 
d'accordo  con  Garibaldi,  che  facesse  finta  d'osteggiarlo 
per  l'occhio  dei  potentati.  Benedetto,  ripresa  la  pub- 
blicazione dell'  Italia  Risorta,  sosteneva  questa  opinione, 
e  il  silenzio  del  duca  d'  Oragua,  al  quale  aveva  scritto 
lettere  su  lettere  pregandolo  di  tornare  in  Sicilia,  poicJic 
la  presenza  di  lui  poteva  divenire  necessaria,  lo  induceva 
a  confermarvisi.  Aveva  pertanto  assicurato  al  Dittatore 
l'unanime  consenso  di  tutto  il  paese.  Congedatosi  e  sul 
punto  di  riscendere  in  città,   si  udì  chiamare  : 

—  Eccellenza!...   Eccellenza!... 

Era  Fra  Carmelo  che  gli  veniva  dietro.  All'  orecchio, 
e  con  aria  di  mistero,  quando  1'  ebbe  raggiunto  : 

—  Suo  zio  don  Blasco,  —  gli  disse,  —  ha  da  par- 
larle— 

Rintanato  nell'  ultima  stanza  dell'ultimo  corridoio  del 
Noviziato,  don  Blasco  volle  sentire  due  volte  la  voce 
del  nipote  prima  d'aprire.  Serrato  l'uscio  sul  muso  del 
Fratello  : 

—  Sei  dunque  impazzito  anche  tu,  pezzo  di  bestione? 
—  disse  a  Benedetto- 
Questi  aveva  appena  domandato  un  perchè  timido  e 

sommesso,  che  il  monaco  ricominciò,  con  nuova  vio- 
lenza : 

—  Come,  perchè?  Hai  il  viso  di  domandarlo?  Con 
la  guerra  civile  che  state  per  far  scoppiare  ?  La  città 
bombardata  ?  Le  strade  insanguinate  ?  I  galantuomini 
perseguitati?...    E   mi   domandi  perchè?... 


—  Non  è  colpa — 

—  Non  è  colpa  tua?  Di  chi,  dunque?  Mia,  forse? 
Sicuro  !  Li  ho  scatenati  io  in  persona  !  Conosco  il  so- 
lito giuoco  !  GÌ'  istigatori  sono  i  galantuomini  colpevoli 
di  non  transigere  con  la  propria  coscienza  !  Mi  mera- 
viglio che  non  son  venuti  ad  arrestarmi!...  Vengano, 
vengano  pure!...  —  e  pareva  un  leone,  con  gli  occhi 
sfavillanti. 

—  Vostra  Eccellenza  si  calmi —  balbettava  Giu- 

lente. 

—  Ho  da  calmarmi,  anche?  Mentre  il  mio  paese  è 
minacciato  dell'ultima  rovina?  Quando  vedo  una  bestia 
della  tua  cubatura  batter  le  mani  con  gli  altri,  invece 
di  evitare  quest'inferno?... 

—  Ma  in  qual  modo  ? 

—  In  qual  modo  ?  Facendoli  andar  via  !  Si  scannino 
in  campagna,  sul  mare,  dove  piace  loro,  non  dentro  una 
città  come  la  nostra,  dove  i  danni  sarebbero  incalcola- 
bili, dove  ne  andrebber  di  mezzo  le  donne,  i  vecchi, 
i  bambini,  i  galant —  \'adano  via  a  scannarsi  dove  gli 
piace;  il  mondo  è  grande!...   Ecco  in  qual  modo!... 

Giulente  rimaneva  perplesso,  non  osando  contraddire 
allo  zio,  ma  non  volendo  neppure  disdirsi  dopo  mez- 
z'  ora. 

—  Ma  come  fare    ?  Tutto  il  paese  è  pel  Generale.... 

—  Tutto  il  paese  ?  Prima  di  tutto,  sei  una  bestia  ! 
Quale  paese  ?  I  pazzi  come  te  ?  E  poi,  quand'  anche, 
ragione  di  più  !  Se  il  paese  è  per  lui,  se  e'  è  entrato 
da  trionfatore,  che  resta  a  farci?  Fosse  una  piazzaforte, 
capirei  ;  ma  una  città  aperta  ai  quattro  venti  ?  Se  ha 
da  attaccar  battaglia,  vada  altrove  !  Si  porti  chi  vuole 
e  ciò  che  vuole,  e  buon  viaggio  !... 

Il  monaco,  a  poco  a  poco,  s'  era  venuto  placando,  e 
aveva  detto  le  ultime  parole  quasi  col  tono  di  voce  di 
ogni  altro  cristiano  ;  ma  appena  Benedetto  osservò  ; 

—  E  chi  lo  persuaderà  ? 

—  Ah,  sangue  di  Maometto  !  —  riprese  col  vocione 
di  prima  e  un  gesto  furioso.  —  Parlo  con  una  bestia 


—  335  — 

Ci  con  un  essere  ragionevole?  Chi  l'ha  da  persuadere? 
Voialtri  che  gli  slate  attorno  !  C  è  una  Guardia  nazio- 
nale ?  C'è  un'autorità  qualunque?  Tu,  che  cavolo  sei? 
Capitano,  buon  cittadino,  il  diavolo  che  ti  porta  via  ? 
Tocca  a  voialtri  parlar  chiaro  e  tondo,  dopo  che  i  tuoi 
conigli  Piemontesi  se  la  sono  battuta,  lasciandoci  nel 
ballo  !  O  credi  forse  che  voglia  impicciarmi  con  cotesti 
assassini,   briganti,   galeotti,   ru  — 

Al  rumore  di  un  passo  risonante  pel  corridoio,  don 
Blasco  ammutolì  come  per  incanto.  Si  gargarizzò  quasi 
la  gola  gli  prudesse,  fece  due  passi  per  la  camera,  si 
fermò  un  momento  a  tender  l'orecchio;  poi,  cessato  il 
rumore,  dichiarò  : 

—  Se  vuoi  capirla,  tanto  meglio;  se  no,  mettiti  bene 
in  testa  che  a  me,  come  a  me,  importa  un  solennissimo 
cavolo  di  te,  di  Garibaldi,  di  \'ittorio  Emanuele,  e  di 
quanti   siete — 

Giulente  tornò  a  casa  sua  impensierito  ed  inquieto. 
Appena  entrato  in  carriera  di  sua  moglie,  vide  Lucrezia 
seduta  in  un  angolo,  con  gli  sguardi  a  terra  e  gli  occhi 
rossi. 

—  Che  hai?...  Che  è  stato?... 

—  Nulla.   Non  ho  nulla. 

—  Ma  tu  hai  pianto,  Lucrezia  !  Parla  !  Dimmi  che 
cos'  hai  !... 

Ella  negava,  senza  guardarlo  in  faccia,  con  la  bocca 
ostinatamente  cucita,  e  se  non  era  Vanna  che  soprav- 
veniva,  Benedetto  non  sarebbe  riuscito  a  saper  niente. 

—  La  padrona  non  vuol  restare  in  città,  —  dichiarò 
la  cameriera.  —  Tutti  i  suoi  parenti  se  ne  sono  andati, 
anche  la  povera  gente  si  mette  al  sicuro,  e  lei  sola  ha 
da   restare  al  pericolo  ? 

—  Che  pericolo?...  Lucrezia,  è  per  questo?  Ma  se 
non  e'  è  pericolo  di  niente  ?  Che  temi  ?  Non  ?ono  qua 
io?  A  me  non  faranno  nulla,  in  nessun  caso!  Se  ci 
fosse  un  pericolo  anche  lontano,  ti  lascerei  qui  ?  An- 
dremo via  se  le  cose  si  guastano;  ho  bisogno  di  pro- 
mettertelo ?... 


—  336  — 

Dopo  che  ebbe  parlato  un  quarto  d'  ora,  ella  articolò  : 

—  Voglio  andarmene   dai   miei   parenti. 

—  Ma  santo  Dio,  perchè?  Stamattina  era  cosi  tran- 
quilla !   Che  cosa  è  mai  successo  ? 

Era  successo  questo  :  che  la  moglie  di  Orazio,  il  coc- 
chiere del  principe,  aveva  fatto  una  visita  all'antica  pa- 
droncina  per  annunziarle,  col  fiato  ai  denti,  che  scap- 
pava anche  lei  al  Belvedere.  «  Eccellenza,  qui  non  si 
può  più  stare.  Oggi  non  sa  che  cosa  è  successo  ?  I  sol- 
dati piemontesi  rimasti  all'  infermeria  se  ne  andavano 
a  raggiunger  la  truppa.  Al  Fortino,  i  Garibaldini  li 
vogliono  fare  prigionieri.  Allora,  Gesù  e  Maria,  il  te- 
nente ordina  baionetta  in  canna  !  E  io  che  passavo  con 
le  creature  !...  Dallo  spavento  sto  ancora  tremando  !  Ho 
fatto  un  fagotto  di  quei  quattro  cenci,  e  stasera  me  ne 
vado —  »  Allora,  se  la  moglie  del  cocchiere  andava  via, 
lei,  la  sorella  del  principe,  era  da  meno  della  moglie 
del  cocchiere?...  Quest'idea  non  era  sorta  improvvisa- 
mente nella  sua  testa.  Lottando  per  sposare  Giulente, 
ella  aveva  giurato  di  non  aver  più  che  fare  con  gli 
Uzeda  ;  tutte  le  ragioni  da  loro  addotte  per  denigrare 
Benedetto  e  la  famiglia  di  lui,  1'  avevano  invece  sempre 
più  confermata  nel  suo  proposito.  Ma,  trionfando  delle 
opposizioni,  ella  aveva  cominciato  a  rimuginare,  nelle 
lunghe  ore  d'ozio  e  d'inerzia,  gli  antichi  argomenti 
della  zia  Ferdinanda,  di  Giacomo,  del  confessore  ;  la 
persuasione  d'  essere  discesa,  sposando  Benedetto,  aveva 
cozzato  un  pezzo  con  l'ostinazione  antica;  in  rotta  col 
fratello,  il  cruccio  di  non  poter  più  entrare  nella  casa 
dei  Viceré,  di  sentirsi  quasi  posta  al  bando  dai  parenti, 
r  aveva  occupata  a  poco  a  poco,  mentre  ella  continuava 
a  prendersela  con  loro.  Al  principio  delle  inquietudini 
pubbliche,  la  fuga  generale  dei  nobili  e  dei  ricchi  aveva 
colmato*  la  misura,  ed  ora  ella  dimenticava  ciò  che 
aveva  detto  contro  Giacomo,  la  freddezza  sorta  tra 
loro  due,  il  fermo  proposito  di  non  piegarsi  :  voleva 
andarsene  al  Belvedere,  se  perfino  la  moglie  del  coc- 
chiere c'era   andata 


Giulente  stava  ancora  cercando  di  persuaderla,  quando 
arrivò  la  posta;  in  mezzo  ai  giornali  c'era  finalmente 
una  lettera  del  duca.  Il  duca  diceva  di  non  aver  più 
ricevuto  sue  lettere,  in  quei  momenti  di  agitazione,  che 
gliele  facevano  aspettare  con  impazienza.  Le  notizie 
di  Sicilia  gli  avevano  messo  la  febbre  addosso,  tanto  che 
egli  voleva  subito  far  le  valige  ;  ma  disgraziatamente 
era  impedito  da  molte  e  gravi  faccende,  «  tutte  d' inte- 
resse del  collegio  e  del  paese.  »  Del  resto,  se  voleva 
trovarsi  fra  i  proprii  concittadini,  ciò  era  per  avvertirli 
di  non  lasciarsi  trascinare  da  Garibaldi.  «  Lo  dico  dunque 
a  te  che  puoi  farlo  capire  alle  teste  riscaldate,  dove 
più  insistente  si  cammina  a  nome  del  principio  utopista, 
si  corre  sicuro  al  naufragio.  Altronde  il  Governo  è  de- 
ciso opporsi  in  tutti  i  modi  a  simile  aberrato.  Ed  io, 
credo,  che  fa  benissimo  ;  anzi  che  ha  perduto  troppo 
tempo.  Garibaldi  dev'essere  arrestato  a  forza;  non  si 
può  permettere  che  una  nazione  di  ventisette  milioni 
è  messa  in  orgasmo  da  un  upmo  che  ha  meriti  distinti, 
ma    pare   avere    giurato   di    farli    dimenticare  con   una 

condotta  che »  e  qui  due  facciate  contro  Garibaldi. 

«  Perchè  poi,  voltiamo  la  pagina,  neppure  il  Governo 
è  libero,  e  non  bisogna  lusingarsi  col  non  intervento  ; 
c'è  la  Francia  che  fa  un  casa  del  diavolo.   Napoleone 

ha    detto l'Austria    aspetta    un     pretesto —     tutta 

r  Europa    invigila »    e    un    altro    foglietto    di   gravi 

considerazioni  sulla  politica  internazionale.  «  Quindi  ti 
raccomando  di  far  comprendere  queste  verità  agli  amici, 
ed  anche,  anzi  sopratutto,  agli  avversarli.  Bisogna  evi- 
tare un  serio  disastro  al  nostro  paese,  e  tutti  bisognano 
persuadersi  del  pericolo  della  situazione.  Pregoti  di 
parlare  e  occorrendo  scrivere  in  questo  senso  ;  anzi 
sono  sicuro  che  nella  tua  accortezza,  ti  sarai  già  messo 

all'  attuazione » 

Per  la  terza  volta  in  tre  ore,  qualcuno  dei  suoi  pa- 
renti lo  sping'eva  cosi  nella  via  da  cui  egli  ripugnava. 
Il  duca  scriveva,  escandescenze  a  parte,  come  don  Blasco 
parlava;   il  monaco  borbonico  era,  in  fondo,   d'accordo 

De    Roberto.    I    Viceré    -    I  22 


col  deputato  liberale;  e  sua  moglie,  chiusa  in  camera, 
gli  teneva  il  broncio,  complottava  con  la  cameriera  per 
indurlo  ad   abbandonare  il   suo  posto. 

La  sera,  ad  una  tempestosa  riunione  del  Circolo  Na- 
zionale, dove  il  partito  garibaldino  e  il  governativo  erano 
venuti  quasi  alle  mani,  egli  s'  alzò  per  parlare.  Neil'  im- 
barazzo da  cui  era  vinto,  l'argomento  suggerito  da  don 
Blasco  gli  parve  il  più  opportuno.  «  Nessuno  poteva 
mettere  in  dubbio,  disse,  la  sua  devozione  al  Generale, 
né  la  coscienza  gli  permetteva  di  dare  ragione  a  quelli 
che  volevano  schierarsi  contro  il  liberatore  della  Sicilia  ; 
ma  bisognava  piuttosto  dimostrargli,  col  dovuto  rispetto, 
il  pericolo  a  cui  era  esposta  la  città.  Delle  due  1'  una  : 
o  agiva  d'  accordo  col  Governo,  e  allora  non  aveva 
nessun  interesse  di  restare  a  Catania  ;  o  il  Governo  gli 
si  opponeva,  e  allora  bisognava  chiedere  al  suo  cuore 
di  evitare  gli  orrori  della  guerra  civile  ad  una  città 
popolosa  e  fiorente.  E  questo  era  proprio  il  caso,  poiché 

il  Governo  aveva  deciso  di  opporglisi »  Quel  discorso 

scandalizzò  i  suoi  antichi  amici  ;  ma,  prendendoli  a  parte 
uno  dopo  l'altro  quando  l'assemblea  fu  sciolta  senza 
nulla  deliberare,  egli  li  esortò  a  piegarsi,  esponendo  la 
verità  nuda  e  cruda,  le  notizie  dategli  dal  duca.  «  Per- 
ché non  viene  egli  stesso,  allora  ?  »  gli  domandavano  ; 
«  che  cosa  sta  a  fare  a  Torino,  mentre  qui  si  balla  ?  » 
ed  egli  lo  giustificava,  annunziando  che  si  sarebbe 
messo  in  viaggio  al  più  presto  possibile,  ma  che  in- 
tanto bisognava  mandare  una  commissione  al  Gene- 
rale  per   indurlo   a    s,gomberare 

La  sua  propaganda  ottenne  1'  effetto  desiderato.  Sul 
partito  ostile  a  Garibaldi  s'erano  accumulati  molti  so- 
spetti, poiché  i  borbonici,  i  paurosi  senza  nessuna  fede 
erano  con  esso;  ora  che  un  liberale  provato  consigliava 
non  la  resistenza,  ma  la  rispettosa  esposizione  del  peri- 
colo, questo  consiglio  si  faceva  strada.  Benedetto  non 
ebbe  tuttavia  il  coraggio  di  andare  in  persona  dal  Ge- 
nerale ad  esporgli  la  sua  nuova  opinione;  lasciò  che 
andassero  gli  altri.  Costretto  a  condurre  sua  moglie  al 


—  339  — 

Belvedere,  se  ne  tornò  solo  in  città,  aspettando  gli  av- 
venimenti, scrivendo  e  telegrafando  al  duca  per  invitarlo 
a  venire.  Passarono  alcuni  giorni  senza  che  la  situa- 
zione mutasse.  Garibaldi,  dall'  alto  della  cupola  di  San 
Nicola,  scrutava  spesso  la  linea  dell'  orizzonte,  col  can- 
nocchiale spianato;  o,  curvo  sulle  carte,  studiava  i  suoi 
piani,  o  riceveva  la  gente  e  le  commissioni  che  veni- 
vano a  trovarlo.  Finalmente  s'  imbarcò  con  tutti  i  volon- 
tari, non  si  sapeva  dove  diretto,  se  in  Grecia  o  in 
Albania;  ma,  dopo  la  partenza,  un  lievito  di  scontento 
restò  nella  città,  una  sorda  agitazione  che  le  persone 
influenti  e  la  stessa  Guardia  nazionale  non  riuscivano  a 
sedare.  Il  movimento  era  adesso  contro  i  signori,  contro 
i  ricchi  ;  Giulente  aveva  arringato  i  tumultanti,  ma  nes- 
suno lo  ascoltava  più  ;  e  il  duca  gli  scriveva  ancora  che 
non  poteva  venire,  che  stava  poco  bene,  che  i  grandi 
calori  gli   avevano  rovinato  lo  stomaco — 

Un  pomeriggio  che  don  Blasco  aveva  arrischiato, 
per  la  prima  volta,  una  visita  alla  Sigaraia,  dove,  ridi- 
ventato un  energumeno,  augurava  il  reciproco  sterminio 
dei  Garibaldini  e  dei  Piemontesi,  arrivò  Garino  giallo 
come    un    morto  : 

—  La   rivoluzione!...    La   rivoluzione!...    Bruciano   il 

Casino  dei  Nobili 

Infatti  la  dimostrazione  era  diventata  sommossa,  le 
fiamme  consumavano  il  circolo  dell'aristocrazia.  Il  mo- 
naco, manco  a  dirlo,  tornò  a  sbarrarsi  al  convento,  e  non 
lo  lasciò  più  se  non  quando  la  truppa  regolare  rioccupò 
la  città.  Ma  l'eccitazione  degli  animi  prodotta  dall'avve- 
nimento d'Aspromonte,  le  paure,  i  pericoli,  non  pare- 
vano cessati,  e  il  principe  non  si  moveva  dal  Belve- 
dere, e  Giulente  tornava  a  pregare  il  duca  di  farsi  vivo, 
di  venire  a  metter  la  pace  nel  paese.  Il  duca  non  venne; 
rispose  ancora  che  i  medici  gli  avevano  vietato  di  tor- 
nare in  Sicilia.  «  Sono  disperato,  non  posso  trovarmi 
fra  voi  come  dovrei  e  vorrei,  non  solamente  per  tutto 
ciò  che  mi  dici  di  Catania,  ma  anche  perciò  che  è  av- 
venuto a  Firenze » 


—  340  — 

Benedetto  non  sapeva  a  che  cosa  alludesse;  11  per  lì 
non  pensò  neppure  che  Raimondo  era  in  Toscana.  Seppe 
qualche  giorno  dopo  di  che  si  trattava,  quando  arri- 
varono, insieme,  il  conte  e  donna  Isabella  Fersa,  e 
scesero  all'alberg-o,  sempre  insieme,  come  fossero  ma- 
rito   e   mos'lie. 


IV. 


L'impressione  prodotta  da  quell'avvenimento  fu  tale 
che  tutt'a  un  tratto  Garibaldi  e  Rattazzi,  Roma  ed 
Aspromonte  passarono  in  seconda  linea.  Il  conte  Uzeda 
con  donna  Isabella  !  All'albergo  insieme,  quasi  fossero 
due  innamorati  fuggiti  di  casa  per  forzar  la  mano  alle 
famiglie!  E  la  contessa?  E  il  barone?  Com'era  suc- 
cesso  il   pasticcio  ?    E   come   sarebbe   andato   a   finire  ? 

Pasqualino  Riso,  reduce  da  Firenze,  col  padrone, 
fu  assediato  di  domande.  Pareva  un  signore,  Pa- 
squalino :  abito  tagliato  all'ultima  moda,  biancheria 
finissima,  anelli  alle  dita,  scarpe  verniciate,  che  se  non 
era  la  faccia  sbarbata,  ognuno  lo  avrebbe  preso  per 
un  cavaliere.  E  nelle  portinerie,  nelle  stalle,  nei  caffè 
dei  cocchieri,  nelle  anticamere  della  parentela,  diede 
tutte  le  spiegazioni  desiderate.  «  Che  il  contino  non 
potesse  durarla  a  lungo  con  la  moglie,  egli  l'aveva 
previsto  da  un  pezzo,  e  tutti  avevano  potuto  accor- 
gersene l'anno  innanzi,  quando  il  signor  don  Rai- 
mondo era  scappato  lontano  da  quella  donna  che  gli 
amareggiava  l'esistenza.  Lo  sapevan  tutti  che  egli  vo- 
leva bene  a  donna  Isabella;  dunque  la  contessa,  se 
fosse  stata  un'altra,  che  cosa  avrebbe  dovuto  fare  ? 
LTsar  prudenza,  per  amore  dei  figli  !  Invece,  nossi- 
gnori :  pianti,  strepiti,  accuse,  minacele,  suo  padre 
sempre  tra  i  piedi  :  bisognava  esser  fatti  di  stucco  per 
resisterci  !  Ma  quantunque  la  pazienza  fosse  scappata 
una    prima    volta    al   povero    contino,   pure   egli    aveva 


—  341  — 

ceduto   —    tant'era    vero   che    il    torto   non   stava   dalla 
sua  parte  !  —  dimenticando  il  passato,  rassegnandosi  a 
tornar  con  lei  perchè  i  figli  ne  andavan  di  mezzo.   Gli 
uomini,    si    sa,    non    possono   star    sempre    cuciti    alle 
gonne    delle    mogli,    e    il   contino    non    aveva   fatto    più 
di  ciò  che  fanno  tutti  i  mariti.  Le  donne  accorte,  quelle 
che  hanno  due  dita  di  cervello,  capiscono  queste  cose, 
chiudono  un  occhio  e  fanno  la  volontà  di  Dio.    Invece, 
quella    santa    cristiana    della    contessina,    dopo    d'aver 
promesso    d'essere    ragionevole,    aveva    cominciato   àa. 
capo  ;    ma  come  ?    peggio   di    prima  !    Suo    marito    non 
poteva   pigliare   un   po'    d'aria   che  lei   non   gli  facesse 
una  scenata  :   se  andava  al   Gluhho  a  trovar  gli  amici, 
a   far   quattro   passi,    subito    i    sospetti,    i    pianti    ed    i 
rimproveri.   E   gli   strepiti   per  la  passeggiata  alle  Cas- 
sine? Il  contino,  che  usciva  a  cavallo,  ci  trovava  donna 
Isabella   in   carrozza    e,    naturale  !    si    fermava   a    salu- 
tarla ;  giusto  in  quel  punto  :   ciaff-ciaff ,   chi   spuntava  ? 
la  carrozza  della  padrona  !...  O  buona  donna,  se  questo 
le  dispiaceva,  perchè  non  se  ne  andava  al  giardino  dei 
Popoli,  che  non  è  meno  bello?...    E  poi,   con  le  bam- 
bine ?   con   quel   diavoletto   della   maggiore   che   capiva 
tante  cose  come  una  donna  fatta  ?  Le  bambine  avrebbe 
dovuto  lasciarle  alla  Missa  inglese  che  il  contino  aveva 
preso  appunto  per  questo!...  La  sera,  poi,  a  casa,  un 
inferno  !    E   il  povero  contino  :   santa  pazienza,  aiutami 
tu!...  La  padrona,  quando  smetteva  di  andargli  dietro, 
cominciava    un'altra    musica  :    chiusa    in  camera    quin- 
dici giorni  di  fila,  senza  metter  fuori  la  punta  del  naso, 
non  ascoltando  né  ragioni  né  preghiere,  senza  riguardi 
per   la   bambina   piccola   che   aveva   bisogno   di   pigliar 
aria   e   non  voleva   andar  fuori   se  la   sua   mamma   le- 
stava  in  casa  !  E  il  conte  :  santa  pazienza  !...  Ma  questo 
sarebbe  stato  niente  :  finché  era  sua  moglie  quella  che 
lo   metteva   con   le   spalle  al   muro,   il  padrone   soppor- 
tava tutto  in  santa  pace.   Un  bel  giorno,  che  pensa  di 
fare    la    contessa?    Pensa    di    chiamare    suo    padre,    di 
metterselo  in  casa  e  di  scatenare  una  guerra  tra  suo- 


—  342  — 

cero  e  genero!...   Bisognava  che  fosse  ammattita!  Lei, 
fino  a  un  certo  punto,  poteva  mescolarsi  nelle  faccende 
del  contino;    ma   suo   padre?   Chi   era   suo   padre?    Un 
estraneo,    villano    rivestito    per    giunta,   e    rompiscatole 
anche  !   Diciamo  le  cose  come  sono  :  prima  di  tutto  gli 
mancava    l'educazione  :    uno    che    aveva    imparato    alle 
figlie  a  dargli   del  tu  !    Istigato  poi  dalla  contessa,   era 
diventato  una  bestia,   salvo  sempre  il   santo  battesimo, 
e  il  conte  doveva  sorbirsi  le  sue  impertinenze,  in  casa 
propria  !  Un  giorno,  solo  per  aver  detto  che  certi  affari 
gli  impedivano  d'accompagnare  la  moglie  al  teatro,   il 
barone    villano    ardì    perfino    minacciarlo    col    bastone  ! 
Santo  Dio  d'amore,  era  un  po'  troppo  !   Il  contino  non 
gli    disse    niente,    altro    che    una    parola  :    Facchino  !... 
quella  che  ci  voleva  !  e  preso  il  cappello  se  n'andò,  per 
sempre,   stavolta.    Chi   poteva   più   consigliargli    di   tor- 
nare  a   perdonare V   Le   figlie,    pazienza,    sarebbero   an- 
date in  collegio,  o,  se  la  padrona  voleva  tenerle  con  se, 
il  padrone  gliele  avrebbe  anche  lasciate...  quantunque... 
quantunque —    Perchè  il  piìj  curioso,   sig,nori  miei,   era 
questo  :    che   la   contessa,   mentre  faceva  la   gelosa,    si 
divertiva  anche  lei  in  società  !   Non  che  fosse  successo 
niente  ;   in  coscienza,   questo  non  si  poteva  dire,   né  il 
padrone  sarebbe  restato  con  le  mani  a  cintola,  se  mai  ! 
ma  bisognava  vedere  che  smania  di  andare  ai  balli,  al 
teatro  ;    che  sfarzo   di   abiti   quando   riceveva   tanti   uo- 
mini, tanti  scapoli,  un  certo  conte  Rossi,  fra  gli  altri, 
il  padrone  di  casa —  » 

E  la  storia  di  Pasqualino  passava  di  bocca  in  bocca, 
era  ripetuta  dai  cocchieri  ai  famigli,  dai  guatteri  ai 
cuochi,  dai  portinai  agli  affittacamere,  ciascuno  dei 
quali  ci  ricamava  su  qualcosa  del  proprio,  finché, 
arrivando  al  gran  pubblico,  preparava  l'opinione,  gua- 
dagnava simpatie  alla  causa  del  conte.  Molti  però 
scrollavano  il  capo,  non  si  lasciavano  prendere;  e  a 
poco  a  poco,  senza  che  si  sapesse  donde,  da  certe 
informazioni  venute  da  Firenze  e  da  Milazzo,  da  certe 
parole   sfuggite   allo   stesso   Pasqualino  quando  si   tre- 


—  343  — 

vava  a  quattr'occhi  con  gì'  intimi,  dopo  aver  bevuto,  la 
\erità  cominciava  a  venire  a  galla. 

Raimondo  aveva  giurato  di  romperla  con  sua  moglie 
nel  punto  stesso  che  lo  zio  duca  lo  costringeva  a  ri- 
prenderla. Come  tutte  le  volte  che  cercavano  dissua- 
derlo da  un  proposito,  egli  s'era  maggiormente  inca- 
ponito. Lontano  da  Matilde  e  da  donna  Isabella,  aveva 
goduto  l'illusione  di  quella  libertà  che  gli  stava  a 
cuore  sopra  ogni  cosa;  costretto  a  rinunziarvi,  s'era 
promesso  di  riguadagnarla  a  qualunque  costo,  e  la  sua 
facile  sottomissione  ai  consigli  del  duca  non  aveva 
avuto  altro  scopo  che  dimostrare,  con  la  propria  ar- 
rendevolezza, il  torto  della  moglie,  unico  punto  in  cui 
la  versione  di  Pasqualino  non  mentisse  del  tutto. 
L'ideale  del  suo  padrane  era  di  liberarsi  della  moglie 
e  dell'amica  ad  un  tempo;  ma  il  conto  era  fatto  senza 
l'oste,  cioè  senza  donna  Isabella.  Fin  dai  primordii 
dell'amicizia  con  Raimondo,  fin  da  quando,  in  casa  del 
marito,  ella  resisteva  alla  corte  del  giovane,  dimostran- 
dogli simpatia  ma  opponendogli  i  doveri  del  proprio 
stato,  gli  aveva  detto  e  ripetuto,  con  un  rammarico 
che  doveva  dargli  la  prova  dei  suoi  sentimenti  per  lui  : 
«  Se  ci  fossimo  conosciuti  prima,  liberi  entrambi  !  Come 
saremmo  stati  felici!...»  E  quelle  parole  alle  quali 
egli  non  credeva,  lo  gelavano,  e  più  lo  avrebbero  ge- 
lato se  le  avesse  credute  espressione  di  un  sentimento 
sincero  :  come  il  gran  torto  di  sua  moglie  era  il  bene 
che  gli  voleva,  la  pretesa  di  averlo  tutto  per  sé,  di 
far  tutt'uno  con  lui,  torto  egualmente  grave  sarebbe 
stato  una  simile  pretesa  da  parte  dell'amica.  Tuttavia, 
impegnato  a  vincere  le  sue  resistenze,  anch'egli  le 
aveva  ripetuto  :  «  Come  saremmo  stati  felici  !  »  e  giu- 
rato che  l'unico  suo  sogno  era  di  vivere  con  lei,  per 
lei.  Dopo,  aveA'a  tentato  di  dare  addietro;  ma  donna 
Isabella,  perdutasi  per  lui,  senza  famiglia,  senza  pro- 
tezione, non  intendeva  che  le  sfuggisse.  Per  ricondurre 
a  se  quel  tiepido  amante,  del  quale  aveva  imparato  a 
conoscere  a  proprie  spese  la  conformazione,  le  era  ba- 


—  344  — 

stato  addebitare  la  freddezza  di  lui  all'opposizione  dei 
parenti,  alla  volontà  della  moglie.  Ognuna  di  queste 
allusioni  era  un  colpo  di  sprone  nei  fianchi  del  giovane  ; 
impegnato  a  dimostrarle  che  era  libero  di  fare  ciò  che 
voleva,  egli  faceva  ciò  che  non  A^oleva....  E  il  martirio 
della  contessa  Matilde  era  ricominciato,  piij  atroce  di 
prima,  accresciuto  dal  nuovo  disinganno,  dall'impos- 
sibilità di  ricorrere  al  padre,  non  già  perchè  ella  cre- 
desse airabbandono  di  cui  l'aveva  minacciata,  ma  per 
una  specie  d' impegno  contratto  dinanzi  a  sé  stessa  di 
non  confessare  l'errore,  per  l'antica  paura  d'un  urto 
tra  quelle  due  nature  violente...  Suo  padre,  quand'ella 
si  sentì  più  sola  e  perduta,  la  raggiunse.  Il  suo  cieco 
amore  per  la  figlia  e  il  non  meno  cieco  odio  pel  genero 
avevano  reso  vano  il  suo  proponimento  d'indifferenza; 
da  lontano  egli  li  seguiva  di  passo  in  passo,  aspettando 
l'ora  d' intervenire  :  e  quando  la  misura  fu  colma  ap- 
parve. E  Pasqualino  l'aveva  proprio  udito,  il  colloquio 
fra  suocero  e  genero,  la  spiegazione  definitiva  avve- 
nuta, dopo  pochi  giorni  di  calma  apparente,  giù  nelle 
scuderie  del  palazzo  Rossi,  per  impedire  che  Matilde, 
che  le  bambine  udissero.  Alle  ingiunzioni  sordamente 
minacciose  del  barone  che  gli  diceva  :  «  Non  vuoi  fi- 
nirla ?  Non  vuoi  ?  »  Raimondo  aveva  risposto  col  tono 
consueto  di  sprezzante  superiorità  :  «  Di  che  intendete 
parlare?  Occupatevi  di  ciò  che  vi  riguarda!...  »  Si,  di 
ciò  che  lo  riguardava,  rispondeva  il  barone,  della  pace 
di  sua  figlia  che  gli  stava  a  cuore  sopra  ogni  cosa,  che 
voleva  garantita  a  qualunque  costo,  a  costo  di  portar- 
sela via  e  di  romperla  per  sempre —  «  E  chi  vi  trat- 
tiene ?  Andatevene  pure  !  »  Era  appiattato  nella  stalla, 
Pasqualino,  lì  a  costo,  e  se  udiva  i  padroni  non  poteva 
vederli  ;  ma  a  quella  risposta  del  contino,  al  breve  si- 
lenzio da  cui  era  stata  seguita,  aveva  sentito  un  certo 
senso  di  freddo  in  pelle  in  pelle.  «  Sì,  ce  ne  andremo — 

ma  prima »  E  allora  Pasqualino  accorse.  Col  sangue 

agli  occhi,  il  pugno  levato,  il  barone  aveva  già  ag- 
guantato il  genero;  ma,- senza  il  cocchiere  gettatosi  in 


—  345  — 

mezzo,  era  bastato  a  Raimondo  dire  una  sola  parola  : 
«Facchino!...  »  perchè  tutt'a  un  tratto  il  suocero  lo 
lasciasse.  Sicuro,  l'aveva  detta  il  conte  quella  parola; 
Pasqualino  non  lavorava  di  fantasia,  riferendola;  e  bi- 
sognava aver  veduto  l'effetto  prodotto  sul  barone  !  Quel 
pezzo  d'uomo  che  con  un  soffio  avrebbe  buttato  a  terra 
il  genero  esile  e  sfiaccato,  che  lo  avrebbe  spezzato 
come  una  canna  tra  le  mani  grosse  e  villose,  pareva 
diventato  un  ragazzo  dinanzi  al  maestro  :  il  contino 
Uzeda,  il  grazioso  e  frollo  discendente  dei  Viceré  ful- 
minava il  barone  contadino  con  quella  parola,  con 
queir  insulto  che  diceva  la  distanza  da  cui  erano  se- 
parati il  signore  vizioso  ma  bene  educato  e  il  manesco 
villano  ringentilito.  Facchino,  sì,  approvava  Pasqua- 
lino :  tra  persone  d'una  certa  nascita  le  quistioni  non 
vanno  definite  a  pugni  :  e  con  quella  parola  appunto 
il  conte  rammentava  al  suocero  l'onore  fattogli  spo- 
sando sua  figlia  ;  e  se  il  barone  restava  immobile  come 
una  statua  era  perchè  subitamente  riconosceva  d'esser 
nel  torto.  La  parentela  con  gli  Uzeda  non  gli  era  parsa 
una  fortuna?  L'orgoglio  d'essere  entrato  nella  fami- 
gno  dei  Viceré  non  l'aveva  accecato  al  punto  di  non 
scorgere  per  tanti  anni  il  sacrifizio  della  figlia  ?  Un 
confuso  e  quasi  istintivo  sentimento  della  propria  in- 
feriorità dinanzi  al  genero  non  lo  aveva  impacciato 
ogni  volta  che,  aperti  gli  occhi,  s'era  proposto  di  rin- 
facciargli la  sua  condotta,  i  suoi  vizii,  la  sua  durezza, 
il  sangue  avvelenato  all'  innocente  bambina  ?  Facchino, 
si;  egli  meritava  l'insulto  se,  lasciandosi  trasportare 
dall'  ira,  aveva  voluto  definire  la  lite  come  tra  coc- 
chieri ;  e  aveva  riconosciuto  di  meritarlo,  ad  alta  voce, 
dinanzi  al  genero,  prima  di  voltargli  le  spalle.  Perchè 
infatti  la  scena  non  era  finita  in  quel  punto,  aveva 
anzi  avuto  una  codetta  che  Pasqualino  narrava  sólo 
a  quattr'occhi.  «  Io  facchino si »  aveva  balbet- 
tato il  barone;  «ma  tu?...  »  E  ad  un  tratto  gli  aveva 
buttato  in  faccia  una  parola  che  il  cocchiere  ripeteva, 
piano,   all'orecchio  delle  persone 


—  346  — 

Raimondo  lasciò  allora  immediatamente  la  sua  casa, 
corse  dall'amica,  la  costrinse  a  far  le  valige  e  la  con- 
dusse  seco   in   Sicilia. 

Dovette  costringerla,  perchè  infatti  donna  Isabella 
non  era  ben  sicura  dell'opportunità  di  quel  viaggio. 
Ella  vedeva  che  Raimondo  voleva  condurla  al  suo 
paese  per  rompere  clamorosamente  e  definitivamente 
coi  Palmi;  ma  comprendeva  pure  che  soltanto  l'ec- 
citazione dei  contrasti  sofferti  e  l'impeto  dell'odio  pro- 
vocato dalla  tempestosa  spiegazione  determinavano 
l'amico  suo  a  quel  passo,  e  non  l'amore  di  lei;  e  sen- 
tiva anche  che  l'ostentazione  della  loro  amicizia,  laggiù, 
in  una  piccola  città,  le  avrebbe  fatto  torto,  che  la  mo- 
rale più  o  meno  sincera  della  provincia  si  sarebbe  ri- 
bellata. Pure,  essendo  ormai  tardi,  non  riuscendo  con 
le  sue  osservazioni  se  non  a  eccitare  maggiormente  Rai- 
mondo, non  restandole  altro  per  trarlo  a  sé  che  fare  as^ 
segnamento  su  queste  eccitazioni,  ella  era  venuta.  Gli 
Uzeda,    a   ogni   modo,    sarebbero   stati   per   lei. 

Appena  arrivata,  infatti,  donna  Ferdinanda  che  non 
ostante  la  mal  sedata  inquietudine  pubblica  era  in 
città  per  una  sua  causa  contro  certi  debitori  morosi, 
venne  a  trovarli  all'albergo,  s'  informò  dell'accaduto, 
approvò  la  determinazione  di  Raimondo  con  una  sola 
parola,  ma  molto  espressiva  :  «  Finalmente  !...  »  C'erano 
in  città  anche  Benedetto  e  Lucrezia  che  s'era  poi  fatto 
coraggio:  Raimondo  andò  a  trovarli  il  domani  del  suo 
arrivo.  Lucrezia  gli  restituì  la  visita  nella  stessa  serata, 
non  curando  l'opposizione  del  marito.  Questi  giudicava 
molto  severamente  la  condotta  del  cognato,  e  se  avesse 
osato,  avrebbe  impedito  alla  moglie  di  far  quella  visita  ; 
ma  Lucrezia  dichiarò  che  non  vedeva  nulla  di  male 
nel  recarsi  a  trovare  il  proprio  fratello  :  era  forse  ob- 
bligata a  sapere  che  «  accompagnava  »  una  signora  ? 
E  andarono  all'albergo,  dove  Raimondo  li  ricevette 
solo  ;  ma  dopo  un  poco  che  discorrevano  del  viaggio 
e  del  tempo,   egli  s'accostò  a  picchiare  all'uscio  della 


--  347  — 

camera  accanto,  e  comparve  donna  Isabella,  la  quale 
strinse  la  mano  a  Giulente  e  baciò  Lucrezia.  Né  pre- 
sentazioni, né  spiegazioni,  né  nulla.  Benedetto,  sulle 
prime,  era  imbarazzatissimo,  non  sapeva  come  trattare, 
con  qual  nome  chiamare  la  Persa  ;  ma  ella  stessa  diede 
il  tono  alla  conversazione,  parlando  del  più  e  del  meno 
con  molta  disinvoltura,  come  tra  vecchi  amici,  anzi 
come  tra  veri  parenti.  «  Pel  momento  erano  all'albergo; 
ma  non  potevano  naturalmente  restarci.  Raimondo 
aveva  intenzione  di  prendere  in  affitto  un  quartiere  in 
città  ;  ella  giudicava  preferibile  una  villetta,  anche  per 
evitare   le   indiscrezioni   della   gente.  » 

Giulente  stava  per  dire  che  facevano  bene,  quando 
Lucrezia  esclamò  : 

—  Che  c'entra  la  gente  ?  Se  vi  nascondete,  dirà  che 
avete  paura  !  Parliamo  chiaro  :  vi  saranno  molti  che 
faranno  gli  schifiltosi,  —  donna  Isabella  cHiinò  gli  occhi; 
—  se  cominciate  voialtri  a   dar  loro   ragione,   è   finita  ! 

Raimondo  non  disse  nulla,  aspettando  di  veder  Gia- 
como che  era  al  Belvedere  ed  al  quale  nella  mattina 
aveva  spedito  Pasqualino  per  avvertirlo  del  suo  arrivo. 
Ala  il  cocchiere  tornò  con  un'aria  confusa  e  mortifi- 
cata e  non  sapeva  spiccicar  parola.  «  È  venuto  ?  »  gli 
aveva  detto  il  principe;  «  e  che  vuole?...  »  come  ad  uno 
che  si  presenti  per  chiedere  quattrini.  «  Niente,  Eccel- 
lenza—  manda  ad  avvertire  1'  Eccellenza  Vostra — 
desidera  sapere  quando  tornerà  in  città  Vostra  Eccel- 
lenza   »  Con  lo  stesso  tono  di  voce  il  principe  aveva 

risposto:  «Comincio  adesso  la  villeggiatura;  tornerò 
a  novembre »  e  gli  aveva  voltato  le  spalle.  Rai- 
mondo, alla  narrazione  della  scena,  si  morse  le  labbra  ; 
donna   Isabella  esclamò  : 

—  Che  abbiamo  fatto  !...  Tuo  fratello  ci  disapprova  ! 
— ■  Ed  incolpando  solo  sé  stessa  :  —  Ti  ho  messo  in 
urto  con  la  tua  famiglia  !... 

—  La    vedremo,    —   rispose   brevemente    Raimondo. 
Le  previsioni  di  lei  si  avveravano.  I  piij,  senza  acco- 
gliere né  rifiutare   le  scuse  e  le  accuse   relative  al  se- 


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condo    e    decisivo    abbandono    della    famiglia,    biasima- 
vano Raimondo  per  il  viaggio  fatto  insieme  con  l'amica, 
il    soggiorno    nell'albergo,    l'unione    apertamente    con- 
fessata, quasi  sfidando  l'opinione  pubblica.  Egli  poteva 
aver  torto  o  ragione  di  lagnarsi  della  moglie  ;   la  pas- 
sione per  donna  Isabella  poteva  scusarsi;  però  i  mora- 
listi,  i  padri   di  famiglia,   le   signore  piti   o  meno  timo- 
rate volevan  salve  le  apparenze  ;  e  quantunque  ci  fosse 
poca  gente  in  città,  pure  quegli  umori  si  manifestavano 
in  certi  freddi  saluti  rivolti  a  Raimondo,  in  certi  ambi- 
gui discorsi  di  servitori.   In  campagna,  nelle  ville  dove 
la    notizia    dello    scandalo   giungeva,    tutti    discutevano 
della  condotta  da  tenere  verso  la  coppia  al  ritorno  in 
città.    Molti   dichiaravano   che   avrebbero   troncato  ogni 
rapporto;  altri,   più  intimi,   perciò  piìi  imbarazzati,  fa- 
cevano dipendere  la  loro  risoluzione  dal  modo  col  quale 
si    sarebbe    comportata    la    famiglia.    Ora    l'improvvisa 
severità  espressa  dal  principe  a  Pasqualino  significava 
chiaro  che  egli  ritirava  loro  a  un  tratto  il  suo  appoggio. 
Dinanzi   all'ostacolo   Raimondo   s'  impennava,    prendeva 
r  impegno  di  vincere  ;  ma  come  donna  Ferdinanda  gli 
suggerì     di    andare    personalmente     da    Giacomo,    egli 
entrò  in  una  sorda  agitazione  :  era  disposto  a  far  tutto 
fuorché  a  pregare  quel  birbante  che,  dopo  avergli  dato 
mano,    gli    si    schierava    contro   chi    sa   per    qual    fine, 
fuorché  ad   umiliarsi   dinanzi   a   quel   fratello  del   quale 
per  tanti  anni,  ai  tempi  della  madre,  s'era  sentito  odiato. 
Poi   il  pensiero  delle  dimostrazioni   ostili  che  si   prepa- 
ravano a  lui  ed  all'amica  sua  lo  arrovellava,  gli  met- 
teva  un'altra    smania   nel    sangue.    E    un   giorno   prese 
una  carrozza  e  sali   al   Belvedere.   Giacomo,   vedendolo 
arrivare,    gli    disse,  non    nel   dialetto   familiare,    ma   in 
lingua  : 

—  Buon   giorno,    come   stai  ?  —   e  senza   stendergli 
la   mano. 

—  Bene,   e  tu?  —   rispose   Raimondo. 

—  Benissimo,   —  e  il  principe  si  lisciò  la  barba. 
La   principessa   che   si    teneva   accanto   Teresina   in- 


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tenta  a  ricamare,  rispose  a  monosillabi  alle  domande 
del  cognato,  sentendo  pesarsi  addosso  lo  sguardo  del 
marito. 

—  Resterete  ancora  un  pezzo?  —  domandò  Rai- 
mondo,   rosso   come    un   papavero. 

—  Si,  fino  a  novembre.  Te  lo  mandai  a  dire,  credo. 
E   lasciò   di    nuovo   cadere    il    discorso.    La    bambina 

volgeva  lo  sguardo  a  quello  zio  di  cui  non  rammen- 
tava bene  le  fattezze,  che  non  l'accarezzava,  che  suo 
padre  trattava  come  un  estraneo. 

—  Volevo  dirti  una  cosa,  —  riprese  Raimondo  esi- 
tante, quasi  pauroso,  e  tanto  più  crucciato  contro  sé 
stesso  quanto  più  cresceva  il  suo  impaccio.   —  Volevo 

domandarti   se  c'è   qualche   villetta  da   affittare una 

casetta  che  faccia  per  me...  non  importa  se  piccola, 
purché  pulita — 

Il   principe  parve   cercare   nella   memoria. 

—  No,  —  rispose.  • — ■  Tutto  è  preso,  fin  da  quando 
passò  Garibaldi. 

Raimondo  che  si  torceva  i  baffi  nervosamente,  in- 
sistè : 

— .  Cercherò,   ad  ogni  modo. 

E  allora  il  fratello,  con  voce  fredda,  senza  guar- 
darlo : 

—  Cerca,  se  vuoi.   È  inutile,  non  ne  troverai. 
Raimondo  andò  via  pallido,   muto  e  fremente.   S'era 

umiliato  per  nulla  !  Colui  gli  dichiarava  guerra  !  Non 
lo  voleva   vicino  !... 

Il  principe,  infatti,  aveva  spiattellato  a  tutta  la  pa- 
rentela ed  la  tutte  le  conoscenze  che  non  trovava  parole 
per  disapprovare  la  condotta  di  Raimondo.  «  È  uno 
scandalo  inaudito  !  Come  non  si  vergogna  ?  Ha  il  viso 
di  tornarsene  nel  suo  paese  ?  Ma  quando  si  vuol  fare 
una  di  queste  pazzie,  bisogna  nascondersi  dove  più  lon- 
tano è  possibile,  dove  non  si  è  conosciuti,  dove  si  può 
dare  a  intendere  ciò  che  si  vuole  !  »  E  alla  zia  donna 
Ferdinanda  che  sali  un  giorno  a  posta  al  Belvedere 
per   intromettersi,   per   indurlo  a   far  come   lei  : 


—  La  nostra  situazione  è  diversa,  —  rispose.  — • 
Vostra  Eccellenza  è  padrona  di  pensare  ciò  che  crede, 
di  fare  ciò  che  le  piace  :  può  anche  prenderseli  in  casa, 
non  avendo  da  render  conto  a  nessuno.  Io  ho  mia 
moglie  e  mia  figlia  alle  quali  non  posso  metter  sotto 
gli  occhi  un  simile  scandalo. 

Diceva  queste  cose  dinanzi  alla  principessa  e  alla 
bambina,  e  le  insistenze  della  zitellona  lo  trovavano 
incrollabile  nella  sua  indignazione.  Anche  Chiara  di- 
sapprovava il  fatto  del  fratello  poiché  Federico  lo  giu- 
dicava immorale  ;  non  si  parla  della  cugina  Graziella, 
la  quale  faceva  da  portavoce  al  principe.  Tutte  le  pa- 
role di  costui,  per  mezzo  della  zitellona  stomacata,  dei 
lavapiatti  dolenti,  del  servitorame  pettegolo,  arriva- 
vano all'orecchio  di  Raimondo,  il  quale  fremeva,  en- 
trava in  collere  mute  ;  ma  allora  donna  Isabella,  con 
un    sorriso   triste  : 

—  Vedi  che  non  puoi  durarla  !  —  gli  diceva.  —  Il 
meglio  è  che  tu  mi  lasci  I  Non  voglio  costarti  la  pace 
della  famiglia  ! 

Così  egli  che  sentiva  aggravarsi  le  conseguenze  del 
suo  passo  falso,  che  in  cuor  suo  malediceva  l'ora  e  il 
punto  in  cui  aveva  posto  mente  a  quella  donna  della 
quale  era  già  stufo,  per  la  quale  aveva  sofferto  l'af- 
fronto di  rinchinarsi  al  fratello,  si  stringeva  piij  a 
lei,  per  puntiglio  le  si  dava  mani  e  piedi  legati.  Non 
la  volevano  ricevere  ?  Egli  le  prometteva  che  avrebbe 
vtisto  tutti  ai  suoi  piedi.  Parlavano  male  di  lei  ?  Le 
assicurava  che  sarebbe  stata  sua  moglie. 

Per  avere  altri  parenti  dalla  sua,  andò  a  cercare  dello 
zio  Eugenio.  Il  povero  cavaliere  era  molto  giù,  il  com- 
mercio dei  vecchi  cocci  non  rendeva  più  niente;  e  Vit- 
torio Emanuele  poteva  forse  dare  una  cattedra  al  Gen- 
tiluomo di  Camera  di  Ferdinando  II  ?  Cosi  egli  aveva 
lasciato  il  quartierino  dove  stava  da  tanto  tempo,  s'era 
ridotto  in  due  camerette  più  piccole,  più  fuori  mano. 
Sempre  in  busca  di  quattrini,  aveva  fondato  adesso 
V Accademia    dei   quattro    Poeti,   di   cui    era    presidente. 


—  35T  — 

segfretario,  economo  e  tutto,  e  nominava  a  destra  e  a 
manca  socii  promotori,  fondatori,  piotettori,  effettivi, 
benemeriti,  corrispondenti,  onorarli  :  ciascuno  di  questi 
riceveva  un  diploma,  una  medaglia  di  bronzo,  lo  statuto 
e  una  noticina  di  venti  Jire  di  spese  ;  ma  sovente  la 
posta,  invece  del  vaglia,  gli  portava  indietro  1'  involto 
rifiutato.  I  parenti  lo  tenevano  un  poco  a  distanza, 
temendo  richieste  di  quattrini  ;  ma  vedendosi  cercato 
da  Raimondo,  egli  fiutò  a  un  tratto  il  buon  vento. 
Andò  subito  a  trovare  donna  Isabella,  si  dichiarò  per 
lei  contro  il  principe,  s'  invitò  tutti  i  giorni  a  cola- 
zione e  a  desinare.  Aveva  certi  abiti  che  gli  pian- 
gevano addosso  e  certe  scarpe  che,  viceversa,  gli  ride- 
vano ai  piedi  :  pochi  giorni  dopo  mise  pelle  nuova. 
Con  l'abito  fiammante,  le  camicie  di  bucato  e  le  mani 
inguantate  accompagnò  donna  Isabella  tutte  le  volte 
che  ella  andò  fuori,  le  fece  da  cavalier  servente,  pe- 
rorò in  pubblico  e  in  privato  la  sua  causa  dandole  della 
«  nipote.  » 

Anche  Lucrezia,  a  dispetto  del  marito,  si  faceva  ve- 
dere per  le  strade  con  lei,  la  sosteneva,  si  scagliava 
con  violenza  contro  il  fratello  maggiore,  spiegandone 
l'opposizione   con   un   motivo  semplicissimo. 

—  Per  la  morale  ?  Per  farsi  pagare  il  suo  appoggio  ! 
Scommettiamo  ?  Io  non  ho  dovuto  pagargli  il  suo  con- 
senso al  mio  matrimonio  ? 

—  Lucrezia!...    ■ —   avvertiva   Benedetto. 

—  Che  c'è?  Non  è  forse  vero?  Non  ho  dovuto  ac- 
cettare la  transazione  strozzata  per  sposarti  ?  È  storia 
che  tutti  sanno  !  Adesso  viene  la  tua  volta,  —  e  si  vol- 
geva a  Raimondo.  —  Vedrete  se  sbaglio  !  Aveva  ra- 
gione lo  zio  don  Blaso,  quando  diceva —  Oh,  a  pro- 
posito, perchè  non  vai  a  fargli  una  visita  ?  E  a  Lodo- 
vico ?  Quanti  più  saranno  dalla  tua,  tanto  meno  var- 
ranno gli  scrupoli  di  Giacomo.  Andiamo  insieme,  v'ac- 
compagno  io — 

E  Raimondo  rifece  la  via  del  Bosco,  andò  con  la 
sorella  e  col  cognato  a  Nicolosi,  dove  i  Benedettini  vii- 


— -  ,15^  — 

leggiavano,  a  mendicar  l'appoggio  del  fratello  e  dello 
zio  monaco.  Don  Blasco  era  a  giorno  di  tutto,  e  di- 
menticato a  un  tratto  Garibaldi,  non  faceva  altro,  lassù, 
che  gridare  come  indemoniato  contro  Raimondo  che 
aveva  fatto  l'ultimo  e  più  grande  imbroglio;  poi  contro 
Giacomo,  non  meno  imbroglione  del  fratello,  verso  il 
quale,  dopo  avergli  tenuto  il  sacco,  faceva  adesso  il 
puritano:  perchè?  per  strozzarlo!...  All'arrivo  dei  ni- 
poti, dopo  il  refettorio,  egli  dormiva  come  un  ghiro, 
.quando  FrA  Carmelo  lo  destò  : 

—  Che  c'è?  —  vociò.  —  Perchè  mi  rompi  il  capo? 

—  Vostra  Paternità  mi  scusi  ;  ci  sono  i  parenti  di 
Vostra    Paternità. 

Egli  venne  fuori,  e  appena  vide  Raimondo  apri  bene 
gli  occhi  ancora  imbambolati.  Come  Lucrezia  e  Bene- 
detto, Raimondo  gli  baciò  la  mano.  Egli  lasciò  fare, 
borbottando  : 

—  Che  c'è?  A  quest'ora?  Con  questo  sole? 

—  Siamo  venuti  a  fare  una  visita  a  Vostra  Eccel- 
lenza, —  spiegò  Lucrezia  per  tutti.  —  La  giornata 
non  è  tanto  calda.  Vostra  Eccellenza  sta  bene  ?  Sono 
due  anni  dacché  non  venivo  più  qui —   E  Lodovico? 

Fra  Carmelo,  costernato,  venne  a  dire  che  Sua  Pa- 
ternità il  Priore  era  in  conferenza  con  l'Abate  e  che 
non  poteva  scend&re  giù  pel  momento.  Raimondo  im- 
pallidi :  anche  quest'altro  gli  dichiarava  guerra;  si  met- 
tevano tutti  contro  di  lui  !..  .  Per  questa  ragione, 
quando  Lucrezia,  accordatasi  con  lo  zio,  propose  di 
fare  un  giro  pel  giardino,   egli  disse  brevemente  : 

—  No,  ho  fretta  di  tornare.   Andiamo  via. 

Il  domani  mattina,  all'albergo,  egli  non  s'era  ancora 
levato  che    il    cameriere    venne    ad    annunziargli  : 

—  C'è  lo  zio  di   Vostra   Eccellenza. 

E  don  Blasco  apparve.  Per  la  prima  volta  dacché 
viveva,  Raimondo  vedeva  lo  zio  venirgli  incontro, 
l'udiva  domandargli,  con  voce  quasi  garbata  :  «  Come 
stai...  ?  »  Non  pareva  vero  al  monaco,  sentendo  ripre- 
pararsi   una   gran   lite,   di   poter   rifìccare   il   naso   nelle 


—  35-1  — 

faccende  altrui.  'C'era  adesso  da  spingere  l'uno  contro 
l'altro  i  due  fratelli,  da  dar  mano  a  disfare  un'altra 
opera  della  principessa  defunta,  il  matrimonio  di  Rai- 
mondo :  egli  si  sentiva  invitato  al  suo  giuoco. 

Donna  Isabella  si  mostrò  in  veste  da  camera,  gli 
baciò  la  mano,  dandogli  dell'  «  Eccellenza,  »  quasi  fosse 
già  suo  zio;  e  il  discorso  s'avviò  sul  da  fare.  Uden- 
dola ripet-ere  che  voleva  nascondersi  in  campa,gna,  il 
monaco  saltò  su  : 

—  In  campagna?  Perchè  in  campagna?  Per  la  vil- 
leggiatura, va  bene,  fino  a  novembre  ;  ma  la  casa  in 
città  bisogna  prepararla  !  Avete  paura  della  gente  ? 
Allora  perchè  siete  venuti  ?  Questa  è  logica,   mi  pare  ! 

Il  suo  consiglio  era  di  chieder  subito  i  conti  a  Gia- 
como, di  togliergli  la  procura  e  di  iniziare  la  divisione  : 
a  <5|uelle  minacele  il  principe  sarebbe  subito  venuto  a 
più  miti  consigli.  Ma  proprio  il  domani  della  visita  del 
monaco,  scese  il  signor  Marco  dal  Belvedere  per  dire 
al  conte  che  il  signor  principe  voleva  restituirgli  la 
procura  e  dargli  i  conti,  una  volta  che  era  tornato  in 
patria.  Raimondo  mandò  via  l'amministratore  con  un 
violento:  «Ho  capito;  va  bene!...  »  e  uri  malumore 
terribile  lo  tenne  a  bocca  chiusa  per  tutto  un  giorno. 
Donna  Isabella,  costernata,  gli  ripeteva  :  «  Non  vedi  ? 
Io  ti  porto  disgrazia  !  Lasciami  andare  !  Sarà  di  me 
quel  che  vorrà  Dio —  »  E  allora  egli  di  rimando: 
«No;    ho   da   vincer   io!...» 

Giusto  Lucrezia,  che  oramai  era  tutta  una  cosa  con 
la  cognata  della  mano  manca,   fece  una  pensata  : 

— ■  Giacché  non  potete  stare  sempre  all'albergo,  e 
ora  è  il  tempo  della  villeggiatura,  perchè  non  ve  ne 
andate  alla  Pietra  dell'Ovo,  da  Ferdinando?  Ha  tanto 
posto  ;  vi  darà  due  camere.  Starete  con  un  parente  e  la 
cosa  farà   buon   effetto. 

Tutti  approvarono  la  proposta.  Né  Raimondo  era 
ancora  andato  a  trovar  quel  fratello,  né  Ferdinando  sa- 
peva che  Raimondo  era  tornato  :  dalla  tanta  indiffe- 
renza,  dalla  tanta  diversità  di  educazione,   di  gusti,   di 

De    Eoberto.    1    Vicari    ■    I  23 


—  354  — 

vita,  erano  diventati  peggio  che  estranei,  ciascuno 
ignorava  l'esistenza  dell'altro.  Lucrezia,  incaricatasi 
delle  trattative,  andò  alle  Ghiande.  Non  vedendo  il 
Babbeo  da  molti  mesi,  rimase.  Egli  era  dimagrato  come 
dopo  una  lunga  malattia,  aveva  gli  occhi  infossati,  la 
barba  incolla,  la  voce  fioca,  una  malinconia  più  nera 
dell'abituale. 

—  Venga  pure —  è  il  padrone —  rispose  alla  so- 
rella, senza  esprimere  nessuna  meraviglia  pel  ritorno 
di  Raimondo,   per  la  richiesta  dell'ospitalità. 

—  Ma,   sai,   ti   debbo  dire  una  cosa —  aggiunse 

Lucrezia.   —  Non  è  solo.... 

—  È  con  sua  moglie  ? 

—  Con  sua  moglie,  si —  come  se  fosse  sua  moglie 

E   gli   spiegò   che   aveva  lasciato  la   Palmi,   che   era 

con  la  Persa.  Ferdinando  stette  ad  ascoltarla  guar- 
dando a  destra  ed  a  sinistra,  quasi  avesse  smarrito 
qualcosa,   poi  ripetè  : 

— •  Va  bene,  va  bene  ;  digli  che  venga  quando  gli 
piace. 

Arrivati  che  furono  alle  Ghiande,  Raimondo  e  donna 
Isabella  vollero  visitare  la  casa,  il  giardino  e  il  podere, 
e  profusero  elogi  per  l'ottima  coltivazione  della  vigna 
e  pel  magnifico  aspetto  del  frutteto,  approvarono  la 
trasformazione  delle  colture,  ammirarono  ogni  cosa. 
Ma  le  lodi  non  facevano  più  sul  povero  Babbeo  l'effetto 
d'un  tempo.  Una  trasformazione  erasi  compita  nel 
suo  spirito,  le  cose  che  prima  lo  allettavano  adesso  lo 
lasciavano  indifferente,  la  vita  del  Robinson  aveva  per- 
duto per  lui  ogni  attrattiva,  senza  di  che  non  avrebbe 
consentito  a  prendere  altra  gente  in  casa.  Il  fattore 
era  adesso  il  vero  padrone  delle  Ghiande,  vi  faceva 
quel  che  voleva,  le  coltivava  a  modo  suo,  ne  intascava 
le  rendite  mostrando  al  cavaliere  le  bucce.  Se  talvolta, 
preso  da  uno  scrupolo,  gli  chiedeva  qualche  ordine, 
Ferdinando  rispondeva  :  «  Lasciatemi  stare  !  Non  mi 
parlate  di  nulla!  Per  me  è  finita....  Avrò  sei  mesi  di 
vita,  forse Potete  prepararmi  il  cataletto » 


I 


—  355  — 

La  cosa  era  andata  a  questo  modo  :  che  11  libraio, 
dal  quale  aveva  comperate  le  opere  d'agricoltura,  di 
meccanica  e  di  storia  naturale,  trovandosi  una  quan- 
tità di  opuscoli  di  medicina  d'  ignoti  autori,  tesi  di 
laurea  di  dottori  asini,  ,  vecchi  ricettarli  farmaceutici, 
fascicoli  spaiati  di  enciclopedie  anonime,  tutta  cartac- 
cia che  non  si  poteva  vendere  altrimenti  che  a  peso, 
gliene  propose  un  giorno  l'acquisto  dandogli  a  inten- 
dere che  c'era  dentro  il  fior  fiore  della  dottrina.  Egli 
la  pagò  salata,  e  si  mise  a  leggere  tutto.  Allora  la  sua 
mente  cominciò  a  turbarsi.  La  descrizione  dei  morbi, 
l'enumerazione  dei  sintomi,  l'incertezza  delle  cure  lo 
atterrirono  :  chiuso  nciia  sua  camera,  col  libro  in  una 
mano,  egli  si  teneva  l'altra  sul  cuore  per  verificarne 
il  numero  dei  battiti,  o  si  palpava  dappertutto  con  lo 
spavento  di  scoprire  i  tumori,  gli  incordamenti,  le  in- 
fiamjnazioni  di  cui  parlavano  1  medici.  A  poco  a  poco, 
per  un  colpo  di  tosse,  per  una  digestione  difficile,  per 
un  dolor  di  capo,  per  un  leggiero  prurito,  per  un  for- 
micolio in  pelle  in  pelle  credette  d'avere  tutte  le  ma- 
lattie; e  quell'idea,  ficcatasi  nel  suo  cervello  di  soli- 
tario misantropo,  aveva  compita  una  devastazione.  La 
morte,  per  lui,  era  questione  di  tempo;  e  giusto  la 
paura  di  dover  morire  solo,  il  bisogno  di  vedersi  di- 
nanzi un  viso  amico  lo  aveva  persuaso  a  prendere  con 
sé   il  fratello. 

Quando  costui  vide  che  non  mangiava  quasi  nulla, 
che  stava  chiuso  in  camera',  che  certi  giorni  neppur  si 
levava,  cominciò  a  chiedergli  che  aveva,  se  si  sentiva 
male  ;  e  sulle  prime,  quasi  arrestato  da  una  specie  di 
pudore,  egli  si  tenne  sulle  negative;  messo  alle  strette, 
confessò.  Aveva  un  catarro  intestinale  cronico, 
un'espansione  della  milza,  una  bronchite  lenta;  l'erpete 
gli  serpeggiava  nel  sangue,  il  sistema  glandolare  gli 
s'era  ingorgato.  Come  Raimondo  rideva  di  quell'enu- 
merazione, eg'll  soggiunse,  con  voce  triste  e  quasi  con 
le  lacrime  agli  occhi  : 

— ■  C'è  poco  da  ridere,  sai  !  Credi  che  siano  fantasie  ? 
So   lo  quel   che   soffro!... 


—  35^^  — 

—  Allora   perchè  non  chiami  un   medico? 

—  Un  medico?  Che  possono  fare  i  medici?  Al  punto 
in   cui   sono   ridotto  ? 

E  non  ci  fu  verso  di  persuaderlo.  Allora  entrò  in 
iscena  donna  Isabella.  Invece  di  contrariare  il  maniaco, 
prese  a  secondarlo  :  riconobbe  l'esistenza  e  la  gravità 
delle  sue  malattie,  l'inutilità  delle  prescrizioni  mediche; 
però,  se  i  dottori  ci  perdevano  il  latino,  non  poteva  egli 
provare  almeno  qualcuno  di  quei  rimedii  empirici  che 
certe  volte  fanno  miracoli  ? 

— •  Quand'ero  ragazza  anch'  io  ebbi  un  catarro  in- 
testinale lungo  e  ostinato  più  del  vostro.  Sapete  come 
andò  via?   Con  l'insalata  di  lattughe! 

E  gliene  fece  preparare  un  piatto,  come  contorno 
d'una  gran  fetta  d'arrosto  sanguinolento.  Ferdinando  si 
mise  a  mangiare  come  Cristo  all'ultima  cena  :  non 
aveva  fiducia  nel  risultato,  era  sicuro  che  quella  roba 
avrebbe  affrettata  la  sua  fine. 

—  Adesso  bisogna  farci  sopra  una  bella  passeg- 
giata !  —  e  offertogli  il  braccio,  come  ad  un  povero 
convalescente,   lo  condusse   a   spasso  pel   giardino. 

Non  parve  vero  al  malato,  il  domani,  di  svegliarsi 
vivo  e  con  un  certo  appetito.  L' insalata  e  l'arrosto, 
in  poco  tempo,  fecero  miracoli  ;  ma  restava  da  guarire 
il  prurito  al  quale  egli  dava  il  nome  di  erpete. 

—  Per  questo  il  rimedio  è  ancora  più  semplice  :  fate 
un  bel  bagno   d'acqua   dolce. 

Da  mesi  e  mesi,  egli  non  si  lavava  altro  che  la 
punta  del  naso  e  delle  dita,  due  o  tre  volte  la  settimana, 
per  paura  di  prendere  una  polmonite;  cosi  l'erpete 
andò  via.  Il  latte,  le  uova,  il  moto,  la  nettezza,  lo  ri- 
tornarono in  vita,  e  dalla  gratitudine  verso  donna  Isa- 
bella gli  spuntavano  i  lucciconi  : 

—  Che  donna  !   Che  testa  !   Che  intelligenza  ! 
Aveva  ben  poche  amicizie,   ma  tutte  le  volte  che  si 

trovava  con  qualcuno  cominciava  a  parlar  di  lei  con 
tanta  ammirazione,  come  fosse  la  donna  più  saggia  e 
virtuosa,   un   angelo   sceso   dal   cielo.    Presa   l'abitudine 


—  357  — 

di  muoversi,  se  ne  andava  dalla  sorella  Lucrezia,  cer- 
cava la  gente  apposta  per  parlare  di  lei. 

—  Quanto  bene  vuole  a  Raimonda!  Che  cura  ha 
della  casa  !  Quel  che  ha  fatto  per  me  non  si  può  ri- 
dire !  Se  non  era  lei,  a  quest'ora  sarei  morto  e  se- 
polto ! 

Un  giorno  arrivò  da  Lucrezia  mentre  moglie  e  ma- 
rito discutevano  vivamente  :  al  suo  apparire  essi 
tacquero. 

— •  Di  che   parlavate  ? 

—  Si  parlava  della  situazione  di  Raimondo,  —  ri- 
spose sua  sorella,  decidendosi  di  metterlo  a  parte  del 
secreto.  —  Non  può  durare  a  lungo  così.  Bisogna  pen- 
sare   a    legittimarla,    sciogliendo    i    matrimonii. 

Ella  annunziava  quel  partito  con  la  stessa  sempli- 
cità con  cui  Raimondo  e  donna  Ferdinanda  lo  ave- 
vano partecipato  a  lei.  Chiedere  ed  ottenere  il  doppio 
annullamento  di  matrimonio  era,  per  gli  Uzeda,  una 
cosa  semplicissima  :  chi  poteva  negare  ai  Viceré  ciò 
che  essi  volevano  ?  La  loro  volontà  non  doveva  esser 
legge  per  tutti  ?  Non  possedevano  essi  tutti  i  mezzi  ma- 
teriali e  morali  per  vincere  gli  ostacoli  e  le  resistenze? 
Avevano  clientele  dappertutto,  tra  i  borbonici  e  i  libe- 
rali, in  sacrestia  e  in  tribunale  :  i  nobili  erano  con  loro 
per  solidarietà,  gli  ignobili  per  rispetto  :  ognuno  do- 
veva essere  superbo  e  lieto  di  render  loro  servizio.  Bi- 
sognava, per  riuscire  in  questa  impresa,  esser  bene 
indirizzati;  perciò  volevano  l'opera  di  Benedetto.  Come 
la  prima  volta  che  gliene  avevano  parlato.  Benedetto 
titubava,  arrestato  dagli  scrupoli,  con  la  coscienza  del 
male  che  gli  facevano  commettere,  delle  difìfìcoltà  enor- 
mi dell'  impresa,  del  dispiacere  che  avrebbe  fatto  allo 
zio  duca,  tanto  amico  di  Palmi  ;  ma  sua  moglie  insi- 
steva a  dimostrargli  che  gli  scrupoli  erano  sciocchi, 
che  anzi   l'opera   sarebbe   stata    meritoria. 

—  Se  domani  nasce  un  figlio  ?  Sarà  condannato  a 
restare  bastardo  ?  Raimondo  non  riprende  più  sua  mo- 
glie, certo  com'è  certa  la  morte.   Allora?  Meglio  met- 


-  358  - 

tersi    in    regola   con   la   legge   e   la   società  !    Non    dico 
bene? 

E  Ferdinando,   rivolto  al  cognato  : 

—  Ne  dubiti  forse?...  Ma  come  ragioni?...  Dov'hai 
la  testa  ? 

Benedetto  tentava  dimostrare  che  non  ragionavano 
loro  invece  ;  che  i  figli  già  nati  c'erano  e  che  bisognava 
pensare  a  questi  prima  che  ai  nascituri,  ma  Lucrezia  e 
Ferdinando  gli  davano  sulla  voce,   tutt'e  due  insieme  : 

—  C'è  la  famiglia  della  madre  che  pensa  alle  figlie  ! 
Nostro  fratello  le  rinnegherà  per  questo?...  E  gl'inte- 
ressi saranno  regolati  come  vogliono  i  Palmi —  Se  i 
matrimonii  sono  sciolti  di  fatto,  perchè  non  scioglierli 
di  diritto  ?  Chi  ci  guadagna  ?  La  gente  che  ci  fa  sopra 
i    suoi  commenti  ! 

E  questo  era  il  pungolo  di  Raimondo.  Quanto  mag- 
giori difficoltà  aveva  incontrato  nella  via  per  la  quale 
s'era  messo,  tanto  piij  s'era  incaponito  a  persistervi  : 
l'opposizione  del  fratello,  le  mormorazioni  degli  estra- 
nei, il  biasimo  quasi  universale  lo  spingevano  a  vincer 
la  partita  in  un  modo  imprevisto  da  tutti  e  da  lui  stesso. 
Egli  non  pensava  più  che  la  sua  passione  era  stata 
quella  della  libertà,  che  donna  Isabella,  come  moglie, 
gli  sarebbe  pesata  piia  della  moglie,  e  che  gli  pesava 
già  come  amante;  impuntato,  accecato  dall'opposi- 
zione, dalla  disapprovazione,  dal  biasimo,  voleva  trion- 
fare degli  avversarli,  sbaragliarli  con  un  colpo  di  cui 
si  sarebbe  parlato  un  pezzo....  Dicevano  che  l'im- 
presa era  disperata,  che  il  doppio  scioglimento  non  si 
sarebbe  mai  ottenuto,  che  donna  Isabella  era  condan- 
nata a  restare  in  una  falsa  posizione,  bandita  dalla  so- 
cietà, dalla  stessa  casa  del  principe  ?  Egli  metteva  i 
piedi  al  muro,  deciso  a  spuntarla  a  qualunque  costo, 
contro  tutto  e  tutti.  E  Lucrezia,  Ferdinando,  donna 
Ferdinanda,  don  Blasco  lo  aiutavano  ciascuno  per  conto 
e  a  modo  proprio,  congiuravano  per  vincere  le  ultime 
resistenze  di  Benedetto,  che  all'idea  di  contentare  sua 
moglie,   di  cattivarsi  la   fiducia,   la  stima  e  la  gratitu- 


—  359  — 

dine  dei  parenti   sentiva   ammorzarsi   a   poco  a   poco   ì 
rimorsi. 

Al  principio  dell'  inverno,  quando  il  principe  tornò 
dalla  villeg'g'iatura,  non  si  parlò  d'altro  che  della  rot- 
tura tra  i  due  fratelli.  Giacomo  non  solamente  non  sa- 
lutò Raimondo,  incontrandolo  per  via,  ma  non  tollerò 
neppure  che  toccassero  in  sua  presenza  il  tasto  dei 
pasticci  di  lui.  Per  tanto  tempo,  mentre  il  fratello  mi- 
nore era  stato  in  Toscana,  o  era  andato  e  tornato  di 
qua  e  di  là,  col  capo  all'amica,  l'eredità  era  rimasta 
indivisa,  e  il  principe  l'aveva  amministrata  anche  nel- 
l'interesse e  per  procura  del  coerede;  adesso,  per  tron- 
care o£;fni  rapporto  con  lui,  gfli  mandava  il  signor 
Marco  a  notificarg-li  che  rinunziava  la  procura  e  vo- 
leva subito  subito  darg-li  i  conti  e  venire  alla  divisione. 
Quella  trombetta  della  cug-ina  Graziella  annunziava  a 
tutti  queste  cose,  e  dovunque  si  trovasse,  tra  parenti  od 
amici  o  semplici  conoscenze,  approvava  il  cugino  Gia- 
como, esprimeva  il  grande  dispiacere  che  «  a  noi  della 
famiglia  »  cagionava  l'ostinazione  di  Raimondo.  Come 
mai  poteva  egli  del  resto  sperare  di  ottener  l'intento? 
Dicevano  che  donna  Isabella  chiedesse  lo  scioglimento 
del  matrimonio  perchè  non  era  stato  consumato  !  Ma 
a  chi  volevano  darla  a  bere?  Perchè  non  c'erano  figli? 
Non  sapevano  tutti  che  Persa,  giovanotto,  avea  corso 
la  cavallina?...  O  forse  speravano  di  poter  sostenere, 
come  dicevano  certi  altri,  che  donna  Isabella  era  stata 
forzata  a  sposar  Persa,  senza  volerlo?  Questa  doveva 
essere  fatica  particolare  del  Giulente  !  «  Guardate  un 
po'  che  immoralità  !  sostenere  una  causa  condannata 
da  tutti,  che  fa  tanto  dispiacere  alla  famiglia  !  È  ve- 
nuto a  ficcarsi  tra  noi  per  metter  guerre  e  liti,  questo 
avvocato  delle  cause  perse!...  •>•>  Ma  ella  prevedeva  un 
fiasco  colossale.  Già,  cominciamo  che  il  tribunale  civile 
non  era  buono  ad  annullare  un  matrimonio  contratto 
sotto  il  codice  napolitano  del  1819;  bisog^nava  rivol- 
gersi  alla   Corte    vescovile;     ma    qui    cascava    l'asino, 


—  36o  — 

perchè  Monsignor  Vescovo,  e  il  vicario  Coco  e  il  cano- 
nico Russo  e  tutti  i  maggiorenti  della  Curia  erano  col 
principe  contro  il  conte,  giustamente,  sapendo  i  torti 
di  Raimondo  e  della  Persa,  non  potendo  metter  mano 
a  sanzionare  uno  scandalo  di  quella  fatta!... 

D'altra  parte  i  fautori  del  conte  e  di  donna  Isabella 
davano  sicura  la  riuscita.  L'impotenza  di  Persa,  la  vio- 
lenza patita  da  sua  moglie  erano  affermate  da  una  quan- 
tità di  persone  ;  ma  specialmente  Pasqualino  sonava 
la  campana  per  conto  del  suo  padrone.  «  Sissignori  :  il 
cavaliere  Giulente,  e  non  avvocato,  studiava  e  dirigeva 
la  causa  del  cognato,  piuttosto  che  lasciarla  in  mano 
di  qualche  strascinafaccende  di  quelli  da  quattro  il 
mazzo  ;  ma  del  resto  egli  non  aveva  molto  da  faticare, 
perchè  il  motivo  della  nullità  del  matrimonio  di  donna 
Isabella  era  chiaro  e  lampante.  Lasciamo  stare  che 
Persa  non  era  precisamente  un  vulcano,  come  uomo; 
ma  lo  zio  di  lei  l'avea  costretta  a  prenderselo  metten- 
dole il  coltello  alla  gola  :  altro  che  la  storia  della  si- 
gnorina Chiara  !  Almeno  la  principessa,  sant'anima, 
avea  cercato  di  prendere  sua  figlia  con  le  buone,  ricor- 
rendo alle  minacele  soltanto  all'ultimo,  dopo  due  anni 
di  persuasioni  e  di  preghiere  ;  ma  lo  zio  di  donna  Isa- 
bella ?  Bastonate  mattina  e  sera,  fin  dal  primo  momento 
che  la  ragazza  aveva  detto  :  —  Meglio  morta  che  spo- 
sar Persa  !  »  Come  Pasqualino,  tutta  la  servitù,  la  mi 
nuta  clientela  della  famiglia  era,  nonostante  l'opposi- 
zione del  principe,  favorevole  al  contino;  questi,  per 
accaparrarsi  simpatie,  non  faceva  più  venire,  come  un 
tempo,  le  sue  robe  da  Pirenze  o  da  Napoli,  ma  dava 
ogni  genere  di  commissioni  in  città,  e  il  sarto,  il  cal- 
zolaio, il  cravattaio,  onorati  dai  comandi  del  contino 
Uzeda,  lo  portavano  al  cielo,  peroravano  in  favor  suo, 
tenevano  fronte  agli  scandalizzati.  V'era  gente  che 
rammentava  l'amore  di  donna  Isabella  per  Persa?  Ri- 
spondevano adducendo  infinite  testimonianze  contrarie  : 
da  Palermo  sarebbero  venuti  tutti  i  servi  di  casa  Pinto, 
pronti  a  giurar  sul  Vangelo  che  l'orfanella  era  stata  pie- 


—  36i  — 

chiata  di  santa  ragione  dallo  zio  tutore,  perchè  costui, 
senza  badare   che   Persa,    se   aveva   quattrini,    non   na- 
sceva  bene,    voleva   darglielo   per   forza.   Dicevano  che 
queste   testimonianze   erano   sospette,    ottenute   per   via 
di    quattrini  ?    Enumeravano    gli    amici    palermitani    di 
casa   Finto,    don   Michele   Broggi,    il   cavaliere   Cutica, 
il  notaio  Rosa,  tutti  superiori  al  sospetto  di  corruzione, 
citati    da    donna    Isabella    perchè    attestassero    le    se- 
vizie usatele,  i  rifiuti  costanti  da  lei  opposti.  Che  più  ? 
lo   stesso  zio  sarebbe  venuto  a  confermare  la  violenza 
esercitata!...    «E    poi?»    esclamava  da    suo    canto    la 
cugina.    «  Dopo   che   avranno   sciolto   questo   matrimo- 
nio ?  Credono  di  poter  riuscire  a  sciogliere  quell'altro? 
Non  sanno  che  cosa  ha  detto  Palmi  ?»   E  narrava  che 
quell'attaccabrighe    di    Giulente    gli    aveva    scritto    per 
ottenere  che  anche  lui,  il  barone,  consentisse  allo  scio- 
glimento  del   matrimonio  di    sua    figlia,    testimoniando 
d'averla  forzata  a  prendersi  il  conte  Uzeda.  Per  amore 
della  verità,    spiegava  che  Giulente   s'era   dapprima   ri- 
fiutato,   parendogli    una   cosa   proprio   enorme,    propo- 
nendo, se  mai,  di  affidare  questa  missione  al  duca  che 
era   intimo  del    senatore.    Ma    sì  !    il    duca   aveva   altro 
pel  capo  !   Se  ne  stava  a  Torino,   badando  ai   suoi  af- 
fari,   non    voleva   tornare    in    Sicilia  per   paura   che    la 
sua  lontananza  durante   i  turbamenti  dell'anno  prece- 
dente gli   avesse  fatto  torto;   e  quando   gli   scrivevano 
dell'affare    di    Raimondo    rispondeva    che    per    nulla    al 
mondo  voleva  mescolarvisi.   Giulente,  dunque,  per  con- 
tentar la  moglie,  il  cognato  e  gli  zii,  aveva  dovuto  ras- 
segnarsi   a    rivolgersi   lui    al    barone.    «  Sapete    quanto 
tempo   ha    impiegato   a    scrivere   la    lettera?»    aggiun- 
geva la  cugina,   informata  di   tutti  i   più   piccoli  parti- 
colari.   «  Una   settimana  !    Ha   stracciato  una   risma   di 
carta!   Sfido  io!   Come  dire  a  un  cristiano:  consentite 
che  il  matrimonio  di  vostra  figlia  si  sciolga,  che  le  vo- 
-stre  nipoti  restino  senza  padre  !...  »  Ma  la  lettera,  piena 
d'espressioni  riguardose,   di  complimenti,   di  scuse,  era 
partita:     e    Giulente    aspettava   ancora   la    risposta!... 


—  362  — 

L'avrebbe  aspettata  un  pezzo  !  Che  per  mezzo  di  certe 
persone  di  Messina,  la  cugina  sapeva  quel  che  aveva 
detto  il  barone  a  un  amico,  stringendo  il  pugno  :  «  Vo- 
glio piuttosto  veder  morire  tutti  quanti!...  «  Perchè  in- 
fatti la  «  povera  Matilde  »,  moribonda  dai  tanti  dispia- 
ceri, indifferente  a  tutto  oramai,  comprendendo  che 
non  c'era  più  alcun  riparo,  avrebbe  anche  contentata 
l'ultima  pretesa  del  marito  !  Il  barone,  invece,  faceva 
certi  giuramenti  tremendi  per  dire  che  mai,  mai,  lui 
vivente,  suo  genero  sarebbe  riuscito  a  rompere  il  ma- 
trimonio :  sapeva  bene  che  era  spezzato  di  fatto,  ma 
voleva  che  Raimondo  restasse  incatenato  per  tutta  la 
vita,    che    la    Fersa    non    potesse    prendere,    dinanzi    al 

mondo,   il  posto  della  propria   figliuola 

Anche  Pasqualino  sapeva  tutto  questo  ;  ma  al  coc- 
chiere di  donna  Graziella,  che  tenendo  per  la  padrona, 
gli  prediceva  il  fiasco  del  conte  :  «  Un  po'  per  volta  !  » 
rispondeva.  «Lasciate  che  si  finisca  la  prima  causa!... 
Quando  la  padrona  sarà  libera,  penseremo  a  liberare 
anche  il  padrone  !...  Adesso  non  hanno  a  decidere  i  ca- 
nonici, ma  i  giudici  civili.  Con  la  legge  di  Vittorio 
Emanuele,  il  matrimonio  dinanzi  alla  Chiesa  vale  un 
fondello,  e  solo  ha  peso  quello  dinanzi  al  sindaco  :  ab- 
basso Francesco  II!  Viva  la  libertà!...  »  Ma  donna 
Ferdinanda,  Lucrezia,  tutti  i  sostenitori  di  Raimondo 
non  si  contentavano  di  una  sentenza  civile;  volevano 
legittimare  la  situazione  di  Raimondo  e  di  donna  Isa- 
bella dinanzi  agli  uomini  e  a  Dio.  Per  tanto,  Ferdi- 
nando il  quale  era  intimo  del  canonico  Ravesa,  pezzo 
grosso  della  Curia  e  proprietario  d'una  vigna  attigua 
alle  Ghiande,  gli  parlava  tutti  i  giorni  a  favore  del  fra- 
tello, e  don  Blasco  andava  tutti  i  giorni  dal  vicario 
Coco,  intronandolo  con  le  clamorose  dimostrazioni  della 
convenienza,  della  giustizia,  della  riecessità  di  quel- 
l'annullamento di  matrimonii  ;  della  stramberia,  della 
prepotenza,  della  birbonaggine  del  principe  che  lo  con- 
trastava. Il  pezzo  più  grosso  da  guadagnare  era  però 
monsignor  \'escovo  ;   il  quale  adesso  non  faceva  nulla 


—  363  — 

senza  l'approvazione  del  Priore  don  Lodovico.  Questi, 
persuaso  che  l'abolizione  delle  comunità  relig"iose  era 
quistione  di  tempo,  disinteressatosi  di  San  Nicola,  s'era 
rivolto  al  Vescovato  dove  la  sua  nascita,  la  sua  repu- 
tazione d' intelligenza,  di  dottrina  e  di  santità  g-li  ave- 
vano spalancato  le  porte.  In  poco  tempo,  com'era  g'ik 
stato  il  braccio  destro  dell'Abate,  era  diventato  il 
braccio  destro  del  capo  della  diocesi  :  la  prudenza  dei 
suoi  consio^li,  l'eccellenza  della  sua  posizione,  a  cava- 
liere di  tutti  i  partiti,  lo  avevano  reso  indispensabile 
in  molte  circostanze  delicate,  quando  bisognava  con- 
ciliarsi le  nuove  autorità  politiche  senza  tradire  le 
«  legittime  »,  salvar  capra  e  cavoli,  servir  Cristo  e 
Mammone.  Ora,  se  egli  avesse  detto  una  parola  a  fa- 
vore di  Raimondo,  il  matrimonio  di  donna  Isabella 
sarebbe  stato  annullato  ;  ma  a  donna  Ferdinanda  che  gli 
si  metteva  alle  costole  per  guadagnarlo  alla  causa  della 
sua  protetta,  il  Priore  rispondeva  ambiguamente,  ad- 
ducendo  le  difficoltà  da  superare,  l' imbarazzo  in  cui 
lo  mettevano. 

—  Sciogliere    un    matrimonio    è    una    cosa  grave 

Vostra  Eccellenza  sa  bene  quanto  la  Chiesa  sia  giusta- 
mente contraria  a  pronunziare  sentenze  di  questo  ge- 
nere, come  vada  coi  calzari  di  piombo.    Essa  non  può 

contentarsi  di  certe  prove  e  di  certe  ragioni Queste 

potevano  forse  bastare  ai  giudici  secolari,  la  cui  re- 
sponsabilità non  è  impegnata  dinanzi  alla  Maestà  di- 
vina. Mi  duole  moltissimo,  in  coscienza,  di  vedere  Rai- 
mondo messo  per  una  via  falsa Dopo  questa  causa 

ne  verrà  una  seconda,  lo  scandalo  è  immenso —  Io  ho 
i   miei    doveri  da   compiere la    mia   coscienza 

—  Coscienza?...  Coscienza?...  —  Donna  Ferdinanda 
che  stava  a  sentirlo  a  bocca  chiusa  e  a  denti  stretti, 
una  volta  cantò  :  —  Lasciala  da  parte  la  coscienza  ! 
Di'  piuttosto  che  non  gli  hai  ancora  perdonato  d'aver 
preso  il  tuo  posto  e  gliela  vuoi  far  pagare,  ora  che 
l'hai  nelle  forbici!... 

Il    Priore    impallidì    repentinamente,     guardando    un 


—  364  — 

istante  in  viso  la  zia  che  lo  guardava  fisso  anche  lei, 
come  se .  gli  volesse  leggere  nell'anima.  Poi  chinò  il 
capo  e   portò  le  braccia   in  croce   sul   petto  : 

—  Vostra    Eccellenza    m'affligge 'crudelmente Sa 

bene  che  le  passioni  del  mondo  sono  straniere  al  mio 
cuore —  che  io  amo  mio  fratello  come  rispetto  Vostra 
Eccellenza!...  Dica  questo  a  Raimondo;  mi  fornisca 
l'occasione  di   darne  la  prova.... 

Donna  Ferdinanda  andò  pertanto  da  Raimondo  per 
dirgli  di  recarsi  personalmente  dal  fratello  e  di  racco- 
mandarglisi.  Un  momento,  il  giovane  si  ribellò.  Era 
stanco  di  pregare  e  di  umiliarsi,  di»  far  la  corte  a 
Ferdinando  e  a  Giulente  per  guadagnarli  alla  sua  causa, 
di  imbeccare  Pasqualino  e  gli  altri  portavoce.  S'era 
già  umiliato  una  volta  dinanzi  a  Giacomo  e  non  gli  era 
valso  nulla  ;  s'era  umiliato  anche  dinanzi  a  Lodovico, 
quando  era  andato  a  Nicolosi,  e  il  fratello  non  s'era 
lasciato  vedere.  Adesso  bisognava  gettarsi  ai  piedi  di 
cotesto  gesuita,  chiedergli  perdono  del  posto  sottrat- 
togli, implorarne  col  perdono  la  protezione  e  l'appog- 
gio. Era  troppo,  non  ne  poteva  più.  Le  mortificazioni 
dell'amor  proprio  gli  cocevano  più  di  tutte,  gli  face- 
vano stringer  le  pugna  e  mordersi  le  dita  e  quasi  spun- 
tar le  lacrime  agli  occhi Ma  giusto,  finita  la  villeg- 
giatura, tornati  tutti  in  città,  la  parentela  e  la  nobiltà 
si  schierava  col  principe  contro  di  lui.  La  cugina  Gra- 
ziella andava  dicendo  dovunque  che  neppure  la  causa 
civile  sarebbe  andata  avanti,  che  i  giudici  avrebbero 
essi  fatto  un  processo  per  falsa  testimonianza  a  chi 
avesse  tentato  di  provare  la  mancanza  del  consenso  ; 
figuriamoci  poi  la  causa  ecclesiastica  ! 

E  una  domenica  donna  Isabella  che  era  scesa  in  città 
per  far  certe  compere,  tornò  alle  Ghiande  con  gli  occhi 
rossi. 

—  Che  hai  ?  —  le  domandò  Raimondo,  quasi  bru- 
scamente, quasi  pronto  a  sfogare  contro  di  lei,  causa 
prima    di    tutto    quello    che    gli    accadeva. 

—  Nulla....   nulla....   —  e  piangeva  dirottamente. 


Egli  dovette  alzar  la  voce  per  sapere  il  motivo  dì 
quel  pianto.  La  sua  amica  aveva  incontrato  per  via  i 
Grazzeri  e  la  cugina  Graziella;  la  cugina  s'era  voltata 
dall'altra  parte,  Lucia  e  Agatina  Grazzeri  non  avevano 
risposto  al  suo  saluto,  fingendo  di  non  vederla —  Il 
giorno  dopo  egli  sali  a  San  Nicola,  cercando  del  Priore. 

Lodovico  lo  ricevette  a  braccia  aperte,  lo  ascoltò 
con  attenzione  benevola.  Raimondo  gli  disse,  un  po' 
pallido:  «Ti  prego  d'aiutarmi »  Invocava  il  sua  ap- 
poggio per  uscire  dalla  falsa  situazione  in  cui  si  tro- 
vava. Era  urgente  legittimarla  per  una  potente  e  nuova 
ragione  che  nessuno  ancora  sapeva,  che  confidava  a  lui 
prima  che  ad  ogni  altro:  donna  Isabella  era  incinta — 
Con  gli  occhi  quasi  chiusi,  il  capo  un  poco  piegato,  le 
mani  raccolte  in  grembo,  il  Priore  pareva  un  confes- 
sore indulgente  ed  amico  :  non  una  contrazione  del  viso, 
non  una  dilatazione  del  petto  svelava  l' intima  soddisfa- 
zione di  vedersi  finalmente  dinanzi,  sommesso  e  quasi 
supplice,  il  ladro  che  lo  aveva  spogliato,  pel  quale  era 
stato  bandito  dalla  famiglia  e  dal  mondo. 

— •  Tu   puoi   aiutarmi,    mettere  una   buona  parola — 

—  continuava    Raimondo,   —    far    considerare    che    in 

fondo   non   si  domanda   se   non   giustizia perchè   la 

volontà    di    Isabella    fu    violentata  ;     trenta    testimonii 
proveranno  la  verità 

—  Lo  so  !  Lo  so  !...  —  rispose  finalmente  il  Priore. 

—  Io  non  t'avrei  neppure  ascoltato  se  non  conoscessi 
che  la  ragione  sta  dalla  vostra  parte  ! 

—  Allora,   posso  fare  assegnamento  su   te  ? 

—  Certo,  certo!...  Ma  c'è  un'altra  quistione Nel 

caso  presente,  non  si  tratta  tanto  di  giustizia  astratta, 
quanto  di  prudenza  mondana.  Sicuramente,  noi  dob- 
biamo render  conto  solo  a  Dio  delle  nostre  azioni,  ma 
perchè  la  nostra  coscienza  s'acqueti  del  tutto,  non  dob- 
biamo e  non  possiamo  perder  di  mira  l'effetto  che  i 
nostri  giudizii  sono  capaci  di  produrre  !...  Ora,  come 
vuoi  che  cotesto  provvedimento  sia  stimato  giusto,  se 
nella  nostra  stessa  famiglia,  se  il  capo  della  nostra  casa, 


^  366  — 

non  riconosce  le  tue  ragioni  e  ti  condanna  con  tanta 
severità  ?... 

—  E  se  Giacomo  si  piega  ?  —  insistè  Raimondo. 

— .  Sarà  un  gran  passo  innanzi  !  Vedrai  che  l'opi- 
nione pubblica  lo  seguirà,  che  tutti  quelli  finora  dichia- 
ratisi tuoi  avversarli  ti  sosterranno  concordi.  Allora 
sarà  molto  più  facile  ottenere  l'intento.  Lo  stesso  Gia- 
como potrà  giovarti  presso  i  giudicanti  molto  meglio 
di  me.  Sai  bene  quali  relazioni  egli  ha  tra  quanti  cir- 
condano Monsignore —  una  sua  parola  varrà  molto 
più  della  mia — 

E  questa  era  la  dimostrazione  a  cui  voleva  arrivare 
attraverso  tante  parole.  L'affare  di  Raimondo,  tutto 
quel  pateracchio  di  matrimonii  da  sciogliere  e  da  ristrin- 
gere non  gli  piaceva  :  il  biasimo  sordo  del  gran  pub- 
blico gli  era  noto  e  lo  metteva  in  guardia  contro  l'er- 
rore di  sostenere  una  cattiva  causa,  il  trionfo  della 
quale,  del  resto,  non  gli  avrebbe  menomamente  gio- 
vato  

Raimondo,  tornando  alle  Ghiande,  mandò  a  chiamare 
il  signor  Marco.  Chiusi  in  camera  tutt'e  due,  resta- 
rono pochi  minuti  a  confabulare.  L'amministratore 
tornò  il  domani  e  poi  il  giorno  dopo,  restando  sempre 
più  a  lungo.  Un  pomeriggio  Ferdinando  era  buttato 
sul  letto  a  dormire,  quando  l'abbaiare  dei  cani  lo  destò 
di  repente;  il  fattore  già  picchiava  all'uscio. 

—  Eccellenza!  Eccellenza!...  C'è  qui  suo  fratello — 
il   signor   principe 

Egli  balzò  in  piedi,  stropicciandosi  gli  occhi.  Gia- 
como da  lui?  Adesso  che  c'era  Raimondo?  E  se  si 
fossero  incontrati?... 

—  Vengo    subito trattienilo    tu ma    non    dir 

nulla 

—  Come,  Eccellenza?...  Se  i  suoi  fratelli  stanno 
parlando  insieme?...   C'è  anche  la  principessa.... 

Sceso  giù  a  precipizio  per  evitare  qualche  guaio, 
Ferdinando  entrò  nel  salotto  e  trovò  i  fratelli  e  le  co- 
gnate   che    chiacchieravano    allegramente. 


—  367  — 

—  Passavamo  di  qui,  —  gli  disse  il  principe,  — ■ 
e   abbiamo   pensato   di   farvi   una   visita 

Il  domani,  nella  Sala  Gialla,  la  cugina  Graziella  ve- 
nuta prima  di  colazione  e  trovata  la  principessa  in  com- 
pagnia di  don  Mariano,  se  la  prendeva  con  più  calore 
del  solito  contro  Raimondo  e  l'amica  sua,  narrava  i 
loro  nuovi  armeggìi,  le  istanze  fatte  allo  zio  duca 
perchè  prestasse  la  sua  autorità  di  deputato  per  otte- 
nere lo  scioglimento  dei  matrimonii,  perchè  persua- 
desse il  suo  buon  amico  Palmi  ad  acconsentirvi.  La 
principessa,  sui  carboni  ardenti,  si  faceva  di  mille  co- 
lori, alzava,  abbassava  e  girava  gli  occhi,  pareva  in- 
vocare l'intervento  di  don  Mariano,  tossicchiando  un 
poco  voleva  avvertire  la  cugina  di  non  insistere  ;  ma 
questa  continuava  con   nuova  lena  : 

—  Almeno,  avessero  un  po'  di  pazienza  !  Si  libere- 
ranno  egualmente,    perchè   la   povera   Matilde    sta   per 

morire Pare  che   vogliano  affrettare  la   sua   fine!... 

Tutte  queste  notizie  figuratevi  che  effetto  le  fanno  !... 
Ma  suo  padre  giura  più  terribilmente  di  prima  che  non 

acconsentirà  mai  a  fare  il  comodo  loro Sua  figlia  lo 

scongiura  di  desistere  perchè  anche  a  lui,   quando  ar- 
rivano di  queste  notizie,  è  come  se  gli  pigliasse  un  colpo 

apoplettico Veramente,  è  un  po'  troppo  !...  Qui  sotto 

c'è   lo   zampino   della   zia    Ferdinanda!...    Non   credete 
giunto  il  punto  di  avvertirli  che  siano  più  prudenti?... 

La  principessa  non  ebbe  il  tempo  di  rispondere,  di 
nascondere  il  nuovo  imbarazzo  in  cui  quella  domanda 
la  gettava,  quando  Baldassare,  entrato  senza  far  ru- 
more, annunziò  con  la  consueta  sua  bella  serenità  : 

—  Il  signor  conte  e  la  signora  contessa. 

La  cugina  restò  di  sale.  Raimondo?  La  contessa? 
Quale  contessa?...  E  donna  Isabella  apparve,  andò  in- 
contro alla  principessa  che  le  veniva  incontro,  l'ab- 
bracciò e  la  baciò   sulle  due  guance. 

—  Come  stai.  Margherita  ?  Ero  impaziente  di  re- 
stituirti la  tua  cara  visita  di  ieri 


Si  davano  del  tu  !  La  Persa  trovava  modo  di  dire 
che  Margherita  era  già  stata  da  lei  !  E  il  principe  so- 
pravveniva,  stringeva   la   mano   a   Raimondo,    dicendo  : 

—  Cognata  e  cugina,  resterete  a  colazione  con  noi?... 


Fine  del  Primo  Volume 


ROMANZI  ITALIANI 

EDIZIONI  TREVES. 

I  volumi  segnati  con  *  sono  in  corso  di  ristampa. 


Adolfo  Albertazzl. 

A.  G.  Barrili. 

Ora  e  sempre    .    .     .  L. 

2 

Diana  degli  Erabriaci  L 

.  4  — 

Novelle  umoristiche  . 

2  — 

Il  merlo  bianco     .     . 

2 

In  faccia  al  destino  . 

5  — 

—  Ediz.  in-8  illustr. 

'.  6  50 

Il  zucclietto  rosso.     .     , 

5  — 

La  donna  di  picche  . 

2 

Il  diavolo  nell'ampolla  . 

3  — 

Conquista  d'Alessandro 

2  — 

Riccardo  Alt. 

Il  tesoro  di  Golconda . 

!  2  — 

0  uccidere,  o  morire.     . 

2  — 

L'XT  comandamento. 

2  — 

Ciro  Alvi. 

Il  ritratto  del  diavolo 

2 

Gloria  di  re 

2 

Il  Biancospino  .     .     .    ■ 

2  — 

Guglielmo  Anastasl 

, 

L'anello  di  Salomone. 

'  2  — 

Eldorado  

2 

0  tutto  0  nulla    .     . 

2  — 

La  rivale 

2  — 

Amori  aUa  macchia  . 

5  — 

La  vittoria;  La  sconfitta. 

2  — 

Monsù  Tome    .    .    . 

2  — 

Diego  Ang:ell. 

Fior  di  mughetto.     . 

2  — 

L'orda  d'oro 

5  — 

Dalla  rupe   .... 

2  — 

Centocelle 

5  — 

Il  Conte  Rosso.     .     . 

2  — 

Il  crepuscolo  degli  Dei    . 

5  — 

Lettore  della  Fri  nei  pessa 

5  — 

Il  Confessionale     .     .     . 

4  — 

—  Ediz.  in-8,  illustr. 

6  50 

Luigi  Archinti. 

Casa  Polidori    .     .     . 

2 

Il  lascito  del  Comunardo. 

•) 

La  Montanara.  2  voi. 

4  — 

—  Ediz.  in-8,  illustrata 

3  — 

Massimo  d'AzegrllO. 

Uomini  e  bestie    .     . 

2 . 

Niccolò  de'  Lapi.  2  voi.  . 

4  — 

Arrigo  il  Savio.     .     . 

2 

Ettore  Fieramosca     .     . 

2  — 

La  spada  di  fuoco     .    . 

2  — 

A.  G.  Barrili. 

Un  giudizio  di  Dio   . 

2  — 

Capitan  Dodèro     .     .     . 

2  — 

Il  Dantino    ...     ; 

2-— 

Santa  Cecilia    .... 

2  — 

La  signora  Àutari     .     . 

2  — 

*I1  libro  nero     .... 

3  — 

La  sirena.     .    .     .     .     . 

2  — 

I  Rossi  e  i  Neri.  2  voi. 

4  — 

Scudi  e  corone.     .     .     . 

2  — 

Confess.  di  Fra  Gualberto. 

2  — 

Amori  antichi  .     .     . 

2 

Val  d'Olivi  ...... 

2  — 

Rosa  di  Gerico.     .     . 

2 

Semiramide 

2  — 

La  bella  Graziali  a.     . 

2  — 

Notte  del  commendatore. 

2 

—  Ediz.  in-8,  illustr. 

3  — 

Castel  Gavone  .... 

2 

Le  due  Beatrici    .     . 
Terra  Vergine .     .     . 

9 

Com&  un  sogno     .     .     . 

2  — 

2  — 

Cuor  di  ferro   e  Cuor  d' oro. 

I  figli  del  cielo     .     .     . 

2 

2  volumi 

4  — 

La  castellana    .     .     .     . 

2 

Tizio  (!aio  Sempronio     . 

2  — 

Il  prato  maledetto     .     . 

2 '. 

L'Olmo  e  l'Edera  .    .    . 

2  — 

Galatea    ...... 

2  — 

JtiLANO  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  ìfiLANO 


A.  G.  Barrili. 

Fior  d"oro     .     .  •  .    .  L.  2  — 


Il  diamante  nero  .  . 
Raggio  di  Dio  .  .  . 
Il  ponte  del  Paradiso 
Tra  cielo  e  terra  .  . 
Re  di  cuori  .... 
La  figlia  del  re     .    . 


2  — 

2  — 
2  — 
2  — 


T suoi  tre  capolavori:  Capitan 
Dodèro.  -  Santa  Cecilia.  -  Il 
libro  nero.  .  .  .  .  3  5U 
Carlo  Emanuele  BaailO. 

La  Vittoria  senz'ali  .     ,5  — 

Ambrogio  BaZZGrO. 

storia  di  un'anima    .     .5  — 

Giulio  Bechi. 

I  racconti  d' un  fantaccino. 
In-8,  con  64  illustr.    .  5  — 

Lo  spettro  rosso    .    .     .5  — 

II  capitano  Tremalaterra.  5  — 
I  Seminatori  .  .  .  .5  — 
Caccia  grossa  .  .  .  .2  — 
I  racconti  del  bivacco    .  5  — 

Antonio  BeltranielU. 
Anna  Perenna  .     .     .     .5  — 

I  primogeniti    .     .     .     .5  — 

II  cantico ó  — 

L'alterna  vicenda  .  .  .5  — 
Gli  uomini  rossi  .  .  .2  — 
Le  Novelle  della  Guerra,  5  — 
La  vigna  vendemmiata .  3  — 

Silvio  Benco. 
La  fiamma  fredda.     .     .'2  — 
Il  castello  dei  desideri  ,  2  — 

Leo  Benvenuti. 
Racconti  romantici    .     .2  — 
Serenada,  race,  sardo     .  2  — 

Eugenio  Bermaui. 
Spunti  d'anime     .     .     .3  — 

Vittorio  Bersezio. 
Aristocrazia.  2  voi.    .     .4  — 

p.  Bettoli. 
Il  processo  Duratiti  .     .2  — 
Giacomo  Locarapo.     .     .2  — 
La  nipote  di  don  Gregorio.  2  — 

Maso  Bigi. 
La  Sorgente 5  — 


Alberto  Boccardi. 
Cecilia  Ferri  ani     .     .  L.  5  — 
Il  peccato  di  Loreta .     .2  — 
L'irredenta 2  — 

Camillo  BoitO. 
Storielle  vane   .     .     .     .2  — 

Senso 2  — 

Virgilio  Brocchi. 

Le  aquile 5  -- 

La  Gironda 5  - 

L'Isola  sonante.     .     .     .  5  — 

I  sentieri  della  vita  .     .5  — 

II  labirinto 5  — 

La  coda  del  Diavolo.  .  5  — 
La  bottega  degli  scandali  5  • — 

Miti 6  — 

Secondo  il  cuor  mio  .  .  5  — 
L'amore  beffardo  .     .     .  5  — 

E.  A.  Butti. 
L'Incantesimo  .     .    .     .5  — 

L'Automa 2  — 

Antonio  Cacclaniga. 
Bacio  della  cont.  Savina.  2  — 

—  Ediz.  di  lusso,  in-8,  ilL  5  — 

—  Ediz.  econ.,  in-8,  ili.  3  — 
Villa  Ortensia  .  .  .  .  2  — 
Il  Roccolo  di  Sant'Alipio.  2  — 
Sotto  i  ligustri.     .     .     .  2  — 

Il  Convento 2  — 

11  dolce  far  niente  .  .2  — 
La  famiglia  Bonifazio    .  2  — 

Raffaele  Calzini. 
La  vedova  scaltra      .     .3  — 

Luigi  Capranica. 
Papa  Sisto.  4  voi. .     .     .8  — 

Racconti 2  50 

Re  Manfredi.  3  voi.  .     .  6  — 
Giovanni  Bande  Nere.  2  V.  4  — 
♦Fra  Paolo  Sarpi.  2  voi.  .  4  — 
*La  congiura  di  Brescia  2  vo- 
lumi   4  — 

Giulio  Caprin. 
Gli  animali  alla  guerra.  4  — 

Luigi  Capuana. 
Marcb.  di  Roecaverdina.  5  — 
Rassegnazione  .     .     .    .5  — 
Passa  Tamore    .     .     .     .5  — 
La  voluttà  di  creare.     .  5  — 


k 


Milano  —  FbatellI  TREVES,  Editori  —  Milano 


Enrico  Casteluuovo. 

Nella  lotta.  In-8,  ili. .  L.  5  — 
Due  convinzioni  .  .  .5  — 
P.P.a  Ultime  novelle  .  5  — 

I  Moncalvo 5  — 

L'on.  Paolo  Leonforte  .  3  — 
Dal  1.°  piano  alla  soffitta.  3  — 

Moisè  Cecconl. 
n  primo  bacio  .    .    .     .2  — 
[1  taccuino  perduto  .     .5  — 
Racconti  pei  convalescenti  3  50 

Giovanni  Chig^glatO. 

II  figlio  Vostro,     .     .     .5  — 

Domenico  Clàmpoll. 

Diana 5  — 

Guelfo  Glvlninl. 
La  stella  confidente  .     .3  — 

E.  P.  Civiulnl. 
Gente  di  palude  .    .    .5  — 

G.  P.  Clerici. 
11  più  lungo  scandalo  del  seco- 
lo XIX.  2  V.  con  illustr.  4  — 
Luig:ia  Codèmo. 
La  rivoluzione  in  casa  .  3  — 

Cordella. 
Dopo  le  nozze  .     .    .    .4  — 

Vita  intima 2  — 

Racconti   di  Natale,  ili.  4  — 

Casa  altrui 2  — 

Catene 2  — 

Per  la  gloria  .  .  .  .5  — 
Il  mio  delitto  .  .  .  .3  — 
P-er  vendetta  .  .  .  .2  — 
Verso  il  mistero  .  .  .5  — 
L'incomprensibile  .  .  .2  — 
Le  donne  che  lavorano  .  4  — 

Enrico  Corradlnl. 
La  patria  lontana.     .    .5  — 
La  guerra  lontana    .     .5  — 

Carlo  Dadone. 
La  forbice  di  legno  .    .2  — 
La  casa  delle  cbiaccbiere.  2  — 
Come  presi  moglie    .    .4  — 

Lucio  d'Ambra. 
Il  Re,  le  Torri,  gli  Alfieri  5  — 

Danieli  e  Manfro. 
Nel  dubbio 5  — 


Gabriele  D'Annunzio. 

Il  Piacere    .    .    .    .  L.  6  50 

L'innocente 6  50 

Trionfo  della  Morte  .     .7  — 

Il  Fuoco 7  — 

Le  Vergini  delle  Rocce.  7  — 
Le  novelle  della  Pescara.  5  — 
Forse  che  sì  forse  che  no.  6  50 
La  Leda  senza  cigno.  3  V.  14  — 

Ippolito  Tito  D'Aate. 
Mercede 2  — 

Edmondo  De  Amlclfl. 
La  vita  militare    .     .    .5  — 

—  Edizione  economica  .  2  — 
Alle  porte  d'Italia  .  .5  — 
Romanzo  d'un maestro.2v.  4  — 
Fra  scuola  e  casa.  .  .5  — 
La  carrozza  di  tutti.     .  5  — 

Memorie 5  — 

Capo  d'anno.  .  .  .  .5  — 
Nel  Regno  del  Cervino .  5  — 
Pagine  allegre .  .  .  .5  — 
Nel  Regno  dell'Amore  .  6  50 
Nuovi  racconti  e  bozzetti.  5  — 
Cinematografo  cerebrale.  5  — 
Gli  amici.  2  voi.  .  .  4  — 
Ricordi  infanzia  e  scuola.  5  — 
Pagine  sparse  .  .  .  .2  — 
Ricordi  del  1870-71  .  .  2  — 
Novelle.  Ediz.  di  lusso  .  5  — 

—  Edizione  economica  .  2  — 

Grazia  Deledda. 

I  giuochi  della  vita  .  .5  — 
Sino  al  confine.     .     .     .5  — 

II  nostro  padrone  .     .     .5  — 

Cenere 5  — 

Anime  oneste  .  .  .  .4  — 
Il  vecchio  della  montagna  5  — 

Nel  deserto 5  — 

Colombi  e  sparvieri  .     .5  — 

Chiaroscuro 5  — 

Canne  al  vento.  .  .  .5  — 
Le  colpe  altrui.     .     .     .5  — 

Nostalgie 5  — 

Il  fanciullo  nascosto .  .5  — 
Marianna  Sirca  .  .  .5  — 
La  via  del  male  .  .  .5  — 
Elias  Portolu  ....  5  — 
L' incendio  nell'oliveto  .  6  — 


MiLAjJO  —  pRATBLti  TREVES,  Editori  —  Milano 


Gian  Della  Quercia. 

Il  Risveglio  .     .     .     .  L.  2  — 
Sul  meriggio    .     .     .    .5  — 

Emilio  De  Marchi. 
Il  cappello  del  prete.  .  3  — 
Giacomo  l'idealista  .  .4  — 
Storie  d'ogni  colore  .  .  4  — 
Nuove  storie  d'ogni  colore  4  — 
Arabella,  2  voi.  .  .  .4  — 
Col  fuoco  non  si  scherza.  6  — 

Redivivo 2  — 

Demetrio  Pianelli.  2  voi.  4  — 

Federico  De  Roberto. 
Una  pagina  della  storia  del- 
l'amore  2  — 

La  sorte 2  — 

La  messa  di  nozze;  Un  sogno; 

La  bella  morte  .    .    .5  — 

L'albero  della  scienza    .  4  — 

Le   donne,  i   cavalier'...  In-8, 

con  100  incisioni  .     .10  — 

'     Salvatore  DI  QiaCOmO. 

Novelle  napolitano     .     .5  — 

Paola  Drigo. 

La  Fortuna 5  — 

Codino 5  — 

Paulo  Fambrl. 

Pazzi  mezzo  e  serio  fine.  3  — 

Onorato  Fava. 

Per  le  vie 2  — 

La  Rinunzia     .     .     .    .   2  — 

Gazzella 5  — 

Ugo  Fleres. 

L'anello 2  — 

FolchettO  (J.  Caponi). 
Novelle  gaje         .    .    .5  — 

Ferdinando  Foutana. 
Tra  gli  Arabi  .     .     .     .  2  — 

T.  Qallaratl-Scottl. 
Storie  dell'amore  sacro  e  del- 
l'amore profano.     .     .5 — 
Piero  Giacosa. 
Specchi  dell'enigma  .     .5  — 
Il  gran  cimento    .    .    .4  — 
Anteo  ....'...  5  — 
Cosimo  Giorglerl-Contrl. 
L'amore  oltre  l'argine   .  5  — 

Adolfo  de  Glslimbertl. 
Ilsacrificiod'un'anima    .  2  — 
U  mistero  di  Valbruna .  2  - 


.Guidò  Gozzano. 

L'altare  del  passato  .  L.  3  — 
L'ultima  traccia   .     .     .5  — 

0.  Grandi. 

Macchiette  e  novelle.     .  2, — 

Destino 2  — 

Silvano 2  — 

La  nube 2  — 

Per  punto  d'onore  .  .4  — 
—  Edizione  economica  .  2  — 

Eleonora  Grey. 
Della  vita  di  un  Pierrot  4  — 

Luigi  Gualdo. 
Decadenza 2  — 

F.  D.  Guerrazzi . 

La  battaglia  di  Benevento.  Ve- 
ronica Cybo.  2  voi.     .  4  — 

L'assedio  di  Firenze.  2  v.  4  — 
Amalia  Guglielminetti. 

I  Volti  dell'Amore  .  .5  — 
Anime  allo  specchio  .     .5  — 

Rosalia  Gwla-Adami. 
La  Vergine  ardente  .    .5  — 

Haydée  (Ida  Pinzi). 

Faustina  Bon,  romanzo  tea- 
trale fantastico.  .  .5  — 
Jarro. 

L'a-ssassinio  nel  vicolo  della 
Luna 2  — 

II  processo  Bartelloni  .  2  — 
Apparenze.  2  voi. .  .  .  4  ^ 
La  duchessa  di  Naia.  .  2  — 
Mime  e  ballerine  .  .  .2  — 
La  moglie  del  Magistrato  3  — 

Paolo  Lioy. 
*Chi  dura  vince.     .    .     .  4  — 

Giuseppe  Xiipparinl. 
Il  filo  d'Arianna  .    .     .2  — 

Paola  Lombroso. 
La  vita  è  buona  .     .     .5  — 

Cesarina  XiUpati. 

La  Leggenda  della  spada.  2  — 

Manetty. 

Il  tradimento  del  Capitano. 
2  volumi 4  — 

Giuseppe  Mantioa. 
Figurinaio.  In-8,  iUus.  .  5  — 


iriLANo  —  Fratelli  TREVES,  Edii'Ori  —  Milano 


G.  Uarcottl. 

Il  conte  Lucio  .  .  .  L.  2  — 
La  Giacobina.  2  volumi.  6  50 
Le  spie.  2  voi 6  50 

Ferdinando  Mai'tlul. 

Racconti 2  — 

Luigi  Materl. 
Adolescenti 2  — 

Dora  Melegarl. 
Caterina  Spadaro  .     .     .5  — 
La  piccola  m.Ha  Cristina.  5  — 
La  città  del  giglio    .     .  6  50 

Mercedes. 
Marcello  d'Agii  ano    .     .2  — 

Maria  Messlna. 

Le  briciole  d.'l  destino.  3  — 

Guido  Mllaneal. 

Thàlatta 5  — 

Nomadi    .     .    .    .     .    .  5  — 

Ànthy,  romanzo  di  Rodi.  5  — 
Nella  scia     .....  5  — 

Paolo  Emilio  MlntO. 

Ombre,  uomini  e  animali  5  — 

Marino  Moretti. 

I  pesci  fuor  d'acqua.     .  5  — 

II  sole  del  sabato  .  .  .5  — 
La  bandiera  alla  finestra.  5  — r 

Guenda .5  — 

Conoscere  il  mondo   .     .  3  — 

E.  L.  Morselli. 
Storie  da  ridere....  e  da  pian- 
gere .     .     .     .     .     .     .3  — 

Luigi  Motta. 

(Edizioni  Jn-8,  illnstrate). 
Dominatore  dellaMalesia.  6  50 

—  Edizione  economica  .  4  — 
L'onda  turbinosa  .     .    .5  — 

—  Edizione  economica  .  3  — 
L'occidente  d'oro  .     .    .  6  50 

—  Edizione  economica  .  4  — 
La  principessa  deUe  rose.  5  — 

—  Edizione  economica  .  3  — 
Il  tunnel  sottomarino  .  6  50 
Fiamme  sul  Bosforo  .    .6  — 

—  Edizione  economica  .  3  — 
Il  Vascello  aereo  .  .  .5  — 
'—  Edizione  economica  .  3  — 


Luigi  Motta. 

(Edizioni  in-S,  illitsti'ate). 
L'Oasi  Rossa    .    .    .  L.  5  — 
Il  Leone  di  San  Marco .  5  — 
—  Edizione  economica  .  4  — 

I  tesori  del  Maelstrom  .  5  — 

II  Demone  dell'Oceano  .  2  — 

Neera. 

Crevalcore 5  — 

L'Indomani.  In-8,  illus.  .  3  — 
Una  passione  .  .  .  .2  — 
La  vecchia  casa  .  .  .4  — 
Duello  d' anime.  .  .  .5  — 
La  sott-ana  del  diavolo  .  5  — 
Rogo  d'amore  .  .  .  .5  — 
Crepuscoli  di  libertà.     .  5  — 

Ada  Negprl. 

Le  Solitarie 6  50 

Dario  Nlccodeml. 
Il  romanzo  di  Scampolo  .  5  — 

Ippolito  Nlevo. 
Le  confessioni   di   un  ottua- 
genario. 3  voi.  .     .  .6  — 
Angelo  di  bontà   .     .  .2  — 

À.  s.  Novaro. 

L'Angelo  risvegliato .  .  4  — 

Ugo  OJettl. 

Donne,  uomini  eburattini  5  — 
L'Amore  e  suo  figlio.  .  5  — 
Mimi  e  la  Gloria  .     .     .5  — 

Antonio  Palmieri. 
Novelle  Maremmane  .    .5  — 

I  racconti  deUa  Lupa    .  5  — 

Alfredo  Fanzini. 
Piccole    storie    del   Mondo 

grande 4  — 

La  lanterna  di  Diogene.  5  — 
Le  fiabe  della  virtù.  .  5  — 
Santippe  .  .  .■  .  .  .5  — 
La  ìtadonna  di  Marna  .  5  — 
Novelle  d'ambo  i  sessi  .  3  — 
Viaggio  di  un  povero  lette- 
rato   6  — 

Ferdinando   Paollorl. 

Novelle  selvagge  .    .    .3  — 
Conte  G.  !■.  Passerini. 

II  romanzo   di   Tristano   e 
Isotta ,  5  — 


JIiLANO  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  .Miiiano 


Francesco  Pastonchl. 

Le  Trasfigurazioni     .  L.  5  — 

Emma  PerOdl. 

Caino  ed  Abele.  .  .  .  2  — 
♦Suor  Ludovica.     .     .     .2  — 

Petruccelll della  Gattina. 

Il  sorbetto  della  Eegina.  2  — 
Memorie  di  Giuda.  2  voi.  4  — 

Il  Re  prega 2  — 

Le    notti    degli    emigrati    a 

Londra 2  — 

Luigi  Pirandello. 
Erma  bifronte  .     .     .    .6  — 

L'esclusa 5  — 

La  vita  nuda  .  .  .  .5  — 
Il  fu  Mattia  Pascal  .  '.5  — 
Terzetti 5  — 

I  veccbi  e  i  giovani.  2  v.  6  50 
La  trappola 5  — 

II  turno;  Lontano.     .     .4  — 

Si  gir;i .5  — 

E  domani,  lunedì 5  — 

Un  cavallo  nella  luna  .  3  — 
Quand'ero  matto 3  — 

Carlo  Placcl. 
Mondo  mondano    .     .     .2  — 
In  automobile  .    .    .     .2  — 

Marco  Praga. 
La  Biondina 2  — 

Mario  Pratesi. 
Le  perfidie  del  caso  .     .2  — 

Carola  Prosperi. 
La  Nemica  dei  Sogni     .  5  — 

L' Estranea 6  — 

Vocazioni 3  — 

Dino  Provenial. 
Uomini,  donne  e  diavoli.  3  — 

Egisto  Boggero. 
Le  ombre  del  passato    .  2  — 
Komokokis.  In-8,  illus.  .  4  — 

I  racconti    della    mia   Ri- 
viera     3  — 

Gerolamo  BOVOtta. 
♦Sott'acqua 5  — 

II  primo  amante  .    .    .5  — 

♦Novelle 2  — 

♦XI  processo  Montegù.    .  2  — 


Ferdinando  BuSSO. 

Memorie  di  un  ladro.  L.  2  — 

Il  destino  del  Re.     .     .  2  — 

Roberto  Sacchetti. 

Gandaule 4  — 

Fausto  Salvatori. 
Storie  di  parte  nera  e  Storie 
di  parte  bianca.     .     .5  — 
Baron.  di  S.  Maria  (Fides). 

Vittoriosa  ! 6  — 

Vie  opposte 5  — 

Rosso  di  San  Secondo. 

Ponentino 5  — 

La  fuga 5  — 

La  morsa 5  — 

Io  commemoro  Loletta  .  3  — 

Michele  Sapouaro. 
Peccato 5  — 

Francesco  Sapori. 

La  Trincea 5  — 

Terrerosse 6  — 

6.  A.  Sartorio. 

Romse  Carrus  Navalis    .  2  — 
Tre  novelle  a  Perdita  .  5  — 

Angusto  Schippisi. 
La  colpa  soave .     .     .     .5  — 

Isabella  Soopoli-Biasi. 
L'erede  dei  Villamari    .  2  — 

Matilde  ScraO. 
Suor  Giovanna  della  Croce  5  — 
La  Ballerina  .  .  .  .5  — 
Ella  non  rispose  .  .  .6  — 
Dopo  il  perdono  .  .  .5  — 
Evviva  la  vita  !  .  .  ,5  — 
La  vita  è  così  lunga!    .  3  — 

Serra-Greci. 

Adelgisa 2  — 

La  fidanzata  di  Palermo.  2  — 

Sfinge. 
Dopo  la  vittoria    .    .     .2  — 
La  costola  di  Adamo.    .  5  — 
Il  castigamatti,     .     ,     .8  — 

Valentino  Soldani. 
Viva  r  Àngiolo  1    ...  2  — 


Milano  —  Fpatelli  TREVES,  Editoei  —  Milano 


Flavia  Steno. 

L'ultimo  sogno.  .  .  L.  2  — 
Il  pallone  fantasma  .  .2  — 
Così,  la  vita!  .  .  .  .2  — 
Fra  cielo  e  mare  .  .  .2  — 
La  veste  d'amianto  ,  .2  — 
La  nuova  Eva  .  .  .  .2  — 
Il  gioiello  sinistro  .  .2  — 
n  sogno  che  uccide  .     .2  — 

Il  miraggio 2  — 

Oltre  l'odio 2  — 

Téréaah  (Teresa  Ubertis). 

Il  corpo  e  l'ombra     .     .5  — 

Il  salotto  verde     .    .     .5  — 

La  casa  al  sole.    .     .     .  5  — 

Federigo    Tozzl. 

Bestie 5  — 

Con  gli  occhi  chiusi .     .5  — 

I.  Trebla. 
Volontario  d'un  anno.  -  Sotto- 
tenente di  complem.    .  4  — 
Alessandro  VaraldO. 
Un  fanciullo  alla  guerra .  5  — 
Le  avventure    .     .     .     .3  — 

L.  A.  Vassallo. 
La  signora  Cagliostro  .  4  — 
Guerra  in  tempo  di  bagni.  3, — 
La  famiglia  De-Tappetti.  3  50 
Uomini  cheho  conosciuto.  5  — 
Dodici  monologhi  .  .  .  3  50 
Ciarle  e  macchiette  .  .  4  50 
*I1  pupazzetto  tedesco  .  3  — 
Il  pupazzetto  spagnolo  .  3  — 
Il  pupazzetto  francese  .  3  — 
Diana  ricattatrice.     .    .  3  50 

Giovanni  Vorg^a. 
Storia  di   una  capinera.  4  — 

—  Edizione  economica  .  2  — 

Eva.     .  • 3  — 

Cavalleria  rusticana  .     .5  — 

—  Ediz.  in-8,  illustr.     .12  — 

Novelle 2  — 

Per  le  vie 2  — 

Jl  marito  di  Elena    .    .2  — 


Giovanni  Verga.. 

Eros L.  2  — 

Tigre  reale 2  — 

Mastro-don  Gesualdo.  .  5  — 
Ricordi  del  capit.  d'Arce.  2  — 

I  Malavoglia  .  .  .  .5  — 
Don  Candeloro  e  C.  .  .2  — 
Vagabondaggio.  .  .  .  4  — 
Dal  tuo  al  mio.     .     .     .5  — 

G.  Vlacontl-Venosta. 

II  curato  d'Orobio.  .  .  5  — 
Nuovi  racconti .    .     .     .5  — 

Mario  Vagliano. 
Gli  allegri  compari  di  Borgo- 
drolo.  Con  disegni   .     .2  — 

Anita  Zappa. 
La  Notte,  race,  del  1915.  6  50 

Remigio  Zena. 
La  bocca  del  lupo     .     .2  — 
L'apostolo 5  — 

Luciano  ZÙCCOli. 
La   Compagnia   della   Leg- 
gera   5  — 

L'amore  di  Loredana.     .  5  — 

Farfui .:    .  5  — 

Ufficiali,  sott'ufiìciali,  caporali 

e  soldati 5  — 

Il  Designato 5  — 

Donne  e  Fanciulle    .     .5  — 

I  lussuriosi 4  — 

Romanzi  brevi  .     .     .     .5  — 

Primavera 5  — 

La  freccia  nel  fianco  .  5  — 
L'Occhio  del  Fanciullo  .  5  — 
La  vita  ironica  .  .  .5  — 
Novelle  prima  della  guer- 
ra      5  — 

La  volpe  di  Sparta  .  .  5  — 
Roberta    .     .    .    .     .     .5  — 

II  maleficio  occulto  .  .  5  — 
Per  la  sua  bocca  .  .  .5  — 
Baruffa 5  — 


ROMANZI  STRANIERI 

EDIZIONI  TREVES. 

1  volumi  segnati  con  *  so?io  in  corso  di  ristampa. 

FRANCESI. 


Amedeo  AchftTd. 

Giorgio  Bonaspada.  2  v.  L.  4  — 

Matthey  AmOUld. 

*Lo  Stagno  delle  suore  grigie. 

2  volumi 4  — 

Giovanni  senza  nome.  2  v.  4  — 

Gli  amanti  di  Parigi,  2  v.  4  — 

La  rivincita  di  Clodoveo.  2  — 

*La  Brasiliana   .     .    .     .2  — 

La  bella  Nantese  .     .     .2  — 
La  figlia  del  giudice  d'istru- 
zione. 2  volumi.     .     .4  — 
Zoe.  2  volumi  .     .     .     .4  — 

Un  punto  nero.     .    .     .2  — 

Un  genero    .    .     .    .     .2  — 

*La  bella  Giulia     .    .     .2  — 

*La  vergine  vedova    .    .2  — 

Dieci  milioni  di  eredità.  2  — 

La  figlia  del  pazzo   .     .2  — 

Castello  della  Croix-Pater.  2  — 

*Zaira   .    .     .     .    .     .    .  2  — 

L'impiccato  della  Baumette. 

2  volumi  .    .         .   \  4  — 

Arnould  e  Fournier. 

Il  Figlio  dello  Czar  .     .  2  — 

L'erede  del  trono .    .    .2  — 

Balzac. 
Memorie  di  due  giovani 

spose 2  — 

Piccole  miserie  della  vita  co- 
niugale.   .....  2  — 

Papà  Goriot 2  — 

Eugenia  Grandet  .    .    .2  — 
Cesare  Birottò  ....  2 
I  celibi: 

L  Pierina    .     .     . 

II.  Casa  di  scapolo 

1  parenti  poveri: 

L  La  cugina  Betta 

TI.  Il  cugino  Pons. 


2  — 

3  — 


Balzao. 

Illusioni  perdute: 

I.  I  due  poeti;  Un  graa- 
d' uomo    di    provincia   a 
Parigi    .     .     .    .  L.  2  — 
II.  Un  grand'uomo  di  pro- 
vincia a  Parigi;  Eva  e 

David 2  — 

Splendori  e  miserie  delle  cor- 
tigiane   2  — 

Giovanna  la  pallida  .     .2  — 
L'ultima  incarnazione  di  Vau- 

trin 2  — 

Il  deputato  d'Arcis   .     .2  — 

L' Israelita 2  — 

Orsola  Mirouet.     .    .     .2  — 
Il  figlio  maledetto.  -  Gambara. 
-  Massimilla  Doni  .    .2  — 
Adolfo  Belot. 

Due  donne 2  — 

Alessandro  Bérard. 
Cypris;  Marcella  .     .     .2 

Elia  Berthet. 
La  tabaccaia     .     .     .     .  2- 
Il  delitto  di  Pierrefitte.  2  — 

Fortunato  Boisgobey. 
L'avvelenatore  .    .    .    .2  — 
La  canaglia  di  Parigi    .  2  — 
L'orologio  di  Rosina  .    .  2  ■ 
La  casa  maledetta    .    .  2  ■ 
Il  delitto  al  teatro  dell'Opera. 

2  volumi 4  — 

Maria .  2- 

Albergo  della  nobile  Rosa.  2  — 
Cuor  leggero.  2  volumi.  4- — . 
Il  segreto  della  cameriera.  2  ^ 
La  decapitata  .     .     .    .2  — 
La  vecchiaia  del  signor  Lecoq. 

2  volumi 4  — 


Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  Milano 


2 

2 

150 
2  — 
150 

2 

2 

2  — 
2  — 
4  — 

2 

2  — 
2  — 


Paolo  Bourget. 
Un  delitto  d'amore    .  L 
Andrea  Cornelis    .     . 

—  Ediz.  in-8  illnstr. 
Enimma  crudele    .     . 

—  Ediz.  in-8  illustr. 

Menzogne 

L'irreparabile  .  .  . 
Il  discepolo  .... 
Il  fantasma  .... 
La  Duchessa  Azzurra 

Alessio  Bouvier. 
Madamigella  Olimpia 
Il  signor  Trumeau    . 
Discordia  coniugale  . 

Basnach  e  Chabrlllat. 

La  iìgiia  di  Lecoq     .     .  2- 

Alfredo  CapuS.. 
Robinson 4- 

Enrico  Chavette. 

Quondam  Bricheti.    .     .  2  - 

*La  stanza  del  delitto    .  2  - 

In  cerca  d'un  perchè     .  2- 

Un  notaio  in  fuga    .     .  2  - 

Vittorio  Cherbuliez. 

Miss  Rovel 2  - 

L'avventura  di  L.  Bolski.  2  - 

Samuele  Brohl  e  comp.  2  - 

L'idea  di  G.  Testaroli  .  2- 

Fattoria della cornaccliia.  2- 
Giuiio  Claretie. 

Il  milione 2  - 

S.  E.  il  Ministro  .     .     .  2  - 

*Laura  la  saltatrice    .     .  2  - 

*La  casa  vuota  .    .     .    .  2  - 

*L' amante .     .    -.     .     .     .  2  - 

Roberto  Burat  .     .     .     .  2  - 

La  commediante.  2  voi.  4  - 

I  Moscardini.  2  voi.  .  .  4- 
La  fuggitiva  .  .  .  .  2  - 
■Michele  Berthier  .  .  .  2  - 
Troppo  bello!  (Puyjoli).  2- 

II  9  termidoro  .  .  .  .  2  - 
Maddalena  Bertin.     .     ,  2- 

Noris 2- 

II  bel  Solignac.  2  voi.   .  4- 

Beniamino  Constant. 

Adolfo 2- 


AifoDso  Daudet. 
*DittaFromonteRislerL.  2  — 

*I  re  in  esilio    .     .     .  .2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.  .  3  — 
Numa  Roumestan .     .  .2  — 

.  Novelle  del  lunedì     .  .2  — 

*L' Evangelista  .     .    .  .  2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.  .  3  — 

Pietro  De  Coalevain. 
Su  la  frasca 2  — 

Delpit. 

Il  figlio  di  Coralia    .  .2  — 

Teresina 2  — 

Il  padre  di  ìrarziale.  .  2  — 

Appassionatamente    .  .-2  — 

G.  De  Lys. 

Duplice  mistero    .    .  .2  — 

F.  De  Kiou. 

Giovanna  e  Giovanni     .  2  — 

L.  De  Robert. 
Il  romanzo  del  malato  .  4  — 

Melchiorre  De  Vog^ué. 
Giovanni  d'Agrève     .     .2  — 

Gustavo  DrOZ. 

Attorno  una  sorgente    .  2  — 

*Marito,  moglie  e  bebé   .  2  — 

Alessandro  Dumas  (figlio). 

*Teresa;  L'uomo-donna  .  2  — 

Erckmaun  e  Chatrian. 

L'amico  Fritz  .     .    .     .2  — 

*I  Rantzau 2  — 

La  casa  del  goiardaboschi.  2  — 

Ottavio  Feuillet. 
Il  signor  di  Camors  .     .2  — 
*La  vedova.  Il  viaggiatore.  2  — 
Storia  di  Sibilla    .     .     .2  — 
Un  matrimonio  nel!'  alta  so- 
cietà  2  — 

Giulia  di  Trecoeur     .     .2  — 

Paolo  Féval. 
La  regina  delle  spade    .  2  — 

Gustavo  Flaubert. 

Madame  Bovary    .    .    .  2  — 

Ànatoie  Frauce. 

*Taìde 2  — 

Il  delitto   di   Silvestro  Bon- 
nard  2  — 


10       Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  ]\Iilano 


Emilio  Gaborlau. 
Il  signor  Lecoq.  3  voi.  .  6  — 
La  cartella  113  .  .  .  2  — 
Il  processo  Lerouge  .  .2  — 
La  vita  infernale.  2  voi.  4  — 
*I1  misfatto  d'Orcival.  .  2  — 
Gli    amori    d'  una    aweleua- 

ti'ice 2  — 

Edmondo  de  GonCOUrt. 
Maria  Antonietta  .     .     .  2  — 

La  Faustin 2  — 

Carina.     ., 2  — 

Suor  Filomena .     .     .     .2  — 

Emanuele  GonZAleS. 
La  strega  d'amore.  2  voi.  4  — 
La  principessa  russa.  .  2  — 
Le  due  favorite.  2  voi.  4  — 
Il  vendicatore  del  marito.  2  — 
E.  Gre  ville. 

Niania . 2  — 

Clairefontaine  .  .  .  .2  — 
Maritiamo  la  figlia  .  .2  — 
Amore  che  uccide.  .  .  2  — 
Il  voto  di  Nadia  .     .     .  2  — 

Nikanor 2  — 

Perduta 2  — 

Un  violinista  russo    .     .2  — 

Dosia 2  — 

Il  romanzo  d'un  ]iadre  .  2  — 
La  via  dolorosa  di  Raissa.  2  — 
La  principessa  Ogherof.  2  — 

Sonia 2  — 

Ariadna 2  — 

Halévy. 

*L' abate  Constantin    .     .2  — 

GriUina  (Criquette)  .     .2  — 

Paolo  Hervieu. 
Lo  sconosciuto .     .     .     .2  — 
L'Alpe  omicida.     .     .     .2  — 

Arsenio  Houssaye. 
Diane  e  Veneri     .     .     .2  — 

Vittxjr  Hugo. 

Nostra  Donna  di  Parigi  o  E- 

smeralda.  Con  72  incis.  5  — 

Han  d'Islanda.  Dlustrato.  3  50 

Bug-Jargal.  Con  36  ine.  3  50 

Enrico  Lavedan. 

I  bei  tempi 4  — 

Hugues  Le  Rouz. 

II  Padi-oae  dell'ora    .    ,  'i  - 


Pierre  LOti. 
^lio  fratello  Ivo    .     .  L. 
Renato  Malzeroy. 
Piccola  regina  .     .     . 

L'adorata  

Camilla  Mallarmé 

Come  fa  Tonda 

Ettore  MalOt. 
Il  dottor  Claudio.  2  voi 
Un  buon  aftV.re.    . 
Il  luogotenente  Bonnet 
*3Iilioni  e  vergogne    , 
Paolina    .     .     .     .     , 

Paolo  Marg^ueritte 

*La  tormenta.    .     . 
Amor  nel  tramonto  , 
La  Principessa  Nera.  2  v, 


p.  e  V.  Margueritte. 

Il  Prisma 2  — 

Florence  Marryat, 
Stirpe  di  vampiri.     .     .2  — 

Giulio  Mary. 

*Le  notti  di  fuoco .     .     ,2  — 

La  famiglia  Danglard   .  2  — 

L'amante  del  banchiere.  2  — 

M.  Maryan. 
Guénola.  In-8,  illustr.     .  2  — 

Guy  de  Maupassant. 
Forte  come  la  morte.     .  2  — 

Bel- Ami 2  — 

Una  vita .2  — 

■  II  nostro  cuore.     .    .     .2 — 
Racconti  e  novelle     .     .2  — 

Casa  Tellier 2  — 

Prospero  Mérimée 
La  contessa  di  Turgis  .  2  — 

Carlo  Mérouvel. 
Priva  di  nome.  2  voi.  .  4  — 
Febbre  d'oro.  2  voi.  .  .4  — 
L'inferno  di  Parigi.  2  v.  4  — 
L'amante  del  Ministro  .  2  — 
La  signora  Marchesa.  .  2  — 
Figlioccia  della  duchessa.  2  — 
La  vedova  dai  cento  milioni. 

2  volumi 4  — 

Teresa  Valignat    .     .    .  2  — 
Un  segreto  terribile  .    .2  — 

Pari  e  patta 2  — 

Fior  di  Corsica.    .    ,    ,  'à  — 


2 

2  — 
4  — 

4  — 
2  — 
2 

2  — 

2 

2 

7  — 


Milano  —  Fratelli  TKEVES,  Editori  —  Milano       11 


G.  Méry. 

Un  delitto  ignorato  .  L.  2  - 
Il  maledetto     .     .     .     .  2  - 

Marco  Monnier. 

Novelle  napoletane    .     .  2  - 

Saverio  Montépin. 

*La  veggente 2  — 

*I1  condannato  .  .  .  .  2  — 
*L'agenzia  Rodille  .  .  .  2  — 
♦L'ereditiera 2  — 

Il  ventriloquo.  3  voi.  .  6  — 
*I  delitti  del  giuoco  .  .  2  — 
*I  delitti  dell'ebbrezza    .  2  — 

Espiazione 2  — 

*La  bastarda.  2  voi.  .  .  4  — 
*La  Casina  dei  lillà    .     .  2  — 

La  morta  viva,  2  voi.  .  4  — 
♦L'impiccato.  3  voi.  .  .  6  — 
*I1  marchese  d'Espinchal.  2  — 
*Un  fiore  all'incanto  .  .  2  — 
*Compare  Leroux  .  .  .  2  — 
*L'ultimo  dei  Courtenay.  2  — 
*Una  passione  .  .  .  ,  2  — 
*I  fanti  di  cuori  .  .  .  2  — 
^Due  amiche  di  St.-Denis.  2  — 
*L'avventuriero  .    .     .     .2  — 

Il  segreto  del  Titano  .  2  — 
^L'amante  del  marito .  .2  — 
^L'avvelenatore  .     .     .     .2  — 

S.  M.  il  Denaro.  2  voi. .  4  — 
^'Ammaliatrice  bionda.  2  v.  4  — 
^Donna  Rovina  .  .  .  ,2  — 
^riegreto  della  contessa.  2  V.  4  — 

Giorgio  Ohnet. 
Il  padrone  delle  ferriere.  2  — 

—  Edizione  illustrata  .  4  — 
La  contessa  Sara  .     .     .2  — 

—  Edizione  illustrata  .  4  — 
Sergio  Panine  .  .  .  .2  — 
Lisa  Fleuron     .    .     .     .2 — 

—  Edizione  illustrata  .  4  — 
Debito  d'odio  .  .  .  .2  — 
Il  diritto  dei  figli.  .  .2  — 
VeccM  rancori .  .  .  .2  — 
La  sig.^  vestita  di  grigio.  2  — 
L'indomani  degli  amori.  2^ 
Il  curato  di  Favières  .  2  — 
l  Gaudenti 2  — 


Vittorio  Perceval. 

*10,000  frauciu  di  mancia.  2  — 

Le  vivacità  di  Carmen  .  2  — 

11  nemico  della  'signora.  2  — 

Renato  de  Pont-Jest. 
L'eredità  di  Satana  .     .2  — 
Le  colpe  di  un  angelo  .  2  — 
Un  nobile  sacrificio  .     .2  — 

Giorgio  Pradel. 
Compagno  di  catena.  2  v.  4  — 

Abate  PrévOSt. 
Mauon  Lescaut.     .     .     .  -2  — 

Marcello  PrévOSt. 
Lettere  di  donne  .  .  .2  — 
Nuove  lettere  di  donne.  2  — 
Ultime  lettere  di  donne.  2  — 
Coppia  felice  .  .  .  .2  — 
Il  giardino  segreto  .  .2  — 
L'autunno  d'una  donna.  2  — 
Pietro  e  Teresa  .  .  .  3 — 
Le  Vergini  forti: 

I.  Federica  .    .     ,    .4  — 

II.  Lea 4  — 

La  principessa  d'Erminge  4  — 

Donne 4  — 

A  passo  marcato  .  .  .4  — 
Gli  angeli  custodi  .•  ,4  — 
Herr  e  Frau  Molocli.  .  4  — 
Lettere  a  Francesca  .  .3  — 
Lett.  a  Francesca  marit.  4  — 
Lettere  a  Frane,  mamma.  4  — 

L.  Beybaud. 
Il  bandito  del  Varo  .    .2  — 

Emilio  Blchebourg. 

♦L'idiota.  2  voi.     .     .     .4  — 
Innamorate  di  Parigi.  2  v.  4  — 

Carlo  Blchet. 

Fra  cent'anni    .     .     .     .2  — 

Edoardo  Bodi 

*I1  senso  della  vita     .     .2  — 

La   vita   privata   di   Michele 

Teissier     .     .'    .     .     .2  — 

La  seconda  vita  di  Michele 

Teissier 2  — 

Lo  zio  d'America  .     .     .2  — 

Taziana  Leilof .     .     .     .2  — 

L'acqua  che  corre.     .     .2  — 

Arnaldo  Bug'C. 

♦Bianca  della  Eoccu  .    .  2  — > 


12      Milano  —  Peatelu  TREVES,  Editori  —  Milano 


Eemy  Salut-Maurice. 

Gli    ultimi    giorni    di    Saint- 
Pierre  L.  2  — 

Gìorgit)  Sand. 
*Mauprat  ,     .     .     :     .     .2  — 

Giulio  Sandeau. 
*Madam.^  deUa  Seiglière.  2  — 

—  Edizione  illustrata   .  5  — 

—  Nuova  ediz.  illustr.  .  3  — 
Texier  e  Le  Senne. 

Memorie  di  Cenerentola.  2  — 
Andrea  Theurìet. 

Elena  . 2  — 

Un'Ondina;  I  dolori  di  Claudio 

Bloue't 2  — 

Amor  d'autunno    .    .     .2  — 

Sacrifizio  d'amore.    .     .2  — 

Marcelle  Tlnayre. 

Hellè 2  — 

Giulio  Verne. 
Il  giro  del  mondo  in  ottanta 
giorni 2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.  .  3  50 
*Dalla  terra  alla  luna  .  2  — 
*20  000  leghe  sotto  i  mari.  2  — 
*No velie  fantastiche   .     .2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.  .  4  — 
*I  figli  del  capitano  Grant  e  Una 

città  galleggiante.  2  v.  4  — 

*Avvent.  del  cap.  Hatteras.  2  — 

Il  faro  in  capo  al  mondo.  In-8, 

illustrato 5  — 

U  dottor  Oss;  I  violatori   di 
blocco.  In-8,  iUustr.   .  2  — 
Vincent. 
Il  cugino  Lorenzo.     .     .2  — 


Giovanni  Wachenhusen. 

Per  vii  denaro.     .     .  L.  2  — 

L'inesorabile 2  — 

Pietro  Zaccoue. 
Bianchina 2  — 

Emilio  Zola. 
L'assommoir.  2  volumi  .  4  — 

—  Edizione  illustrata  .  4  — 
Il  ventre  di  Parigi    .     .2  — 

—  Edizione  illustrata  .  3  50 
La  fortuna  dei  Rougou.  2  — 
La  cuccagna  (La  Curée).  2  — 
La  conquista  di  Plassans.  2  — 
Il  fallo  dell'abate  Mouret.  2  — 
S.  E.  Eugenio  Rougon  .  2  — 
Una  pagina  d'amore  .  .2  — 
Teresa  Raquin.     .    .     .2  — 

*Racconti  a  Ninetta  .  .2  — 
*Nuove  storielle  a  Ninetta.  2  — 
*Nantas  ed  altri  racconti.  2  — 
^Misteri  di  Marsiglia.  2  v.  4  — 
Pot-Bouille  (Quel  che  bolle  in 

pentola).  2  volumi.  .  4 
Il  voto  di  una  morta  .  2 
Il  Denaro.  2  volumi .  .  4 
La  Guerra.  2  volumi     .  4 

—  Edizione  in-8  illus.  .  6 
La  Terra.  2  volumi  .  .  4 
Germinai.  2  volumi  .  .  4 
Yitad'artista(L'(Euvre).  2 

—  Edizione  illustrata  .  5 
Il  dottor  Pascal.  2  voi.  4 
n  sogno  2 

—  Edizione  illustrata  .  6 
Maddalena  Ferat  ...  2 


INGLESI  E  AMERICANI. 


Edoardo  Bellamy. 

KeU'anno  2000.     .     .     .  2  — 

Guy  Boothby. 

il  dottor  Nikola    .     .     .2  — 
Miss  Braddon. 

Per  la  fama 2  — 

Verrà  il  giorno  .  .  .2  — 
La  zampa  del  diavolo.  2  V.  4  — 
Asfodelo.  2  voi.  .  .  .4  — 
Un  segreto  fatale .  .  .2  — 
Una  vita,  un  amore  .  .2  — 
Fra  due  cognate  .    .    .  2  — 


Carlotta  Brente. 
Jane  Eyre.  2  voi. .     .     .4 
Rhoda  Broug'hton. 

Addio,,  amore    .     .     .     .2 

Edoardo  Bulwer. 
La  razza  futura    ."    .     .2 

Delannoy  Burford. 
L'assassino 2 

Roberto  Byr. 
La  legge  del  taglione   .  2  ■ 


Milano  —  Fratelli  TKEVES,  Editom  —  Milano       13 


Wilkie  Collins. 
Le  vesti  nere.  2  voi.  L.  4  — 
No.  2  voi.     .....  4  — 

Il  segreto  di  morte  .  .2  — 
Il  cattivo  genio  .  .  .2  — 
L'eredità  di  Caino     .     .2  — 

Ugo  Gonway. 
Il  segreto^  della  neve     .  2  — 
Un  segreto  di  famiglia.  2  — 

Novelle.  'I  voi 4  — 

Vivo  0  morto    .     .     .     .2  — 
Maria  Corelli. 

Vendetta 2  — 

Francis  Marion  Crawford. 
Saracinesca.  2  voi.  .  .4  — 
Sant'Ilario.  2  voi. .  .  .4  — 
Don  Orsino.  2  voi.  .  .4  — 
Corleone.  2  voi.  .  .  .4—^ 
Paolo  Patoff.  2  voi.  .     .  4  — 

Carlo  Dickens. 

*Storia  d"amor  sincero    .  2  — 

Il  Circolo  Pickwick,  2  v.  4  — 

♦Grandi  speranze.  2  voi.     4  — 

*Tempi  difficili  .     .     .     .  2  — 

Memorie    di    Cavide    Copper- 

-     field,  2  volumi  .     .    .4  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.     .  4  — 

*La  piccola  Dorrit.  3  voi.  6  — 

*L'abisso -  50 

Le  ricette  del  dottor  Marigold; 
Il  mistero  degli  specchi  2  — 
Beniamino  Dlsraell. 
Alroy  0  il  Liberatore     .  2  — 

Dick  Donovan. 
Caccia  a  fondo .     .     .     .2  — 

Conan  Doyle. 
Il    dramma    di    Pondichery- 

Lodge 2  — 

F.  Elliot. 

.Gli  Italiani 3  — 

Lauoe  Falconer. 
Mademoiselle  Ixe  .     .     .2  — 

F.  G.  Farrar. 
Tenebre  e  albori  .     .     .2  — 

Fergus  Hume. 

La  dama  ei'rante  .     .     .2  — 
11  13."  commensale    .     .  2  7— 

Lady  FuUerton. 
L'UcceUino  di  Paradiso.  2  — 


Rider  Haggard. 

Beatrice  .   •.    .    .    .  L.  2  — 

*Jess,  0  Un  amore  nel  Trans- 

vaal 2  — 

Il  popolo  della  nebbia.  2  v.  4  — 
Giovanna  Baste.  2  voi.  .  4  — 
La  fanciulla  dalle  perle.  2  — 

Hall  Caine. 
Il  figliuol  prodigo.     .     .3  — 
La    donna    che    Tn    mi    hai 
dato.  3  voi 8  — 

Hamilton-Shields. 

Tre  novelle  di  Van  Dyke.  4  — ■ 

Hill  Headon. 

La  storia  d'nn  gran  segreto. 

Con  2  .incisioni .     .     .2  — 

M.  Hewlett. 

Gli  amanti  della  foresta.  2  — 

Siias  Hocking. 
La  figUa  del  signorotto.  In-8, 

iUnstrato 3  — 

Il  cappuccio  rosso.  In-8,  illu- 
strato   1  no 

Le   avventure  di  un  curato. 
In-8,  illustrato  .     .     .  4  ^ 
Miss  Hungerford. 
Dalle  tenebre  alla  luce.  2  — 

Giorgio  James. 
L'Ugonotto.  2  volumi    .  4  — • 

Vallace  LewiS. 
Ben  Hur,  racconto  storico  dei 
tempi  di  Cristo.  2  v.  ili.  5  — 
William  John  LOCke. 

Idoli 4  — 

Stellamaris 4  — 

E.  Marlltt. 
La  Contessina  Gisella    .  2  — 
Elisabetta  dai  capelli  d'oro  2  — 

Mayne-Beid. 
La  schioppettata  mortale.  In-8, 

illustrato 4  — 

Giorgio  Meredlth. 
Diana  de'  Crossways .     .4  — 

L.  G.  Moberly. 
Il  passato  che  ritorna    .  2  — 
Miss  Mulock. 

Zio  e  nipote 2  — 

F.  Oppenheim. 
JVIisterodiBernardBrown  2  — 
La  spia  misteriosa    .    .2  — 


Ì4      Mn^NO. —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  ISÌilano 


Guida. 

AffrescW.  Con  biografia.  2  — 
*Iii  maremma     .     .     .     .6  — 

Blviugton-Pyke. 
Il  viaggiatore  misterioso.  2  — 

M.  Boberts. 
Il  segreto  della  marchesa.  2  — 

Bianca  BOOSevelt. 
La  regina  del  rame.  2  v.  4  — 

R.  H.  Savage. 
Una  moglie  d'occasione.  2  — 
Conquista  d'una  sposa   .  2  — 
Una  sireiìa  americana    .  2  — 

Walter  SCOtt. 

Ivanhoe.  In-8,  illustrato.  6  50 

Kenilworth.  In-8,  illustr.  6  50 

Quintino  Durward.  Ulus.  6  50 

R.  L.  Stevenson. 

Rapito 2  — 

La  strana  avventura  del  dot- 
tor Jekyll 2  — 

w.  M.  Thackeray. 
La  fiera  della  vanità,  o  v.  6  — 

Guy  Thorne. 
Nelle  tenebre    .     .     .     .2  — 


Mrs.  Humpliry  Ward. 
Miss  Bretherton    .     .  L.  2  — 

H.  G.  Wells. 
Novelle  straordinarie.  In-8,  con 
11  incisioni  a  colori  .  4  — 
Nei  giorni  della  cometa.  4  — 
La  visita  meravigliosa  .  2  — 
Storia  d'un  uomo  cbe  digeriva 
male  (The  history  of  Mr. 
Polly).  Con  1  incis.   .  4  — 
Gli  amici  appassionati.  2  vo- 
lumi.  7  — 

La  signora  del  mare.  .  4  — 
Anna  Veronica.  .  .  .4  — 
La  guerra  nell'aria.  2  v.  4  — 
Quando  il  dormente  si  sve- 
glierà. Con  3  incisioni.  4  — 
i —  Edizione  economica  .  2  — 

Guglielmo  Westall. 
Come  fortuna  volle   .    .2  — 

Miss  H.   WOOd. 
Nel  labirinto     .     .     .     .2  — 

E.  Yates. 
La  bandiera  gialla    .    .2  — 


TEDESCHI. 


Pietro  Beyerlelu. 
Ilcavaliere  di  Chamilly  .  2  — 

Ida  Boy-Ed. 

Serti  di  spine  .     .     .     .2  — 

E.  De  KerzoUo. 

Nella  Montagna  nera     .  2  — 

s.  Deval. 

Una  gran  dama    .     .     .  2  — 

Giorgio  Ebers. 

Homo  sum 2  — 

Ernesto  EcksteiU. 

I  Claudii 2  — 

Cuor  di  madre.     .     .     .2  — 
Afrodite 4  — 

A.  Fleming'. 

Matrimonio  strano.  2  v.  4  — 
Alfredo  Friedmann. 

Due  matrimoni.  .  .  .2  — 
Federioo  Gerstàcker. 

Casa  d'angolo   .     .    .     .2  — 


Voifango  Goethe. 
*Le  affinità  elettive    . 

Guglielmo  Hauff. 
La  dama  piumata.     . 

Sofia  Junghans. 
La  fanciulla  americana 

R.  Labacher. 

*La  scritta  di  sangue. 

Paul  Maria  Lacròma. 
La  modella;  Formosa 
Deus  Yicit  .     .     .     . 

Rodolfo  Iiindau. 
Roberto  Asbton     .    . 

Liudner. 

La  marchesa  Irene    . 
Corrado  Meyer. 
Giorgio  Jenatsch  .     . 

Eugenio  Bichter. 
Dopo  la  vittoria  del  sociali- 
smo   ,    ,2—' 


2- 

2 

2 

2  — 

2  — 
2 


Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  ÌIilano       15 


Ei-inanno  Sudermauu. 

E.  Werner. 

La  fata  del  dolore     .  L. 

2  — 

Eejetto  e  redento .     .  L. 

2  — 

L'Isola  dell'Amicizia.  2  v. 

4  — 

Via  aperta   

2  — 

Il  ponte  del  «'atto     .     . 

2  — 

—  Ediz,  ili.  con  41  dis. 

3  50 

Fratelli  e  Sorelle  .     .     . 

2  — 

Vineta 

2  — 

Berta  de  Suttner. 

Catene  infrante     .     .     . 

2  — 

*Al)basso  le  armi'.  2  voi. 

4  — 

Verso  l'altare   .     .    .    . 

2  — 

Clara  Viebig. 

Buona  fortuna!     .    .    . 

2 

L'esercito  dormente  .     . 

2 

Fata  Morgana.  2  volumi. 

4  — 

Wagner. 

—  Ediz.  ili.  da  89  incis. 

4  — 

Sottolabandiera dei  Boeri 

2  _ 

A  caro  prezzo  .     ,     .   ', 

o  _ 

E.  Werner. 

La  fata  delle  Alpi     .     . 

2  — 

Un  eroe  della  penna.     . 

2  — 

Messaggieri  di  primavera. 

2 

San  Michele 

2  — 

Caccia  grossa    .    .     .     , 

2  — 

Il  fiore  della  felici t.à.     . 

2 

Rune 

2  — 

Fiamme 

2  — 

Il  Vincitore 

4  — 

POLACCHI 

E  RUTENI. 

Kraszewskl. 

Sulla  Sprea 2  — 

Sa.cher-Masoch. 

Racconti  galliziani    .     .2  — 

Enrico  Slenklewìcz. 

Quo.Vadis?  Ed.  di  lusso.  8  — 
—  Edizione  cinematografica. 
.  lllustr.  da  78  quadri  .10  — 


Enrico  Sienkiewloz. 

Quo  Vadis?  Ediz.  pop.  .  2 
—  Edizione  in-8,  illustr.  4 
Oltre  il  mistero    .     .     .2 

Invano 2 

*L  Crociati.  3  volumi .     .6 

*Per  il  pane 2 

Stefano  Zeromski. 
Fiume  fedele    .    .    ,    .  4  • 


UNGHERESI. 


Mattrus  Jokai. 
Amato  fino  al  patibolo.    .  2  — 

Elisa  PolkO. 
Lontani  ! 2  — 


Max  Nordau. 

Battaglia  di   parassiti.   2  vo- 
lumi      4  — 

Morganatico.  2  volumi  .  4  — 


SPAGNOLI. 


Pio  Bavoja. 

La  scuola  dei  furbi  .     . 

A.  De  Alar^on. 

L'ultimo  amore.     .     .     . 

Juiio  Nombela. 
La  carrozza  del  diavolo. 


9  _ 


Armando  Palaclo  Valdés. 

Suor  San  Sulpizio.     .     .4  — 

Benedetto  Perez-Galdós'. 

Donna  perfetta.     .     .     .  2  — 

Mari  anela;  Trafalgar.     .2  — 

Don  Juan  Valera. 
Illusioni  del  d.''  Faustino.  2  — 


ARGENTINI. 


Cuàyen 

(Euima  LI  iios  de  la  Barra). 
Stella,  con  prefazione  di  Ed 
mondo  De  Amicis  .    .5  — 


Manuel  Ugarte. 
Racconti  della  Pampa.     .  2  — 


16      Milano  —  Fratelli  TREVES,  Èditobi  —  Mn.ANO 


RUSSI. 

Pietro  Boborykln. 

Principessa  Olga. 

Eattaglie  iutiine   .     .  L. 

2 

*Lavita  galante  in  Russia. 

2 

Anton  CeCOW. 

Gregor  Samarow. 

Racconti  russi  .... 

2  — 

In  cerca  di  una  sposa  . 

o 

Gernicevakl. 

Che  fave"'' 

o 

Osslp  Schubin. 

Feodor  DostoJeWSkl 

Dal  sepolcro  dei  vivi.     . 
11  delitto  e  il  castigo.  3  v. 

2 

6  — 

Ali  spezzate.     .     .     .  L. 
Un  cuore  stanco  .     .    . 
Gloria  Yictis!   .... 

2 . 

2  — 

Povera  gente!  .... 

2  — 

Alessio  TolstOl. 

*I  fratelli  Karamazoff.  2  v. 

4  — 

*Ivau  il  Terribile  .     .     . 

2  — 

L'idiota,  2  voi 

4  — 

Leone  TolstOi. 

Principe  Galytzln. 

Anna  Kareuine.  2  voi.    . 

4  — 

Il  rublo 

2  — 

La  sonata  a  Kreutzer    . 

2  — 

Senz'amore 

2 

La  guerra  e  la  pace.  4  v. 

8  — 

Il  contagio  ..... 
Maxim  GOrkl. 

2 

Ultime  novelle .... 

9  _ 

I  Cosacchi 

2- 

Lavitaèuna  sciocchezza! 

2  — 

Padrone  e  servitore  .    . 

2  — 

I  coniugi  Orlow    .     .     . 

2  — 

Che  cosa  è  l'Arte?    .     . 

2  — 

w.  Korolenko. 

Resurrezione.  2  volumi  . 

4  — 

Il  sogno  di  Makar     .     . 

2  _ 

Ivan  Turg^henieff. 

Demetrio  Mereshkowsky. 

*Fumo;  Acque  primavera. 

2  — 

*La  ]\Iorte  degli  Dei.  2  v. 

4- 

^Racconti  russi  .... 

2  — 

La    Resurrezione   degli 

Dei. 

♦Nidiata  di  gentiluomini/-  2  — 

3  volumi 

6  — 

Terre  Vergini  .... 

2- 

—  Edizione  di  lusso.     . 

8  — 

Padre  e  figli     .... 

2- 

RUMENL 

Maria  Th.  JonuetiCO.  Un  amore  tragico 4 


BELGI. 

Consclence. 

♦Statua  di  legno    ,     . 


2  — 


OLANDESI. 

Luigi  CouperuB. 

Maestà 2 

Pace  universale     ...  2 


SCANDINAVI 


Bjornstierne  BJÒ1*I1S0I1. 

*Mary. 2  — 

Johan  Bojer. 
Potenza  della  Menzogna.  2  — 
Un  cuore  ferito    .     .     .  2  — 
La  coscienza  (Erik  Evje).  2  — 
Vita    .    ,     .    .     .     .    .  4  — 


Selma  Lagerlòf. 

La   leggenda   di    Gbsta  Ber- 

•     ling 4  — 

La  casa  di  Liljecroua    .  2  — 

Otto  Moeller.' 

Oro  e  onore 2  — 


GIAPPONESI. 

Kenjiro  Tokutoml.  Nami  e  Takeo 2  — 


Dirigere  commissioni  e  vaglia  ai  Fratelli  Treves,  editori,  Milano* 


I  VICERÉ 

II. 


Ol  tivK  DI   KKinìUK :<  )   OF,  ROBERTO 
(Indizioni    Irtri;-^!. 

Le  donne,  i  cavalicr'....    1  dizione   di   lusso,   iii-3, 

illustrata   da    loo  incisioni   .      .      .   L.    io  — 

Una  pagina  della  storia  deU'a:ywre .     .      .2  — 

L' illiisioìte,   romanzo.    Nuova  edizione      •      ■      -  — 

La  ^01  te,  novelle.  4."  migliaio 2  — 

La  illessa  di  nozze,  romanzo. 2."  migliaio  •  5  — 
L'albero  della  scienza,  ì\o\eA\c.'S\\uvacA\zìoi\i^  <,  — 
Al  rombo  del  cannone.  2."  migliaio   •     ;      •      S  — 

Giacomo  Leopardi 1   -- 

/   Viceré,  t  voi io- 


^> 


FEDERICO  DE  ROPJERTO 


I  VICERÉ 


ROMANZO 

A' 

uova   edi. 

zìonc   Jrez'cs 

(m  2 

voìwiti) 

VOLUiME 

SECONDO 

..•/t" 

,'0 


••••• •• 


MILANO 

Kkatelli  Freves,  Edi  i  ori 

T920 

Secondo  miglialo. 


PROPRIETÀ      LETTERARIA. 

I  diritti  di\riproduzione  e  di  traduzione  sono  riservati 
per  tutti  i  paesi,  compresi  la  Svezia,  la  Norvegia  e  V Olanda. 

Si  riterrà  contraiifatto  qualunque  esemplare  di  quest'opera  che  non 
porti  il  doppio  timbro  a  secco  della  Società  Italiana  degli  Autori. 


Milano  —  Tip.  Treres. 


I  VICERÉ 


V. 


«Il  duca  ci'Orag-ua  !...  Il  deputalo,  il  palriolta  !... 
Dove?  Dov'è?...  Eccolo  lì!...  È  ingra-ssato  !...  Manca 
da  quasi  tre  anni!...  \'iene  da  Torino?...  Signor  du- 
ca!... Eccellenza!...  »  E  qui  saluti  ed  inchini  a  destra 
e  a  sinistra,  certuni  che  si  tiravan  da  canto  una  de- 
cina di  passi  prima  d'incontra'"Io,  e  si  scoprivano  come 
al  passaggio  del  Santissimo  Sacramento  :  tutti  che  si 
voltavano  a  seguirlo  un  pezzo  con  gli  occhi  quand'era 
già  passato.  Pochi  godevano  il  privilegio  di  poterlo  ac- 
costare, di  stringergli  la  mano,  di  chiedergli  le  sue  no- 
tizie; pochissimi,  gli  eletti,  potevano  onorarsi  d'accom- 
pagnarlo, di  scortarlo,  di  mescolarsi  al  codazzo  degli 
intimi  ammiratori  ed  amici  che  lo  seguivano  su  e  giù, 
fllla  Prefettura,  al  Municipio,  ai  Circoli.  Ed  egli  teneva 
il  centro  della  strada,  quasi  ne  fosse  il  padrone,  ascol- 
tato devotamente  da  quanti  gli  stavano  a  fianco,  aspet- 
tato da  tutta  una  corte  intenta  a  tessere  e  a  ritessere 
le  sue  lodi  quando,  per  un  piccolo  bisogno  imperioso, 
egli  s'accostava  a  un  cantone.  Al  palazzo,  lo  stesso  an- 
dirivieni d'un  tempo  :  elettori,  sollecitatori,  delegazioni 
di  società  politiche  che  tornavano  a  ringraziarlo  a  voce, 
dopo  averlo  ringraziato  per  iscritto,  del  bene  che  aveva 
fatto  al  paese  ed  ai  concittadini  :  grazie  a  lui,  la  prima 
ferrovia  a  cui  s'era  messo  mano  in  Sicilia  era  quella 
da   Catania   a    Messina,  e   il   porlo   aveva   numerosi   ap- 

De  Roberto.   /    Viccri    -lì  .1 


prodi  di  piroscafi,  e  la  città  era  stata  dotata  di  nume- 
rose scuole,  d'una  ispezione  forestale,  d'un  deposito  di 
stalloni  ;  e  un  istituto  di  credito,  la  Banca  Meridionale, 
stava  per  sorgere;  e  il  Governo  prometteva  d'intrapren- 
clere  una  quantità  d'opere  pubbliche,  di  aiutare  il  Mu- 
nicipio e  la  Provincia;  e  i  buon'  liberali,  i  fig-li  della 
rivoluzione,  ottenevano  a  poco  a  poco  quel  che  chiede- 
vano :  un  posto,   un  sussidio,   una  croce. 

La  sua  popolarità  toccava  l'apice.  Alcuni,  è  vero,  gli 
rimproveravano  l'assenza  durante  i  fatti  del  '62,  adde- 
bitandola alla  paura,  e  tiravano  in  bailo  le  storie  del 
Quarantotto,  lo  accusavano  d'essersi  finalmente  rammen- 
tato del  collegio  adesso  che,  sciolta-  la  Camera,  voleva 
gli  riconfermassero  il  mandato  ;  ma  questi  mormoratori 
erano  gli  eterni  malcontenti,  i  pochi  repubblicani,  qualche 
garibaldino  sfegatato,  tutta  gente  che  non  poteva  perdo- 
nargli la  sua  ascrizione  al  parato  conservatore.  Nelle 
conversazioni  politiche  egli  difendeva  infatti  a  spada 
tratta  la  politica  moderata,  «  ora  che  abbiamo  fatto  la 
rivoluzione  e  raggiunto  lo  scopo;  »  e  celebrava  l'azione 
prudente  del  Governo,  deplorava  le  intemperanze  di  Ga- 
ribaldi, biasimava  il  malcontento  contro  la  Convenzione 
di  settembre,  affermava  che  la  lega  dei  buoni  era  ne- 
cessaria per  salvar  la  nazione  dai  nemici  esterni  ed  in- 
terni. Più  che  nei  primi  tempi  della  deputazione,  faceva 
coljx)  mentovando  i  suoi  grandi  amici  politici  :  «  Quando 

andai  da  Minghetti Rattazzi  mi  disse In  casa  del 

ministro »   Però  non  citava  più   il  barone   Palmi;    se 

gli  parlavano  delle  gesta  del  nipote  Raimondo,  faceva 
con  le  spalle  e  col  capo  un  breve  moto  che  poteva  dir 
tutto,  secondo_l\imaj£-4oll'  mt0jua5g;ata:  approvazione, 
compatimento,  biasimo.  Ma  oramai  la  situazione  di 
Raimondo  e  di  donna  Isabella  era  legittima,  e  tutti 
i  parenti,  dopo  l'esempio  del  principe,  li  trattavano 
come  marito  e  moglie.  In  meno  di  sei  mesi,  la  Corte 
vescovile,  riconosciuto  che  il  matrimonio  era  stato  con- 
tratto per  forza  e  con  la  paura,  aveva  liberato  la  Fersa. 

Per  quello  di  Raimondo  con  la  Palmi  c'era  stato  un 


poco  più  da  fare.  Da  principio,  aspettavano  che  il 
barone  si  decidesse  anche  lui  a  chiedere  l'annulla- 
mento del  matrimonio  della  lìg"lia,  asserendo  di  averla 
forzata  a  contrarlo;  ma  il  barone,  «testa  di  villan 
cocciuto  »  spiegava  Pasqualino,  «  aveva  e  avrebbe  sem- 
pre detto  di  no,  fino  al  momento  di  tirar  le  cuoia, 
quantunque  sua  fig^lia  —  felice  memoria  —  si  fosse 
finalmente  posto  il  cuore  in  pace,  specialmente  appren- 
dendo che  il  primo  matrimonio  non  esisteva  più  e  che 
il  conte  aveva  un  figlio  da  legittimare.  La  signora 
donna  Matilde  —  giustizia  innanzi  tutto  '  —  nono- 
stante le  sue  stravaganze  era  ragionevole  in  fondo, 
0  sapendosi  del  resto  malata,  comprendendo  che  un 
po'  prima  un  po'  dopo  il  conte  sarebbe  rimasto  li- 
bero, s'era  persuasa  di  pregare  il  padre  che  consentisse 
allo  scioglimento  del  matrimonio  civile.  Del  religioso, 
no,  perchè  aveva  certi  suoi  scrupoli  un  po'  curiosi 
sulla  santità  del  sacramento;  ma  basta!  suo  marito 
si  sarebbe  contentato  dello  scioglimento  civile.  I  conti 
eran  però  fatti  senza  la  mulaggine  del  barone  villano, 
il  quale  giurava  di  voler  prima  morta  la  figliuola  che 
consentire  alla  liberazione  del  genero!...  Ah,  no?  E 
allora  il  contino  aveva  chiesto  lui  d'essere  sciolto, 
adducendo  che  la  madre  lo  aveva  costretto  a  prendersi 
quella  moglie!  » 

Sapevano  tutti  che  donna  era  stata  la  principessa, 
con  quanta  prepotenza  s'era  imposta  ai  figli.  Non 
aveva  violentata  la  volontà  di  Chiara,  per  darle  il 
marchese  di  \'illardita  ?  Così  aveva  violentata  quella 
di  Raimondo  per  dargli  la  Palmi  !  Decine,  centinaia 
di  testimonii  affermavano  che  il  contino  mai  e  poi 
mai  aveva  voluto  prender  mogjie  :  prima  di  tutti  la 
parentela,  il  principe,  le  sorelle,  i  cognati,  gii  zii, 
le  cugine;  poi  gli  amici,  poi  la  servitù,  poi  tutta  la 
città.  Ma  per  ottenere  lo  scioglimento  del  matrimonio 
bisognava  dimostrare  che  all'atto  di  pronunziare  il  sì 
che  Io  legava  per  sempre  don  Raimondo  avesse  pro- 
vato un  timor  grave  :  e  allora  il  cavaliere  don  Eugenio 


—  4  — 

era  venuto  innanzi  al  magistrato  per  testimoniare  che 
la  principessa  sua  cognata  a\eva  fatto  accompagnare 
il  figliuolo  alla  parrocchia  da  due  ccnnpìcri  armati,  i 
quali,  se  eg-li  avesse  risposto  ììo,  dovevano  legarlo, 
buttarlo  in  fondo  a  una  carrozza  che  stava  ad  aspet- 
tare vicino  alla  chiesa  e  portarlo  in  campagna  per 
usargli  le  maggiori  sevizie.  Dai  feudi  di  Mirabella 
erano  venuti  i  due  campai  a  confermare  la  testimo- 
nianza, e  il  cocchiere  l'avea  suffragata  per  suo  conto, 
e  il  sagrestano  pure.  Così,  il  .tribunale  aveva  fatto 
giustizia. 

E  certa  gente  — ■  Pasqualino  non  se  ne  dava  pace  ! 
—  pretendeva  che  quelle  testimonianze  fossero  false, 
che  i  campai  fossero  stati  pagati,  che  don  Raimondo 
avesse  dato  una  bevuta  di  trecent'onze  allo  zio  don 
Eugenio  !  Quasi  che  don  Eugenio  Uzeda  di  Franca- 
lanza.  Gentiluomo  di  Cam.era  di  Sua  Maestà  Ferdi- 
nando II  (senza  esercizio  perchè  Ferdinando  non  era 
più  di  questo  mondo  e  i  suoi  discendenti  avevano  ri- 
cevuto il  benservito)  fosse  capace  di  un'  azione  di 
questa  fatta!  Quasi  che  i  giudici  fossero  gente  da 
accettare  deposizioni  non  vere  !  Altri  volevano  dare 
a  intendere  che,  come  uomo,  il  contino  non  poteva 
spaventarsi  delle  minacce,  e  che  non  s'era  mai  dato 
il  caso  d'un  annullamento  di  matrimonio  per  costri- 
zione della  volontà  dello  sposo.  Non  s'era  ancor  dato, 
e  adesso  si  dava  :  oh  bella,  che  ci  trovavano  da  ridire  ? 
Non  ci  aveva  trovato  da  ridire  neppure  il  barone 
Palmi,  che  non  aveva  preso  parte  alla  causa  !  Le  male 
lingue  rincaravano  che  il  barone  aveva  lasciato  cor- 
rere per  amore  della  figlia,  la  quale  era  in  fin  di  vita  ; 
ma  Pasqualino,  com'è  vero  Dio,  certe  cose  neppur 
intendeva  come  potessero  capire  in  mente  umana  !  Che 
c'entrava  la  malattia  della  signora  donna  Matilde  col 
silenzio  del  barone  ?  Forse  che  a  saper,  dissolto  il  ma- 
trimonio, la  signora  Matilde  sarebbe  guarita  dalla 
contentezza?  Era  moria,  invece  —  salut'a  noi  !  — 
qualche  mese  dopo  le  giuste  nozze  del  conte  e  di  donna 


—  5  — 

Isabella  !  nunque  il  barone  era  riniaslo  zitto  perchè 
sapeva   che    il    i^eiiero    diceva   la    \erità  ! 

Subito  dopo  la  pace  col  principe,  Raimondo  e  donna 
Isabella  s'erano  riconciliati  con  una  gran  parte  de^li 
antichi  oppositori  ;  la  cugina  Graziella,  specialmente, 
s'era  messa  a  difenderli  con  maggior  calore  dello 
stesso  Pasqualino,  dimostrando  che  la  passione  è 
«  cieca  »,  che  gli  uomini  «  sono  fatti  di  carne  »,  e  le 
donne  pure,  e  che  la  colpa  di  tutto  quel  che  succedeva 
anda\a  attribuita  tutta  alla  leggerezza,  «  per  non  dir 
altro  »,  della  Palmi.  Tuttavia',  buona  parte  della  no- 
biltà restava  a  fare  il  a  iso  dell'arme  a  Raimondo  ed 
all'amica;  ma  la  cugina  assicurava  che  a  poco  a  poco 
tutti  si  sarebbero  addomesticati,  specialmente  quando 
i  tribunali  avessero  fatto  giustizia,  accordando  i  di- 
vorzii  ;  e  non  contenta  di  dare  assicurazioni,  faceva 
propaganda,  persuadeva  i  tentennanti,  teneva  fronte 
ai   Ixìrbottoni. 

Frattanto,  ringraziato  Ferdinando  dell'ospitalità  che 
gli  aveva  accordata,  Raimondo  s'era  preso  in  affitto 
un  quartiere  nel  palazzo  Roccasciano  e  v'era  andato 
a  stare  insieme  con  la  futura  moglie.  Giacomo,  il 
Priore,  il  duca  avevano  veramente  consigliato  loro 
di  non  farne  nulla,  di  restar  piuttosto  alla  Pietra  del- 
l'Ovo  fino  al  giorno  Iella  loro  legittima  unione  e  poi 
andar  via,  a  Napoli,  a  Milano,  a  Torino,  in  mezzo 
a  gente  nuova.  Ma  donna  Isabella,  a  cui  le  schifiltose 
avevano  fatto  troppi  affronti,  voleva  prendere  la  ri- 
vincita ed  assaporare  il  trionfo.  Raimondo,  impegnato 
a  spuntarla  contro  tutti  e  tutto,  faceva  ancora,  suo 
malgrado,  ciò  che  ella  \oleva.  Fermo  proposito  di  lui 
era  d'andar  via  al  più  presto,  non  già  per  le  ragioni 
di  prudenza  suggerite  dai  parenti,  ma  perchè  non 
ammetteva  di  poter  vivere  due  giorni  di  seguito,  senza 
una  estrema  necessità,  nel  paese  nativo;  poche  pa- 
role dell'amica  bastarono  a  dissuaderlo.  I  suoi  parenti 
non  consigliavano  forse  quel  partito  perchè,  nono- 
stante  la   pace,    avevano    mediocre   piacere   di    trattarla 


—  6  — 

e  preferivano  saperla  lontana  ?  Xon  c'erano  tuttavìa 
tante  persone  che  la  salutavano  freddamente,  che  evi- 
tavano di  parlarle?...  Ed  egli  cominciò  a  far  spese 
pazze  per  n-.etter  su  una  casa,  volle  che  il  matrimonio 
si  celebrasse  con  la  massima  pompa,  quasi  sfidando 
chi  prima  aveva  sostenuto  impossibile  la  riuscita  della 
sua  impresa.  Fu  una  festa  sontuosa  alla  quale  molti 
di  quelli  che  s'erano  ostinati  nel  biasimo  sollecitarono 
il  g-rande  onore  di  poter  assistere,  e  cosi  donna  Isabella 
assaporò  la  voluttà  di  vederseli  ai  piedi.  Peccato  che 
la  cug'ina  Graziella,  la  quale  aveva  tanto  contribuito 
a  quest'effetto,  non  potesse  goderne  anche  lei,  poiché 
suo  marito,  pochi  giorni  prima,  aveva  preso  un  raf- 
freddore che  pareva  all'  inizio  una  cosa  da  nulla,  ma 
che  giusto  la  notte  degli  sponsali  degenerò  in  polmo- 
nite e  tre  giorni  dopo  lo  ammazzò. 

Tutti  gli  Uzeda  furono  da  lei  in  quella  dolorosa 
circostanza;  il  principe,  specialmente,  nonostante  l'abi- 
tuale freddezza,  mostrò  di  prendere  molta  parte  al 
dolore  della  cugina.  Ella  pareva  veramente  inconso- 
labile, raccontava  a  tutti  piangendo  la  gran  bontà  del 
povero  marito  suo,  il  grande  amore  che  gli  aveva 
portato,  r  irreparabile  sciagura  che  quella  morte  era 
per  lei.  Soltanto  la  vista  dei  suoi  «  cari  cugini  »,  i 
conforti  della  «  famiglia  »,  lenivano  il  suo  cordoglio  : 
i  «  cugini  »,  gli  «  zii  »,  erano  ormai  i  soli  che  le  re- 
stavano. Ella  mise  per  ogni  dove  i  .segni  del  corrotto, 
per  poco  non  si  tinse  di  nero  la  faccia,  e  durante  un 
buon  numero  di  mesi  rifiutò  ostinatamente  di  prender 
aria,  neanche  in  carrozza  chiusa,  di  sera.  Ma  la  sua 
prima  visita  fu  'al  palazzo  del  principe,  dove,  a  poco 
a  poco,  riprese  l'abitudine  di  venire  spesso  a  con- 
fortarsi. Si  prendeva  in  braccio  Teresina  ed  escla- 
mava, con  voce  rotta:  «Figlia  miai  Figlia  mia!... 
Se  il  Signore  mi  avesse  concesso  una  figlia  come  te, 
non  sarei  rimasta  sola  al  mondo  I...  Il  Signore  ti  con- 
servi sempre  all'affetto  di  tua  madre....  Figlia!  Fi- 
glia   mia!...»    tanto    che    la    principessa    Margherita, 


mollo  impressionabile,  si  melte\a  a  piangere  anche 
lei.  Col  tempo,  nondimeno,  quel  grande  dolore  si 
calmò,  divenne  più  composto,  tale  da  consentirle  di 
occuparsi  delle  cose  mondane.  Suo  marito  l'aveva  la- 
sciata erede  universale  d'una  discreta  sostanza,  tal- 
ché ella  non  aveva  da  inquietarsi  per  l'avvenire;  piut- 
tosto, non  sapendo  come  disbrigare  gli  affari  del- 
l'eredità, rivolgevasi  al  cugino  principe,  il  quale  glieli 
metteva  in  piano.  Pertanto  ella  veniva  adesso  tutti  i 
giorni  al  ^palazzo,  certi  giorni  più  d'una  volta;  ma, 
quantunque  non  avesse  affari,  andava  pure  spesso  da 
Lucrezia,  dalla  «  zia  »  Ferdinanda  e  dalla  «  cugina  » 
Isabella.  In  casa  di  costei  tuttavia,  a  causa  del  lutto, 
non  compariva  il  lunedi,  giorno  nel  quale  la  contessa 
«  riceveva  ». 

Quest'  uso  di  ricevere  in  un  giorno  determinato  era 
una  gran  novità  della  quale  si  discorreva  molto.  Donna 
Isabella,  che  non  s'appagava  del  trionfo  d'una  sola 
sera  e  voleva  piegare  le  ultime  ostinate  oppositrici, 
l'aveva  introdotto,  riuscendo  cosi  a  dare  al  suo  salotto 
un  tono  speciale,  un'  importanza  straordinaria,  tale 
che  le  più  restie  brigavano  finalmente  l'onore  di  es- 
servi ammesse.  Talché,  dopo  appena  tre  anni  che  era 
venuta  in  una  volgare  camera  d'albergo,  moglie  della 
mano  imanca,  osteggiata  da  tutti,  ella  troneggiava 
in  queir  inverno  del  65,  autentica  contessa  di  Lumera, 
fra    una   corte   di   ammiratori. 

—  Grazie!  Grazie!...  —  diceva  a  Raimondo,  get- 
tandogli le  braccia  al  collo  e  stringendolo  a  sé.  — 
Tu  l'hai   voluto   e   ottenuto!...    Grazie  !   Grazie!... 

Egli  restava  di  m.armo  sotto  quelle  carezze.  Vinta 
la  partita,  cessata  la  febbre  che  lo  aveva  animato 
contro  le  difficoltà,  i  contrasti  e  le  opposizioni  d'ogni 
genere,  faceva  il  conto  di  quanto  gli  costava  quel  ri- 
sultato. Confusamente,  sordamente,  poiché  non  poteva 
convenire  di  esser  stato  tanto  cieco,  sentiva  d'aver 
lavorato  a  ribadirsi  al  collo  una  nuova  e  più  pesante 
ed  infrangibile  catena,   quando  invece  la  sua  personale 


.    —  8  — 

aspirazione,  il  suo  unico  ardente  desiderio  sarebbe 
stato  quello  di  liberarsi  del  tutto.  .Scontento,  irre- 
quieto, nervoso,  frenavasi  dinanzi  alla  gente;  ma  in 
casa,  coi  familiari,  trtì\ava  nelle  circostanze  più  futili 
un  motivo  di  sfogarsi,  di  gridare,  di  maltrattare  qual- 
cuno; Pasqualino  riceveva  sulle  spalle  il  fitto  della 
gragnuola  ;  donna  Isabella  sentiva  la  tempesta  mi- 
nacciare anche  ilei,  ma  la  stornava  a  furia  di  sommes- 
sione,  secondando  iscmpre  e  comunque  l'umore  del 
marito. 

Adesso,  r  incosciente  rancore  di  cui  Raimondo  era 
animato  contro  di  sé  rovesciavasi  sui  parenti  ;  egli 
sapeva  che  in  modo  diverso,  per  diverse  ragioni,  in- 
coraggiandodo  o  contraddicendo'lo,  avevano  contri- 
buito al  suo  danno,  e  non  potendo  accusare  sé.  stesso, 
se  la  prendeva  con  quelli.  .Sua  moglie,  per  evitare  che 
egli  pensasse  ad  altro,  gli  parlava  male  di  tutti  gli 
Uzeda.  E  la  materia  era  inesauribile.  Chiara,  per 
esempio,  che  aveva  fatto  la  scrupolosa  quand'essi  non 
erano  uniti  legittimamente,  adesso  dava  da  parlare 
a  tutta  la  città  per  le  cose  vergognose  che  tollerava 
in  casa  sua.  Con  J'utero  fradicio  dopo  l'estirpazione 
della  ciste,  non  poteva  più  essere  toccata  dal  marito, 
e  di  che  si  lagnava,  quella  pazza?  Forse  della  condi- 
zione in  cui  era  ridotta?  del  male  che  da  minacciava 
sordamente  ?  Nossignore  :  il  suo  gran  dolore  era  di 
non.  poter  servire  a  Federico  !  E  comprendendo  che 
questi,  il  quale  non  aveva  niente  di  fradicio,  anzi  era 
sanissimo  come  una  lasca,  non  ipoteva  far  quaresima 
tutto  l'anno,  che  aveva  /pensato?  di  scegliergli  lei 
stessa  certe  fiorenti  cameriere,  una  più  bella  dell'al- 
tra, e  gliele  metteva  nel  letto,  e  le  trattava  a  zucche- 
rini, quasi  le  serviva  lei  stessa  invece  di  farsene  ser- 
vire !...  «  Son  cose  vergognose?...  È  pazza?...  »  escla- 
mava donna  Isabella,  rammentando  a  Raimondo  la 
storia  del  matrimonio  di  Chiara  con  quel  marchese 
aborrito,  la  violenza  che  la  principessa  madre  aveva 
dovuto  farle.  «  E  gli  altri?  e  le  altre?...  »  Infatti,  dove 


—  9  — 

metter  Lucrezia  ?  f.a  pazzia  di  costei  era  andata  tut- 
t'al  rovescio  :  dopo  aver  fatto  cose  de'U 'altro  mondo  per 
sposare  Gililente,^  adesso,  a  poco  a  poco,  era  arri- 
vata quasi  a  disprezzarlo,  ì;1ì  dava  dell'asino  a  tutto 
pasto,  non  poteva  soffrire  la  sua  politica  che  prima 
l'aveva  accesa,  gli  diceva  sul  muso  :  «  Ha  pur  da  tor- 
nare Francesco  IT  che  vi  legherà  tutti  quanti  !...  » 
E  le  speculazioni  di  don  Eugenio?  Costui,  facendo 
pag-yre  un  occhio  del  capo  al  principe  di  Roccasciano 
cocci  ed  imbratti,  li  riprendeva  per  due  baiocchi  dalla 
moglie  che,  invasata  dal  demonio  del  giuoco,  li  sot- 
traeva clagli  scaffali E  la  metamorfosi  di  Ferdi- 
nando ?  Pareva  che  la  passione  per  le  Ghiande  non 
potesse  finirgli  mai  :  un  be»l  g-iorno  le  aveva  piantate, 
aveva  lasciato  in  asso  tutti  gli  esperimenti  agricoli  e 
meccanici  e  se  n'era  venuto  a  stare  in  città.  Non  man- 
cava ai  lunedì  della  cognata,  andava  tutte  le  sere 
al  teatro,  frequentava  le  donne,  e  per  non  metter  più 
piede  nel  podere  che  gli  era  stalo  tanto  a  cuore,  la- 
sciava che  il  suo  fattore  gli  rubasse  gli  occhi.  «  È 
pazzo?...  Son  pazzi?...  »  Don-na  Isabella  non  parlava 
d'altro,  sapendo .  d'appagare  il  rancore  di  Raimondo. 
Egli  l'aveva,  si,  con  tutti,  ma  il  suo  astio  più  grande 
era   serbato  al  principe. 

Giacomo  non  aveva  prodotto  solo  un  danno  morale  al 
fratello,  gli  aveva  anche  fatto  pagar  salato  il  suo  ap- 
poggio. Xei  momenti  in  cui  era  impegnato  a  spun- 
tarla contro  tutti,  a  trionfare  degli  immensi  ostacoli 
di  cui  era  irta  1'  impresa  dello  scioglimento  dei  ma- 
trimonii,  Raimondo  non  aveva  neppur  calcolato  quel 
che  gli  costava  la  pace  col  fratello  maggiore  ;  era 
tanto,  allora,  il  suo  impegno,  che  egli  avrebbe  forse 
consentito  a  cedere  tutto  quanto  possedeva,  .\desso  che 
faceva  il  conto  e  tirava  ile  somme,  vedeva  che  Gia- 
como g-li  aveva  preso  un  buon  terzo  del  suo.  Come  a 
Lucrezia,  aveva  presentato  a  lui  la  nota  dell'ospitalità 
accordatagli,  una  nota  molto  lunga  perchè  compren- 
deva le    spese   fatte   per   la    Palmi   e    le   bambine  ;    poi 


—   io  

aveva  tirato  fuori  le  solite  cambiali  apparse  doipo  la 
morte  della  madre,  addebitandogliene  la  metà;  e  nei 
conti  della  procura  aveva  dimostrato  d'esser  rimasto 
creditore  di  parecchie  migliaia  d'onze,  per  gì'  interessi 
accumulati  degli  anticipi  :  cosi  s'era  preso  i  due  fondi 
di  Burgio  e  BurgiteJlo.  Ma  la  magagna  più  grossa 
era  stata  operata  nella  divisione,  perchè  egli  aveva 
messo  secondo  gli  conveniva  i  prezzi  alle  terre,  e  te- 
nuto (per  sé  le  'migliori  e  le  più  vicine.  In  cambio  di 
altre  proprietà  gli  aveva  ceduto  rendite  fradice,  di 
difficile  ed  incerta  riscossione,  e  non  contento  di  tutto 
ciò,  gli  aveva  anche  imposto  di  rinunziare  all'uso  del 
quartiere  nel  palazzo  avito,  a  quella  clausola  del  testa- 
mento materno  che  gli  stava  come  un  bruscolo  negli 
occhi Passata  pertanto  la  foga  della  lotta,  Rai- 
mondo era  animato  da  un  sordo  astio  contro  di  lui  ; 
ma  donna  Isabella,  parlandogli  male  del  fratello,  non 
rammentava  già  queste  cose,  comprendendo  che  l'ar- 
gomento era  a  due  tagli  e  si  poteva  ritorcere  contro 
di  lei.  Invece  critica\'a  il  carattere  (prepotente  del 
cognato,  la  sua  severità  verso  la  moglie,  iJ  suo  disa- 
more per  tutti,  la  sua  doppiezza  con  gli  zii.  Curiosa 
per  indole,  viglile  per  interesse,  ella  veniva  scoprendo, 
adesso,  in  casa  di  lui,  qualche  cosa  di  nuovo  che  le 
dava  buono  in  mano.  «Hai  visto?...  Hai  visto?...  » 
diceva  al  marito  tutte  le  volte  che  tornavano  a  casa 
dopo  essere  stati  al  palazzo.  «  E  faceva  il  morali..ta 
anche  lui  !  Bisognava  sentirlo,  quando  predicava  !... 
E  quella  stupida  di  Margherita  che  non  s'accorge  di 
nulla  !...  » 

La  principessa,  infatti,  non  pareva  notasse  che  da 
un  pezzo  la  vedova  cugina  veniva  a  consolarsi  «  in  fa- 
miglia »  tutte  le  sante  mattine  che  il  Signore  man- 
dava e  tutte  le  sante  sere.  Il  principe  s'occupava  di 
metterle  in  ordine  l'eredità,  e  per  ciò,  avendo  bisogno 
di  parlarle,  l'andava  spesso  a  trovare  per  suo  conto; 
certe  volte  la  riconduceva  con  sé  al  palazzo.   La  sera 


ella  restava  lino  all'ultimo  nella  Sala  Gialla,  dove  la 
solita  società  si  riuniva.  Nessuno  deg^li  Uzeda,  p>el 
momento^  vi  mancava  :  il  matrimonio  di  Raimondo 
pareva  avesse  ricondotto  la  pace  in  tutti  gli  animi. 
Il  duca  pontificava,  aggiustava  1'  Europa  in  quattro 
e  quattr'otto,  le  finanze  italiane  in  men  che  non  si 
dice,  e  Giulente  stava  a  udirlo  come  il  Messia,  lascian- 
dosi rimorchiare  sempre  più,  disertando  il  suo  par- 
tito per  corteg'giare  lo  zio,  aspettando  di  prenderne 
il  posto.  Il  duca,  infatti,  g'Ji  aveva  '  eletto  :  «Quando 
sarò  stanco,  lascerò  a  te  il  collegio  »  ;  e  questa  era 
la  secreta  brama  di  Benedetto  :  esser  deputato,  met- 
tersi nella  grande  politica.  Per  dargli  pazienza,  il 
duca  lo  aveva  fatto  ©leggere  consigliere  comunale,  e 
discorreva  con  lui  anche  delle  cose  del  Municipio,  delle 
riforme  da  introdurvi.  Quantunque  il  Parlamento  fosse 
in  piena  sessione,  egli  non  parlava  d'andar  via,  occu- 
pato a  sbrigare  i  suoi  affari.  Il  patriottismo  gli  era 
costato  :  per  sussidiare  i  perseguitati,  per  comperar 
fucili  e  cartucce,  per  offrire  rinfreschi  alla  Guardia 
nazionale,  aveva  fatto  qualche  debituccio,  ipotecata 
la  sua  magra  proprietà  :  ora  la  rimetteva  in  ordine. 
Dove  trovava  i  quattrini  ?  Dicevano  che  spartisse  ne- 
gli appalti  fatti  accordare  a  Giulente  zio  ;  ma  quei 
guadagni,  quantunque  grossi,  non  potevano  bastare 
alle  grandi  operazioni  che  disegnava.  Fondata  la 
Banca  Meridionale  di  Credito  e  di  Depositi,  aveva 
sottoscritto  per  cento  azioni  di  mille  lire  l'una;  è  vero 
che  ncTi  aAeva  versato  se  non  un  quarto;  ma  nello 
stesso  tempo  egli  parlava  d'una  grande  compagnia 
di  navigazione  a  vapore,  d'una  società  per  la  lavo- 
razione degli  zolfi,  di  un'altra  pel  taglio  dei  boschi 
etnei.  Don  Blasco  e  donna  Ferdinanda,  ciascuno  per 
conto  proprio,  s' ingegnavano  con  ogni  mezzo  di  ap- 
purare come  facesse  ;  fu  il  marchese  Federico  quello 
che  li   mise  sulla  buona  strada. 

Con  le  economie  del  suo  largo  reddito,   il  marchese 
faceva  ogni  anno  qualche  acquisto;  ultimamente  aveva 


12    - — 

comperato  una  villa  al  Belvedere,  per  stare  a  casa 
propria  durante  la  vi.ldejj^giatura,  e  g'ii  era  rimasta  tut- 
tavia una  sommetta  della  quale  non  sapeva  che  fare. 
Era  troppo  esigua  per  comprare  una  proprietà;  darla 
a  mutuo  non  voleva;  che  CQsa  bisognava  farne?  «Ac- 
quistane rendita  pubblica  !  »  gii  aveva  consigliato  il 
duca,  spiegandogli  i  vantaggi  dell'  impiego,  offrendo- 
gli di  farla  venire  da  Torino.  «  Vostra  Eccellenza  ne  ha 
dunque  comprala?  »  gli  domandò  il  marchese;  «  Ne  ho 

comprata,   ne  ho  venduta secondo  i  corsi —    capisci 

bene....  »  poi,  quasi  pentito  d'avergli  fatto  comprendere 
che  ci  aveva  speculato  su  durante  i  cinque  anni  passati 
a  Torino,  col  comodo  delle  notizie  appurate  nelle  anti- 
camere dei  ministeri,  aveva  mutato  discorso.  Il  rriar- 
chese  titubò  un  pezzo,  un  po'  per  fedeltà  al  principio 
borbonico,  m'olto  piij  per  paura  d'-  perdere  i  suoi  quat- 
trini, frutto  e  capitale,  con  l' idea  che  1'  Italia  fosse  sem- 
pre sul  punto  non  che  di  fallire,  ma  di  andare  a  rotoli  ; 
lìnalmente  un  giorno,  incontrato  il  duca  che  veniva  a 
riscuotere  le  cedole  del  semestre  scaduto,  vistolo  venir 
via  con  un  bel  rotolo  d'  biglietti,  si  decise.  E  la  sera 
che  annunziò  al  palazzo  l'acquisto,  bisognò  sentir  don 
Blasco  I 

—  Ah  pezzo  di  pagliaccio!  Anche  tu?  Con  l'Italia 
anche  tu  ?   Sei   impazzito   anche  tu  ? 

—  Perchè?  —  tentò  rispondere  il  marchese.  —  Al  ses- 
santasei, il  capitale  frutta  il  sette  e  mezzo  per  cento — . 
Le  cedole  sono  pagate  puntualmente  alla  scadenza — 

n  monaco  stava  a  sentirlo,  spalancando  tanto  d'occhi, 
come  aspettando  di  vedere  fin  dove  sarebbero  arrivate 
le  enormità  che  quel  bestione  eruttaA'a  :  alla  fine  scop- 
piò : 

— ■  Te  ne  netterai  il  fondamento,  delle  tue  cedole  '■... 
Andrai  a  riscuoterle  al  luogo  comodo,  pezzo  d'asino!... 

—  E  rivolto  a  Chiara,  con  le  mani  in  capo  :  —  Fallo 
interdire!...  Ti  vuol  rovinare!...  L'impiego  al  sette  per 
cento!...  Se  non  ne  vogliono  neppure  in  elemosma?... 

—  Girando  poi   uno   sguardo   tutt 'intorno,   con   amara 


ironia  :  —  Impiego  sicuro,  S'ignori  mici  I,...  Quando  la 
rendila  napoletana  era  al  cento  e  dieci  !...  Un  altro 
poco  e  scenderà  al  cinque,  la  cartaccia  sporca  !...  Allora 
con  cinque  lire  di  capitale,  avremo  cinque  lire  l'anno  ! 
Arricchiremo  tutti  quanti  !  \'iva  la  cuccagna  !  \'iva  il 
gran  Vittorio  ! 

Il  duca,  che  stava  in  un  angolo  con  Benedetto  spie- 
gandogli le  proprie,  idee  sull'avviamento  della  Umica 
M cì'idioìiale,  che  sotto  la  direzione  di  don  Lorenzo  Giu- 
lente  doveva  «venire  all'aiuto  dell'incremento  indu- 
striale e  commerciale  »  e  «  cooperare  l'opera  protettrice 
del  g-overno,  »  sorrise  impercettibilmente,  scrollando  le 
spalle,  alla  sfuriata  del  fratello;  Chiara,  preso  in  di- 
sparte suo  marito,  g-li  disse  : 

—  Non  dar  retta  a  quel  pazzo!...  Tu  hai  fatto  be- 
nissimo :  comprane  dell'altra.  —  E  dopo  un  poco  lo 
condusse  via,  prima  che  la  società  si  sciog;liiesse,  come 
faceva  da  un  pezzo,  senza  che  si  sapesse  la  rag-ione 
della  sua  gran  fretta  di   tornare  a  casa 

La  ragione  era  questa  :  che  Rosa  Schirano,  la  nuova 
cameriera  da  lei  presa  a  Federico,  un  bel  pezzo  di  ra- 
gazza della  Piana,  bianca  e  rossa  al  pari  d'una  mela, 
era  incinta  per  qpera  del  marchese  ;  e  invece  di  cac- 
ciarla via,  ella  non  capiva  in  sé  dal  contento.  Questa  era 
anzi  la  secreta  speranza  che  l'aveva  indotta  a  metter 
tante  fresche  ragazze  a  fianco  del  marito;  poiché  vo- 
leva un  figlio  di  lui  e  non  era  buona  di  farlo,  s'accon- 
tentava di  quello  di  un'altra,  le  pareva  naturalissimo 
circondare  di  cure  quest'altra  che  Federico  aveva  fe- 
condata, e  ne  invidiava  la  sorte  Ella  stessa  le  aveva 
strappato  la  confessione  dell'errore,  e  la  ragazza,  im- 
paurita e  tremante,  era  rimasta,  poiché  la  padrona, 
invece  di  buttarla  giù  dalle  scale,  le  aveva  detto  :  «  Non 
t 'inciuietare  ;  penserò  io  a  tuo  figlio  !...  »  Da  quel  giorno 
Chiara  non  aveva  avuto  pensieri  se  non  per  la  came- 
riera. Un  certo  senso  di  rispetto  umano  le  aveva  impe- 
dito di  continuare  a  tenerla  nelle  proprie  camere  col 
ventre    sempre    più    gonfio  ;    ma    giù    nel    cortile,    nelle 


—  14  — 

stanze  che  la  moglie  del  cocchiere  era  stala  costretta  a 
cederle,  la  visitava  tre  e  quattro  volte  il  giorno,  le 
mandava  i  mig'liori  bocconi  della  sua  tavola,  la  teneva 
nella   bambagia. 

Quando  la  cosa  si  riseppe,  tutti  i  parenti,  special- 
mente i  fiutoni,  don  Blasco  e  donna  Ferdinanda,  co- 
minciarono a  fare  un  diavolio,  gridandole  che  dovesse 
cacciare  a  pedate  quella  ciarpa  ;  ma  Chiara,  fingendo 
che  Rosa  avesse  la  tresca  fuori  di  casa,  la  scusava,  di- 
chiarava di  non  poterla  veder  soffrire.  «  Le  tentazioni, 
per  queste  povere  ragazze,  sono  tante  !...  Speriamo  che 
la  sposerà,  chi  è  stato Io  so  che  cosa  vuol  dire  gra- 
vidanza—  Non  ho  il  coraggio  di  buttarla  in  mezzo  a 
una  strada —  »  Ma  il  piij  bello  era  che  il  marchese  si 
seccava  e  si  vergognava  anche  un  poco  di  quella  pater- 
nità clandestina.  Col  marito.  Chiara  non  aveva  tenuto 
nessun  discorso  in  proposito;  ma  quando  la  cugina  Gra- 
ziella si  mise  anche  lei  della  partita,  veneJido  a  dirle  di 
mandar  via  quella  sgualdrina,  ella  si  fece  rossa,  non 
sajpendo  li  per  li  che  rispondere;  ma  appena  l'altra  se 
ne  andò,    proruppe,    rivolta   a    Federico  : 

—  Sentila,  adesso!...  Io  faccio  quel  che  mii  pare  e 
piace,  e  tu  solo  hai  il  diritto  di  comandare,  qui  dentro  !... 
Fa  la  scrupolosa,  adesso,  questa  non  so  che  cosa  ! 
Dopo  che  ruba  Giacomo  a  sua  moglie  !  Ci  vuole  la  scioc- 
chezza di  mia  cognata,  per  non  accorgersi  di  nulla!... 

\'eramente,  più  d'uno  ne  cominciava  ora  a  mormo- 
rare, e  tra  la  servitù  delle  due  case  correvano  già  certe 
occhiate  d'intelligenza,  si  scambiavano  certi  commenti 
che  facevano  inghiottire  a  Baldassarre  botti  di  veleno. 
Il  signor  principe  non  poteva  dunque  fare  un  atto  di 
carità,  sorvegliando  l'amiministrazione  intricata  della  cu- 
gina, che  già  le  lingue  di  vipera  ci  trovavano  a  ridire  ? 
Forse  perchè  s'era  parlato  di  matrimonio,  tanti  anni 
addietro  ?  Ma  il  padrone  aveva  fatto  la  volontà  della 
principessa,  sant'anima,  e  adesso  pensava  ai  suoi  figli, 
rispettava  la  moglie,  aveva  tutt 'altro  pel  capo  che  le 
galanterie  !  Se  avesse  voluto  andar  dietro  alla  cugina, 


—  15  — 

ne  avrebbe  avuto  tanto  tempo,  senza  aspettar  la  morte 
del  marito,  perchè  proprio  quel  buon  diavolaccio  del  ca- 
vaJier  Carvano  non  era  tipo  da  metter  paura  !  Non  ve- 
devano del  resto  la  principessa  ?  Era  la  piia  interessata 
di  tutti  a  sapere  la  verità  ;  e  se  quelle  ciarle  maligne 
avessero  avuto  fondamento,  se  ne  sarebbe  rimasta  così 
tranquilla  ?... 

La  principessa  era  più  tranquilla  che  mai,  sempre 
piena  d'obbedienza  verso  il  marito,  sempre  aspettando 
gli  ordini  che  egli  le  impartiva  spesso  con  una  sola 
guardata.  La  cugina  a  ipoco  per  volta  quasi  domicilia- 
vasi  a  palazzo,  dava  ordini  alle  persone  di  servizio  come 
le  pagasse  lei,  esprimeva  su  tutti  gli  affari  della  casa  la 
propria  opinione,  della ,  quale  il  principe  teneva  piia 
conto  che  non  di  quella  della  moglie  ;  ma  donna  Mar- 
gherita, invece  di  dolersene,  respirava  più  liberamente 
perchè  Giacomo  la  lasciava  quieta,  non  pretendeva 
ch'ella  gii  desse  ragione  in  tutto  e  per  tutto,  e  non  la 
rimproverava  se  le  cose  non  riuscivano  poi  com'ei 
voleva.  Pertanto,  se  qualche  giorno  la  vedova  non 
veniva,  ella  la  mandava  a  chiamare  prima  che  il 
principe  notasse  l'assenza,  e  la  tratteneva  tutto  il 
giorno  in  casa,  le  affidava  Teresina,  la  trattava  come 
una  sorella.  Quell'intrinsichezza  le  procurava  un  altro 
vantaggio  grande,  impagabile,  risparmiandole  l'orrore 
di  toccar  le  chiavi,  i  mobili,  gli  aggetti.  Quando  biso- 
gnava metter  fuori  biancherie,  o  frugare  negli  armadii, 
o  riporre  qualche  cosa  nelle  casse,  la  cugina  faceva 
tutto  lei,  andava  e  veniva  con  le  chiavi  ailla  cintola  per 
■la  casa,  la  metteva  sossopra,  al  punto  che  in  sua  as- 
senza non  si  trovava  più  nulla  e  bisognava  mandare 
qualcuno   a  chiamarla. 

—  ALmeno,  levassero  via  la  bambina  !  —  diceva 
donna  Isabella,  scandalizzata,  a  Raimondo.  —  La  fanno 
assistere  a  un  bello  spettacolo!... 

E  don  Blasco  e  donna  Ferdinanda  già  cominciavano 
a  fare  anch'essi  i  loro  commenti;  ma  quando  Rosa 
^chirano    partorì    al   marchese    un  bel    figlio    maschio, 


~  i6  — 

liiaini)   e   i^osso,   ijrosso  v  j^rasso,   la   niunit   i^ucrra   tra 
L^li   lizccla  divenne  i^enerale. 

Chiara,  fuori  dei  panni  dal  ,()iai-cic,  imprese  \)cin<)  a 
s"'  la  camriitTa,  le  cereo  \in:\  balia,  diede  al  piei-oliiio 
liillii  il  ((irredo  i])i"epara1o  un  K'inpo  pei  suoi  ])i"opi"ii 
r!:,;li.  Lo  lene\a  nialiiua  e  .sera  in  bi'aeeio,  lo  da\a  a  ba- 
tiale al  marito  dic-endof^ii  :  ((Guarda  exjmi'è  bello!...  'li 
sonii;;li;i,  ih?...  »  ma  c|uand'era  sola,  faceva  calare  dal- 
l'allo  deirarinatlio  l.i  boccia  polvei'osa  col  nioslriccial - 
lolo  parloritcì  da  ki,  abbracciava  con  un  solo  sguardo 
l'orribiU'  aborto  giallo  come  di  seg'o  e  il  bambino  ])af- 
lulo  che  tirava  pugaii,  e  due  lacrime  le  .spuntavano  sulle 
citnli;i.  ((Sia  latta  la  volontà  di  Dio!...»  Riposta  la 
boccia,  tutte  le  sue  cure  e  tutti  i  suoi  pensieri  si  rivol- 
i^'cvano  al  figlio  di  Rosa,  al  (luale  aveva  persino  messo 
il  nome  di  i<\'derico....  Ma  Giacomo  diede  della  pazza 
alla  sorella;  Chiara,  sentendosi  punj^'ere,  si  mise  a  can- 
tare contro  il  fratello  che  teneva  la  yanza  in  casa  e  le 
atlitlava  la  figlia;  l.uciezia,  che  a\e\a  i^ià  fatto  ])ace  con 
Giacomo  al  tempo  del  matrimonio  di  Raimondo,  voltò 
iuio\aniente  casacca  e  accusò  Giacouio,  unicamente  per- 
chè Henedetto  consentiva  con  lui  nel  biasimare  le  stram- 
berie della  marchesa;  donna  Isabella,  per  distrarre 
Raimondo,  i-he  a\(\a  un  umore  sempre  più  nero,  rin- 
carò la  dose  contro  il  |)rincipi',  (~onlro  Chiara,  contro 
l.uci\'zi;i  ;  don  liiasco  e  donna  h'erdinanda  solliavano 
nel  fuoco  ciascuno  per  suo  conto,  ora  formando  leijhe 
contro  Chiara,  ora  contro  Giacomo,  ora  lontro  la  con- 
les.sa;  e  tutti  e  tutte,  giovani  e  vecchi,  fratelli  e  sorelle, 
/ii  e  nipoti,  ricominciavano  a  buttarsi  addosso,  \()lta  per 
volta,  l'accusa  tli  stravag"anza,  di  ossessione  e  di  pazzia. 
In  mezzo  ad  essi,  il  Priore  portava  la  sua  serena  indif- 
ferenza pei-  tutte  le  cose  di  questo  mondo,  <lopo  aver 
fatto  .la  corte  a  Monsignore  e  brigato  col  coadiutore, 
col  vicario  e  col  canonici;  l^'erdinando,  elegantissimo, 
non  parlaxa  più  d'altro  che.  di  abili  e  di  sarti  forestieri; 
il  duca,  u(lendo  tutti  senza  iispon;U're  a  nessuno,  scam- 
l)la\a   leleiiiamaiii  coi  sensali  che  giocavano  in   Borsa 


—  17  — 

per  conto  suo,  e  badava  a  ordinare  le  sue  banche  e  so- 
cietà; il  cavaliere  don  Eugenio,  lasciata  in  asso  VAca- 
demia  dei  quattro  Poeti,  si  (x;cupava  unicamente  d'uxi 
certo  negozio  di  zolfi  che  pareva  molto  lucrativo  — 
con  le  trecent'onze  della  falsa  testimonianza,  dicevano 
le  male  lingue  —  e  la  principessa  era  felice  di  tener 
per  aria  le  mani  bianche  e  lucide,  preservandole  da 
ogni  contatto,  adoperandole  soltanto  per  abbracciare  i 
suoi  figli. 

Teresa,  adesso  vicina  ai  dodici  anni,  formava  il  suo 
orgoglio,  per  la  bellezza  della  persona  e  la  bontà  del- 
l'animo. Mai  un  dispiacere  da  quella  bambina;  lo  stesso 
principe,  che  a  giorni  pareva  cercasse  col  lanternino  i 
pretesti  per  andare  in  collera,  non  la  coglieva  mai  in 
fallo.  Bastava  che  le  dicessero  una  volta  :  «  Teresina, 
ciò  dispiace  a  tuo  padre,  »  oppure  :  «  Tuo  padre  vuole 
cosi  »,  perchè  ella  chinasse  il  capo  senza  fiatare.  Per 
l'obbedienza  esemplare,  per  la  dolcezza  del  cuore,  ella 
raccoglieva  dovunque  lodi  e  premii.  Cresciuta  negli 
anni,  non  la  mettevano  più  nella  ruota  -per  farla  passare 
tra  le  monache,  a  San  Placido,  ma  la  con  ducevano 
spesso  al  parlatorio  della  Badia.  P211a  che  aveva  frenato, 
piccolina,  la  paura  di  restar  chiusa  nello  spessore  del 
muro,  e  il  terrore  del  Crocefisso  nero,  preferiva  anche 
ora,  in  cuor  suo,  le  belle  passeggiate  all'aria  aperta  ; 
ma  poiché  ai  parenti  faceva  piacere  che  andasse  dalla 
zia  monaca,  ella  stessa  sollecitava  quelle  visite  dietro 
le  grate.  Ella  passava  per  prove  ancora  più  forti.  La 
vigilia  dei  Defunti,  tutti  gli  anni,  la  famiglia  recavasi 
nelle  catacombe  dei  Cappuccini,  a  visitare  gli  avanzi 
della  principessa  Teresa,  per  ordine  del  principe,  il 
quale  da  canto  suo  restava  in  casa  temendo  che  la 
vista  dei  morti  gli  portasse  iettatura.  La  bambina  tre- 
mava da  capo  a  piedi.  Che  spavento,  tutti  quei  morti 
pendenti  dalle  pareti,  chiusi  nelle  casse,  vestiti  come  in 
vita,  con  le  scarpe  ai  piedi  e  i  guanti  alle  mani  ;  cer- 
tuni con  la  bocca  contorta  come  se  urlassero  dallo  spa- 
simo, altri  che  ridevano  d'un  riso  sgangherato;  la  non- 

P»   Roberto.    /    Victre.        Il  2 


—  i8  — 

na,  lutla  nera  in  viso,  nella  bara  di  vetro,  vestita  da 
monaca,  con  la  testa  sopra  una  tegola  e  le  mani  ag- 
grappate disperatamente  a  un  crocefisso  d'avorio!... 
Tremava  tutta,  la  bambina,  dallo  spavento,  dall'orrore, 
e  la  notte  sognava  tutti  quei  morti  che  le  danzavano 
intorno  ;  ma  nascondeva  il  proprio  spavento  poiché  il 
confessore  le  aveva  detto  che  i  poveri  morti  non  pos- 
sono far  male,  che  è  dovere  visitarli,  che  bisogna  con- 
tinuamente pensare  ad  essi  perchè  un  giorno  anche  noi 
moriremo  e  andremo  dinanzi  al  Giudice  eterno.  Quasi 
in  tutte  le  chiese,  del  resto,  ella  aveva  un  senso  di 
fredda  paura;  alla  Madonna  delle  Grazie  c'era  una  pa- 
rete (piena  di  doni  votivi  :  gambe,  teste,  braccia,  mam- 
melle di  cera  sulle  quali  erano  dipinte  orribili  piaghe 
paonazze;  ai  Cappuccini,  nella  cappella  della  beata  Xi- 
mena,  vedevasi  la  bara  dove  custodivano  il  suo  corpo. 
Dicevano  che  s.i  conservasse  cosi  fresca,  dopo  secoli, 
come  se  fosse  spirata  da  un'ora;  ad  ogni  centenario 
della  beatificazione  scoperchiavano  il  feretro;  ella  pen- 
sava con  terrore  che  fra  dodici  anni,  nel  1876,  sa- 
rebbe capitato  il  terzo  centenario.  Ma  poiché  faceva 
sempre  forza  a  sé  stessa  e  niente  traspariva  delle  sue 
paure,  e  la  vedevano  stare  lunghe  ore  in  quelle  chiese, 
inginocchiata,  pregante,  tutti  lodavano  la  sua  pietà; 
alcuni  dicevano  perfino  :  «  Cresce  come  la  Beata  ;  santa 
come  lei  !  »  E  queste  lodi,  sì,  l'inorgoglivano;  per  gua- 
dagnarsele sopportava  tutto  in  pace.  Anch'ella,  come 
tutte  le  altre  sue  amichette,  desiderava  le  belle  vesti 
nuove,  dai  colori  gai,  dalle  ricche  guarnizioni,  o  le 
prime  buccole,  un  anellino  ;  ma  suo  padre  diceva  che 
queste  cose  guastano  le  ragazze;  e  invece  di  piangere 
e  di  gridare,  come  facevan  tante,  ella  chinava  il 
capo,  confortata  dalla  sua  mamma  che  le  prometteva 
all'orecchio  :  «  Vedrai,  amorino  mio,  quando  sarai  gran- 
de !...  » 

Consalvo  non  aveva  lo  stesso  carattere  della  sorella  ; 
tutt'al  contrario;  ma  la  principessa,  scusandolo,  lo  esor- 
tava ad  essere  buono.  Le  esortazioni  della  mamma  non 


—   19  — 

davano  molto  frutto.  Sperato  invano  di  tornare  a  casa 
pei  torbidi  del  Sessantadue,  egli  aveva  visto  passare  gli 
anni  uno  dopo  l'altro  senza  che  il  padre  mantenesse  la 
promessa  di  toglierlo  dal  Noviziato.  Tutte  le  volte  che 
era  venuto  al  palazzo,  il  ragazzo  l'aveva  rammentata  al 
principe  ;   ma   questi    risponde\a   invariabilmente  :   «  Più 

tardi in  primavera in  autunno non  tocca  a  te 

pensarci  !...  »  Cosi  rodeva  il  freno,  aspettando  la  pri- 
mavera e  l'autunno  che  lo  ritrovavano  ancora  in  quella 
prigione,  smaniante,  irrequieto,  buttato  a  un  tratto  col 
partito  dei  liberali,  nella  speranza  della  soppressione 
dei  conventi.  Giovannino  Radali,  che,  durando  la  madre 
nel  proposito  di  fargli  pronunziare  i  voti,  nutriva  anche 
lui  quest'unica  speranza  per  tornare  al  secolo,  lo  aveva 
convertito;  ma  l'annunzio  della  soppressione  somigliava 
alle  promesse  del  principe  :  ripetute  sempre,  non  si  tro- 
\avano  mai  confermate  dai  fatti.  Perciò,  continuamente 
irritato  dall'ostinazione  del  padre,  pieno  d'invidia  per 
C|uei  compagni  che  ad  uno  ad  uno  se  ne  tornavano  in 
famiglia  a  godersi  la  bella  libertà,  egli  diventava  il  tor- 
mento dei  maestri,  dei  Fratelli,  dei  camerieri,  di  tutto  il 
convento,  e  rifiutava  anche  di  andare  a  casa,  o,  se  vi 
andava,  non  salutava  nessuno,  non  parlava,  stava  tutto 
il  tempo  della  visita  con  tanto  di  muso.  Ora  che  al  pa- 
lazzo non  si  rimoveva  una  seggiola  senza  il  beneplacito 
della  cugina,  costei  prestava  mano  forte  al  principe, 
giudicava  che  il  ragazzo,  pel  momento,  stava  bene  do- 
v'era; gli  diceva,  con  tono  d'afietto  materno,  mentr'egli 
freme \a  d'odio  contro  quest'altra  : 

—   Non   dubitare;    verrai   via   a   suo   tempo;  per   ora 

bisogna   studiare Vedi  la   mia   figlioccia?   Anche    lei 

va  messa  in  collegio — 

La  signorina  Teresina  in  collegio?...  Xella  corte,  tra 
la  parentela,  la  notizia,  appena  risaputa,  fu  commentata 
in  mille  modi:  «  E  perchè?...   Non  sta  bene  in  casa?... 

Il  duca  ha   voluto  così E  che   c'entrava   i'I  duca?... 

Xo,  è  stato  il  principe Xo,  la  cugina La  princi- 
pessa piange  da  mattina  a  sera..,.  »  Cijiscuno  diceva  \u 


sua,  qualcuno  soffiava  che  forse  la  decisione  era  slata 
presa  perchè  un  giorno  la  signorina,  entrata  inavverti- 
tamente nella  Sala  Rossa,  aveva  trovato  il  principe  e  la 

madrina  in  troppo  intimo  colloquio Ma  Baldassarre, 

col  suo  tono  d'autorità  che  troncava  tutte  le  chiacchiere, 
dava  la  versione  schietta  e  genuina  :  tutte  le  grandi  fa- 
miglie di  Palermo  e  di  Napoli,  al  giorno  d'oggi,  stilano 
di  mettere  le  signorine  in  collegio,  nei  collegi  a  chic, 
dove  imparano  la  lingua  italiana  e  anche  la  francesa  : 
il  barone  Ci^ircuma  ci  aveva  messo  la  sua  ragazza,  dun- 
que la  figlia  del  principe  di  Francalanza  doveva  andare 
anche  lei  in  uno  di  quei  collegi.  Il  signor  duca  cono- 
sceva che  quello  dell'Annunziata,  a  Firenze,  era  il  più 
a  chic  di  tutti,  perchè  infatti  costava  più  caro  ;  e  anche 
il  signor  don  Raimondo  e  la  contessa  donna  Isabella, 
che  a  Firenze  c'erano  stati  di  casa,  dicevano  altret- 
tanto e  approvavano  che  la  principessina  ricevesse 
l'educazione  conveniente!... 

Egli  non  diceva  che  donna  Ferdinanda,  alla  notizia 
della  decisione  presa  a  sua  insaputa,  s'era  scagliata  con 
più  violenza  contro  il  principe  e  aveva  perdonato  a 
Chiara  l'allevamento  del  bastardo  per  andare  a  sfogarsi 
con  lei  contro  queste  stupide  no^■ità  dei  collegi  fioren- 
tini, quando  ai  suoi  tempi  Ig  ragazze  nobili  impara- 
vano in  famiglia  a  filar  seta  e  non  s'impinzavano  di 
sciocchezze  italiane  e  forestiere  ;  non  diceva  che  don 
Blasco  girava  per  le  case  dei  nipoti  predicando  la  cro- 
ciata contro  le  porcherie  che  si  commettevano  al  pa- 
lazzo     Per    Baldassare,    il    principe   era  Dio,    e   tutto 

ciò  che  il  padrone  faceva  era  ben  fatto.  Rispettava  anche 
gli  altri  parenti  e  perciò  le  voci  di  quelle  guerre  in  fa- 
miglia lo  c<jntristavano  positivamente  ;  voleva  che  tutti 
andassero  d'accordo  per  il  buon  nomie,  per  il  prestigio 
della  casata.  K  negava  i  piccoli  dissidii,  scemava  im- 
portanza ai  gi'andi,  imponeva  silenzio  al  basso  perso- 
nale sempre  con  l'orecchie  tese  per  acchiappare  a  volo 
qualche  notizia  piccante,  attribuiva  all'invidia  delle  altre 
Cfìse  -meno  nobili  e  ricche  le  voci  malig'ne  che  circola- 


—    21    

vano  tra  i  servi.  Esse  non  dovevano  a  ni'ssun  costo 
arrivare  al  padrone;  .,e  costui  domandava  perchè  il  ta'e 
o  tal  altro  guattero  era  stato  congedato,  egli  trovava 
un  buon  pretesto,  oppure  diceva  che  era  stato  il  signor 
Marco.  Stimava  pertanto  l'amministratore,  che  era  come 
lui  geloso  del  buon  nome  della  casa  e  pieno  di  rispetto 
verso  il  principe  e  di  giusta  severità  verso  i  dipendenti. 
Del  resto,  alla  lung-a,  g'I' invidiosi  si  stancavano  di 
sparlare.  Prima  di  tutto,  alcuni  dei  parenti  andarono 
via  e  perciò  i  motivi  di  lite  scemarono.  Il  contino  Rai- 
mondo un  bel  giorno,  senza  aver  detto  niente  a  nes- 
suno, fece  i  bauli  e  se  ne  parti  con  la  moglie  per  Pa- 
lermo, lasciando  a  Pasqualino  l'incarico  di  vendere  la 
mobilia  comperata  un  anno  prima.  Poi  parti  il  duca 
diretto  a  Firenze  e  conducendo  \ia  anche  la  principes- 
sina Teresa,  per  metterla  al  colleg'io,  com 'erasi  stabi- 
lito. La  bambina,  nel  congedarsi,  piangeva  dirottamente 
dal  dolore  di  lasciar  la  sua  casa,  di  entrare  nel  collegio 
di  Firenze,  tanto  lontano,  dove  neppure  la  domenica, 
neippur  dietro  a  una  grata,  come  a  San  Placido,  avrebbe 
potuto  vedere  la  sua  cara  mamma.  La  comare  però  le 
diceva  :  u  Non  piangere  così  ;  non  vedi  che  fai  male  a 
tua  madre?...  »  e  allora  ella  inghiottiva  le  sue  lacrime, 
si  ricomponeva.  Il  giorno  della  partenza,  la  principessa 
ebbe  una  convulsione  di  pianto,  abbracciando  furiosa- 
mente la  figlia;  e  la  stessa  cugina  aveva  gli  occhi  rossi, 
ma  faceva  coraggio  a  tutti  :  «  Teresina  tornerà  fra 
qualche  anno;  e  poi  ogni  autunno  l'andremo  a  trovare, 
è  vero,  Giacomo?...  Verrò  anch'io;  sei  contenta  cosi?... 
Vedrai  poi,  quando  tornerai  istruita  ed  educata  come 
conviene,  quando  tutte  t'invidieranno  !...  Vedrai  anche 
tu,  Margherita,  quanto  sarai  orgogliosa  della  mia  fi- 
glioccia!... »  La  bambina  allora  chinò  il  capo,  s'asciugò 
gli  occhi,  e  disse  alla  sua  mamma,  seria  e  composta 
com'era  sempre  stata  :  «  Non  t'angustiare,  mamma  mia 
bella;  ci  scriveremo  ogni  giorno,  ci  rivedremo  presto — 
\'edi  che  sono  ragionevole?...  »  Un  amore  di  figliuola, 
quella  li  ;  vera  razza  dei  Viceré  ! 


—    22    — 

Poi  parti  aiulie  il  cavaliere  don  Eugenio  per  Pa- 
lermo. La  ragione  di  questa  partenza  qui  non  si  seppe 
molto  bene.  Il  cavaliere  aveva  detto  che  certe  grandi 
case  palermitane  lo  avevano  chiamato  per  associarlo  in 
grandi  e  nuove  speculazioni  dove  c'era  da  arricchire  in 
poco  tempo  ;  ma  le  male  lingue,  che  non  tacciono  mai, 
volevano  dare  a  intendere  che  egli  era  scappato  perchè, 
mangiatisi  i  quattrini  degli  zolfi  presi  a  credenza,  contro 
cambiali  che  non  poteva  più  pagare,  correva  rischio  di 
prendersi  qualche  soma  di  sante  legnate —  Comunque 
andasse  la  cosa,  fatto  sta  che,  partite  tutte  queste  per- 
sone, la  pace  tornò  a  regnare  in  famiglia.  La  cugina, 
affezionatissima,  veniva  giorno,  sera  e  notte  a  tenere 
compagnia  e  a  dare  una  mano  alla  principessa,  che  le 
era  gratissima  di  tante  attenzioni  ;  venivano  anche  gli 
altri  parenti,  non  piiJ  inviperiti  come  un  tempo;  grida- 
vano, è  vero,  ogni  tanto  :  don  Blasco,  per  esempio,  a 
motivo  della  soppressione  dei  conventi  aanunziata  nel 
programma  della  nuova  legislatura,  o  !a  signora  don  a 
Lucrezia  contro  il  marito  e  i  li'berali  ;  ma  niente  di  posi- 
tivo. Il  principe,  da  canto  suo,  badava  agli  affari  del- 
l'amministrazione, ma  senza  piij  affaticarsi  troppo,  senza 
più  tenere  le  interminabili  sedute  d'un  tempo  col  signor 
Marco. 

Ora  un  giorno,  che  fu  giusto  il  31  dicembre  1865, 
Baldassarre  corse  ad  una  chiamata  del  padrone  il  quale 
era  nel  proprio  scrittoio  in  compagnia  del  notaio. 

— •  Accompagna  il  notaio  dal  signor  Marco  e  con- 
segnagli questo  biglietto,  —  gli  disse  il  padrone. 

—  Eccellenza,  —  rispose  Baldassarre,  —  è  andato 
fuori  mezz'ora  addietro 

—  \'a  bene;  metterai  dunque  il  biglietto  sul  suo 
tavolino.  E  voi,  notaio,  mi  farete  il  piacere  d'aspettare 

un  poco Tu  va  a  prendere  un  cartellino  col  5/  loca, 

di  quelli  delle  botteghe;  ce  ne  dev'essere,   nel   magaz- 
zino     E    attaccalo    al    balcone    della    sala  del    signor 

Marco. 


-  ^3  — 

Baldassarre,  nonostante  la  sua  abituale  passività  nel- 
l'obbedienza,  restò  un  momento  a  guardar  iper  aria. 

—  Il  si  loca  nel  balcone  della  sala  :  hai  capito?  — 
ripetè  il  padrone  che  non  amava  dire  due  volte  le  cose. 

—  Sxabito,    Eccellenza. 

Corso  a  prendere  il  cartellino,  il  maestro  di  casa  salì 
a  quattro  a  quattro  le  scale  dell'amministrazione,  entrò 
nel  quartierino  del  signor  Marco,  e  lasciato  il  biglietto 
sulla  tavola,  aperse  la  vetrata  e  si  mise  ad  attaccar 
l'appigionasi.  Non  capiva  bene  che  cosa  significasse 
quell'ordine  né  quel  che  stesse  per  succedere;  ma  sen- 
tivasi  inquieto.  Giusto  mentre  finiva  di  legare  la  tavo- 
letta, apparve,  giù  nella  via,  il  signor  Marco.  Si  fermò 
un  istante  a  guardare  in  alto,  poi  cominciò  a  gestico- 
lare, domandando  al  maestro  di  casa  che  diamine  fa- 
cesse, e  Baldassarre  gli  rispondeva  additando  le  finestre 
del  padrone,  per  fargli  intendere  che  obbediva  ad  un 
suo  ordine.  A  un  tratto  il  signor  Marco  si  mise  quasi  a 
correre,  e  dopo  pochi  minuti  gli  arrivò  dinanzi  pallido  e 
col  fiato  ai  denti. 

—  Che  fai  ?  Perchè  ii  si  loca  ?  Chi  diavolo  t'ha  detto  ? 
— ■  Il  principe,  il  signor  principe c'è  anzi  una  let- 
tera     li,  sulla  tavola — 

Leggendo  il  biglietto,  le  mani  e  le  labbra  tremavano 
al  signor  Marco,  come  se  gli  stesse  per  prendere  un 
accidente  ;  e  Baldassarre,  impaurito,  si  tirava  un  poco 
indietro,  pronto  a  chiarnare  soccorso;  quando,  strappato 
malamente  il  foglio,  l'altro  gridò,  con  voce  rotta  : 

—  A  me?...  Il  congedo?...  Come  a  un  guattero  ? 
L'ultimo  del   mese?   Ladro  schifoso?    Principe   porco? 

—  Don  Marco!...  —  balbettò  Baldassarre,  atterrito. 
— ^A  me  il  congedo?...  E  il  notaio  per  la  consegna?... 

Credeva  forse  che  gli  volessi  portar  via  i  suoi  denari?... 
Quelli  che  ha  rubati  ai  fratelli  e  alle  sorelle?...  O  le 
sue  carte  ?  le  prove  delle  sue  ruberie  ?  delle  sue  falsità  ? 
ladro,  ladro,  ladrone  ?  e  più  porco  io  che  gli  tenni 
mano?...  Mi  manda  via  perchè  non  ha  più  da  spogliare 
nessuno?... 


—  24  — 

Con  le  mani  in  capo,  Baldassarre  scongiurava  :  «  Don 
Marco  !...  Signor  Marco  !...  per  carità  !...  possono  udir- 
vi !...  »  ma  l'altro,  fuori  della  grazia  di  Dio,  tremando 
dall'ira,  buttava  fuori  quel  che  aveva  in  corpo  contro  il 
padrone  e   tutta  la  sua   razza  : 

—  Dieci  anni  !  dieci  anni  di  studio  per  rubare  i  suoi 
parenti!  quegli  altri  pazzi  e  furbi,  scemi  e  birbanti!... 
E  non  mangiava,  non  beveva,  non  dormiva,  studiando 
il  modo  di  accalappiarli,  facendo  il  moralista,  fingendo 
l'affezione,  il  rispetto  alle  volontà  di  sua  madre  :  pezzo 
di  gesuita  più  di  quell'altro  Sant'  Ignazio  del  Priore, 
pezzo  di  porco  più  di  quell'altro  maiale  di  don  Blasco  ! 
Ah,  crede  che  la  gente  non  sappia  qu-ant'è  porco,  con 
la  ganza  in  casa,  adesso  che  non  ha  più  nessuno  da 
rubare,  con  la  ganza  sotto  gli  occhi  di  sua  moglie,  sotto 
gli  occhi  di  sua  figlia,  fino  all'  altr'  ieri  ?... 

—  Don  Marco  !  —  gridò  Baldassarre,  minaccioso  fi- 
nalmente anche  lui,  per  tentar  d'arrestare  quella  fiu- 
mana di  male  parole  che  i  gesti  disperati  di  preghiera 
e  di  paura  non  erano  valsi  a  frenare.  E  il  signor  Marco 
lo  guardò,  stralunato,  quasi  accorgendosi  in  quel  punto 
della  sua  presenza. 

—  Mi  meraviglio  !  —  continuava  il  maestro  di  casa, 
fermo  e  contegnoso.  —  I^a  volete  finire,  una  buona 
volta  ?... 

Allora  l'altro  gli  tirò  sul  muso  un'amara  sghignaz- 
zata. 

—  Zitto,  tu  !  Prendi  ieiparti  di  tuo  fratello,  bastardo  ? 
Giusto  in  quel  momento  comparve  il  notaio  che  sa- 
liva dal  quartiere  del  principe  : 

—  Signor  Marco —  ma  1'  altro  non  lasciò  dire  : 

—  \^enite  per  la  consegna,  eh  ?  —  riprese  a  tonare, 
—  che  cosa  volete  che  vi  consegni  ?  le  carte  false  del 
vostro  padrone  ?  gli  atti  carpiti  ?  le  transazioni  stroz- 
zate?... Ecco  qui,  prendete  !...  —  e  cominciò  a  buttare 
all'aria  tutto  ciò  che  si  trovava  sulla  scrivania,  sugli 
scaffali.  —  Temete  che  io  li  porti  via?  Xon  ne  ho  bi- 
sogno. I.O  sanno  tutti  che  razza  d'imbroglione,  di  ladro 


—  25  — 

e  di  lalsario  è  il  vostro  iprinciix'  !  XOi  lo  sapete,  che 
ha  rubato  la  sorella  monaca  e  la  Badìa  col  cavillo  della 
approvazione  re;gia,  e  quell'altra  pazza  per  consentire 
al  suo  matrimonio,  e  il  Babbeo  perchè  è  babbeo  e  il 
contino  per  dargli  mano  a  quelle  altre  vergogne  !...  \^oi 
le  sapete  meglio  di  me  tutte  le  trame  che  ha  ordite,  le 
cambiali  vecchie  pag-ate  dalla  madre,  fatte  ripagare  due 
volte,  prima  ai  legatarii,  poi  al  coerede;  e  i  debiti  sup- 
posti, la  procura  carpita.... 

—  Di  grazia,  signor  Marco —  un  po'  di  misura  — 

—  Misura  ?  Sono  misuratissimo,  sono  !  O  credete 
che  mi  dolga  del  posto  perduto?...  Ne  troverò  un  altro, 
non  dubitate!...  E  da  per  tutto  sarò  trattato  meglio 
che  tra  questi  arlecchini  finti  principi Forse  teme- 
vano che  io  li  rubassi,  eh?  Che  io  m'arricchissi  a  spese 
loro?...  Lo  disse  una  volta,  quel  maiale  del  monaco: 
vi  pare  che  non  l'abbia  risaputo?...  Io  che  ci  ho  rimesso 
di  sacca  mia  ?  perchè  se  trovavano  un  centesimo  man- 
cante gridavano  un  mese  durante!....  Casa  munifica, 
in  verità!  da  poterci  fare  il  nido! —  —  E  spalancando 
gli  armadii  e  le  cassette,  riprendeva:  —  Qui!...  Pren- 
dete, vi  consegno  ogni  cosa  !...  \"enite  a  guardare  sotto 
il  letto,  se  c'è  il  cantero!...   Frugatemi  addosso,  se  gli 

porto   \ia    qualche  cosa A   voi,    chiappate:    sono   le 

chiavi  delle  casse  e  degli  armadii;  ditegli  che  se  'le..-.. 
—  E  le  lasciò  correre  per  terra.  A  un  tratto,  vide,  nel- 
l'armadio spalancato,  appesa  a  un  uncino  di  rame  do- 
rato, quella  della  bara  della  principessa,  l'unico  legato 
fattogli  dalla  defunta  oltre  le  vecchie  tabacchiere,  dopo 
quasi  trent'anni  di  servizii.  Afferrarla  e  scaraventarla 
contro  il  muro,  fu  tutt'uno  : 

—  E  questa  con  l'altre —  —  gl'iglò,  con  una  mala 
parola  da  far  arrossire  la  morta,  laggiù,  nelle  cata- 
combe  dei    Cappuccini. 


26   — 


VI. 


Per  la  via  polverosa,  sotto  il  cielo  di  fuoco,  un'in- 
terminaibile  fila  di  carri  colmi  di  masserizie  :  stridevano 
le  ruote,  tintinnavano  i  sonagli,  e  i  carrettieri  seduti 
sulle  stanghe  o  appollaiati  in  cima  al  carico,  voltavano 
tratto  tratto  il  capo,  se  uno  scalpitar  più  frequente  e  un 
più  vivace  scampanellio  di  sonagliere  annunziava  il  pas- 
saggio di  qualche  carrozza.  Allora  la  fila  dei  carri  ser- 
ravasi  sulla  destra  della  via,  e  il  legno  passava,  tra  una 
nugola  di  polvere  e  lo  schioccar  delle  fruste,  mentre  le 
facce  spaventate  dei  fuggenti  apparivano  agli  sportelli. 

«  Il  castigo  di  Dio  !...  Tutta  colpa  dei  nostri  pec- 
cati !...  Eran  più  di  dieci  anni  ch^  vivevamo  tranquilli  ! 
Assassini  del  governo!...  »  La  povera  gente  seguiva  a 
piedi  i  carrettelli  carichi  di  due  magri  sacconi  e  di 
quattro  seggiole  sciancate  ;  e  nelle  brevi  soste  fatte  per 
riprender  fiato,  per  asciugare  il  sudore  grondante  dalle 
fronti  terrose,  scambiava  commenti  sulle  notizie  del 
colera,  sull'origine  della  pestilenza,  sulla  fuga  univer- 
sale che  spopolava  la  città.  I  più  credevano  al  malefizio, 
al  veleno  sparso  per  ordine  della  autorità  ;  e  si  scaglia- 
vano contro  gVu  Italiani  »,  untori  quanto  i  Borboni.  Al 
Sessanta,  i  patriotti  avevano  dato  a  intendere  che  non  ci 
sarebbe  stato  più  colera,  perchè  Vittorio  non  era  ne- 
mico dei  popoli  come  Ferdinando;  e  adesso,  invece,  si 
tornava  da  capo  !  Allora,  perchè  s'era  fatta  la  rivolu- 
zione ?  Per  veder  circolare  pezzi  di  carta  sporca,  invece 
delle  belle  monete  d'oro  e  d'argento  che  almeno  ricrea- 
vano la  vista  e  l'udito,  sotto  l'altro  governo?  O  per  pa- 
gare la  ricchezza  mobile  e  la  tassa  di  successione,  inau- 
dite invenzioni  diaboliche  dei  nuovi  ladri  del  Parla- 
mento ?  Senza  contare  la  leva,  la  più  bella  gioventù 
strappata  alle  famiglie,   perita  nella  guerra,   quando  la 


—  27   — 

Sicilia  era  slata  sempre  esente,  per  antico  pri\ilegio,  dal 
tributo  militare?  Eran  dunque  questi  tutli  i  vantaggi 
ricavati  dall'Italia  una?...  E  i  piiJ  scontenti,  i  piij  fu- 
riosi, '  esclamavano  :  «Bene  han  fatto  i  Palermitani,  a 
prendere  i  fucili  !...  »  Ma  la  rivolta  di  Palermo  era  stata 
vinta,  anzi  la  pestilenza,  secondo  i  poclui  che  non  cre- 
devano  al    veleno,    veniva    di    lì,   importata    dai    soldati 

accorsi   a   sedare   l'insorta   città E    sui   monticelli    di 

breccia  disposti  lungo  la  via,  al  filo  d'ombra  proiettata 
dai  muri,  dalla  cui  cresta  sporgevano  le  pale  spinose 
dei  fichi  d'  India,  i  fuggenti  sedevano  un  poco,  discu- 
tendo di  queste  cose,  mentre  continuava  la  sfilata  delle 
carrozze,  dei  carri  e  dei  pedoni  non  ancora  stanchi.  Al- 
cuni tra  questi,  i  più  poveri,  avevano  caricata  tutta  la 
loro  roba  sopra  un  asinelio,  e  uomini,  donne  e  bam- 
bini seguivano  a  piedi,  con  fagotti  di  cenci  in  capo,  o 
sotto  il  braccio,  o  infilati  ad  un  bastone,  la  bestia  lenta 
e  paziente.  I  conoscenti  si  fermavano,  notizie  e  com- 
menti erano  scambiati  anche  tra  sconosciuti,  con  la  so- 
lidarietà del  pericolo  nella  comune  miseria.  Le  donne 
ripetevano  ciò  che  avevano  udito  dire  dai  preti  :  il  co- 
lera era  la  pena  dei  tempi  peccaminosi  :  gli  scomuni- 
cati non  avevano  fatto  la  guerra  al  Papa  ?  La  Chiesa 
non  era  perseguitata  ?  E  adesso,  per  colmar  lo  staio, 
c'era  la  \egge  che  spogliava  i  conventi  !  «  La  fine  del 
mondo  !  L'anno  calamitoso  !  Chi  avrebbe  creduto  una 
cosa  simile  !  Tanti  poveri  monaci  buttati  in  mezzo  a  una 
via?  I  luoghi  santi  sconsacrati?  Non  c'è  piij  dove  arri- 
vare!... »  Queste  erano  sciocchezze,  giudicavano  invece 
gli  uomini.  «  I  monaci  avevano  assai  scialato  senza  far 
nulla  !  Mangiavano  a  ufo  !  E  i  muri  dei  conventi,  se 
avessero  potuto  parlare,  ne  avrebbero  dette  di  belle. 
Era  tempo  che  finisse  la  cuccagna  !  L'unica  cosa  fatta 
bene  dal  governo!...  »  Però,  tanti  santi  Padri,  che  ce 
n'erano,  costretti  a  vivere  con  una  lira  il  giorno  !  I  Be- 
nedettini, per  esempio,  avevano  di  che  scialare  con  una 
lira  il  giorno,  dopo  aver  fatto  la  vita  di  tanti  Re  !  «  E  i 
quattrini  che  si  sono  divisi  ?  » 


—    28    — 

La  notizia  circolava  da  un  pezzo,  e  certuni  ne  da- 
vano i  particolari  coinè  se  fossero  stati  presenti  :  le  eco- 
nomie fatte  negli  ultimi  anni,  nella  previsione  della 
legge,  erano  state  distribuite  a  tanto  per  uno  :  ogni  mo- 
naco aveva  preso  nientemeno  che  quattromila  onze  di 
monete  d'oro  e  d'argento.  Poi  s'eran  spartita  l'argen- 
teria da  tavola,  tutta  la  roba  di  valore,  e  avvicinandosi 
il  momento  del  congedo,  avevano  venduto  una  gran 
quantità  delle  provviste  accatastate  nei  magazzini  : 
grandi  botti  di  vino,  grandi  giare  d'olio,  gran  sacchi  di 
frumento  e  di  legumi  ;  altrettanti  quattrini  intascati  — ■ 
e  nondimeno  i  magazzini  parevano  ancora  colmi  !  «  Han 
fatto  bene  !  Dovevano  forse  lasciare  anche  la  cassa  ai 
ladri  del  governo?...  »  E  le  piccole  carovane  si  rimet- 
tevano in  marcia  con  le  teste  riscaldate  all'idea  dei 
milioni  di  milioni  d'onze  che  avrebbe  intascato  \'ittorio 
Emanuele  vendendo  i  beni  di  San  Nicola  e  di  tutte  le 

altre  comunità Molti  mendicanti,  profittando  del  gran 

passaggio  di  gente,  tendevano  la  mano  dal  mucchio  di 
sassi  dove  stavano  sdraiati  ;  i  cenciosi  bambini  che  li 
accompagnavano  correvano  dietro  alle  carrozze  se  da 
qualcuna  di  esse  cadeva  un  soldino  nella  polvere  dello 
stradale.  E  i  pedoni  riconoscevano  i  signori  fuggenti, 
se  ne  ripetevano  il  nome,  spaventati  all'idea  del  vuoto 
della  città  :  «  Il  principe  di  Roccasciano  !...  La  duchessa 
Radali!...  I  Cùrcuma!...  I  Grazzeri  !...  Non  resterà 
dimque  nessuno  ?. . . 

\'erso  sera,  quando  l'ardore  della  giornata  sì  temperò 
tre  carrozze  padronali  scappanti  una  dietro  all'  altra 
sollevarono  una  gran  nuvola  di  polvere  dalla  città  al 
Belvedere.  Nella  prima  e'  era  il  principe  di  Franca- 
lanza,  donna  Ferdinanda  e  la  cugina  Graziella,  invitata 
alla  villa  perchè  non  poteva  andar  sola  alla  Zafferana, 
e  il  principino  Consalvo  a  cassetta,  che  brandiva 
trionfalmente  la  frusta,  quantunque  portasse  ancora  la 
tonaca  benedettina  perchè  suo  padre  s'  era  deciso  a 
riprenderlo  in  casa  proprio  all'  ultimo  momento,  quan- 


A 


—    29   — 

do  i  monaci  s' eran  dispersi  e  don  Blasco  e  il  Priore 
avevano  anch'essi  chiesto  ospitalità  al  palazzo.  Nella 
seconda  carrozza  stava  la  principessa,  senza  nessuno 
a  fianco  né  dirimpetto  e  solo  la  cameriera  nell'  angolo 
opposto.  Il  contatto  d'una  spalla  l'avrebbe  fatta 
cadere  in  convulsione,  perciò  s'  era  dichiarata  conten- 
tissima che  il  principe  accompagnasse  la  cugina. 
L' altra  carrozza  era  invece  stipata  :  e'  erano  il  mar- 
chese e  Chiara,  Rosa  col  bambino  e  finalmente  don 
Blasco.  Questi  aveva  rifiutato  per  la  campagna  l'ospi- 
talità del  principe  e  accettata  quella  del  marchese, 
allo  scopo  d'evitare  la  sorella  Ferdinanda;  l'avversione 
non  cedeva  neppure  dinanzi  al  pericolo  del  colera,  gli 
faceva  preferire  la  compagnia  del  bastardello.  Il  Priore, 
invece,  era  rimasto  in  città,  al  \'escovato,  dove  Monsi- 
gnore lo  aveva  accolto  a  braccia  aperte  :  tutte  le  pre- 
ghiere e  gli  invili  dei  parenti  non  erano  valsi  a  farlo 
fuggire;  il  suo  posto,  diceva,  era  al  capezzale  degli  in- 
fermi, accanto  a  Monsignore.  Le  maggiori  insistenze 
gli  erano  venute  dal  principe,  il  quale  sosteneva,  come 
sempre,  che  in  tutte  le  circostanze  gravi  e  solenni  la 
famiglia  doveva  tenersi  unita;  perciò  gì' incresceva  di 
lasciare  in  mezzo  al  pericolo  qualcuno  dei  suoi.  Che 
cosa  si  sarebbe  detto  ?  Che  egli  pensava  solamente  a 
sé  stesso?...  Ma,  come  non  era  riuscito  a  rimuovere 
il  Prioie,  cosi  aveva  fatto  fiasco  con  Ferdinando,  il 
quale,  preso  gusto  alla  vita  cittadina,  non  voleva 
sentir  parlare  neppure  di  rifugiarsi  alle  Ghiande.  Lu- 
crezia era  già  partita  nella  mattina  pel  Belvedere  col 
marito,  il  suòcero  e  la  suocera.  Quanto  allo  zio  duca, 
era  a  Firenze,  vicino  alla  nipote  Teresina,  e  poiché 
li  il  colera  non  infieriva  e  non  metteva  tanto  spavento 
quanto  in  Sicilia,  cosi  egli  era  e  voleva  che  sua  moglie 
fosse  tranquilla.  Al  cavaliere  don  Eugenio,  che  se  ne 
stava  ancora  a  Palermo,   nessuno  pensava. 

Ricominciò  al  Belvedere  la  vita  allegra  della  villeg- 
giatura, tanto  più  che  l'allarme  destato  .  dalle  prime 
notizie  della  pestilenza  si  dimostrò  presto  ingiustificato  ; 


—  3°  — 

in  città  e'  era  appena  qualche  caso  sospetto  di  tanto 
in  tanto.  Il  principino,  lasciata  finalmente  la  tonaca 
per  gli  abiti  di  tutti  gli  altri  cristiani,  cominciò  a 
prendersi  quegli  spassi  che  aveva  sognati.  Prima  di 
tutto,  con  uno  schioppo  vero,  se  ne  andava  a  caccia 
sui  monti  dell'  Elee  o  dell'  Urna,  a  sterminare  conigli, 
lepri,  pernici  ed  anche  passeri,  se  non  trovava  altro; 
poi  faceva  attaccare  ogni  giorno,  per  imparare  a 
guidare,  e  il  suo  calessino  divenne  in  breve  il  terrore 
di  chi  girava  per  le  vie  di  campagna  :  sempre  addosso 
ai  carri  ed  alle  carrozze,  lanciato  a  tutta  corsa  per 
lasciare  indietro  ogni  altro  veicolo,  a  costo  di  ribaltare, 
di  fracassarsi,  d'  ammazzare  qualcuno.  Quando  non 
guidava,  se  ne  stava  nella  scuderia  a  veder  governare 
le  bestie,  a  imparare  il  linguaggio  speciale  dei  coc- 
chieri, dei  cozzoni  e  dei  maniscalchi,  a  criticare  gli 
animali  deg^li  altri  signori  rifugiati  al  Belvedere  o  nei 
dintorni,  gli  acquisti  recenti  di  Tizio,  gli  equipaggi  di 
Filano;  e  donna  Ferdinanda,  udendolo  parlare  con 
sempre  maggior  competenza  intorno  a  tali  nobili  argo- 
menti, s'  inorgogliva  ammirando  :  «  Queste  son  le  cose 
che  devi  imparare  !...  )>  Anche  la  principessa,  sebbene 
piangesse  ancora  per  la  lontananza  di  Teresina,  si 
mostrava  orgogliosa  dei  progressi  del  figliuolo,  ma 
più  la  cugina,  che  prodigava  al  giovanotto  continue 
carezze,  benché  Consalvo  non  solamente  non  le  rispon- 
desse con  eguale  effusione,  ma  si  studiasse  anche  di 
evitarla.  Non  l'aveva  perdonata  d'essersi  opposta  al 
suo  più  pronto  ritorno  nella  casa  paterna  ;  e  adesso, 
vedendola  domiciliata  lì  come  una  persona  della  fami- 
glia, prendere  il  posto  della  sua  mamma,  la  sua 
antipatia  cresceva.  Donna  Graziella,  in  verità,  più 
che  da  ospite  si  diportava  da  padrona  :  bisognava 
\ederla  la  sera,  quando  veniva  gente,  come  faceva 
gli  onori  di  casa,  specialmente  se  la  principessa  senti- 
vasi  indisposta.  E  questo  accadeva  spesso;  senza 
soffrire  precisamente  di  nulla,  donna  Margherita,  dopo 
la  partenza  della  figliuoletta,  accusava  un  sordo  males- 


—  31  — 

sere,  dolori  di  capo,  una  certa  difficoltà  di  digestione. 
K  felice  di  poter  evitare  la  folla,  le  vicinanze  infette,  le 
strette  di  mano  contagiose,  se  ne  andava  a  letto,  mentre 
nel  salone  la  gente  conversava  animatamente,  giocava, 
scioglieva  sciarade.  Lucrezia,  lasciando  la  villa  Giulente, 
partecipava  con  la  cugina  alla  direzione  delle  faccende 
domestiche.  Lei  che  in  casa  propria  non  metteva  un 
dito  all'  acqua  fresca,  veniva  a  darsi  un  gran  da  fare 
per  la  vanagloria  di  riprendere  il  proprio  posto  nella 
casa  del  fratello  principe.  Chiara  tirava  su  a  zuccherini 
il  bastardello,  lo  vezzeggiava  molto  più  del  marchese,  il 
quale  provava  sempre  un  certo  disagio  e  una  certa  ver- 
gogna a  riconoscere  pubblicamente  quella  paternità, 
mentre  sua  moglie  quasi  se  ne  gloriava.  Se  la  prin- 
cipessa, o  donna  Ferdinanda,  o  qualche  altro  parente 
non  faceva  buon  viso  al  piccolino,  ella  mostravasi  offesa 
ed  era  capace  di  non  metter  piede  per  una  settimana 
alla  villa  se  le  passava  pel  capo  che  qualcuno  inco- 
minciasse a  criticare  quella  specie  di  adozione.  \^ice- 
versa,  era  adesso  tutt'  una  cosa  con  lo  zio  Blasco, 
il  quale,  stando  con  lei,  la  approvava  implicitamente. 
Il  monaco,  alla  notizia  della  legge  che  sopprimeva  i 
conventi,  durante  gli  ultimi  tempi  della  vita  claustrale 
e  nei  primi  passati  a  casa  del  nipote,  aveva  fatto  cose, 
cose  dell'altro  mondo  :  era  parso  veramente  uno  scate- 
nato diavolone  dell'  inferno.  Le  male  parole  di  nuovo 
conio,  le  imprecazioni,  le  bestemmie  eruttate  contro  il 
governo,  a  San  Nicola,  al  palazzo,  dalla  Sigaraia,  nelle 
farmacie  borboniche  ed  anche  sulla  pubblica  via,  non 
si  poterono  neppur  noverare  ;  i  vituperii  evacuati  contro 
il  fratello  deputato,  che  aveva  dato  il  suo  \oto  alla 
legge,  si  lasciarono  mille  miglia  lontano  tutto  quello 
che  di  più  violento  gli  era  mai  uscito  di  bocca.  Ma 
quasi  la  mostruosità  compitasi  fosse  troppo  grande, 
troppo  stordente,  egli  si  ridusse  tosto  ad  un  silenzio 
grave  ed  incagnato,  dal  quale  non  lo  toglievano  se 
non  le  voci,  ripetute  in  sua  presenza,  della  spartizione 
delle   economie,    delle  quattromila   onze    toccate  a  ci^- 


scun  Padre.  Allora  ricominciava  a  tonare  :  «  Spartite 
sette  paia  di  corna  !  Toccate  quattromila  teste  di 
cavolo!...  C'era  un  cavolo  da  spartire!...  E  se  pure 
ci  fosse  stato  qualcosa,  nessuno  avrebbe  toccato 
niente  !  Per  renderci  complici  dei  ladroni,  ah  ?  del 
rifiuto  delle  galere  ?  del  sublimato  della  briganteria  ?...  » 
Egli  parlava  cosi  dinanzi  agli  estranei,  alla  gente  di 
poco  affare,  alle  persone  di  servizio  ;  in  famiglia,  tra 
gli  intimi,  confessava  la  spartizione,  ma  riduceva  la 
sua  quota  a  poche' centinaia  d'onze,  a  due  posate,  a 
un  paio  di  lenzuola,  tanto  da  non  restar  sulla  paglia. 
Da  San  Nicola  era  venuto  via  con  due  casse,  delle 
quali  non  lasciava  mai  le  chiavi  ;  e  il  principe,  in 
città,  le  aveva  covate  con  gli  occhi,  quasi  pesandole 
e  fiutandole,  con  nuovo  rispetto  per  quello  zio  che 
adesso  possedeva  qualcosa  ;  ma  tutto  il  suo  studio  per 
trovare  il  destro  di  guardar  dentro  alle  casse  era  stato 
inutile,  giacché  il  monaco  si  sprangava  in  camera, 
ogni    qualvolta    aveva    da    frugarvi. 

Adesso,  al" Belvedere,  anche  Chiara  e  Federico  parla- 
vano spesso  tra  loro  di  questi  famosi  quattrini  che 
doveva  possedere  don  Blasco.  Il  marchese,  temendo  che 
li  sciupasse  con  la  Sigaraia,  avrebbe  voluto  proporgli 
di  metterli  al  sicuro,  di  impiegarli,  di  comperarne 
altrettanta   rendita,   se   il   monaco  fosse   stato   un  altro, 

se    op"ni     semestre,     avvicinandosi     la     scadenza     delle 

-     * 
cedole,  don  Blasco  non  l'avesse  vessato,  punzecchiato, 

tormentato,  profetandogli  il  subisso  di  quel  titolo. 
Il  corso  forzoso,  la  guerra,  il  colera,  tutte  le  pubbliche 
calamità  erano  stati  altrettanti  argomenti  di  giubilo  pel 
monaco,  il  quale  si  fregava  ogni  volta  le  mani,  gri- 
dando al  nipote  :  u  Addio,  la  carta  sporca  !  li  fritto, 
il  tuo  governo  !  Tu  non  mi  hai  voluto  ascoltare  :  ben 
ti  sta  !...  ))  Ma  il  marchese  incassava  sempre  la  sua 
rendita  il  giorno  stabilito,  fino  all'  ultimo  centesimo. 
Cessato  del  tutto  il  pericolo  del  colera,  un  giorno  egli 
scese  in  città  per  qualche  affare  e  per  riscuotere  il 
semestre;    tornato   al    Belvedere   e   passeggiando,    dopo 


—  33  — 

pranzo,  sulla  terrazza,  mentre  Chiara  giocava  col  ba- 
stardello,  egli  riferi  allo  zio  l'impiego  della  sua  giornata. 

—  Ho  anche  preso  i  quattrini  delle  cedole —  adesso 
le  pagano  anticipatamente,  per  l'affare  dell'aggio — 
A  mandarle  a  Parigi  si  prenderebbero  altrettanti  pezzi 
di  napoleoni....  Io  ho  ordinato  un'altra  partita  di 
cartelle —  le  divideremo  con  parecchi  amici —  perchè 
oggi  non  c'è  come  impiegare  il  denaro — 

Voleva  insistere  a  dimostrar  la  bontà  dell'  affare,  ma 
tacque,  perchè  don  Blasco,  fermatosi  di  botto,  gli 
piantò  gli  occhi  addosso,  come  sul  punto  di  scoppiare. 

—  Potresti  cedermene  diecimila  lire  ? 

Il   marchese,    sulle   prime,   credè   d'  aver   udito   male. 

—  Cederne?...    Come?...    A    Vostra    Eccellenza?... 
— ■  Dico   se  puoi   vendermi  diecimila  lire   di   cartelle, 

capisci  o  non  capisci  ? 

—  Ma  credo certo Diecimila    lire   di  capitale, 

s'intende?...  Eccellenza  sì;  posso  scrivere  subito 
un'  altra  lettera,  per  maggior  sicurezza,  se  \'ostra 
Eccellenza   le    vuole — 

— •  Quando  scriverai  ? 

—  Domani  stesso. 

—  E   verranno  subito  ? 

—  In    un   giro    di    posta. 

Il  monaco  gli  voltò  le  spalle  e  s'allontanò  un  poco; 
poi  tornato   indietro,   ripiantatoglisi  dinanzi,   riprese  : 

—  Senti,  giacché  ci  sei,  fanne  venire  per  ventimila 
lire. 

—  Eccellenza  si;  quanto  vuole  Vostra  Eccellenza — 
E   appena   solo,    il   marchese   corse   dalia   moglie,    le 

disse  col   respiro   rotto  dallo   sbalordimento  : 

—  Non  sai?...  Non  sai?...  Lo  zio  vuol  comprar 
della  rendita!  \'entimila  lire  di  cartelle!...  M'ha  dato 
la  commissione!...  Non  mi  par  vero!  M.i  par  di 
sognare  !... 

Chiara  rispose,  tranquillamente,  con  una  scrollatina 
di   spalle  : 

—  Di  che  ti  stupisci  ?  Non  sai  che  i  miei  parenti 
sono    tutti    pazzi?... 

D»   Roberto.   I    Viceré   -   Il  3 


—  34  — 

Soltovocc,  r  uno  air  orecchio  dell'  altro,  gli  Uzeda 
riprendevano  a  darsi  del  inatto.  Non  era  matta  Chiara 
che  trattava  la  cameriera  come  una  sorella  e  il  bastardo 
di  lei  come  un  fig-lio  'suo  proprio  ?  Non  era  matta 
Lucrezia  che  imaltrattava  quel  povero  diavolo  di 
Benedetto  in  lutti  i  modi  ?  Che  cos'  era  donna  Ferdi- 
nanda, la  quale,  senza  che  gliene  venisse  nulla,  si 
impacciava  di  tutti  gli  affari  della  parentela  ?  E  che 
dire  del  principe,  il  quale,  dopo  aver  dimenticato  per 
tanti  anni  la  cugina,  adesso  si  metteva  con  lei,  sotto 
gli  occhi   del   figlio?... 

Qui  consisteva  forse  il  motivo  che  rendeva  la  Gra- 
ziella sempre  più  antipatica  a  Consalvo  :  egli  la  contrad- 
diceva in  tutto  e  per  tutto,  dinanzi  alle  persone  ;  evitava 
poi  di  restar  solo  in  sua  compagnia,  affettava  di  trat- 
tarla come  una  intrusa  quando  le  persone  di  servizio  gli 
parlavano  di  lei.  Questo  era  però  l' unico  sentimento 
che  egli  manifestava  ;  del  resto,  stava  in  casa  il  meno 
possibile,  montava  a  cavallo  quando  non  usciva  in 
carrozza,  inforcava  tutti  gli  asini  dei  contadini,  teneva 
conversazione  con  tutti  i  carrettieri  ;  il  cuoco,  dalla 
finestra  della  cucina,  da  cui  si  scorgeva  il  podere  fino 
alla  chiusa  degli  olivi,  lo  vedeva  rincorrere  le  donne 
che  venivano  a  cercare  i  fasci  dei  sarmenti  vecchi. 
Con  la  moglie  di  massaro  Rosario  Farsatore,  il  fattore 
lo  colse  quasi  sul  fatto,  un  pomeriggio,  nel  pagliaio  : 
egli  non  si  mostrò  per  nulla  turbato,  e  la  cosa,  venuta 
air  orecchio  di  donna  Ferdinanda,  lo  rialzò  nelJa  stima 
della  zitellona.  Il  principe  finse  di  non  saper  nulla  : 
pareva  si  fosse  proposto  di  lasciarlo  sbizzarrire,  quasi 
a  compensarlo  degli  ultimi  anni  che  lo  aveva  tenuto 
a   San  Nicola. 

—  E  Fra  Carmelo  ?  — ■  domandavano  di  tanto  in 
tanto  donna  Ferdinanda,  la  principessa,  Lucrezia;  — -che 
n'è  di  Fra  Carmelo?...  —  ma  il  principino  non  sapeva 
né  curavasi  di  sapere  che  fosse  avvenuto  del  suo  antico 
protettore.  A  San  Nicola,  quando  aveva  roso  il  freno, 
aspettando  la  legge  di  soppressione  come  l'unica  via  di 


—  35  — 

salvezza,  t'irli  s'era  divertito  a  lornieiilare  il  Fratello 
predicendogli  lo  sbando  dei  monaci,  la  cliiusura  del 
convento;  ma  l'altro,  scrollando  il  capo,  sorrideva 
d'incredulità,  non  comprendeva  come  gli  stessi  Padri 
potessero  credere  a  una  cosa  simile.  Mandarli  via  ? 
Vendere  le  proprietà  ?  Parole,  chiacchiere,  queste  d'ora 
come  quelle  d'un  tempo!  Chi  avrebbe  avuto  tanto 
ardire  ?  E  la  scomunica  del  Papa  ?  la  guerra  delle 
potenze  cattoliche?  la  rivoluzione  di  tutta  la  cristia- 
nità?... E  nulla  era  riuscito  a  scuotere  la  sua  sicurezza, 
nò  le  notizie  dei  giornali,  né  i  preparativi  dello  sgom- 
bero, né  la  partenza  dei  noxizii.  Dopo,  Consalvo  non 
aveva   più    avuto    notizie    di    lui. 

L'na  mattina,  al  Belvedere,  mentre  la  famiglia  si 
levava  di  tavola  dopo  colazione,  Baldassare  venne  ad 
annunziare  : 

—  Eccellenza,    e'  è    Fra    Carmelo. 
- —  Fra   Cannelo  ! 

Nessuno  riconobbe  il  Fratellr-  dal  faccione  bianco  e 
roseo,  dalla  ciera  gioviale,  dal  pancione  arrotondato 
sotto  la  tonaca,  nel  personaggio  che  s'  ava.nzò  verso 
il    principe,    con    le    braccia    levate  : 

—  ?>Ie  n'  hanno  cacciato  !....   Me  n'  hanno  cacciato  !... 
In    qualche    mese    era  .  dimagrato   della    metà,    e    sul 

viso  giallo  e  floscio  gli  occhi  un  tempo  ridenti  avevano 
una  strana  espressione  d'  inquietudine  quasi  paurosa. 

—  Eccellenza,  me  l'hanno  caccialo!...  Eccellenza, 
me  n'hanno  cacciato!...  —  e  guarda\'a  tutti  i  signori, 
tutte  le  signore,  quasi  a  provocare  la  dimostrazione 
del  loro  sdegno  contro  quella  mostruosità.  —  Dunque 
era  vero?...  Ma  che  non  s'ha  da  far  nulla?...  Voialtri 
che  siete  ascoltati?...  Lascerete  che  quei  scellerati  ru- 
bino San  Nicola,  San  Benedetto,  tutti  i  santi  del  pa- 
radiso?... 

—  Che  possiamo  farci  I...  —  esclamò  Consah'o  fre- 
gandosi  le  mani;   e  donna   Ferdinanda   aggiunse: 

—  Avete  voluto  il  governo  liberale  ?  Godetene  i 
frutti  ! 


-36  - 

—  Io?...  Io,  Eccellenza?...  Sapevo  molto,  io,  di  li- 
berali e  non  liberali  !...  Io  badavo  agli  affari  miei  !... 
.Sessant'anni  che  c'ero  dentro!...  Nessuno  aveva  osato 
toccarlo,  in  tante  rivoluzioni  che  ho  viste  :  il  Trenta- 
sette,   il   Quarantotto,    il   Sessanta 

—  Bel  terno!...  —  fece  il  principino;  e  come  Bal- 
dassarre venne  a  dirg-li  che  il  calesse  era  attaccato,  si 
alzò,  esclamando  sotto  il  naso  del  Fratello  : 

—  Adesso  c'è  la  legge,  caro  mio!... 

—  Ma  è  g-iusta  legge  questa?...  I  beni  della  Chie- 
sa?... Allora  io  me  ne  vengo  in  casa  delle  X'ostre 
Eccellenze  e  mi  piglio  ogni  cosa?...  Si  può  fare  una 
legge  cosi?...  — •  E  raccontò  confusamente  ciò  che 
era  avvenuto  all'atto  dello  spogliamento  :  —  Quel  de- 
legato, per  la  consegna....  L'Abate  non  volle  esser 
presente,  ed  ha  ben  fatto  :  una  simile  vergogna  !... 
E  s'è  coricato  nel  letto  di  Sua  Paternità,  lo  straccione  : 

cose  da  non  credersi \'enne  il  Priore,  e  gli  ha  dato 

tutte  le  chiavi.  Eccellenza  :  della  chiesa,  della  sacre- 
stia, dei  magazzini,  del  museo,  della  biblioteca —  E 
tutto  venduto,  sulla  pubblica  piazza  :  le  tavole,  le  .seg- 
giole, i  servizi!,  la  lana,  il  vino,  i  letti,  quasi  fossero 
di  nessuno!...  E  i  candelieri  del  coro,  quel  ladro,  cre- 
dendoli d'oro,  di  notte  non  li  portò  via?...  Lo  lega- 
rono, g-li  altri  ladri  più  di  lui  !...  E  non.  c'è  più 
niente!...  I  soli  muri!...  Me  n'hanno  cacciato!...  Me 
n'hanno    cacciato!... 

La  principessa  cercava  di  confortarlo,  con  belle  pa- 
role; il  principe  gli  offrì  da  bere;  ma  egli  rifiutò,  ri- 
prese a  narrare  le  stesse  storie  imbrogliandosi  più  di 
prima  ;  poi  se  ne  andò  alla  villa  del  marchese,  da  don 
Blasco,    ricominciando  : 

—  Ce  n'hanno  cacciato!...  E  Vostra  Paternità  non 
fa  nulla?...  11  Priore  suo  nipote?...  Monsignor  Ve- 
scovo?... Perchè  non  scrivono  a  Roma?...  Ha  da  finir 
così  ?... 

Don  Blasco,  al  quale  il  giorno  prima  era  arrivata 
la  rendita,  tonò  : 


—  37  — 

—  Come  vuoi  che  finisca?...  Quando  io  gridavo  a 
quei  ruffiani  :  «  Badate  ai  fatti  vostri  !  Non  scherzate 
col  fuoco!  Ci  rimetterete  il  pane!...»  mi  davano  del 
pazzo,  è  \ero  ?  E  si  confortavano  con  g^li  aglietti,  le 
bestie,  dicendo  che  il  governo  non  li  avrebbe  toccati, 
che  avrebbe  passato  loro  una  lauta  pensione,  se  mai  !... 
E  i  tuoi  compagni  che  facevano  anch'  essi  i  sanculotti, 
quel  porco  di  Fra  Cola  che  distribuiva  bollettini  ai  no- 
vizii  ?  Quell'altro  collotorto  di  mio  nipote  che  faceva 
salamelecchi  a  Bixio  e  a  Garibaldi?  Quell'asino  con  di- 
ciotto piedi  dell'Abate  che  si  grattava  la  tigna,  e  pa- 
reva un  pulcino  nella  stoppa?...  Adesso  che  volete? 
Se  siete  stati  i  vostri  propri!  nemici?...  Il  governo  è 
ladro,  e  doveva  fare  il  suo  mestiere  di  ladro  :  che  me- 
raviglia ?  La  colpa  è  di  quelle  testacee  di  cavolo  che 
lo  aiutarono,  che  gli  proposero  :  «  Venite  a  rubar- 
mi !...  ))  e  gli  aprirono  anzi  le  porte!...  Non  mi  dis- 
sero, una  volta,  che  volevano  godersi  un  po'  di  libertà  ? 
Se  la  godano  tutta,  adesso!...  Nessuno  gliela  con- 
trasta !... 

—  E  ce  n'  hanno  cacciato  !...  Ce  n'  hanno  cacciato  !... 

Quando  gli  Czeda  tornarono  in  città,  al  principio 
dell'anno  nuovo,  una  lettera  '  del  duca  a  Benedetto 
annunziò  che  la  Camera  sarebbe  stata  sciolta  fra  poco. 
Egli  non  si  dava  questa  volta  neppur  la  pena  di  venire, 
incaricava  i  suoi  amici  di  lavorare  per  lui.  Gli  affari 
non  gli  consentivano  di  lasciar  Firenze,  e  questi  affari, 
in  fin  dei  conti,  erano  più  quelli  degli  elettori  che  i 
suoi  propri!.  I  suffragi  dovevano  quindi  andare  a  luì, 
come  al  naturale,  al  legittimo  rappresentante  del  paese  ; 
era  assurdo  supporre  che  qualcuno  pensasse  a  con- 
trastarglieli. Quanto  a  render  conto  del  modo  col 
quale  aveva  esercitato  l'ufficio  ed  a  spiegare  le  proprie 
convinzioni  politiche  ed  a  studiare  i  bisogni  o  ad  ascol- 
tare i  voti  del  collegio,  uno  scambio  di  lettere  con 
Giulente  zio  e  nipote,  con  qualcuno  dei  pezzi  grossi, 
bastò.    I    soliti   malcontenti   tornavano  a   fargli   stupide 


accuse,  tentavano  un'  altra  volta  di  rivangare  le  vec- 
chie storie  ;  i  repubblicani,  i  sinistri,  gli  rimprovera- 
vano il  suo  servilismo  verso  il  governo,  tentavano  con- 
trapporgli qualcuno  dei  loro;  ma  incontravano  da  per 
tutto  forte  resistenza,  erano  costretti  a  battere  in  ri- 
tirala. Un  giornaletto  satirico  settimanale,  il  Ficca- 
naso, faceva  ridere  la  gente,  dicendo  che  l'onorevole 
■d'  Oragua  aveva  fatto  alla  Camera  quanto  Carlo  in 
Francia  senza  neppure  aprir  bocca  ;  ma  il  Pensiero 
italiano,  successo  ixW  If-alia  risorta,  dichiarava  che  il 
Paese  non  sapeva  che  farsi  dei  chiacchieroni,  e  pre- 
feriva i  cittadini  intemerati  che  votavano  senza  ascol- 
tare altra  voce  se  non  quella  della  propria  coscienza. 
Esso  non  nominava  mai  il  duca  senza  chiamarlo  l'emi- 
nente Patriotta,  l'insigne  Patrizio,  l'illustre  Deputato; 
e  all'annunzio  dello  scioglimento  della  Camera  ne 
cominciò  il  panegirico.  Fra  i  tanti  meriti  del  «  cospicuo 
Cittadino  »  quello  d' aver  contribuito  precipuamente 
all'  istituzione  della  Banca  Meridionale  di  Credito  non 
era  certo  il  più  piccolo;  e  don  Lorenzo  Giulente,  nel 
suo  gabinetto  di  direttore,  raccomandava  alla  gente 
che  veniva  a  prender  quattrini  l' elezione  del  duca. 
«C'è  bisogno  di  rammentarcelo?...»  Ma,  conside- 
rando le  velleità  d'opposizione,  gli  amici  del  deputato 
volevano  ottenere  una  vittoria  strepitosa  ;  infatti  gli 
misero  insieme  quasi  trecento  voti.  11  duca,  ricono- 
scente, fece  cadere  sul  collegio  una  nuova  strabocche- 
vole pioggia  di  croci  di  San  ^Maurizio  e  Lazzaro;  Be- 
nedetto ne  ebbe  una  tra  i  primi,  e  la  cosa  non  gli  fece 
certo  dispiacere,  quantuncjue  egli  si  stimasse  cavaliere 
per  nascita;  ma  dal  giorno  di  quell'annunzio  sua  moglie 
non  gli  dette  più  requie:  «Cavaliere!...  Senti,  cava- 
liere!... Che  fai,  cavaliere?...  Cavaliere,  vogliamo 
andar  fuori?...  »  gli  diceva  a  quattr'occhi  e  in  presenza 
d'estranei,  a  proposito  e  a  sproposito.  E  se  c'erano 
altre  persone,  aggiungeva  invariabilmente  :  «  Perchè 
adesso,  non  sapete?  mio  marito  è  cavaliere,  sissignori  : 
senza  cavallo » 


—  39  — 

La  vera,  la  prima  origine  della  durezza  con  la  quale 
ella  lo  trattava  da  un  pezzo  era  'la  persuasione  final- 
mente radicatasi  nel  suo  cervello  che  egli  non  fosse 
abbastanza  nobile  per  lei.  A  poco  a  poco,  giorno  per 
giorno,  aveva  riconosciuto  che  i  suoi  parenti  dicevano 
giusto  cjuando  denigravano  i  Giulente  ;  e  dimenticate 
le  accuse  rivolte  al  principe,  aveva  fatto  la  pace  con 
lui,  cedendo  per  la  prima,  affinchè  non  si  dicesse  che 
gli  Uzeda  sdegnavano  di  trattarla.  E  quanto  più  Bene- 
detto le  stava  dinanzi  sommesso,  tanto  più  ella  ricono- 
sceva di  avergli  accordato  una  grazia  speciale,  sposan- 
dolo. Le  opinioni  liberali  di  lui,  un  tempo  ammirate, 
adesso  l'esasperavano  come  una  prova  di  volgarità.  I 
puri  erano  tutti  borbonici  ;  lo  zio  duca  e  qualche  altro 
facevano  i  liberali  perchè  ci  speculavano  su.  Se  il  pa- 
triottismo avesse  fruttato  qualche  cosa  a  suo  marito, 
un  grande  onore  o  molti  quattrini,  meno  male;  ma  quei 
principii  da  straccione  professati  senza  costrutto  dimo- 
stravano insieme  la  bassa  origine  e  la  sciocchezza  di 
Benedetto.  Adesso,  per  vantarsi  di  quel  ciondolo,  di 
quel  titolo  di  cavaliere  toccato  agli  ultimi  scalzacani, 
bisognava  sapersi  discendenti  da  mastri  notari  !  Bene- 
detto ci  rideva  un  poco,  ma  a  malincuore,  e  una  volta, 
anzi,  da  .solo  a  sola,  le  disse  : 

—  Potresti   smetterlo,   questo   scherzo. 

—  Scherzo?  Che  scherzo?  T'hanno  fatto  cavaliere, 
sì  o  no  ?  È  verità  o  è  menzogna  ? 

E  per  farsi  un  vanto  del  suo  rigorismo,  non  contenta 
d'aver  messo  in  ridicolo  quella  nomina,  andava  a  dire 
dinanzi  a  donna  Ferdinanda  o  a  don  Blasco  : 

—  Del  resto,  egli  non  ha  bisogno  della  croce  !  K  già 
cavaliere  di  natura — 

ÌNIa,  il  più  bello  era  che  do;ina  P^erdinanda,  adesso, 
non  le  dava  più  retta,  anzi  parteggiava  a  viso  aperto 
per  Benedetto,  il  quale  la  serviva  in  quella  stagione, 
per  via  della  famosa  legge  sul  corso  forzoso.  Con  gli 
anni,  quanto  più  il  suo  peculio  era  cresciuto,  tanto  più 
cupida    ella    era    divenuta  :    adesso    dava    i    danari    al 


—  40  — 

trenta,  al  quaranta  per  cento,  gridando  poi  al  ladro 
se  qualche  povero  diavolo  ritardava  di  qualche  giorno 
il  pagamento.  Ora,  della  «carta  sporca»,  come  chia- 
mava i  biglietti  di  banca,  ella  non  voleva  saperne,  non 
riconosceva  altra  moneta  dai  colonnati  e  dai  dodici 
tari  in  fuori  ;  se  i  suoi  debitori,  alle  scadenze,  venivano 
a  pagarle  gì'  interessi  in  tanti  stracci,  ella  rifiutava 
■di  rinnovare  il  prestito,  pretendeva  sotto  il  colpo  la 
restituzione  del  capitale,  si  faceva  suggerire  dal  nipote 
avvocato   il   modo  d'eludere  la  legge   e   d'obbligare  la 

gente   a  pagare    in    argento    sonante Quanto   a   don 

Blasco,  anch'egli  aveva  altre  cose  pel  capo,  e  i  Giu- 
lente  cominciavano  a  entrare  nelle  sue  grazie.  Tornato 
dalla  villeggiatura,  s'era  preso  in  affitto  un  quartierino 
verso  la  Trinità,  per  esser  libero  e  restar  vicino  alla 
Sigaraia,  come  quand'era  a  San  Nicola;  ma  gli  biso- 
gnava frattanto  ammobiliar  la  casetta.  E  vomitando 
maledizioni  contro  i  «  Piemontesi  »  che  lo  avevano  but- 
tato in  mezzo  ad  una  via,  con  l'elemosina  d'una  lira 
e  mezza  il  giorno,  chiedeva  qualcosa  a  ciascuno  dei 
parenti  :  un  divano  al  principe,  un  paio  di  poltrone  al 
marchese,  un  armadio  a  Benedetto.  Comprata  un  po' 
di  biancheria,  la  distribuì  alle  parenti  perchè  gliela 
facessero  cucire  ;  cucita  che  fu,  chiese  qualche  piccolo 
ricamo  per  giunta  ;  e  tutti  si  facevano  un  dovere  di 
contentarlo,  rivaleggiavano  anzi  nel  rendergli  quei  ser- 
vizi!, se  lo  ingraziavano,  adesso  che  aveva  anch'egli 
il  suo  gruzzolo.  Quanto  avesse  non  si  sapeva  con  pre- 
cisione ;  ma  alla  scadenza  del  primo  semestre  della  sua 
rendita,   visto  che  le  cedole  eran  pagate  puntualmente 

—  in  carta,  è  vero,  ma  la  carta  correva  come  moneta 

—  egli  disse  al  marchese  di  fargli  comperare  altre  die 
cimila    lire    di    cartelle.    E    gridando   contro   il   governo 
ladro,  teneva  sotto  il  guanciale  i  suoi  titoli. 

Al  principio  dell'estate,  benché  la  Camera  fosse  an- 
cora aperta,  arrivò  il  duca.  Ricominciarono  le  solite 
dim.ostrazioni  degli  amici  e  degli  ammiratori;  egli  sa- 
liva in  cattedra  con  maggior  sicumera  di  prima  e  com- 


—  41   — 

meritava  l'opera  del  Parlamento.  La  soppressione  delle 
società  religiose  era  il  gran  fatto  dei  tempi  moderni  ; 
t'gli  ne  enumerava  e  dimostrava  gli  immensi  vantaggi. 
Prima  d'ogni  cosa,  i  latifondi  tolti  alla  manomorta 
avrebbero  raddoppiato  e  migliorato  i  loro  prodotti  «  a 
vantaggio  dell'agricoltura,  industria  e  commercio,  sor- 
gente percipua  di  ricchezza  sociale  »  ;  in  secondo  luogo 
tutti,  anche  coloro  che  non  avevano  capitali,  potevano 
diventar  proprietarii  aggiudicandosi  piccoli  lotti  da  ri- 
scattare con  lo  stesso  frutto  della  terra  ;  finalmente  il 
governo,  con  l'utile  della  vendita,  avrebbe  scemato  le 
tasse  «  a  sollievo  della  finanza  pubblica  e  privata  ». 
Era  come  un'altra  «  legge  agraria  »  :  egli  citava  i  Ro- 
mani, Servio  Tullio;  e  la  gente  che  non  capiva,  bat- 
teva egualmente  le  mani,   in  attesa  della  cuccagna. 

Egli  frattanto  si  preparava  a  comperar  qualche  lotto 
—  dicevano  anzi  che  fosse  venuto  proprio  per  questo  — 
e  consigliava  al  principe,  a  Benedetto,  al  marchese  di 
fare  altrettanto.  Quando  don  Blasco  ne  ebbe  sentore, 
fece  cose  da  pazzo  : 

—  I  beni  della  Chiesa,  razza  di  miscredenti  e  di  dan- 
nati ?  Volete  dunque  tenere  il  sacco  ai  ladri,  ah  ?  Non 
avete  paura  per  l'altra  vita?  Che  faccia  una  cosa  si- 
mile quel  farabutto,  —  ormai  non  chiamava  altrimenti 
il  fratello  deputato,  —  non  è  meraviglia,  dopo  che  ha 
votato  la  ladreria.  Nel  più  c'è  il  meno,  e  neppure  Do- 
mineddio può  cavarlo  dal  fuoco  eterno!  Ma  voialtri? 
Guai  a  tutti  !  Fuoco  dall'aria  sui  vostri  capi  !  Arse 
l'anime  !... 

Donna  Ferdinanda,  da  canto  suo,  era  contrariissima, 
per  scrup>olo  religioso  ;  e  minacciava  anche  lei  le  pene 
infernali  ai  compratori  dei  beni  della  Chiesa;  la  princi- 
pessa, che  stava  peggio  in  salute,  appoggiava  la  zia; 
e  un  giorno  venne  il  Priore  al  palazzo,  a  posta  per  di- 
stogliere i  parenti  dall'acquisto  col  linguaggio  della 
persuasione  evangelica. 

—  Non  vi  lasciate  indurre  in  tentazione.  Vi  diranno 
che  l'occasione  è   propizia  per  fare  qualche  guadagno 


—  42  — 

materiale;  ma  la  salute  dell'anima  è  il  sommo  dei  beni. 
Il  vSignore  vi  compenserà  in  altro  modo,  vi  darà  da  un 
altro  canto  quello  che  ora  rinunziercte.... 

Il  principe  sta\a  a  sentire  le  .  due  campane  senza 
esprimere  la  propria  opinione;  il  marchese  però  giudi- 
cava eccessivi  gli  scrupoli  ;  e  Chiara,  per  seguire  il  ma- 
rito, non  dava  ascolto  alle  ammonizioni  del  confessore. 
Lucrezia,  da  canto  suo,  spingeva  Benedetto  a  com- 
prare, ad  arricchirsi,  poiché  adesso  lo  credeva  non  solo 
ignobile,  ma  anche  miserabile  ;  uno  che  non  possedeva 
neppure' uno  straccio  di  feudo,  mentre  in  casa  Fran- 
calanza  ce  n'erano  sedici  !... 

Frattanto  il  Parlamento  discuteva  un'altra  legge  «  a 
vantaggio  dell'  incremento  pubblico  e  privato  »,  come 
spiegava  il  duca,  sebbene  non  andasse  alla  capitale  : 
quella,  cioè,  relativa  allo  svincolo  delle  cappellanie  e 
dei  beneficii  laicali  ;  e  il  principe,  zitto  zitto,  cominciava 
a  tener  conferenze  col  notaro  e  col  procuratore  legale, 
preparava  i  suoi  titoli  per  ottenere  i  beni  di  tutte  le 
fondazioni  degli  antenati,  specialmente  della  cappel- 
lania  del  Sacro  Lume;  quando  un  bel  giorno  don  Bla- 
sco,  che  da  un  certo  tempo  non  metteva  piede  al  pa- 
lazzo, vi  piovve  inaspettato. 

—  Badiamo,  ohi  !  Se  si  svincola  la  cappellania,  la 
roba  va  divisa  fra   tutti   i   consanguinei  ! 

—  \'ostra  Eccellenza  s' inganna  —  rispose  il  prin- 
cipe. —   I  beni  rientrano  nel  fedecommesso. 

—  Che  fedecommesso  d'Egitto?  Dov'è  il  fedecom- 
messo? Sono  quarant'anni  che  è  finito,  e  i  titoli  li  ho 
letti  anch'  io  ! 

—  Ma  il  diritto  di  patronato  è  stato  in  mano  mia. 

—  Patronato  ?  Quasi  che  si  trattasse  di  un  ente 
autonomo  !  —  don  Blasco  parlava  adesso  come  un 
trattato  di  giurisprudenza.  —  È  una  semplice  eredità 
cuììi  Oliere  inissarum  :  hai  da  spiegarmi  il  latino  ?  O 
torniamo  coi  cavilli  che  facesti  alla  Badia  per  non  pa- 
gare il  legato?...  Alle  corte,  qui  bisogna  intendersi: 
se  no  comincio  con  un  dichiaratorio,  e  poi  ce  la  ve- 
dremo in  tribunale  ! 


—  43  — 

Il  principe,  vistosi  scoperto,  in  un  momento  che  la 
bile  gli   tornava  a  g'ola,   esclamò  : 

—  (J  \'ostra  Eccellenza  non  aveva  vietato  di  toc- 
care i   beni  della  Chiesa  ? 

—  Evviva  la  bestia  !  —  proruppe  il  monaco.  —  Qui 
la  Chiesa  che  ha  da  vedere?  Le  messe  si  faranno  cele- 
brare come  prima,  anzi  meglio  di  prima  !  Tu  volevi 
forse  intascare  le  rendite  senz'altro? 

Ma  non  ci  fu  tempo  di  approfondire  la  quistione  e 
di  concretar  nulla,  che  una  sera  d'agosto,  mentre  al  pa- 
lazzo una  folla  d' invitati  assisteva  alla  processione  del 
carro  di  Sant'Agata,  arrivò  il  duca  giallo  come  un 
morto,   annunziando  : 

—  Il  colera!  Il  colera!...   Un'altra  volta!... 

Quello  buono,  adesso  ;  la  dose  giusta  finalmente  tro- 
vata dagli  untori  ;  perchè,  Dio  ne  scampi,  non  erano 
passate  ventiquattr'ore  che  già  il  morbo  si  dilatava.  E 
che  spavento  per  le  vie  di  campagna,  nuovamente  per- 
corse, giorno  e  notte,  da  torme  di  fuggiaschi  ;  e  che 
terrore,  infinitamente  più  contagioso  della  peste,  vin- 
ceva i  più  coraggiosi  all'annunzio  del  rapido  progredire 
del  male,  e  li  cacciava  su,  verso  la  montagna,  nei  paesi 
del  Bosco,  dove,  con  la  consueta  fiducia  nell'  immunità, 
l'affitto  d'una  casupola  costava  un  occhio  del  capo  ! 

Gli  Uzeda  erano  arrivati  al  Belvedere  poche  ore 
dopo  la  notizia  portata  dal  duca,  e  questi  aveva  preso 
posto  nella  prima  carrozza,  tanta  tremarella  aveva  in 
corpo.  La  cugina  Graziella  era  ancora  una  volta  coi 
cugini  :  la  sua  presenza  adesso  diveniva  tanto  più  ne- 
cessaria quanto  che  la  p<3vera  principessa  andava  peg- 
gio, e  o  fosse  la  paura  del  colera,  o  il  disagio  della 
fuga  improvvisa,  appena  arrivata  alla  villa  si  mise  a 
letto.  Un  po'  per  questo,  un  po'  per  la  tristezza  gene- 
rale prodotta  dal  sapere  le  stragi  che  faceva  in  città  la 
pestilenza,  non  più  ricevimenti,  non  più  giuochi,  non 
più  veglie.  Il  giorno  passeggiavano  nel  podere;  Con- 
salvo, Benedetto  e  qualche  altro  s'arrischiavano  per  le 
vie,   ma  all'ave  il   principe   voleva  che  tutti  fossero  in 


—  44  — 

casa  e  faceva  sprangare  tutte  le  porte  e  tutti  i  can- 
celli; don  Blasco,  alla  villa  del  marchese,  si  teneva 
prudentemente  nella  propria  camera,  e  non  andava 
neppure  a  litigare  con  Giacomo,  anche  per  evitare  la 
compagnia  di  quel  «  farabutto  »  del  duca.  Ma  improv- 
visamente un  brutto  g-iorno  la  costernazione  crebbe 
fuor  di  misura  :  la  pestilenza  era  scoppiata  al  Belve- 
dere ;  la  serva  di  certa  gente  venuta  tre  giorni  prima 
dalla  città  agonizzava;  s'udiva  la  campanella  del  Via- 
tico per  le   vie   deserte  come  quelle  d'un  paese  morto. 

—  Bisogna  scappare!...  Scappiamo!  Subito!...  Alla 
Viagrande,   alla   Zafterana.... 

Lucrezia  coi  Giulente  parti  subito  per  .Mascalucia.  Il 
duca,  più  morto  che  vivo,  avrebbe  voluto  andarsene 
sul  pizzo  d'  Etna,  per  mettersi  bene  al  sicuro;  ma  pre- 
valse pel  momento  il  partito  del  marchese,  che  diceva 
d'andare  alla  \'iagrande,  dov'erano  quasi  sicuri  di  tro- 
vare una  casa  capace  di  tutta  la  parentela.  BLsognavti 
però  che  qualcuno  passasse  innanzi  per  cercarla  ;  e  il 
duca  s'offerse  d'accompagnare  il  principe,  non  paren- 
dogli vero  di  battersela  immediatamente.  Giacomo 
disse  alla  moglie  : 

—  Vuoi  venire  anche  tu  ? 

La  principessa,  da  alcuni  giorni,  aveva  lo  stomaco 
rovinato,  non  digeriva  piì,i,  si  trascinava  penosamente 
dal  letto  alla  poltrona;  e  appunto  per  ciò  tutti  conven- 
nero che  bisognava  metterla  in  salvo  prima  degli 
altri.  Marito  e  moglie  partirono  dunque  subito  con  lo 
zio  e  Baldassarre  ;  gli  altri  restarono  a  preparare  i  carri 
della  roba,  giacché  questa  volta,  non  andando  in  casa 
propria,  bisognava  portare  letti,  biancheria,  tutte  le 
cose  d'uso  giornaliero.  Nella  notte  tornò  il  maestro  di 
casa  per  avvertire  che  l'alloggio  era  trovato,  e  il  do- 
mani all'alba  tutti  scapparono  dal  Belvedere  dove  il 
colera  già  divampava.  La  casa,  alla  Viagrande,  s'era 
trovata  grazie  alle  relazioni  ed  ai  quattrini  del  prin- 
cipe di  Francalanza  :  nondimeno,  era  una  catapecchia 
consistente  in  tre  cameracce  e  due  stanzini  a  pian  ter- 


—  45  — 

reno,  povera  abitazione  d'un  bottaio,  dove  i  «  Viceré  » 
furono  molto  contenti  di  potersi  ficcare.  Grazie  al  nome 
di  L'zeda,  l'entrata  in  paese  fu  loro  consentita,  quan- 
tunque venissero  da  un  luog-o  infetto;  ma,  una  volta 
dentro,  il  principe,  il  duca,  don  Blasco  cominciarono  a 
g-ridare  che  non  bisognava  lasciar  passare  nessun  altro, 
se  non  si  voleva  la  rovina  della  Viagrande.  Infatti  l'epi- 
demia decimava  non  solamente  la  popolazione  rimasta 
in  città,  dove  si  contavano  fino  a  trecento  morti  il 
giorno  e  non  c'era  più  consorzio  civile,  nessuna  auto- 
rità, né  deputati,  né  consiglieri,  ne  niente,  ma  diffon- 
devasi  per  la  prima  volta  con  violenza  straordinaria 
nel  Bosco  scampato  a  tutte  le  altre  invasioni  coleriche  : 
era  al  Belvedere,  a  San  Gregorio,  a  Gravina,  alla 
Punta,  gfuadagnava  le  case  sparse,  non  risparmiava  i 
casolari  perduti  in  mezzo  alle  campagne  ;  e  non  soltanto 
i  poveri  diavoli  morivano,  ma  le  persone  facoltose,  i 
signori  che  s'avevano  ogni  sorta  di  riguardi  ;  talché 
la  gente  atterrita  fuggiva  da  un  paesuccio  all'altro, 
come  poteva,  sui  carri,  a  cavallo,  a  piedi  ;  ima  chi  por- 
tava addosso  il  germe  del  male  cadeva  lungo  gli  stra- 
dali, si  torceva  nella  polvere  e  moriva  come  un  cane  : 
i  cadaveri  insepolti,  cotti  dal  torrido  sole  estivo,  esala- 
vano pestiferi  miasmi,  mettevano  il  colmo  all'orrore; 
e  i  fug"giaschi  che  arrivavano  sani  e  salvi  ai  luoghi 
ancora  immuni  erano  accolti  a  schioppettate  dai  ter- 
razzani atterriti  ;  o,  se  riuscivano  a  trovare  un  rifugio, 
comunicavano  ai  sani  la  pestilenza.  La  siccità  aggiun- 
gevasi  a  render  disperate  quelle  tristi  condizioni  ;  tutte 
le  cisterne  erano  asciutte,  non  si  poteva  far  pulizia, 
c'era  appena  di  che  dissetarsi.  Il  principe,  alla  Via- 
grande,  pagava  una  lira  ogni  brocca  d'acqua;  e  la 
principessa  pareva  diventata  un  pozzo,  tanta  ne  sciu- 
pava, tra  per  lavarsi  ogni  ora,  in  quelle  stanze  dai 
pavimenti  e  dai  muri  unti  e  dagli  usci  luridi,  la  cui 
sola  vista  .le  metteva  i  brividi  ;  tra  per  la  sete  che  la 
divorava.  I  dolori  intestinali  non  la  lasciavano  più  ;  a 
momenti   pareva  che   avesse   già.   ì   crampi   del   colera  ; 


-  46- 

lauto  che  i!  duca,  atterrito,  pensava  di  scapparsene  pili 
lontano;  ma  la  paura  di  lui  era  fuor  di  luogo:  quei 
dolori,  quelle  disposizioni  al  vomito,  la  principessa  li 
soffriva  da  paia  di  un  anno,  non  con  1'  intensità  di 
adesso,  è  vero,  ma  con  lo  stesso  carattere.  Il  principe, 
assicurando   lo  zio,   gli   manifestava  altri   timori  : 

—  Margherita  non  ha  voluto  mai  chiamare  un  dot- 
tore...^  jiia    io    ho   una    gran    paura m'hanno   detto 

che  forse  ha  un  cancro  allo  stomaco 

Ma  il  duca  non  gli  dava  retta  ;  per  adesso,  aveva 
da  pensare  alla  propria  pelle,  perchè  il  colera  poteva 
scoppiare  da  un  momento  all'altro  alla  \'iagrande,  anzi 
qualche  allarme  c'era  già  stato. 

— •  Andiamo    via!...    —   insisteva;    —    andiamo    più 

lontano,   al   Milo,   a   Cassone,   sulla   montagna —  e 

quando  finalmente  il  primo  caso  fu  accertato  in  paese, 

mentre  tutti  ripetevano  :  —  Andiamo  via scappiamo 

più  lontano —  —  egli  aveva  la  cacaiòla,   dalla  paura. 

Questa  volta  le  difficoltà  per  trovare  una  casa  erano 
ancora  ipiù  grandi.  Il  duca  andò  a  cercarla  dalle  parti 
del  Milo.   Il  principe  si  preparò  a  partire  per  Cassone. 

— ■  \'uoi  venire  anche  tu  ?  — •  ripetè  alla  moglie. 

Ella  aveva  passato  una  notte  orribile,  senza  sonno, 
tormentata  dalla  nausea  e  dal  vomito;  s'era  levata  a 
stento,  pallida  e  disfatta  cosi,  che  Chiara  disse  : 

—  Xo,  lasciala....  \errà  quando  avrai  trovato  la 
casa 

Le  stesse  cameriere  dissero  che  non  era  prudente 
esporla  al  disagio  della  ricerca,  che  meglio  le  conve- 
niva partire  quando  si  sapeva  dove  condurla  ;  ma  la 
cugina  Graziella  fu  di  contrario  parere,  udendo  che  i 
casi  si  moltiplicavano  rapidamente  nel  villaggio. 

—  Io  direi  invece  di  allontanarla  subito nelle  su-^* 

condizioni  può  opporre  meno  resistenza  al  contagio — 
una  casa  qualunque  Giacomo  ha  pure  da  trovarla.... 

Donna  Ferdinanda  era  anche  lei  di  questa  opinione  ; 
ma  Consalvo,  stretto  alla  mamma,  le  diceva,  piano  : 

— ■  No,  non  andare  per  ora è  meglio  qui an- 
dremo poi  tutti.... 


>, 

à 


—  47  — 

Ella  carez/ax  a  il  giovanetto  con  la  mano  scarna  e 
fredda,  e  guardava  timidamente  il  manie,  aspettando 
che  egli  stesso  decidesse. 

— .  \'uoi  o  non  vuoi  venire?  —  le  domandò  ogli, 
con  voce  breve,  col  tono  che  prendeva  quando  le  di- 
scussioni cominciavano  a  seccarlo;  e  la  domanda  che 
aveva  il  suo  senso  letterale  per  tutti,  ne  acquistava  un 
altro  per  la  principessa  che  comprende v'a  le  intenzioni 
e  i  gesti,  che  intuiva  i  sottintesi 

—  No,   t'accompagno — 

Sul  punto  di  vederla  andar  via,   il  priricipino  insistè  : 

—  Mamma,  resta o  prendimi  con  te;  —  e  il  gio- 
vanetto, ordinariamente  allegro  e  spensierato,  dimo- 
strava adesso  una  specie  d' inquietudine  quasi  paurosa. 

—  Non  c'è  posto  per  tutti  I  —  rispose  il  principe, 
brusco;  e  la  principessa  abbracciò  forte  il  figliuolo  d'i- 
cendogli  : 

—  Resta resta domani    saremo    insieme 

Si  mise  in  carrozza  accanto  a  suo  marito  tenendo  un 
pezzo  di  canfora  alle  nari  ;  Baldassarre  montò  in  serpe 
e  la  carrozza  partì. 

Fino  a  sera,  non  s'ebbe  più  notizia  di  loro.  A  un'ora 
di  notte  arrivò  un  espresso  mandato  dal  duca  dal  Milo, 
il  quale  avvertiva  d'aver  trovato  lassù  uno  stambugio 
dove  c'era  posto  appena  per  lui;  li  lasciava  quindi  li- 
beri  di   raggiungere   Giacomo. 

Alla  \'iagrande  frattanto  smaniavano,  perchè  il  pa- 
nico cresceva  contagiosamente.  Già  accusavano  Gia- 
como d'essersi  scordato  di  loro  come  quell'egoista  del 
duca;  g^ià  don  Blasco  parlava  di  mettersi  a  cavallo  a 
un  asino  e  di  andarsene  non  importava  dove,  quando, 
all'alba  del  domani,  arrivò  Baldassarre,  pallido,  stra- 
volto  e   tremante. 

—  Eccellenza!...  Eccellenza!...  La  padrona,  la  si- 
gnora principessa!...  Attaccata  di  colera!...  Spirata 
in   tre  ore  !... 


-48 


VII. 


Al  matrimonio  del  principe  con  la  cugina  Graziella, 
celebrato  tre  mesi  dopo  la  cessazione  dell'epidemia, 
solo  i  parenti  e  pochissimi  intimi  furono  invitati  :  il 
vedovo  era  ancora  in  gramaglie  e  il  chiasso  d'una  fe- 
sta sarebbe  stato  inopportuno.  Del  resto  il  principe 
stesso  spiegava  che  quel  matrimonio  era  di  semplice 
convenienza  :  tanto  lui  quanto  la  sposa  avevano  molti 
autunni  sulle  spalle,  associavano  quindi  i  loro  destini 
senza  nessuna  delle  fantasticherie  giovanili,  e  solo  per 
fare  assegnamento  sull'aiuto  reciproco  che  si  sarebbero 
prestato  :  la  cugina  aveva  bisogno  d'un  uomo  che  tu- 
telasse gli  interessi  di  lei,  che  le  ridesse  una  posizione 
in  società,  ed  il  principe  trovava  una  nuova  madre  ai 
proprii  figliuoli.  Ouell'unione,  prevista  da  alcuni,  fin 
da  quando  la  cattiva  salute  della  principessa  aveva  fatto 
temere  per  la  sua  vita,  aspettata  poi  da  un  giorno  al- 
l'altro dopo  la  catastrofe  affrettata  dal  colera,  risco- 
teva  perciò  l'approvazione  quasi  universale  :  il  confes- 
sore, il  vicario,  tutti  i  preti  che  bazzicavano  per  la  casa 
l'avevano  giudicata  conveniente  e  provvida.  I  prepa- 
rativi della  cerimonia  nuziale  furono  molto  modesti 
perchè  non  i  soli  sposi  erano  in  lutto  :  non  c'era  quasi 
famiglia,  dopo  quella  terribile  epidemia,  che  non  pian- 
gesse qualche  persona  cara.  Benedetto  Giulente  aveva 
perduto  in  un  giorno  il  padre  e  la  madre,  a  Mascalucia  ; 
la  principessa  di  Roccasciano  era  rimasta  vedova,  alla 
duchessa  Radali  era  morto  uno  zio,  il  cavaliere  Gio- 
vanni Artuso;  ma  questa  disgrazia  non  era  stata  causa 
di  grande  dolore,  poiché  il  cavaliere,  ricchissimo  e 
senza  figli,  aveva  lasciato  in  casa  Radali  tutta  la  sua 
sostan.-^a  :  l'usufrutto  alla  duchessa,  la  proprietà  a  Gio- 
vannino  che   aveva    tenuto   a   battesimo.    Doleva   piut- 


—  49  -^ 

tosto  alla  madre  che  l'eredità  non  fosse  andata  al  pri- 
mogenito, per  amor  del  quale  ella  aveva  sacrificata  la 
propria  vita.  La  soppressione  dei  conventi  aveva  già 
sconvolto  tutti  i  suoi  disegni,  non  potendo  Giovannino 
professarsi  più,  e  tornando  al  secolo;  adesso  l'eredità 
veniva  a  pareggiare  la  condizione  dei  due  fratelli,  cioè 
a  diminuire  quella  del  primogenito.  Ella  voleva  bene 
ad  entrambi,  ma  al  duca,  oltreché  bene,  portava  anche 
una  specie  d'istintivo  rispetto,  come  capo  della  casa, 
come  erede  e  continuatore  del  nome  e  della  potestà 
paterna.  Perchè  la  chiusura  dei  conventi  e  l'errore  dello 
zio  non  disturbassero  i  piani  di  lei,  bisognava  che  Gio- 
vannino non  prendesse  moglie  :  ella  lavorava  a  questo 
scopo,  lasciando  il  giovane  libero  di  sbizzarrirsi  a  suo 
modo,  secondando  tutti  i  suoi  gusti  per  la  caccia,  pei 
cavalli,  per  tutti  i  diporti,  in  modo  che  il  giovine  non 
fosse  tentato  di  mutar  vita. 

Che  donna  Graziella  avrebbe  fatto  da  madre  ai  figli 
del  principe,  era  frattanto  fuori  di  dubbio.  Baldassarre 
aveva  riferito  ai  suoi  dipendenti,  e  questi  ripetevano 
dovunque  i  particolari  delle  lettere  scambiate  tra  la 
sposa  e  la  principessina.  La  ragazza  aveva  saputo  a 
Firenze  la  morte  della  mamma,  e  che  pianto  !  che  con- 
vulsioni! basti  dire  che  la  direttrice  del  collegio  s'era 
messe  le  mani  in  capo,  non  sapendo  come  fare.  Povera 
signorina,  aveva  pure  ragione  !  sola,  lontana  da  casa 
sua,  «senza  poterla  abbracciare  un'ultima  volta! 
Mamma  mia  !  Mamma  mia  !...  »  Bisognava  leggerle, 
queste  lettere  ;  perchè  alla  Santissima  Annunziata  le 
signorine  ricevevano  un'  istruzione  comi  fo;  e  la  prin- 
cipessina otteneva  sempre  i  primi  premii,  tanto  era 
svegliata  e  studiosa.  Ma  finalmente,  quando  la  madrina 
le  mandò  una  ciocca  di  capelli  della  buon'anima,  e  il 
suo  libro  di  preghiere,  e  il  suo  rosario,  promettendole 
che  il  principe  l'avrebbe  ripresa  più  presto  in  casa 
e  raccomandandole  frattanto  di  non  affliggerlo  di  più, 
poveretto,  con  quelle  lettere,  la  padroncina  si  venne 
cahnando   a    poco    a    poco  :    »  Hai    ragione,    mia    buona 

De   Robeito.    /    VUcri-    -li  "4 


—  5°  — 

madrina  ;   dimenticavo  il   dolore   del   povero  babbo  per 

pensare  al  mio  (solo  ;  e  ciò  non  è  giusto "  E  le  lettere 

scritte  al  principe  direttamente?  «Non  ti  afflig-gere 
più,  babbo  mio;  pensa  come  me  che  la  santa  mamma 
è  in  paradiso,  e  di  là  ci  guarda  tutti,  e  veglia  su  noi, 
e  vuole  che  ci  consoliamo  perchè  ella  è  tra  i  beati  e 
noi  tutti,  con  la  grazia  del  Signore,  un  giorno  la  rag- 
giungeremo—  »  cosa  veramente  da  strabiliare  che 
una  ragazza  di  quattordici  anni  scrivesse  a  questo 
modo  !...  E  il  principe  le  aveva  dato  allora  la  gran 
notizia  :  inconsolabile  per  la  perdita  di  quella  santa, 
egli  l'avrebbe  pianta  fino  all'ultimo  giorno  della 
propria  vita  ;  ma  i  figliuoli  avevano  bisogno  di  qual- 
cuna che  tenesse  loro  luogo  di  madre,  e  per  quest'unico 
scopo  egli  accettava  i  consigli  di  tutti  i  .parenti  che  lo 
persuadevano  a  riammogliarsi  :  sposava  quindi  la  cu- 
gina che  gli  aveva  dato  tante  prove  d'affezione  nella 
circostanza  della  «  grande  disgrazia  »,  ed  era  la  più 
adatta,  nella  sua  qualità  di  parente,  a  compiere  la  deli- 
cata missione  di  seconda  madre.  La  cugina,  da  suo 
canto,  scrisse  in  ,  coda  sotto  la  dettatura  del  Padre 
confessore  :  «  Mia  cara  figlia,  da  quel  che  t'  ha  detto 
tuo  padre,  tu  comprendi  che  da  ora  innanzi  ho  più  di- 
ritto di  chiamarti  con  questo  nome  che  il  mio  cuore 
t' ha  sempre  dato.  La  mia  più  grande  ambizione  è 
quella  di  renderti  meno  sensibile  la  mancanza  della 
nostra  santa,  non  di  fartela  dimenticare,  che  sarà 
sempre  impossibile  non  solo  a  te  ma  a  noi  tutti.  Strin- 
gendo ancora  più  i  vincoli  che  già  ci  uniscono,  io  ti 
starò  sempre  a  fianco  per  vegliare  su  te  e  tuo  fratello, 
come  quella  benedetta  raccomandò  al  letto  di  morte. 
Sono  impaziente  di  stringerti  al  mio  cuore  :  se  i  tuoi 
studii  non  ti  permetteranno  di  tornare  per  ora  a  casa, 
verremo  noi  a  trovarti  al  .più  presto —  »  Passarono 
però  molti  giorni,  senza  che  a  questa  lettera  venisse 
risposta.  Che  cosa  succedeva  ?  La  , posta  ne  aveva 
fatta  qualcuna  delle  sue  ?  O  la  signorina  stava  poco 
bene?     Oppure   accoglieva    male   l'annunzio    del   matri- 


—  5'  — 

iliouio?...  Baldassarre  fece  di  tutto  per  dissipare  que- 
st 'ultimo  dubbio.  \'eraniente  egli  lavorava  del  suo 
meglio  per  nascondere  alla  g^cnte  anche  il  malumore 
del  principino,  ma  non  ri  riusciva,  perchè  Consalvo, 
fin  dal  primo  annunzio  delle  nozze,  aveva  preso  posi- 
zione contro  la  futura  madrigna  e  il  padre.  Natural- 
mente, aspettando  lo  sposalizio,  la  cugina  non  veniva 
più  al  palazzo,  adesso  che  non  c'era  più  nessuna  signora 
che  la  ricevesse  ;  ma  il  principe  andava  da  lei  e  voleva 
che  il  fig-liuolo  le  facesse  visita  :  tutto  fiato  perduto  : 
il  principino  non  ci  sentiva  da  quell'orecchio,  e  quando 
incontrava  la  promessa  del  padre  in  casa  dei  parenti, 
la  salutava  appena,  rispondeva  con  una  freddezza  mor- 
tificante alle  effusioni  di  lei  che  gH  dava  del  «  figlio 
mio  »  a  tutto  andare,  o  addirittura  la  sfuggiva,  la- 
sciando intendere  l'avversione  che  quella  donna  gì'  ispi- 
rava. Il  principe,  con  grande  e  comune  stupore,  pareva 
che  non  se  ne  accorgesse,  e  quasi  avesse  mutato  ca- 
rattere, quasi  volesse  ingraziarsi  anche  lui  il  figliuolo, 
largheggiava  a  quattrini,  gli  lasciava  fare  quel  che 
voleva,  gli  comperava  carrozzini  e  cavalli  inglesi  ;  ma 
Consalvo  era  freddo  anche  col  padre,  lo  evitava,  stava 
settimane  intere  lontano,  in  campagna,  a  caccia,  tanto 
che  :a  poco  a  poco  si  vedeva  il  principe  gonfiare,  gon- 
fiare, gonfiare.  II  maestro  di  casa,  tanto  amante  della 
pace,  se  n'accorava,  e  lavorava  a  rabbonire  il  padron- 
cino. iConsalvo  lo  lasciava  dire;  a  un  certo  punto  gli 
rispondeva,  freddo  freddo  :  «  Non  mi  seccare.  Bada  al 
tuo  servizio.  Non  mi  seccare »  Giovanotti  !  Gio- 
vanotti !  Bisogna  aver  pazienza  con  essi,  lasciarli  fare 
a  modo  loro,  prima  che  mettano  giudizio  !  Ma  la  princi- 
pessina ?  Era  possibile  che  anche  lei  si  voltasse  contro 
il  padre  e  la  madrigna  ?  Una  figliuola  savia,  obbe- 
diente, educata  alla    Santissima   Annunziata?... 

Dopo  essersi  fatta  aspettare  più  d'una  settimana, 
arrivò  finalmente  la  risposta  della  signorina.  «  Caro 
babbo,  cara  mamma,  »  diceva,  «  non  v'  ho  scritto  più 
presto  perchè  sono  stata  poco  bene  ;  una  cosa  da  nulla, 


*-  52  - 

non  v'inquietato;  ora,  grazie  a  Dio,  posso  dirvi  con 
quanta  gioia  ho  appreso  ciò  che  fate  per  noi  :  »  e  così 
via  per  due  pagine  piene  d'espressioni  affettuose,  fino 
aila  chiusa  che  diceva  :  «  \'ostra  affezionatissima  e 
gratissima  figha,  Teresa.  »  Scrisse  anche  al  fratello, 
nello  stesso  senso  ;  ma  il  principino,  rispondendole, 
neppur  nominò  la  madrigna,  neppur  lece  un'allusione 
al  prossimo  matrimonio,  come  se  mai  ne  avesse  udito 
parlare.  Due  giorni  prima  della  cerimonia,  anzi,  andò 
via  con  Giovannino  Radali  ed  altri  amici,  a  caccia,  di- 
cendo che  sarebbe  rimasto  fuori  ventiquattr'ore  ;  invece 
il  giorno  degli  sponsali,  quando  il  padre  e  la  madrigna 
con  gì'  invitati  andarono  al  Municipio,  egli  non  era  an- 
cora arrivato.  Xon  arrivò  neppur  la  sera,  quando  gli 
sposi  tornarono  dalla  chiesa  :  uno  scandalo  straordi- 
nario, la  servitù  che  mormorava,  i  lavapiatti  sulle 
spine,  la  sposa  che  sorrideva  per  forza-,  Lucrezia  che 
ripeteva  ogni  quarto  d'ora:  «Ma  Consalvo?  Perchè 
non  lo  mandate  a  chiamare?...  »  nonostante  le  aves- 
sero spiegato  parecchie  volte  che  il  giovanotto  era  in 
campagna,  alla  Piana.  Il  principe,  un  poco  pallido, 
diceva  che  doveva  esser  capitatta  qualche  disgrazia 
alla  comitiva;  infatti  nessuno  dei  compagni  di  Con- 
salvo era  ancora  tornato,  e  la  duchessa  Radali  e  il  duca 
Michele  suo  figlio  mandavano  ogni  mezz'ora  a  casa, 
inquieti  per  il  loro  Giovannino.  La  barca  capovolta,  al 
Biviere  ?  La  carrozza  ribaltata  ?  L'n  fucile,  Dio  liberi, 
scoppiato?...  Donna  Ferdinanda  era  invece  tranquil- 
lissima, sapeva  bene  che  il  suo  protetto  aveva  dovuto 
combinar  la  cosa  per  non  assistere  alla  cerimonia  nu- 
ziale; e  in  cuor  suo  lo  approvava.  Bella  sciocchezza, 
da  parte  di  Giacomo,  quella  di  dar  a  intendere  che  si 
ammogliava  per  non  lasciar  senza  madre  i  proprii 
figli  !  I  suoi  figli  non  erano  più  bambini,  da  doverli 
allattare  I...  E  poi,  e  poi,  che  grande  autorità  aveva 
esercitato  su  loro  la  madre  !  Il  principe  non  Je  aveva 
mai  permesso  d'attaccar  loro  un  bottone  !  Adesso,  in- 
vece, che  si  sarebbe  visto?  La  pettegola  cugina  far  da 
padrona    in   casa    Francalanza  ! 


—  53  — 

La  zitellona  diceva  queste  cose,  piano,  all'orecchio 
di  Chiara  e  di  Lucrezia,  le  quali  le  ripetevano  al  mar- 
chese, a  don  Blasco  ;  e  tutti  riconosceviano  che  Gia- 
como sposava  Graziella  unicamente  perchè,  da  gio- 
vane, s'era  messo  in  capo  di  sposarla.  La  madre  non 
aveva  voluto,  ed  egli  s'era  piegato,  allora,  alla  ferrea 
volontà  di  lei  ;  parevia  anzi  aver  dimenticato  la  propria, 
trattando  la  cugina  freddamente,  quasi  non  l'avesse 
j)ensata  mai,  badando  solo  agli  affari  ;  ma  appena  finito 
di  accomodarli,  egli  s'era  messo  con  l'antica  innamo- 
rata, e  ora,  dopo  tanti  anni,  non  più  giovane,  con  due 
figli  grandi  e  grossi  sulle  spalle,  il  suo  primo  pensiero, 
appena  libero,  era  quello  di  sposarla,  vedova,  invec- 
chiata, imbruttita,  pur  di  prendere  la  rivincita,  pur 
di  disfare  l'opera  della  madre.  Non  l'aveva  disfatta  in 
un  altro  modo,  eludendo  le  volontà  che  ella  aveva 
manifestate  nel  testamento,  spogliando  i  legatarii  e  il 
coerede?  E  che  restava  oramai  dell'opera  della  de- 
funta? Raimondo  non  aveva  anch'egli  disfatto  il  ma- 
trimonio voluto  da  lei?  Lucrezia  che  doveva  restare  in 
casa  non  s'era  sposata?...  «Strambi!...  Cocciuti!... 
Pazzi  !...  »  Così  essi  scambiavansi  le  stesse  accuse;  ma 
stavolta  tutti  erano  stati  d'accordo  fiel  biasimare  il 
principe,  nel  coalizzarsi  contro  di  lui  ;  ad  eccezione  del 
solo  Priore.  Gli  interessi  mondani,  le  lotte  della  fa- 
miglia lo  lasciavano  adesso  molto  più  indifferente  di 
prima,  sul  punto  com'era  di  partire  per  Roma.  Dopo 
la  soppressione  d€Ì  conventi  tutti  avevano  riconpsciuto, 
al'lia  Curia,  che  il  dotto  e  santo  Cassinese  doveva 
<indare  avanti  in  altro  modo.  Gli  era  stato  offerto  un 
\escovato,  a  ,sua  scelta  ;  ma  egli  che  mirava  più  alto, 
aveva  chiesto  di  andare  a  Propaganda.  E  giusto  in 
quei  giorni,  con  la  nomina  di  vescovo  /;/  partibiis,  era 
stato  chiamato  alla  grande  Congregazione.  Che  gì'  im- 
portava del  matrimonio  del  fratello,  del  testamento 
della  madre  e  di  tutte  le  trame  meschine  che  ordivano 
i  suoi  ?  A  Roma  egli  era  preceduto  da  una  fama  cosi 
chiara,  da  raccomandazioni  tanto  eflìc^ci,  che  in  poco 


—  54  — 

tempo  era  sicuro  di  raggiungere,  con  la  propria  accor- 
tezza, i  più  alti  gradi  della  gerarchia....  Come  a  lui, 
lo  scioglimento  delle  corporazioni  religiose  aveva  dato 
a  don  Blasco  altri  desiderii,  altre  ambizioni.  Convertiti 
in  bella  rendita  sul  Gran  Libro  i  quattrini  portati  via 
dal  convento,  il  monaco  aveva  finalmente  visto  avve- 
rarsi il  sogno  della  sua  giovinezza  :  aver  del  suo,  essere 
capitalista.  Allora  aveva  quasi  dimenticato  1'  odio  contro 
il  rivale  nipote,  'non  s'  era  più  curato  né  di  lui  né  degli 
altri.  Ma  1'  appetito  vien  mangiando,  dice  il  proverbio, 
e  don  Blasco  non  si  contentava  di  quelle  poche  migliaia 
d'onze,  voleva  arricchire  per  davvero,  studiava  il  modo 
di  batter  moneta.  Per  tanto  voleva  assaggiare  i  beni 
delle  Cappellanie  e  dei  Benefizii  ;  e  vedendo  che  Gia- 
como gli  dava  erba  trastulla  e  nonostante  le  promesse 
iniziava  la  causa  per  conto  proprio,  era  stato  l'anima 
della  lega  ordita  contro  di  lui,  mettendo  in  opera  il 
sistema  da  lui  adoperato  contro  i  fratelli.  Chi  la  fa 
r  aspetta,  dice  un  altro  proverbio,  e  il  principe  che 
s'era  fatto  pagare  da  Raimondo  e  da  Lucrezia  p>er  dar 
loro  il  suo  appoggio,  ave\  a  dovuto  chiuder  la  bocca  allo 
zio  perchè  questi,  che  non  aveva  mai  avuto  peli  sulla 
lingua,  s'era  messo  a  cantare  che  la  faccenda  della 
morte  della  principessa  non  era  tanto  liscia,  e  che  aver 
costretto  la  «  povera  Margherita  »  a  scappare  a  Cassone 
mentre  stava  cosi  male  ed  aveva  anzi  i  primi  sintomi 
del  colera,  era  stato  un  voler  sbarazzarsi  di  lei,  dopo 
averle  dettato  un  testamento  nel  quale  s'  era  fatto  lascia- 
re ogni  cosa,  e  niente  ai  figli  ;  e  che  la  freddezza  di 
Consalvo  non  era  poi  senza  ragioni,  e  che —  e  che — 
Allora  il  principe  aveva  riconosciuti  i  diritti  della  paren- 
tela alla  spartizione  dei  beni,  e  tutti  s' eran  placati. 
Placati  in  apparenza,  perchè  i  rancori  ribollivano  sor- 
damente. Giacomo  non  se  la  poteva  prendere  col 
monaco,  iper  non  disgustarselo,  adesso  che  aveva 
quattrini  ;  né,  per  la  stessa  ragione,  con  la  zia  Ferdi- 
nanda ;  tanto  meno  col  duca  alla  cui  autorità  di  deputato 
ricorreva   per  essere   assistito  contro   il   fisco   rapace. 


-Ma  sfogava  contro  tutti  gli  altri,  incagnato,  una  furia. 
L'  ag^ente  delle  tasse,  specialmente,  un  certo  Stravuso, 
era  il  suo  incubo  :  oltre  che  di  ingordo,  costui  aveva 
la  fama  di  terribile  iettatore,  e  il  principe,  pigliandosela 
con  lui,  non  lo  poteva  neppur  nominare  dalla  paura; 
non  lo  chiamava  altrimenti  che  «  Salut' a  noi!  », 
tenendo  nel  pugno  un  amuleto,  un  ignobile  pezzo  di 
ferro  a  fog'gia  di  mano  che  fa  il  segno  delle  corna. 

— ^'Che  io  parli  con  Salut' a  noi?...  —  diceva  allo 
zìo,  quella  sera  degli  sponsali.  —  Fossi  pazzo  !...  Fa- 
telo andar  via  !  Fatelo  traslocare,  cotesto  ladro  imbo- 
scato per  spogliar  la  gente!...  Non  gli  basta  farmi 
pagare  il  20  per  cento  sugli  svincoli,  la  doppia  tassa  di 
succes'sionc  fra  estranei  !  Ma  se  fossimo  estranei  non 
erediteremmo  !  I  beni  vengono  a  noi  appunto  perchè  i 
fondatori   furono   nostri   antenati  ! 

Il  duca,  che  portava  al  cielo  le  nuove  leggi,  gli  con- 
sigliava di  non  lagnarsi  :  anche  dedotto  il  20  per  cento, 
il  resto  era  tanto  di  guadagnato.  L'  importante  in  tutto 
questo,  per  il  legislatore,  era  che  tante  proprietà  e  tante 
rendite  fossero  sottratte  ai  monaci  e  destinate  ad  im- 
pinguare la  fortuna  dei  privati  cittadini,  quindi  ad  au- 
mentare la  pubblica  prosperità.  Perciò,  aspettando  di 
prender  la  sua  parte  nella  divisione  dei  beni  svinco- 
lati, egli  era  rimasto  aggiudicatario  del  Carrubo  e  di 
Fontana  Rossa,  due  feudi  della  Badia  di  San  Giuliano, 
dei  quali  a  giorni  sarebbe  entrato  in  possesso,  e  incitava 
il  nipote  a  fare  altrettanto,  a  scegliere  qualche  bel  te- 
nimento  di  terre  da  pagare  a  tanto  1'  anno  con  gli  stessi 
frutti  e  da  migliorare  in  modo  da  moltiplicarne  il  va- 
lore ;  ma  il  principe  : 

— ■  Eccellenza,  non  posso.  Il  confessore  non  vuole. 
Me  r  ha  messo  a  scrupolo  di  coscienza  ;  e  giusto  in 
questa  circostanza  solenne  del  mio  matrimonio  intendo 
rispettarlo.  Ciò  non  vuol  dire  che  \'ostra  Eccellenza 
abbia  fatto  male;  ma  i  nostri  casi  sono  diversi 

Il  duca  lo  guardò  un  poco  nel  bianco  degli  occhi, 
come  per  sincerarsi  se  diceva  sul  seria  o  se  scherzava  ; 


-  56  — 

poi   usci   nella   stessa   obbiezione   che    il   principe   aveva 
rivolta   a  don   Blasco  : 

—  O  allora  perchè  rivendichi  i  beni  delle  Cappellanie? 
Non  sono  della  Chiesa  anche  quelli  ? 

—  Eccellenza  no,  —  rispose  il  principe,  —  La  Chiesa 
ne  era  semplice  amministratrice,  secondo  l'intenzione 
dei  fondatori.  Le  sole  rendite  debbono  essere  convertite 
a  scopi  sacri,   e  di  ciò  siamo  responsabili  tutti 

Mentre  essi  tenevano  questi  discorsi,  l' assenza  del 
principino  continuava  a  far  ciarlare  gli  altri  parenti, 
di  nascosto  alla  nuova  principessa,  la  quale  si  mostrava 
sovrappensieri,  temendo,  come  il  marito,  non  fosse  ca- 
pitato un  accidente  al  giovanotto,  e  parlava  di  spedir 
messi  alla  Piana  per  appurare  che  cos'era  successo. 
Nonostante  l'inquietudine,  ella  badava  al  servizio,  dava 
ordini  sottovoce  a  Baldassarre,  insisteva  perchè  gì'  invi- 
tati riprendessero  dolci  e  sgelati,  esercitando  così  per  la 
prima  volta  l'ufficio  di  padrona  dì  casa.  Don  Blasco  non 
si  facea  pregar  molto  :  adesso  che  a  San  Nicola  e'  era 
tanto  di  catenaccio,  egli  poteva  far  tardi  quanto  gli  pia- 
ceva ;  e  mentre  masticava  a  due  palmenti,  utilizzava  il 
suo  tempo  chiedendo  informazioni  alla  gente  sulle  firme 
solvibili,  giacché  anch' egli  s'era  messo  a  dar  quattrini 
in  piazza.  Di  tanto  in  tanto  s'avvicinava  anche  al 
crocchio  d'uomini  in  mezzo  al  quale  il  duca,  finito  di 
discorrere  col  nipote,  parlava  delle  pubbliche  faccende. 
La  quistione  che  impensieriva  pel  momento  il  deputato 
era  quella  del  Municipio.  Le  cose  vi  andavano  male, 
gli  amici  del  grand'  uomo  lo  pregavano  con  insistenza 
di  prenderne  le  redini,  di  dare  questa  nuova  prova  di 
affetto  al  paese  ;  ma  egli  dichiarava  che  non  la  volontà 
ma  la  forza  gli  faceva  difetto.  Era  già  deputato,  consi- 
gliere comunale  e  provinciale,  membro  ddla  Camera  di 
cornmercio,  del  Comizio  agrario,  presidente  del  consiglio 
d'  amministrazione  della  Banca  di  Credito,  consigliere 
di  sconto  alla  Banca  Nazionale  e  al  Banco  di  Sicilia, 
e  come  se  non  fosse  'Abbastanza,  lo  mettevano  in  tutte 
le  giunte  di  vigilanza,  in  tutte  le  commissioni  d'inchie- 


sta.  Ad  ogni  nuova  nomina,  egli  protestava  che  era 
troppo,  che  non  aveva  tempo  di  grattarsi  il  capo,  che 
bisognava  dar  luogo  ad  altri,  ma  dopo  una  lunga  e 
cortese  discussione  doveva  finalmente  arrendersi  alle 
insistenze  degli  amici.  Gli  avversarli,  i  repubblicani,  i 
malcontenti  gridavano  contro  questo  accentramento  di 
tanti  ufficii  in  una  stessa  persona;  è  giusto  il  duca  s'era 
fatto  forte  di  tale  ragione  per  rifiutare  la  sindacatura. 
Benedetto,  dopo  il  gran  dolore  delle  disgrazie  sofferte, 
ricominciava  allora  ad  occuparsi  degli  affari  pubblici, 
e  insisteva  presso  lo  zio,  gli  ripeteva  1'  invito  a  nome 
del  Consiglio  comunale,  adducendo  la  mancanza  di 
persone  capaci. 

—  Non  mi  darai  a  intendere,  —  rispose  il  deputato, 
—  che  io  solo  posaa  fare  il  sindaco!  Perchè  non  lo 
fai   tu? 

—  Perchè   io  non   ho   i   titoli   di   Vostra   Eccellenza  ! 

—  Dimmi  che  accetti,  e  fra  quindici  giorni  avrai  la 
nomina. 

Benedetto  continuava  a  schermirsi,  sorridendo,  fin- 
gendo di  non  credere  alla  serietà  deiroiTerta;  in  cuor 
suo,  egli  non  desiderava  di  meglio;  ma  una  grande  diffi- 
coltà lo  arrestava  :  l'opposizione  di  sua  moglie.  Costei 
dijnostravasi  sempre  più  irascibile  quando  udiva  parlare 
di  cariche  pubbliche,  di  ufificii  elettivi,  di  politica  liberale; 
minacciava  di  far  mandare  ruzzoloni  giìi  per  le  scale 
le  persone  che  venivano  a  cercar  di  lui  nella  sua  qualità 
di  consigliere  comunale  o  di  presidente  del  Circolo  Na- 
zionale ;  di  lacerare,  prima  che  egli  le  leggesse,  le 
carte  indirizzate  a  suo  marito.  Se  gli  moveva  tanta 
guerra  per  cosi  poco,  che  avrebbe  fatto  sapendolo  sin- 
daco ?  E  Benedetto,  soggiogato  dal  timore,  sì  schermiva 
contro  le  rinnovate  offerte  dello  zio,  il  quale,  come 
argomento  irresistibile,  riserbato  per  il  colpo  di  grazia, 
gli  diceva  :  «  Il  giorno  che  io  mi  ritirerò,  troverai 
preparato  il  terreno —  » 

Mentre  il  deputato  insisteva,  e  Lucrezia  sparlava  di 
suo   marito  con  Chiara,  e  donna  Ferdinanda  sparlava 


-  58  - 

del  principe  col  marchese,  e  i  lavapiatti  facevano  la  corte 
alla  nuova  principessa,  e  don  Blasco  ciarainellava  da 
un  g-ruppo  all'altro,  s' udi  il  fracasso  d'una  carrozza 
che  arrivava  di  carriera  e  tutti  esclamarono  : 

—  Consalvo!...   Il  principino!... 

Baldassarre  erasi  precipitato  ad  incontrarlo.  Il  giova- 
notto aveva  l' abito  in  assetto  e  gli  stivaloni  puliti 
come  sul  punto  di  andar  fuori  ;  ma  al  maestro  di  casa 
che  g;li  domandava  ansiosamente  che  cosa  fosse  suc- 
cesso : 

—  Sono   vivo   per   miracolo,    —   rispose. 

Entrato  nel  salone,  mentre  tutti  gli  si  affolkivano 
intorno,  cominciò  a  narrare  la  storia  d'un  accidente 
complicatissimo,  il  suo  smarrimento  nel  Riviere,  la  fame 
sofferta  per  dodici  ore,  il  naufragio  della  barca  che  lo 
portava.  «  Gesù  !...  Gesù  !...  Santo  Dio  d'amore  !...  » 
esclamavano  tutt'intorno  ;  la  principessa,  specialmente, 
ripeteva  ogni  momento:  «  Ah,  questa  caccia!...  Figlio 
mio!...  Che  paura!...  »  lo  stesso  principe  mostrava  di 
credere  quella  storia,  e  tutti,  per  prudenza,  fìngevano 
di  rallegrarsi  dello  scampato  pericolo  ;  solo  donna  Fer- 
dinanda increspava  le  labbra  sottili  ad  un  ironico  sor- 
riso, sapendo  bene  che  il  suo  protetto  non  aveva  corso 

pericolo  di  sorta Benedetto,   frattanto,   riferiva  sotto 

voce  alla  moglie  1'  offerta  della  sindacatura  fattagli  dallo 
zio  e  il  proprio  rifiuto.  Lucrezia  si  voltò  a  goiardarlo 
in  faccia  e  gli  disse  sul  muso  : 

—  Sempre  bestia  sarai  ? 

Le  era  parso  che  quel  titolo  di  sindaco  avrebbe  no- 
bilitato in  qualche  modo  il  marito,  conferendogli  1'  au- 
torità, il  lustro,  l'importanza  che  non  aveva;  invece, 
dopo  che  il  duca  ottenne  per  Giulente  la  nomina,  s'  ac- 
corse che  egli  restava  più  Giulente  di  prima,  una  specie 
d'impiegato,  un  miserabile  passacarte,  un  servitore  del 
pubblico.  E  quando  le  diedero  della  sindachessa,  arrossi 
come  un  papavero,  quasi  1'  insultassero,  quasi  le  into- 
nazioni  più   complimentose   fossero   studiate   e  jiascon- 


—  59  — 

dessero  un  ironico  dileggio.  Ella  non  diede  più  quartiere 
a  Benedetto  ;  dopo  averlo  spinto  ad  accettar  1'  ufficio, 
gliene  rinfacciò  l'inutilità,  le  noie,  i  pericoli;  se  per 
la  moltitudine  degli  affari  egli  tornava  a  casa  più  tardi 
del  consueto,  stanco,  affamato,  l'accoglieva  con  tanto 
di  muso,  gli  faceva  trovare  la  tavola  mezza  sparecchiata 
e  il  desinare  freddo  ;  se  veniva  gente  a  chieder  del 
sindaco,  ella  gridava  alla  cameriera  :  «  Non  c'è  !  Non 
c'è  nessuno!  iMandate  via  cotesti  seccatori!...  »  hn 
modo  che  i  seccatori  udissero  e  che  passasse  loro  la 
voglia  di  mai  più  tornarci;  se  Giulente,  ciò  nonostante, 
riceveva  quella  gente,  per  prudenza,  per  necessità,  ella 
si  metteva  lo  scialle  in  testa  e  se  andava  dalle  parenti, 
o  dalle  amiche,  e  cominciava  a  sfogarsi  : 

—  Xon  ci  posso  più  reggere  !  Mi  par  d'  impazzire  ! 
Che  vita  d'inferno!   Se  avessi   saputo!... 

Secondo  che  le  dimostravano  il  suo  torto  e  l'affezione 
e  il  rispetto  di  cui  Benedetto  la  circondava,  la  sua  av- 
versione cresceva  :  ella  imaginavasi  d'esser  maltrattata, 
attribuiva  al  marito  ogni  specie  di  torti.  Poiché  i  Giu- 
lente non  avevano  avuto  concessione  di  feudi,  lo  giudi- 
cava miserabile  ;  ma  non  potendo  ragionevolmente  dare 
a  intender  questo,  1'  accusava  d'  avarizia.  Egli  la 
lasciava  libera  di  spendere  ciò  che  voleva  ;  ma  fittosi  in 
capo  che  fosse  avaro,  la  fissazione  ftrendeva  nel  cervello 
di  lei  più  consistenza  di  un  fatto;  e  con  l'aria  d'una 
vittima  rassegnata  al  suo  destino,  quasi  piangendo,  ri- 
fiutava di  comperar  nulla  per  sé,  rinunziava  agli  abiti, 
ai  cappelli,  ai  gioielli,  andava  attorno  come  una  came- 
riera. Suo  marito  non  riusciva  a  strapparle  la  spiega- 
zione di  quella  sciatteria;  ma- al  palazzo  ella  si  nettava 
la  bocca  contro  di  lui,  e  se  il  principe  o  donna  Ferdi- 
nanda le  rammentavano  che  smania  aveva  avuto  di 
sposarlo,  se  la  prendeva  con  loro  : 

—  Perchè  non  mi  apriste  gli  occhi  ?  Che  ne  sapevo  ! 
Toccava  a  voialtri  avvertirmi  ! 

—  Oh  !  Oh  !  Hai  dunque  dimenticato  tutto  quello  che 
facesti  ? 


—  6o  — 

—  Che  ne  sapevo!  Colpa  vostra  che  non  v'osUnaste 
a   impedirmi  di  commettere  una  pazzia  ! 

E  <juesta  nuova  idea  le  s' inchiodava  talmente  in 
testa,  che  sfogandosi  coi  primi  venuti,  lagnandosi  della 
propria  infelicità  con  gente  a  cui  aveva  parlato  appena 
una   volta,    ella   l' adduceva   a   propria   discolpa  : 

—  La  inia  famiglia  m'  ha  fatto  un  tradimento. 
Questo  marito  non  faceva  per  me  :  me  1'  hanno  dato 
per  forza —   sono  stata  sacrificata  !... 

Poi  denigrava  in  altro  modo  Giulente,  mettcA'a  in  ri- 
dicolo il  suo  patriottismo,  lo  attribuiva  all'ambizione  o 
lo  negava  del  tutto. 

—  Cotesto  sciocco  ha  fatto  il  liberale  per  essere 
qualche  cosa.  Ma  non  è  divenuto  niente,  ed  ha  fatto 
meno  che  niente.  Il  ferito  del  \'olturno  ?  Guardategli  la 
coscia  :   1'  ha    più    sana   delle   mie  ! 

Diceva  spesso  cose  più  enormi,  senza  pudore,  un  poco 
perchè  non  ne  comprendeva  la  sconvenienza,  un  poco 
perchè  credeva  le  fosse  lecito  tutto.  Non  si  levava  mai 
prima  di  mezzogiorno,  e  per  due  buone  ore  restava  di- 
scinta, con  una  gonna  sulla  camicia,  il  collo  e  le  braccia 
nude,  i  piedi  nudi  nello  pantofole  ;  si  mostrava  così  al 
cameriere  ed  al  cuoco,  era  capace  di  ricevere  anche 
qualche  visita;  e  se  Benedetto,  presente,  esclamava, 
giungendo  le  mani;  «Ma  Lucrezia!  Per  carità!...  » 
ella  lo  guardava  stupita,  spalancando  tanto  d'occhi  : 
«Che  c'è?  Sono  visite  di  confidenza!  Ho  da  mettermi 
gli  abiti  da  ballo?  Quelli  che  m'hai  fatto  venire  da 
Parigi?...  »  E  se  egli  le  diceva  di  ordinarli  pure,  di  spen- 
dere tutto  quel  che  voleva,  ella  si  stringeva  nelle  -spalle  : 
«Io?  A  che  prò?  Per  qual  Santo?  Non  vado  più  a 
nessuna  parte;  non  conosco  più  nessuno  della  mia  so- 
cietà!   Risparmia,   risparimia  i   tuoi  quattrini!...  » 

Messo  con  le  spalle  al  muro,  egli  perdeva  talvolta 
la  pazienza;   allora  ella   minacciava  d'andarsene  via. 

—  Ah,  la  prendi  su  questo  tono  ?  Bada  che  ti 
pianto  !...  Non  mi  far  saltare  il  ticchio  d'andar  via, 
perchè  altrimenti  non  mi  tratterrai  neppur  con  gli  ar- 


gani  !...  Sai  come  siamo  noi  Uzeda,  quando  ci  met- 
tiamo una  cosa  in  testa  !  Raimondo  ha  posto  il  mondo 
sottosopra  per  piantar  sua  moglie  e  prenderne  un'altra  ! 
Giacomo  aveva  giurato  di  sposar  Graziella,  ed  ha  fatto 
morire  quella   disgraziata  prima   del   tempo 

—  Taci  !...  Che  dici  !... 

Egli  sopportava  pertanto  le  stramberie,  i  capricci,  le 
contraddizioni,  i  rimproveri,  le  ironie  di  lei.  Ma  la 
sorda  guerra  della  moglie  non  gli  noccva  meno  della 
protezione  dello  zio  duca.  Questi,  che  oramai  non  an- 
dava più  alla  capitale,  consacrava  tutto  il  suo  tempo 
ai  proprii  affari,  badava  alle  cose  di  campagna,  miglio- 
rava le  proprietà  comprate  dalla  manomorta,  speculava 
sugli  appalti,  si  giovava  del  suo  credito  presso  le  am- 
ministrazioni pubbliche  per  rifarsi  di  quel  che  gli  co- 
stava la  rivoluzione.  E  con  l'aria  di  consigliare  Giulente, 
lo  persuadeva  a  fare  ciò  che  voleva.  Ufficialmente,  il 
sindaco  era  suo  nipote;  in  fatto,  era  egli  stesso.  Non 
si  rimoveva  una  seggiola,  al  Municipio,  senza  la  sua 
approvazione  ;  ma  specialmente  nella  nomina  degli  im- 
piegati, nella  concessione  di  lavori  pubblici,  nella  di- 
stribuzione di  incarichi  gratuiti  ma  indirettamente  o 
moralmente  profittevoli,  egli  faceva  prevalere  la  pro- 
pria volontà,  proteggeva  i  suoi  fedeli,  fossero  anche 
inetti,  metteva  avanti  la  gente  da  cui  poteva  sperare 
qualcosa  in  cambio,  non  dava  quartiere  a  quelli  del 
partito  avverso,  qualunque  titolo  possedessero,  da  qua- 
lunque parte  glieli  raccomandassero.  Aveva  l' abilità 
di  fingersi  assolutamente  disinteressato,  di  spingere  il 
nipote  a  fare  ciò  che  egli  stesso  voleva  come  se  invece 
non  gì'  importasse  nulla  di  nulla,  e  il  Municipio  diven- 
tava cosi,  a  costo  di  patenti  ingiustizie,  di  manifeste 
violazioni  della  legge,  un'agenzia  elettorale,  una  fab- 
brica di  clienti.  Per  rispetto  e  per  soggezione,  sopra 
tutto  per  la  speranza  di  raccogliere  l'eredità  politica 
dello  zio,  Benedetto  non  osava  contrariarlo;  se,  per 
qualche  fatto  più  grave  degli  altri,  egli  esitava  un  mo- 
mento,   il    duca    vinceva    quegli    scrupoli,    o    adducen- 


—   62    — 

cloi^^li  le  necessità  della  lotta  politica,  o  impegnandosi 
a  riparare  più  lardi,  o  facendogli  semplicemente  com- 
prendere che,  in  tìn  dei  conti,  a  Cjuel  posto  l'aveva 
messo  lui,  perciò  conveniva  che  facesse  ciò  che  a  lui 
piaceva.  Per  compenso,  gli  garantiva  l'appogg^io  del 
Governo  e  della  Prefettura,  lo  sosteneva  in  Consiglio, 
tesscA'a  \  suoi  elogi  perfino  in  famiglia,  tenendo  fronte 
a  Lucrezia,  che  lo  v'iipendeva  dinanzi  a  tutti.  Costei, 
per  far  la  corte  allo  zio,  rispondeva  che  un  po'  di  bene 
suo  marito  lo  faceva  solo  quando  seguiva  i  consigli 
di  lui  ;  viceversa,  da  sola  a  solo  con  Benedetto,  gli  rin- 
facciava la  cieca  obbedienza  prestata  al  duca. 

—  Bestia  !  Sciocco  !  Stupido  !  Xon  capisci  che  ti 
spreme  come  un  limone  ?  Che  vuoJ  prendere  la  castagna 
dal  fuoco  senza  scottarci  ?. ..  Almeno,  sapessi  farti  dare 
la  tua  parte  ! 

E  gli  consigliava  di  mettersi  nei  loschi  ahari  del  de- 
putato, di  vendere  la  propria  autorità,  di  farsi  pagare 
gli  atti  che  era  in  dovere  di  compiere;  e  ciò  senza  scru- 
poli, come  una  cosa  naturalissima,  come  avevano  fatto 
i  \'icerè  al  tempo  della  loro  potenza.  Così,  un  po'  per 
la  moglie,  un  po'  per  lo  zio,  Giulente  commetteva  in- 
giustizie d'ogni  sorta  rifiutandone  il  prezzo,  metteva  a 
rischio  la  sua  bella  riputazione  di  liberale  disinteres- 
sato, di  «  ferito  del  X'olturno  ».  Ma  l'ambizione  lo  ac- 
cecava, egli  voleva  rappresentare  una  parte  in  poli- 
tica, e  il  Parlamento  era  la  mèta  per  la  quale  soppor- 
tava il  Municipio.  Poiché  presto  o  tardi  il  duca  si 
sarebbe  ritirato,  egli  voleva  sostituirlo;  tutta  la  paren- 
tela uccellava  i  quattrini  messi  assieme  dal  deputato, 
egli  aspirava  all'eredità  politica;  il  seggio  alla  Camera 
sarebbe  stata  la  conferma,  il  riconoscimento  del  suo 
patriottismo,  della  sua  capacità.  Per  tanto,  il  disprezzo 
di  sua  moglie  cresceva  :  ella  non  capiva  che  si  potesse 
esercitare  un  ufficio  pubblico  pel  piacere  di  esercitarlo, 
senza  specularci  sopra,  perdendoci  il  tempo,  trascurando 
per  esso  ogni  altra  occupazione,  non  badando  agli  af- 
fari proprii,   non  andando  mai   in  campagna,   lasciando 


-63  - 

fare  ai  castaidi  e  agii  affittaiuoli.  Quasi  che  potesse 
permettersi  questo  lusso  !  Quasi  fosse  il  principino  di 
Mirabella  !... 

Consalvo,  sì,  poteva  fare  e  faceva  quel  che  gli  pia- 
ceva. Non  solo  egli  non  badava  agli  affari  di  casa  — 
che  suo  padre  ci  pensava  per  lui  — •  ma  non  stava  in 
casa  se  non  per  dormire  —  quando  ci  dormiva.  La- 
sciata la  camera  che  aveva  occupata  al  ritorno  dal 
convento,  s'era  accomodato  un  quartierino  al  primo 
piano,  dalla  parte  del  secondo  cortile,  sfondando  muri, 
riiurando  finestre,  aprendo  una  nuova  scala,  disordi- 
nando ancora  un  altro  poco 'la  pianta  del  palazzo.  Il 
principe  l'aveva  lasciato  fare.  Non  contento  di  starsene 
cosi  jnteramente  segregato  dal  resto  della  famiglia,  con 
persone  di  .servizio  esclusivamente  addette  alla  sua 
persona,  adesso  desinava  solo,  dichiarando  che  le  ore 
di  suo  padre  non  gli  convenivano.  E  il  principe  si  pie- 
gava 'anche  a  questo,  con  grande  stupore  di  quanti  co- 
noscevano la  sua  prepotenza,  il  suo  bisogno  d'assoluto 
comando.  Il  giovanotto  faceva  la  bella  vita;  cavalli, 
carrozze,  caccia,  scherma,  giuoco  ed  il  resto.  Finito, 
dopo  r  incendio  del  Sessantadue,  il  Casino  dei  Nobili, 
egli  aveva  fondato,  insieme  con  qualche  dozzina  di 
compagni,  un  Club  che  era  la  risurrezione  più  elegante 
e  più  ricca  dell'antica  istituzione  :  quantunque  solo  i 
nobili  autentici  vi  fossero  amsmessi,  Consalvo  vi  aveva 
ficcato  due  o  tre  giovanotti  che  non  appartenevano  alla 
casta,  ma  gli  facevano  da  mezzani.  Accordava  la  sua 
protezione  e  la  sua  amicizia  solo  a  quelli  che  lo  servi- 
vano, che  lo  ammiravano,  che  gli  facevano  la  corte. 
Come  al  Noviziato,  anche  adesso  derideva  i  meno  no- 
bili e  meno  ricchi  di  lui  :  un  motivo  di  cruccio  contro 
suo  padre  era  appunto  l'avarizia  di  costui  che  si  la- 
sciava prender  la  mano  dai  nuovi  arricchiti.  Il  lusso 
esteriore  degli  Uzeda,  che  prima  del  Sessanta  pareva 
straordinario,  adesso  cominciava  ad  essere  agguagliato 
se  non  superato  dalla  gente  rifatta,  e  mentre  al  palazzo 
i    mobili   di   cinquant'anni   addietro  cadevano  a  pezzi   e 


~  64  -- 

le  livree  del  secolo  passato  servivano  al  pasto  delle 
tignole,  c'era  gente  che  spendeva  un  occhio  del  capo 
a  metter  su  case  ed  equipaggi  col  gusto  moderno.  Ma 
agli  occhi  del  principe  la  vecchiaia  dei  mobili  e  delle 
livree  era  come  un  altro  titolo  di  nobiltà  ;  e  se  tutti 
tenevano  adesso  il  guardaportone  mentre  vent'anni  ad- 
dietro c'era  in  città  solo  quello  di  casa  Uzeda,  chi 
aveva  nel  vestibolo  la  rastrelliera?...  Del  resto,  Con- 
salvo lavorava  per  suo  conto  a  distruggere  gli  effetti 
della  spilorceria  paterna.  Quajido,  dall'alto  di  un  breack 
o  d'uno  stage,  attillato  negli  abiti  venuti  apposta  da 
Firenze,  guidava  come  il  più  esperto  cocchiere  un  tiro 
a  quattro,  fermandosi  per  far  salire  gli  amici  che  in- 
contrava lungo  la  via,  avanzando  poi  tutti  glj,  altri 
equipaggi,  frustando  come  i  suoi  antenati  i  cocchieri 
che  osavano  contrastargli  il  passo,  la  gente  si  fermava 
ad  ammirare,  a  ripetere  il  suo  nome  e  il  suo  titolo  con 
un  senso  d'alterezza,  quasi  un  poco  del  suo  lustro  si 
riversasse  su  chi  poteva  salutarlo,  su  chi  lo  conosceva 
almeno  di  nome,  sulla  stessa  città  che  gli  aveva  dato 
i  natali.  Se  egli  comperava  o  vendeva  una  pariglia  di 
cavìalli,  se  mandava  via  o  riprendeva  un  servitore,  se 
vinceva  o  se  perdeva  al  giuoco,  le  notizie  di  questi 
avvenimenti  facevano  le  spese  delle  conversazioni  ;  la 
sua  antipatia  per  la  madrigna  gli  era  ascritta  general- 
mente a  lode,  spiegata  com'era  col  rispetto  da  lui  por- 
tato alla  memoria  della  madre  ;  tutti  avevano  interesse 
e  premura  di  dargli  moglie,  e  di  tanto  in  tanto  la  voce 
d'un  possibile  matrimonio  circolava  per  ogni  dove, 
finché,  ripetuta  dinanzi  a -lui,  lo  faceva  scoppiare  in  una 
risata.  Per  ora  egli  voleva  divertirsi  ;  ci  sarebbe  poi 
stato  tempo  ad  incatenarsi.  E  le  sue  visite  assidue  a 
questa  od  a  quella  signora,  i  vistosi  regali  che  faceva 
alle  cantanti  ed  alle  attrici  spiegavano  la  sua  risposta  : 
tornavano  per  Pasqualino  Riso  i  bei  tempi  del  contino 
Raimondo  :  il  padroncino  gli  faceva  guadagnare  il  pane. 
Le  sue  gesta  avevano  anche  un  altro  campo,  meno 
elegante,   ma  altrettanto  famoso.    Insieme  con  gli  amici 


-  65  - 

più  scapestrati,  aveva  combinato  un;i  compagnia  che 
era,  la  notte,  il  terrore  di  mezza  città.  Armati  di  stoc- 
chi, di  revolver  o  anche  di  semplici  coltelli,  portavano 
a  spasso  le  ciarpe  d'infima  classe,  cantando  a  squar- 
ciagola, spegnendo  i  fanali  del  gas,  attaccando  briga 
coi  passanti,  facendo  aprire  per  forza,  a  furia  di  schia- 
mazzi e  di  sassate  ai  vetri,  le  taverne  e  le  case  pub- 
bliche, giocando  al  tocco  o  a  briscola  coi  bertoni,  or- 
dinando cene  che  _  finivano  con  la  rottura  di  tutte  le 
stoviglie  :  i  padroni  li  lasciavano  sbizzarrire  perchè,  se 
facevano  danni,  sapevano  anche  risarcirli.  Certe  volte, 
però,  per  capriccio,  pel  gusto  di  commettere  un  so- 
pruso, per  esercitare  l'ereditaria  prepotenza  dei  Viceré, 
il  principino  non  voleva  pagare  lo  scotto,  o  lo  pagava 
a  legnate;  e  mentre  profondeva  i  quattrini  con  le  donne, 
era  capace  di  portar  via  a  certe  povere  diavole,  per 
spasso,  i  pochi  soldi  che  avevano  in  tasca  —  salvo  a 
compensarle  un'altra  volta  —  lasciandole  intanto  pian- 
genti o  vomitanti  un  sacco  di  sozzure  che  lo  facevano 
ridere  a  crepapelle. 

Spesso  scendeva  con  la  sua  comarca  al  porto,  andava 
a  far  baccano  nelle  taverne  dove  i  marinai  inglesi 
s'  ubbriacavano  come  bruti  :  egli  saliva  sopra  una  ta- 
vola, prendeva  la  parola  senza  soggezione,  predicava 
la  regola  di  San  Benedetto,  ripeteva  le  sentenze  poli- 
tiche dello  zio  duca  e  di  Giulente  ;  senza  sapere  una 
parola  d'  inglese  teneva  lunghi  discorsi,  serio  serio,  ai 
marinai,  foggiando  per  proprio  uso  e  consumo  una 
lingua  che  nessuno  intendeva  ;  la  cosa  spesso  finiva 
con  una  partita  di  box  e  relative  ammaccature  di  co- 
stole  e   rotture  di  stoviglie Se  lo  avesse  visto  Fra 

Carmelo?  Il  Fratello  appariva  di  tanto  in  tanto  al  pa- 
lazzo, sempre  più  magro  e  stralunato,  per  ricantare  il 
consueto  :  «  Me  n'  hanno  cacciato  !...  Me  n'  hanno  cac- 
ciato!... »  Non  gli  strappavano  di  bocca  nient 'altro. 
Quando  nelle  sue  escursioni  notturne  Consalvo  andava 
dalle  parti  di  San  Nicola,  lo  incontrava  immancabil- 
mente, errante  per  le  vie  del  quartiere  come  un'anima 

De    Roberto.    /    ì'icciè    -    II  5 


—  66  — 

In  pena,  o  fermo  a  considerare  la  massa  scura  del  con- 
\cnto  ;  il  principino,  alterando  la  voce,  ^li  dava  la  baia, 
lo  chiamava:  «  Padre  Priore  !...  Padre  Abate!...  Dove 
sono  i  porci  di  Cristo?...  »  tra  le  risa  della  comitiva. 

Eg'li  ne  era  l'anima,  il  capo  riconosciuto  e  obbedito. 
Giovannino  Radali  veniva  spesso  con  lui  ;  ma  quan- 
tunque ora  fosse  libero,  ricco  e  barone,  non  aveva 
Tumore  costante  :  talvolta  faceva  pazzie  straordinarie, 
tal  altra  frenava  i  compagni  ;  più  spesso,  prendendo 
parte  ai  bagordi,  aveva  la  ciera  funebre,  un  riso  falso. 
Di  tanto  in  tanto  scompariva,  se  ne  andava  ad  Augu- 
sta, nelle  terre  lasciategli  dallo  zio,  donde  nessuno  riu- 
sciva a  scovarlo,  se  egli  stesso,  mutata  fantasia,  non 
si  decideva  a  tornare.  Allora  Consalvo  lo  trascinava 
ai  bagordi. 

Una  notte,  per  quistione  di  donne,  la  banda  venne 
alle  mani  co-n  una  comitiva  di  popolani,  di  barbieri,  di 
sensali  :  piovvero  le  legnate,  luccicarono  i  coltelli,  ma 
per  buona  sorte,  sopravvenute  le  guardie,  tutti  scom- 
parvero. I  bastonati,  i  mariti  canzonati,  le  vittime  della 
loro  prepotenza  rnon  osavano  ricorrere  :  se  qualcuno  mi- 
nacciava di  querelarsi,  la  gente  lo  dissuadeva,  consi- 
derando chi  erano  quei  signori  :  il  barone  Radali,  il 
principino  di  Mirabella,  il  marchesino  Cugnò  !  E  la 
polizia,  se  ricorrevano  ad  essa,  faceva  accomodar  la 
cosa  :  qualche  biglietto  di  banca,  e  tutti  lesti.  Ma  il 
prestigio  di  quei  nomi  era  tale  che  pochi  osavano  la- 
gnarsi ;  la  più  parte  si  stimavano  onorati  di  competere 
con  quei  signori,  li  ammiravano,  parlavano  di  loro  col 
massimo  rispetto.  In  carneA'ale,  la  mascherata  favorita 
dei  monelli,  dei  facchini,  era  quella  del  Barone  :  sui 
calzoni  a  sbrendoli  e  sulle  camicie  rattoppate,  un  vec- 
chio abito  a  coda  di  rondine,  un  enorme  colletto  di 
carta,  una  tuba  di  cartone  alta  quanto  una  canna  di 
camino  :  andavano  cosi  a  crocchi  chiamandosi  scambie- 
volmente, ad  alta  voce,  fra  le  rise  dei  passanti,  col 
nome  dei  baroni  per  davvero  :  «  Addio  Francalanza  !... 
Radali,  come  stai?...   Andiamo  al  teatro,  marchese!...  » 


-  67  - 

Senza  cjLiei  nobili  -l'operaio  ionie  avrebbe  l'alto?  Il 
loro  lusso,  i  loro  jjiaceri,  le  loro  stesse  pazzie  erano 
altrettante  occasioni  perchè  la  "ente  minuta  lavorasse 
e  buscasse  qualcosa  !  E  il  principino  spendeva  e  span- 
de-\a,  regalmente,  come  se  avesse  le  mani  bucate.  Suo 
padre  i^li  pagava  i  cavalli  e  le  carrozze,  i  fucili  e  i  cani, 
e  pei  minuti  piaceri  g-li  passava  cento  lire  il  mese;  ma 
Consaho,  alle  volte,  perdeva  in  una  notte  la  pensione 
dell'anno  intero;  e  il  domani  ricorre\a  a  tutti  gli  usurai 
della  città,  i  quali,  contro  la  firma  d'una  cambialina, 
gli  davano  quel  che  voleva.  Quanto  ai  parenti,  essi  o 
lo  incoraggiaA'ano  a  scialare,  o  non  si  occupavano  di 
lui,  o  erano  disarmati  dalla  sua  politica,  giacché  egli 
sapeva  prenderli  pel  loro  verso,  secondando  le  fisime 
di  ciascuno.  Solo  Benedetto  comprendeva  che  quella 
vita  doveva  costargli  molto  e  sospettava  qualcosa  dei 
debiti;  ma  il  giovanotto  Io  tirava  dalla  sua,  solletican- 
dolo nella  sua  vanità  di  patriotta,  dr  ferito  del  Volturno, 
di  futuro  deputato  ;  e  del  resto  se  Benedetto  manife- 
stava le  proprie  paure  alla  moglie  perchè  ciuesta  met- 
tesse  sull'avviso  il  principe  : 

—  •  Di  che  ti  mescoli  ?  ■ —  saltava  su  Lucrezia.  — 
Lascialo  fare  !  Credi  che  mio  nipote  sia  un  pezzente, 
da  ,non  potersi  perméttere  questo  lusso?  Può  pagarli  i 
suoi  debiti,   se  mai  ! 

Donna  Ferdinanda  da  canlo  suo  andava  in  estasi  per 
la  riuscita  del  suo  protetto  e,  dalla  soddisfazione,  gli 
regalava  di  tanto  in  tanto  qualche  biglietto  da  cinque 
lire  che  il  giovanotto,  dopo  essersi  profuso  in  ringra- 
ziamenti, lasciava  come  mancia  al  cameriere  del  Caffè 
di  Sicilia.  I!  duca,  ingolfato  negli  affari,  aveva  qualche 
sentore  dei  pasticci  del  pronipote  ;  ma  bastava  a  costui 
dargli  del  salvatore  del  paese,  del  grande  statista  o 
profetargli  un  posto  al  ministero,  perchè  il  deputato  si 
chetasse.  Più  tardi,  per  ingraziarsi  meglio  donna  Ferdi- 
nanda, Consalvo  le  dava  ragione  se  l'udiva  gridare 
contro  il  fedifrago  ;  e  in  questo  era  sincero,  perchè, 
senza  mescolarsi  nella  politica,  egli  parteggiava  pel  go- 


—  68  — 

verno  assoluto,  proiettore  dei  siiJ^nori,  sciabolatore 
della  canaglia.  Questi  sentimenti  però  non  g;rimpedi- 
vano  di  prender  con  le  buone  lo  zio  Giulente,  al  quale 
non  dava  tuttavia  .dell'  Eccellenza,  ma  del  semplice  voi; 
e  più  tardi  conveniva  con  la  zia  Lucrezia  se  costei  la- 
gnavasi  di  quella  bestia  del  marito.  Così,  ^nonostante 
la  freddezza  col  padre,  segfiiiva  l'esempio  di  lui,  pi- 
gliando ciascuno  pel  suo  verso,  secondando  le  fissa- 
zioni di  tutti  oli  L'zeda.  La  zia  Chiara  g-ià  parlava 
d'adottare  il  bastardo  della  cameriera  :  egli  approvava 
questa  risoluzione.  Lo  zio  Ferdinando,  credutosi  affetto 
da  tutte  le  malattie  quando  vendeva  salute,  adesso  che 
deperiva  visibilmente  credeva  invece  d'esser  sanissimo 
e  non  poteva  soiTrire  che  la  gente  gli  consigliasse  di 
chiamare  un  dottore  :  Consalvo  si  rallegrava  con  lui 
per  l'ottima  ciera —  Quanto  a  don  Blasco,  da  un  pezzo 
non  si  faceva  più  vedere  al  palazzo.  Dacché  stava  per 
casa  sua,  amministrando  i  proprii  capitali,  la  sua 
smania  di  criticar  tutto  e  tutti,  in  famiglia,  era  finita  : 
quando  capitava  tra  i  parenti,  discorreva  un  poco  del 
più  e  del  meno  e  andava  via  presto.  Per  non  star  solo, 
in  casa,  s'era  messo  dentro  la  Sigaraia,  suo  marito  e 
le  sue  figlie  ;  talchò  era  servito  di  tutto  punto,  non 
aveva  più  bisogno  di  nulla.  E,  da  un  certo  tempo, 
era  diventato  addirittura  irreperibile.  «  Che  cosa  fa  lo 
zio?...  Che  cosa  fa  don  Blasco  ?...  »  ma  nessuno  ne 
sapeva  niente.  Il  principe,  il  marchese,  Lucrezia,  un 
po'  anche  Benedetto,  cercavano  d'  ingraziarselò,  per 
via  dei  quattrini  che  doveva  aver  da  parte;  ma  egli  li 
sfuggiva  tutti,  e  se  li  udiva  alludere,  sorridendo,  alla 
sua  ricchezza,  ripigliava  a  vociare  come  un  tempo  : 
((Che  ricchezze  e  povertà?...  Che »  e  giù  male  pa- 
role di  jiuo\T)  conio. 

Un  bel  giorno,  però,  Benedetto,  leggendo  sul  Foglio 
d'Annunzii  della  prefettura  l'elenco  degli  ultimi  aggiu- 
dicatarii  dei  beni  ecclesiastici,  trovò  il  nome  di  Matteo 
Carino. 

—  Non  si  chiama  così  il  marito  della  Sigaraia  ?  — 
domandò  alla  moglie. 


-69  - 

—  Credo....    Percliè  ? 

—  Ha  comprato  il  Cavaliere,  una  delle  migHori  terre 
dei    Benedettini. 

Senza  esitare   un  istante,   Lucrezia   esclamò  : 

—  Garino  ?  Questo  è  lo  zio  don  Blasco  che  l'ha 
comprato  !... 

Infatti  di  lì  a  poco  la  \erità  si  seppe;  Garino  era  il 
prestanome  di  don  Blasco  ;  questi  aveva  messo  fuori  i 
quattrini  ed  era  ,g-ià  entrato  in  possesso  del  latifondo... 
Un    monaco,   ,un   monaco   benedettino,   uno   che    aveva 
fatto  voto  di  povertà,  comprare  una  terra  del  suo  stesso 
convento,  calpestare  in  tal  modo  la  legg'e  divina?...  Lo 
scandalo  fu  straordinario  :  donna   Ferdinanda  disse  vi- 
tuperii  del  fratello;   il  duca  sorrise  scetticamente,  ram- 
mentando  le   furibonde   minacce   di   dannazione   eterna 
eruttate  dal  Cassinese  ;   lo  stesso  principe,   quantunque 
non    volesse   inimicarsi    uno    zio    che    comprava    di    tal 
poderi,    scrollava   il   capo;    e  tutti    i   cattolici   zelanti, 
partig-iani   della  Curia,    i   monaci   a   spasso,    i   borbonic 
un  tempo  amicissimi   di  don   Blasco   gli  si  misero  con- 
tro ;  ma  a  chi  gli  riferiva  le  voci  malevole  egli  gridava  : 

— •  Sissignore,  il  Cavaliere  è  stato  comprato  per  mio 
conto  :  e  poi  ?  chi  ci  trova  da  ridire  ?  Mia  sorella  che 
ha  fatto  l'usuraia  per  cinquant'annl  ?  Mio  nipote  che 
ha  rubato  tutti  i  suoi  ?  Sono  questi  gli  scrupolosi  e  i 
timorati?...  Io  non  ho  scrupoli  di  sorta!  Se  non  avessi 
comprato  io  il  Cavaliere,  l'avrebbe  preso  un  altro  :  al 
convento  non  restava  di  sicuro,  per  la  buona  ragione 
che  il  convento  non  c'è  più!...  Anzi,  in  mano  mia,  è 
come  se  fosse  ancora  di  San  Nicola;  a  segno  che  ho 
fatto  restaurare  la  cappella,  e  ci  dico  la  messa  tutti  i 
giorni,  quando  salgo  lassù  :  che  se  andava  in  mano 
d'altri,  a  quest'ora  l'avrebbero  ridotta  a  uso  di  por- 
cile !... 

La  messa,  veramente,  egli  la  diceva  di  tanto  in 
tanto,  perchè  aveva  molto  da  fare  :  dissodava  la  chiusa, 
strappava  vecchie  piante,  scavava  mi  pozzo,  ingrandiva 
la    fattoria   trasformandola   in    Casina   di    villeggiatura, 


spostava  il  muro  di  cinta  arrotondando  a  modo  suo  i 
confini  ;  doveva  quindi  stare  con  tanto  d'occhi  aperti 
sugli  (Zappatori  e  sui  muratori  perchè  non  lo  rubas- 
sero. In  campagna,  per  esser  pronto  ad  esporsi  al- 
l'acqua ed  al  vento,  indossava  una  giacca  corta  da  cac- 
ciatore e  portava  gli  stivaloni  fino  a  mezza  gamba; 
tornato  in  città,  smise  la  tonaca  e  lo  scapolare,  ma 
si  compose  un  abito  nero,  da  ministro  protestante,  col 
panciotto  abbottonato  fino  in  cima  e  il  colletto  cleri- 
cale. Per  tanto  disapprovava  quei  due  o  tre  antichi 
suoi  compagni  che  s'erano  spogliati  del  tutto,  dandosi 
senza  riguardo  alla  vita  del  secolo,  come  il  sanculotto 
Padre  Rocca;  o  quelli  che,  senza  smetter  l'abito,  da- 
vano da  ciarlare  alla  gente  con  la  loro  condotta,  come 
padre  Agatino  Renda  che  stava  tutto  il  giorno  in  casa 
della  vedova  Roccasciano,  .giocando  mattina  e  sera. 
Padre  Gerbini  se  n'era  andato  a  Parigi,  dov'era  stato 
creato  rettore  della  Maddalena  ;  altri,  rimasti  in  città, 
facevano  la  vita  dei  preti  ;  ma  don  Blasco  proponeva 
a  tutti  sé  stesso  come  modello.  Fra  Carmelo  che,  come 
dal  principe,  veniva  spesso  anche  da  lui,  pareva  non  si 
fosse  accorto  del  mutamento  di  Sua  Paternità,  e  ri- 
peteva con  gesti  disperati  il  suo  eterno  ritornello  :  «  Me 
n'  hanno  cacciato!...  Me  n'  hanno  cacciato!...  »  Don 
Blasco  gli  dava  qualche  soldo  e  gli  offriva  da  bere, 
confortandolo  con  belle  parole  ;  ma  il  maniaco,  dopo 
bevuto,  ragionava  meno,  cominciava  a  prendersela  con 
gli   indiavolati  che  avevano   spogliato  il  convento  : 

—  Assassini  e  iladri  !  Ladri  e  assassini  !  Il  più  gran 
convento  del  reg-no!...  E  quegli  altri  ladri  che  si  son 
prese  le  sue  proprietà  !  All'  inferno  !  All'  inferno,  sco- 
municati  

Una  volta,  delirante  più  del  solito,  si  mise  in  ginoc- 
chio,  declamando,   con  gran  gesti  di  croce  : 

—  In  nome  del  Padre,  del  Figlio  e  dello  Spirito 
Santo!  \'i  scongiuro  per  parte  di  Dio!...  Restituite  il 
maltolto  a  San  Nicola  !...  Ladri  !...  Schifosi  !...  Siete 
cristiani  o  turchi  ?...  Pensale  all'anima!  ...  l-'\ioco  d'  in- 
ferno !.., 


—  71  — 

Don  Blasco,  perdendo  finalmente  la  pazienza,  lo  prese 
per  una  spalla  e  lo  spinse  fuori  : 

—  \'a  bene,  va  bene,  abbiamo  inteso....  ma  per 
adesso  vattene,  che  ho  da  fare — 

E  sbattutogli  l'uscio  sul  muso  mentre  sopravveniva 
donna   Lucia  : 

—  Comincia  a  rompermi  la  divozione,  questo  vecchio 
pazzo  !...  Se  torna  un'altra  volta,  buttatelo  giù  dalle 
scale,  avete  capito?... 


Vili. 


Una  notte,  mentre  Lucrezia,  a  letto,  russava  profon- 
damente, e  Benedetto  studiava  a  tavolino  il  bilancio 
comunale,  una  scampanellata  improvvisa  fece  sussul- 
tare il  marito  e  destò  la  moglie.  Andato  ad  aprire.  Be- 
nedetto si  vide  dinanzi  il  principino  bianco  in  viso  come 
un  foglio  di  carta. 

—  Datemi  da  lavare,  —  disse  allo  zio,  traendo  dalla 
lasca  della  giacchetta  la  destra  rossa  di  sangue. 

— ■  Consalvo!...  Che  è  stato?...  Che  hai?... 

—  Nulla,    non   gridate Per  aprire   una   finestra 

ho   rotto   un    vetro,    mi  sono  tag'liato Datemi   da   la- 
vare !...  E'  una  cosa  da  nulla.... 

La  ferita  era  invece  profonda  ;  cominciava  dal  dorso 
della  mano,  girava  sotto  la  giuntura  del  pollice  e  finiva 
sul  polso.  Medicata  con  taffettà,  doveva  essersi  riaperta, 
perchè  del  fazzoletto  che  fasciava  la  mano  non  restava 
neppure  un  angolo  bianco,  e  il  sangue  gocciolava,  mac- 
chiando   l'abito   e   la    camicia. 

—  Non  potevo  andare  a  casa,  conciato  in  questo 
modo — ■  spiegava  il  giovinotto,  mentre  teneva  im- 
mersa la  mano  in  una  catinella,  l'acqua  della  quale  s'ar- 


rossava  ;  ma  ad  un  tratto,  perduta  la  sicurezza  che  l'a- 
veva fin  li  sostenuto,  cominciò  a  tremare,  con  la  fronte 
madida  di  sudor  freddo,  girando  intorno  lo  sguardo 
stravolto,  dove  Giulente  leggeva  adesso  lo  sbigottimento 
di  un'  improvvisa  aggressione,  la  paura  della  morte 
intravista    nel   balenio  d'una   lama. 

—  Di'   la   verità:    com'è   stato?... 

—  Ancora?...  La  vetrata  rotta,  v'ho  detto Chia- 
mate piuttosto  Giovannino  che  m'accompagnò  dal  far- 
macista e  aspetta  giù — 

L'amico,  più  pallido  di  Consalvo,  confermò  la  narra- 
zione. La  verità  si  seppe  il  domani.  Da  un  pezzo  Con- 
salvo andava  dietro  alla  figlia  del  barbiere  del  Belve- 
dere, Gesualdo  Marotta  :  una  ragazza  che  si  tirava  su 
per  pettinatrice  e,  quantunque  girasse  sempre  per  le 
vie,  non  dava  retta  a  nessuno,  con  una  gran  paura  dei 
fratelli  poco  disposti,  articolo  onore,  a  scherzare.  Ma  M 
principino,  quando  concepiva  un  capriccio,  non  si  che- 
tava se  'non  dopo  averlo  soddisfatto  ;  e  nonostante  le 
preghiere,  gli  avvertimenti  e  le  minacce  dei  Marotta, 
aveva  messo  in  moto  tutte  le  'mezzane  della  città  per 
vincere  la  resistenza  della  giovane  e  della  famiglia, 
promettendo  di  toglierla  dalle  strade,  da  quel  mestiere 
penoso  e  pericoloso  ;  di  metterle  su  una  bella  bottega  di 
modista,  assicurandole  anche  la  clientela  di  tutte  le  sue 
parenti  ed  amiche.  Tutto  era  stato  inutile.  Allora,  ve- 
dendo che  con  le  buone  non  otteneva  nulla,  egli  fece  un 
bel  giorno  rapire  la  ragazza  e  la  tenne  tre  giorni  con  sé 
al  Belvedere.  I  fratelli,  per  un  certo  tempo,  stettero 
zitti,  quasi  fossero  ài  buio;  solo  quella  brutta  notte, 
mentre  il  principino  usciva  dal  Caffè  di  Sicilia,  in  com- 
pagnia di  Giovannino  Radali,  s'era  sentito  urtare  e 
squarciare  da  una  lama  tagliente  la  mano  distesa  istin- 
tivamente per  difendersi.  «Ci  rivedremo!...»  aveva 
detto  l'aggressore,  scappando  alle  grida  di  Radali. 

Il  principe  non  disse  nulla  quando  vide  il  figliuolo 
con  la  mano  fasciata  :  mostrò  di  credere  alla  storia  della 
vetrata  rotta  e  si  mise  a  vegliarlo  insieme  con  la  prin- 


cipessa,  la  quale  stette  al  cape2/'-ale  di  Consalvo  premu- 
rosa ed  inquieta  come  una  vera  madre.  Il  giovane  dissi- 
mulava imale  il  suo  fastidio  per  quelle  cure  antipatiche 
e  accoglieva  come  altrettanti  liberatori  gli  amici  che  ve- 
nivano a  fargli  visita  mattina  e  sera.  Il  pericolo  corso, 
il  sangue  perduto,  gli  procuravano  l'ammirazione  di  quei 
suoi  compagni  di  bagordo  ;  però,  guarito,  egli  non  mise 
il  naso  fuori  dell'uscio.  I  Marotta  avevano  fatto  sapere 
che  erano  pronti  a  ricominciare  appena  lo  avrebbero 
rivisto,  di  notte  o  di  giorno,  e  che  la  seconda  volta  non 
se  la  sarebbe  cavata  con  una  semplice  graffiatura,  e  che 
aspettando  di  farsi  giustizia  da  loro,  denunziavano  in- 
tanto la  cosa  ai  giudici.  Tutti  gli  Uzeda,  inquieti  per  la 
vita  dell'erede  del  nome,  ricorsero  al  duca  :  e^li  solo,  con 
r  autorità  che  gli  veniva  dalla  posizione  politica,  po- 
teva ottenere  dal  prefetto,  dal  questore,  dai  magistrati 
che  quei  malviventi  lasciassero  quieto  il  giovanotto.  Il 
duca,  udito  il  fatto  e  quel  che  volevano  da  lui,  in- 
\  ece  di  dar  ragione  al  pronipote,  fece  inaspettatamente 
una  gran  sfuriata,  tanto  più  strana,  quanto  che  non  era 
nel  suo  carattere. 

—  Bene  gli  sta  !  Queste  sono  le  conseguenze  della 
sua  vitaccia  !  E  voialtri  che  non  lo  chiudete  a  chiave  ! 
Che  vi  rallegrate  delle  sue  prodezze  !  Adesso  che  volete 
da  me  ? 

Nessuno  lo  aveva  mai  visto  cosi  rabbuffato  ;  un  altro 
poco  e  pareva  suo  fratello  don  Blasco.  La  quistione  era 
che  i  suoi  avversarii  tentavano  con  accanimento  un 
nuovo  assalto  alla  sua  reputazione  e  che  l'imbroglio  di 
Consalvo  dava  loro  buono  in  mano.  Il  deputato  non  an- 
dava da  due  anni  alla  capitale,  dimenticava  interamente 
gli  affari  pubblici  per  badare  ai  proprii.  Che' gran  pa- 
triotta,  eh?  Di  quanto  disinteresse,  di  quanto  amor  pa- 
trio non  dava  prova?  Quando  aveva  avuto  da  imbroglia- 
re a  Torino  e  a  Firenze,  se  n'era  stato  sempre  lontano, 
col  pretesto  degli  affari  pubblici,  anche  se  la  Camera  era 
chiusa  a  catenaccio  e  il  ministero  disperso  /di  qua  e  di 
Hi  ;  pei  fatti  del  Sessantadue  nessuno  lo  aveva  strappato 


—  74  — 

(la  Torino;  in  patria  era  \enulo  solo  per  essere  rieletto; 
r  ultima  volta  neppur  s'  era  data  questa  pena,  conside- 
rando il  collegio  come  un  feudo  elettorale  la  cui  pro- 
prietà nessuno  poteva  contrastargli;  adesso  che  gli  con- 
\eniva  accomodare  le  sue  faccende,  avevano  un  bel  di- 
scutere/delle più  gravi  quistioni,  in  Parlamento  :  egli  non 
si  moveva.  Ma  quando  pure  ci  fosse  andato  ?  Che  cosa 
avrebbe  fatto,  li  dentro  ?  Che  cosa  aveva-fatto  in  otto 
anni  'di  deputazione  ?  Come  un  burattino,  aveva  alzato 
ed  abbassato  il  capo,  per  dire  sì  o  no,  '^fcondo  gì'  im- 
beccavano !  E  avesse  una  volta,  una  sola  volta  aperto 
la  bocca  !  Si  scusava  col  dire  che  il  pubblico  lo  sgomen- 
tava ;  ma  la  verità  era  che  non  aveva  neppur  l'ombra 
(fi  un'  idea  in  fondo  alla  zucca,  che  non  sapeva  scrivere 
un  rigo  senza  fare  sette  spropositi  ;  e  credeva  di  poter 
nascondere  la  sua  supina  ignoranza  con  l'aria  di  pre- 
sunzione e  'di  sufHcienza  !  E  ad  una  bestia  di  quella 
cubatura  affidavano  tutti  gli  affari  della  città  e  della 
provincia,  lasciavano  dettar  sentenze  intorno  a  ogni 
sorte  di  quistioni  :  d'  istruzione  pubblica,  di  ingegneria, 
di  musica,  di  marina!...  Xon  contento  di  esercitare 
personalmente  tanto  potere,  ficcava  i  suoi  aderenti  da 
per  tutto  perchè  facessero  il  suo  giuoco  :  cosi  Giulente 
zio  aveva  avuto  la  direzione  della  Banca,  così  Giulente 
nipote   era  stato  fatto  sindaco!... 

Tutte  quelle  accuse,  dei  suoi  nemici  giravano  per  il 
paese,  trovavano  credito,  erano  una  minaccia.  Giulente 
prendeva  le  sue  difese,  ma  ades.so  non  lo  ascoltavano 
più  come  un  tempo;  il  discredito  del  deputato  si  esten- 
deva un  poco  su  lui.  Gli  davano  dell'  ipocrita  perchè 
pretendeva  conservare  le  antiche  amicizie  mentre  era 
diventato  settario,  1' esecutore  delle  partigianerie,  delle 
ingiustizie  'del  duca.  Ipocrita  soltanto?  I  più  accaniti 
assicuravano  che  teneva  anzi  il  sacco  all'  Onorevole,  per- 
chè qualcosa  doveva  entrargliene,  perchè  spartivano  gli 
illeciti  profitti,  il  frutto  dei  loschi  affari  !...  E  più  di 
ogni  altro  argomento,  questo  dei  guadagni  del  deputato 
aveva  la  \irtù  d'  infiajnmare  i  suoi  nemici.  Delle  cariche 


—  75  — 

pubbliche  s'era  servito  per  accomodar  le  sue  co-se;  i 
denari  impiegati  jiella  rivoluzione  gfli  fruttavano  il  mille 
per  cento!  Cosi  spiegavasi  il  suo  patriottismo,  la  com- 
media della  sua  conversione  alla  libertà,  mentre  Casa 
L'zeda  era  astata  sempre  covo  di  borbonici  e  di  reazio- 
narii,  mentre  egfli  stesso,  al  Quarantotto,  aveva  goduto 
col  cannoc-chiale,  come  al  teatro,  lo  spettacolo  della  città 
agonizzante  !  Spiegavasi  un  poco  con  la  paura,  col 
bisogno  di  dar  prova  di  liberalismo  e  di  democrazia 
per  non  esser  fucilato  —  e  1  gonzi  s'  eran  lasciati  pren- 
dere dalla  famosa  abolizione  del  pane  di  lusso,  durata 
quindici  giorni  !  —  ma  la  cupidigia  era  stata  più  grande 
della  paura;  e  certuni  bene  informati  assicuravano  che 
una  volta,  nei  primi  tempi  del  nuovo  governo,  egli  aveva 
pronunziato  una  frase  molto  significativa,  rivelatrice  del- 
l'ereditaria cupidigia  viceregale,  della  rapacità  degli 
antichi  Uzeda  :  «  Ora  che  1'  Italia  è  fatta,  dobbiamo 
fare  gli  affari  nostri —  »  Se  non  aveva  pronunziato 
le  parole,  aveva  certo  messo  in  atto  l'idea;  per  ciò 
\antava  1'  eccellenza  del  nuovo  regime,  i  benefici  effetti 
del  nuovo  ordine  di  cose  !  Le  leggi  eran  provvide  quando 
gli  giocavano  ;  per  esempio,  la  famosa  soppressione  delle 
comunità  religiose  !  A  darg-li  retta,  i  beni  tolti  alla 
Chiesa  dovevano  permettere  di  alleggerir  le  tasse,  e 
far  divenire  tutti  proprietarii.  Invece,  le  gravezze  pub- 
bliche crescevano  sempre  più,  e  chi  aveva  ottenuto  quei 
beni?  Il  duca  d'Oragua,  la  gente  più  ricca,  i  capitalisti, 
lutti  coloro  che  erano  dalla  parte  del  mestolo!... 

L'  apposizione  al  deputato  si  dbnfondeva  cosi,  a  poco 
a  poco,  nell'universale  malcontento,  nel  disinganno  suc- 
ceduto alle  speranze  suscitate  dalla  mutazione  politica. 
Prima,  se  le  cose  andavano  male,  se  il  commercio  lan- 
guiva, se  i  quattrini  scarseggiavano,  la  colpa  era  tutta 
di  Ferdinando  II  :  bisognava  mandar  via  i  Borboni,  far 
r  Italia  una,  perchè  di  botto  tutti  nuotassero  nell'  oro. 
.adesso,  dopo  dieci  anni  di  libertà,  la  gente  non  sapeva 
più  come  tirare  innanzi.  Avevano  promesso  il  regno 
della  giustizia  e  della  moralità;  e  le  parzialità,  le  birbo- 


-  76- 

nate,  le  ladrerie  conlinuavano  come  prima  :  i  potenti  e  i 
prepotenti  d'un  tempo  erano  tuttavia  al  loro  posto  !  Chi 
batteva  la  solfa,  sotto  l'antico  governo?  Gli  Uzeda,  i 
ricchi  e  i  nobili  loro  pari,  con  tutte  le  relative  clientele  : 
quelli  stessi  che  la  battevano  adesso  ! 

Per  combattere  queste  idee  che  facevansi  strada  e 
•che  nocevano  anche  a  lui,  Giulente  le  attribuiva  all'  in- 
vidia degli  inetti,  alla  mala  fede  dei  nemici,  segnata- 
mente alla  propaganda  dei  suoi  antichi  amici  rivoluzio- 
narii.  II.  gran  torto  del  duca  era  quello  di  sostenere  la 
causa  dell'ordine,  della  moderazione,  della  prudenza  !  Se 
invece  di  appoggiare  il  governo,  si  fosse  gettato  tra  gli 
esaltati  della  Sinistra,  gli  avrebbero  battuto  le  mani  ! 
Ma  predicava  ai  Turchi;  per  essere  ascoltato,  per  ri- 
scuotere approvazioni  ed  incoraggiamenti,  non  gli 
restava  altro  che  rivolgersi  ai  partigiani  del  duca.  Questi 
erano  sempre  numerosi,  ma  soprattutto  più  autorevoli, 
più  influenti  della  folla  anonima  degli  accusatori,  tra  la 
quale  gli  elettori  si  contavano  sulla  punta  delle  dita. 
Fedeli,  anche;  e  sordi  a  quelle  accuse,  e  tanto  più  ligi 
al  deputato  quanto  che  la  sua  caduta  li  avrebbe  rovi- 
nati   Ora,  in  queste  condizioni  dell' opinione  pubblica, 

il  pasticcio  del  nipote  dava  molta  noia  a  don  Gaspare. 
Non  già  che  gì'  importasse  del  pericolo  a  cui  il  giova- 
notto era  esposto  :  egli  non  provava  le  tenerezze  di 
donna  Ferdinanda  o  1'  interesse  degli  altri  parenti  per 
l'erede  del  principato;  né  che  temesse  veramente  di 
rimaner  neUa  tromba  a  un  prossimo  scioglimento  della 
Camera,  di  non  poter  continuare  a  spadroneggiare  in 
paese  ;  ma  non  voleva  esser  discusso,  presumeva  serbare 
intatto  il  prestigio  dei  primi  tempi  ;  e  giusto  per  questo 
la  sventataggine  di  Consalvo  lo  metteva  in  un  beli'  im- 
piccio :  poiché,  dando  mano  ad  un  sopruso,  persegui- 
tando i  parenti  della  ragazza  rapita,  avrebbe  .sollevato 
più  forti  clamori  contro  sé  stesso;  mentre  la  rinunzia 
a  difendere  il  nipote  sarebbe  stata  attribuita  appunto 
alla  paura  di  attirarsi  nuove  opposizioni.  Dopo  avere 
esitato    un    poco  fra    i    due    partiti,    facendo    sentire    a 


—  77  — 

Consalvo  il  peso  del  proprio  sdegno,  ma  dilcndendolo 
dinanzi  ag'li  estranei,  egli  si  apprese  al  più  audace.  Il 
più  facinoroso  fratello  della  pettinatrice  fu  chiamato  un 
giorno  da  un  ispettore  di  polizia,  il  quale  .gli  consigMò 
pel  suo  meglio  di  desistere  dalle  bravate  altrimenti 
lo  a\"rebbero  denunziato  per  1'  ammonizione;  nello  stesso 
tempo  i  testimonii  del  ratto  voltarono  casacca,  dichia- 
rarono invece  che  la  giovane  era  andata  liberamente 
a'ila  villa  Lzeda  ;  e  si  troA'arono  poi  due  contadini  che 
dissero  di  avercela  veduta  altre  volte,  e  parecchi  altri 
i  quali  affermarono  che  in  paese  si  diceva  non  esser 
quella  la  prima  scappata  della  ragazza.  I  parenti  gri- 
davano vendetta,  ma  i  vicini  li  persuadevano  a  desistere, 
ad  accomodarsi  con  le  buone  ;  il  principino,  quantunque 
le  migliori  testimonianze  ilo  sollevassero  da  ogni  respon- 
sabilità, pure,  per  evitar  altre  noie,  era  pronto  a 
sborsare  tremila  lire  per  la  bottega  di  modista. 

Ora  un  'bel  giorno,  'mentre  s'aspettava  da  un  momento 
all'  alltro  la  notizia  che  1'  imbroglio,  un  po'  con  le 
minacce,  un  p.o'  con  le  promesse,  era  accomodato  e 
che  il  giovanotto  non  correva  più  alcun  pericolo,  il 
principe  che  non  aveva  ancora  mosso  un  solo  rimpro- 
vero al  figliuolo,  entrò  nella  camera  di  quest'  ultimo 
rosso  in  \iso  come  un  pomodoro,  spiegazzando  un 
foglio   di  carta  : 

—  A  te  !...   Che  significa  questa  lettera  ? 

Si  riferiva  a  un  debito  di  seimila  lire  che  Consalvo 
aveva  garentito  con  una  cambiale  rinnovata  parecchie 
volte  di  quattro  in  quattro  mesi  ;  iil  creditore,  volendo 
esser  soddisfatto  e  profittando  della  clausura  del  gio- 
vanotto, scriveva  al  padre  avvertendolo  della  scadenza  e 
invitandolo  ail  ,pagam.ento. 

Consalvo,  nel  primo  momento,  rimase  ;  ma  poiché  suo 
padre,  animato  da  quel  silenzio,  chiedeva  spiegazioni 
gridando  più  forte,  egli  rispose  freddo  e  calmo  : 

—  Xon  c'è  bisogno  d'alzar  la  voce.  Che  cosa  le 
hanno   scritto  ? 

—  Sai  leggere,  sì  o  no  ?  —  esclamò  il  padre,  met- 
tendogli il  foglio  sotto  il  naso. 


-  78  - 

Ma  il  principino  si  trasse  vivamente  indietro,  conìe 
se  fosse  minacciato  da  un  contaLto  impuro.  Durante  i 
lunghi  g-iorni  che  aveva  passati  sopra  una  poltrona, 
tAiendo  il]  braccio  appeso  al  collo,  nell'inerzia  forzata, 
con  r  impossibilità  di  servirsi  della  mano  destra,  rab- 
brividendo alla  vista  del  sangue  che  ancora  trapelava 
d'ella  ferita  e  macchiava  la  fasciatura,  a  poco  a  poco 
s'era  sxegliato  in  lui  ed  era  cresciuto  e  s'era  fatto 
irresistibile  lo  stesso  senso  di  ribrezzo  che  era  stato  il 
tormento  di  sua  madre,  la  stessa  repulsione  per  tutti  i 
toccamenti,  lo  stesso  schifo  per  le  cose  che  altri  avevano 
maneggiate,  la  stessa  paura  dei  sudiciumi  contagiosi. 
Come  suo  padre  più  gli  s'  avvicinava,  porgendo  la 
lettera,  più  egli  si  scostava,  con  le  mani  dietro  la  schie- 
na, per  evitare  di  prenderla. 

—  Va.  bene —  va  bene....  —  diceva,  schermendosi  e 

guardando  di  sbieco   i  caratteri;  —  ho  visto è   don 

Antonio    Sciacca. 

—  Ah,  don  Antonio?  —  gridò  il  principe.' —  Dunque 
è  vero?  Non  ti  dai  neppur  la  pena  di  fingere?...  Ed 
hai  il  coraggio 

Consalvo  piantò  a  un  tratto  gli  occhi  negli  occhi  del 
padre,  guardandolo  fisso,  con  un'espressione  dura,  come 
di  sfida,  e  lasciato  improvvisamente  il  lei: 

—  Che  cosa  volete  ?...  —  gli  disse.  —  Avevo  bisogno 

di  danari Me  ne  date  tanti  !...    I.i  lio  presi  :  voi  che 

ne   avete  li  /pagherete 

Il  principe  pareva  sul  punto  di  cader  fulminato.  Ri- 
volgendo al  figliuolo  uno  sguardo  non  meno  fisso  né 
meno  duro  : 

- —  Pagherò  un  cavolo....  pagherò  !...  —  articoilava.  — 
I  miei  quattrini?...  Ti  lascerò  condannare  e  legare,  be- 
stione !    Capisci,    bestione? 

Più  freddo  di  prima,  Consalvo  rispose  : 

—  Va   benissimo.    Dunque   non    mi    seccate... 

—  Ah,   ti   secco?...    Ti   secco?... 

E  di  repente,  come  uno  che  riesce  a  vomitare  dopo 
vani  conati,  cominciò  a  sfogarsi.  Gonfiava  da  due  anni, 


—  79  — 

per  due  lung-hi  anni  aveva  consentite  tutte'  le  libertà 
al  tigliuolo;  durante  tutto  quel  temipo  aveva  compresso, 
soffocato,  vi'ito  r  imperioso  bisog'no  che  era  in  lui  di 
comandTire,  di  veder  tutii  piegare  dinanzi  alla  propria 
volontà  di  capo  della  cas'a,  di  padrone,  di  arbitro  asso- 
luto del  destino  della,  famiglia;  egi'i  che  aveva  marto- 
riato tutti  i  suoi,  fatto  di  loro  ciò  che  g"li  era  piaciuto, 
s'era  pieg'ato  a  lasciar  la  brig-lia  sul  collo  al  fig'liuolo, 
a  colui  sul  quale  più  leg-ittimamente  avrebbe  potuto 
esercitare  la  propria  potestà.  Per  due  anni,  fing-endo 
la  tolleranza,  I'  indulgenza,  ratTezione,  s'era  arrovel- 
lato sordamente,  covando  l'antipatia  e  l'avversione 
contro  Consalvo,  ricambiando  l'odio  che  si  sentiva  por- 
tato; adesso  finalmente  scoi>piava.  Finché  s'era  trat- 
tato de'lla  mala  vita  del  g'iovane,  della  sua  freddezza 
verso  la  madrig-na,  egli  /era  riuscito  a  frenarsi  ;  ora 
invece  Consalvo  lo  feriva  nel  sentimento  più  forte  di 
tutti  gli  alitri,  attentava  non  più  alla  sua  autorità  mo- 
rale m>a  alla  sua  borsa.  Il  principe  aveva  lottato  tutta 
la  vita,  fin  dall'età  della  ragione,  per  accumulare  nelle 
preprie  mani  quanto  più  denaro  gli  era  stato  possibile, 
per  togdierlo  alla  madre,  ai  fratelli,  alle  sorelle,  alla 
moglie;  meglio  che  tutti  gli  altri  Uzeda,  egli  era  il 
rappresentante  degli  ingordi  vSpagnuoli  unicamente  in- 
tenti ad  'arricchirsi,  incapaci  di  comprendere  una  po- 
tenza, un  valore,  una  virtù  più  grande  di  quella  dei 
quattrini  ;  e  adesso  che  era  riuscito  nel  proprio  intento, 
che  vedeva  arrivato  il  tempo  di  godere  serenamente 
i'I  frutto  delle  lunghe  e  pazienti  fatiche,  ecco  suo  figlio 
cominciare  a  disporre  di  quella  sostanza  come  di  cosa 
propria!  Se  Consalvo  gli  avesse  chieste  le  seimila  lire, 
egli  le  avrebbe  date;  ma  l'idea  del  debito  contratto, 
della  cambiale  firmata,  degli  interessi  rilasciati  antici- 
patamente agli  usurai,  produceva  una  rivoluzione  nella 
testa  del  padre,  gli  faceva  vedere  irreparabilmente 
pericolante  la  prqpria  ricchezza,  giacché  quella  cam- 
biale non  doveva  esser  sola,  giacché  la  naturale  incli- 
nazione del  figlio  allo  sperpero  gli  riusciva  adesso  evi- 


dente,  giiacchè  quello  sciagurato  osava  fKirlare  altera- 
mente, quasi  non  avesse  fatto  se  non  esercitare  un 
proprio  diritto  !  E  non  voleva  esser  seccato  per  giunta  ! 
E  ris'pondeva  con  quel  tono  a  suo  padre  ! 

—  Ah,  ti  farò  veder  io  se  ti  secco  1  Come  t'acco- 
moderò !...  Qui  il  padrone  sono  io  :  cacciati  bene  questa 
idea  nel  cervellaccio  pazzo  !  Qui  s'  ha  da  far  sempre, 
unicamente,  in  tutto  e  per  tutto,  la  mia  volontà  !  Per- 
chè sono  stato  troppo  buono  finora?...  Ti  farò  veder  io, 
pezzo  <!' imbecille  !...  E  la  g-ente,  i  miei  parenti,  tutto 
il  paese  che  imi  rinfaccia  ad  una  voce  la  vitaccia  di 
quest'animale!  la  vita  delle  taverne  e  dei  lupanari!... 
Credi  forse  che  non  sappia  le  tue  'SipK)rche  prodezze?... 
Come  non  arrossisci  dalla  vergogna  ?  Come  non  vai  a 
nasconderti  lontano  dalle  persone  a  modo  ?  La  dignità 
del  tuo  nome  calpestata  in  compagnia  dei  piia  schifosi 
bagordieri  !  E  non  parlo  dei  denari  scialacquati,  but- 
tati via  come  fossero  sassi  !  Chi  spende  per  capricci, 
per  divertimenti  pazzi  quanto  questa  bestia?...  E  non 
basta  lasciarlo  fare,  non  dirgli  nulla,  metter  mano  tutti 
i  giorni  al  portafoglio!...  E  ardisce  lagnarsi  che  non 
ha  abbastanza  !  E  invece  di  scusarsi,  di  chieder  per- 
dono, vuol  rifatto  il  resto  !  O  con  chi  credi  di  trattare, 
imbecille?...  Io  non  pagherò  un  soldo!  Ed  è  tempo 
d' intendersi,  sai  !  Giacché  ci  siamo,  una  volta  per 
tutte!...  Qui  bisogna  mutar  registro!...  Fin  a  quando 
starai  in  casa  mia,  hai  da  fare  quel  che  piace  a  me, 
comportarti  come  tra  la  gente  civile  !...  Questa  non  è 
una  locanda,  da  venirci  solo  per  mangiare  e  dormire  ! 
Io  non  ti  posso  imporre  l'affezione,  e  non  m'  importa 
che  me  ne  voglia  :  ma  esigo  il  rispetto  che  m'è  dovuto; 
esigo  il  rispetto  che  devi  a  tua  madre 

Consalvo  non  aveva  detto  una  sola  parola,  non  aveva 
fatto  un  gesto  durante  la  sfuriata  del  principe.  Questi 
aveva  un  bel" arrestarsi,  dopo  un'  interrogazione  o  una 
esclamazione,  quasi  per  dargli  il  tempo  di  rispondere 
qualcosa,,  di  giustificarsi  :  in  piedi  presso  la  finestra,  il 
giovanotto  guardava  nel  cortile  di  servizio  le  carrozze 


^  8i  — . 

tirate  fuori  dalle  rimesse  e  i  famìgli  intenti  a  ripulirle  : 
se  fosse  stato  solo  nel  suo  salottino  non  sarebbe  rimasto 
più  impassibile.  Ma  alle  ultime  parole  del  principe,  si 
voltò  lentamente. 

—  Mia  madre  ?... 

Aveva  sul  volto  un'espressione  indefinibile,  di  curio- 
sità, di  stupore,  di  dubbio,  dominata  da  un  sorriso  te- 
nuissimo,  di  isoli  occhi. 

—  Mia  madre?...  Mia  madre  è  morta.  Lei  lo  sa  me- 
glio  di  tutti. 

Il  principe  tacque,  guardandolo.  A  un  tratto  s' udì 
vm  fruscio  di  gonne,  e  la  principessa  Graziella,  avver- 
tita dalla  cameriera  che  aveva  udito  le  voci,  entrò  : 

—  Che  c'è?  Che  cosa  avete?... 

Consalvo  si  mise  le  mani  in  tasca  e  senza  dir  nulla 
passò  nella  camera  attigua.  Il  principe  si  lasciò  condurre 
via  dalla  moglie. 

Per  molte  settimane  padre  e  tìglio  non  scambiarono 
più  una  parola.  L'affare  del  debito,  risaputo  dai  parenti, 
divise  in  due  campi  la  famiglia.  Il  duca,  che  non  per- 
donava ancora  al  pronipote  1'  imbarazzo  in  cui  l'aveva 
messo,  sosteneva  il  principe,  l' incitava  a  non  cedere,  a 
lasciar  protestare  la  cambiale;  Giulente  anche  lui  giu- 
dicava necessario  dare  un  po'  di  paura  al  giovanotto, 
perchè  niente  avrebbe  poi  potuto  arrestarlo  nella  via 
dei  debiti,  se  il  principe  decidevasi  a  pagare  il  primo; 
ma  Lucrezia,  pel  gusto  di  contraddire  al  miarito,  per 
dare  una  lezione  di  munificenza  a  quel  pezzente  che 
giudicava  tutti  alla  sua  stregua,  esclamava  che  Con- 
salvo aveva  il  diritto  di  svagarsi  ;  che  seimila  lire 
per  il  princiipe  di  Francalanza  erano  come  dieci  lire 
pei  Giulente,  e  che  in  casa  Uzeda  per  nessuna  ragione 
al  mondo  poteva  darsi  lo  scandalo  d'  un  protesto.  Donna 
Ferdinanda,  manco  a  dirlo,  se  la  prendeva  con  l'ava- 
rizia del  principe,  che  non  dando  abbastanza  al  figliuolo 
lo  costringeva  a  ricorrere  al  credito,  e  Chiara  dava  un 
poco  ragione  agli  uni  e  un  poco  .agli  altri,  secondo 
l'umore  di   Federico.   Quanto  a  don  Blasco,  che  da  vm 

D»    Roberto.    /     11,, ■ri-    -    lì  B 


—    82    — 

pezzo  era  diventato  invisibile,  un  bel  giorno,  venuto  al 
palazzo,  cominciò  a  prendersela  non  solo  contro  Con- 
saho  pei  debiti  e  per  la  condotta  scandalosa,  ma  anche 
contro  il  principe  e  la  principessa,  alla  cui  debolezza 
attribuiva  lo  sfrenamento  di  Consalvo. 

—  La  colpa  è  tutta  vostra  !  Questo  non  è  il  modo 
d'educarlo  !  Pagargli  i  debiti  ?  Alzargli  la  mangiatoia, 
bisogna  !...  —  E  senza  nominarla,  si  scagliò  contro 
donna  Ferdinanda,  dandole  della  bestia  a  tutto  spiano, 
perchè  coi  vezzi  che  gli  aveva  fatti  ella  era  l'origine 
prima  della  mala  creanza,  del  principino. 

Donna  Ferdinanda  riseppe  il  discorso  tenuto  dal  mo- 
naco nello  stesso  tempo  che  il  suo  sensale  le  dava  una 
notizia  strepitosa  :  don  Blasco,  non  contento  d'aver  com- 
prato la  tenuta  di  San  Nicola,  aveva  preso  dal  Demanio, 
giusto  in  quei  giorni,  una  delle  case  appartenenti  al 
convento  :  il  palazzotto  di  mezzogiorno,  l'a-ntica  abita- 
zione della  Sigaraia  ;  armeggiando  così  bene,  da  far- 
selo aggiudicare  per  un  boccon  di  pane.  Allora,  apriti 
cielo  : 

—  Anche  la  casa?  —  gridò  la  zitellona.  — ■  Io  l'ho 
sempre  detto  che  è  un  porco,  un  vero  maiale  !  E  fa  la 
voce  grossa  con  gli  altri,  dopo  quello  che  ha  sulla  co- 
scienza!... Che  gli  estranei  comprino  i  beni  del  con- 
vento, si  capisce  :  non  hanno  nessun  obbligo  ;  ma  lui  ? 
che  se  non  l'avesrsero  fatto  monaco  sarebbe  morto  di 
fame?  che  s'è  ingrassato  a  spese  della  comunità?... 

— •  O  non  era  quello,  —  rincaravano  nella  farmacia 
di  Timpa,  —  che  voleva  mangiarsi  i  liberi  pensatori 
e  bandire  una  nuova  crociata  addosso  agli  usurpatori 
scomunicati  e  ridare  la  roba  loro  al  Papa  ed  a  Fran- 
cesco  II  ? 

Ma  a  don  Blasco  importava  adesso  un  fico  secco  se 
il  Re  chiamavasi  Francesco  o  Vittorio  ;  che,  entrato 
nella  casa  di  San  Nicola,  ci  stava  da  papa  :  le  botteghe 
le  aveva  affittate  a  buoni  patti,  ed  il  primo  piano  anche, 
a  un  professore  che  dava  lezioni  nella  scuola  tecnica 
istituita  nel   convento.    Scrupoli   egli   non   ne   provava  ; 


^)erchè  anzi,  se  tutti  i  monaci  avessero  imi  tato  il  suo 
esempio,  accaparrando  le  proprietà  del  monastero  invece 
di  sciupare  i  quattrini  che  ne  avevano  portato  via,  i 
beni  di  San  Nicola  non  sarebbero  andati  in  mano  di 
estranei. 

—  Questo  era  il  vero  modo  di  riparare  all'abolizione, 
e  non  le  vociate  inutili  e  ridicole.  Ricomprati  i  beni 
da  tutti  i  monaci,  l'avremmo  fatta  in  barba  al  Governo  ! 

Egli  se  la  pigliava  ancora  con  questo  Governo,  spe- 
cialmente per  via  delle  tasse  che  gli  faceva  pagare  ;  però, 
siccome  i  fedeli  alla  causa  della  reazione  predicevano 
la  fine  della  baldoria  e  il  ritorno  allo  stato  antico  e  la 
restituzione  del  maltolto  alla  Chiesa,  il  monaco  prote- 
stava : 

—  Come,  il  maltolto  ?  lo  ho  pagato  il.  Cavaliere  e 
la  casa  con  bei  quattrini  sonanti  ;  ho  affrancato  il  censo, 
avete  capito?...  Me  li  hanno  regalati,  o  li  ho  rubati, 
perchè  possano   riprenderli  ? 

— •  Non  dovevate  comprarli,  sapendone  la  prove- 
nienza !  E  arriverà  .il  giorno  della  resa  dei  conti,  del 
Dies   ircB  :    non    du'bitate  !... 

— •  Chi?  Che?  Chi  ha  da  venire?...  —  gridava  allora 
il  monaco.  —  Verrà  un  cavolo!... 

—  La  mano  di  Dio  arriva  da  per  tutto  !...  Le  vie  della 
Provvidenza   sono  infinite!... 

Le  liti  ricominciavano  ogni  dopo  pranzo  :  quei  borbo- 
nici e  clericali  ricevevano  certi  fogliacci  dove  la  fine 
della  rivoluzione  era  data  come  certa  ed  imminente  :  gli 
articoli  letti  ad  alta  voce,  ascoltati  come  il  \'angelo,  ap- 
plauditi ad  ogni  periodo,  facevano  andare  in  bestia  il 
Cassinese.  Un  giorno  che  la  brigata,  dopo  una  di  quelle 
letture,  gli  diede  addosso  con  maggior  vivacità  del  so- 
lito, don  Blasco  s'alzò,  fece  un  gesto  molto  espressivo, 
gridò  un  :  «  Andate  a  farvi  !...»,  e  se  ne  usci  per  non 
metter  più  piede  dallo  speziale.  11  pomeriggio,  passando 
dinanzi  alla  bottega,  affrettava  il  passo,  guardando 
dritto  dinanzi  a  sé,  e  se  c'era  gente  seduta  sul  limitare, 
traversava  la   strada,  per   passare  dal  marciapiedi   op- 


-  84- 

posto.  Egli  non  metteva  neppur  piede  al  palazzo,  dove, 
quell'usuraia  della  sorella  gracidava  anche  lei  contro 
i  compratori  dei  beni  ecclesiastici  come  se  fossero  al- 
trettanti ladri,  e  dove  quell'altro  pezzo  di  gesuita  di 
Giacomo  gli  faceva  la  corte,  adesso  che  lo  sapeva  ricco, 
ma  non  dava   torto  alla  zia. 

-—  \'orrebbe  che  lasciassi  a  lui  il  Cavaliere  !  —  gri- 
dava in  casa  alla  Sig'araia,  a  Carino  e  alle  figliuole.  — 
A  prenderlo  da  me,  di  seconda  mano,  non  avrebbe 
scrupoli  !  Ma  gli  vorrò  lasciare  trentasette  mazzi  di 
cavoli,  a  cotesto  gesuita  e  ladro  ! 

La  Sigaraia,  Carino  e  le  ragazze  approvavano,  rin- 
caravano la  dose,  parlavan  male  al  monaco  di  tutta 
la  parentela,  affinchè  egli  lasciasse  loro  ogni  cosa.  E  lo 
servivano  come  un  Dio,  si  precipitavano  ad  un  suo 
cenno,  camminavano  in  punta  di  piedi  quand'egli  ripo- 
sava, gli  tenevano  compagnia  fino  a  tarda  notte  se  non 
aveva  sonno,  lo  accompagnavano  al  Cavaliere,  gli  lo- 
davano le  sue  culture,  le  sue  fabbriche,  la  riuscita  di 
tutte   le   sue   speculazioni. 

Una  di  queste,  però,  era  venuta  corta  al  Cassinese. 
Il  Cavaliere  era  attaccato,  da  levante,  a  un  altro  fondo 
del  Demanio  ancora  invenduto,  e  la  linea  del  confine, 
consistente  in  un'antica  siepe  di  fichi  d'  India,  in  molti 
punti  aA"eva  soluzioni  di  continuità.  Don  Blasco,  fa- 
cendo costruire  un  bel  muro  sodo  e  alto,  irto  di  rovi 
e  di  cocci  di  bottiglie,  s'era  appropriato  qua  e  là  molti 
ritagli  di  terra  ;  a  un  certo  angolo,  dove  non  restavano 
più  tracce  della  siepe,  aveva  annesso  al  Cavaliere  un 
bel  tratto  dell'altro  fondo.  Ora  la  cosa,  venuta  in  chiaro 
all'  Intendenza  di  Finanza,  gli  aveva  fatto  piovere  in 
casa  certa  carta  bollata,  per  cui  il  monaco  s'era  messo 
a  sbraitare  come  ai  bei  tempi  contro  i  ladri  Italiani, 
e  quasi  quasi  voleva  riconciliarsi  coi  reazionarii  della 
farjnacia. 

—  A  me  r  accusa  d'  usurpazione?  Se  la  proprietà  di 
San  Nicola  arrivava  fino  alle  vigne  ?  Vogliono  inse- 
gnare a  me  qual  era  la  proprietà  del  convento,  cotesti 
ladri    che   hanno   spogliato   un   regTio  ? 


-  85  - 

Carino  aggiungeva  il  resto  ;  ma  poiché  le  cliiaochiere 
non  facevano  andare  indietro  i  reclami  del  Demanio,  e 
una  perizia  avrebbe  p>otuto  legittimarli,  l'ex-confidente 
di  polizia,  vedendo  che  il  monaco  ci  s'arrabbiava,  gli 
disse  un  giorno  : 

—  Vostra  Eccellenza  perchè  non  ne  dice  una  parola 
a  suo  fratello  il  deputato  ? 

Don   Blasco  non  rispose.    Era  già  stato  dal  duca. 

Da  anni  ed  anni  non  rivolgeva  più  la  parola  al  fra- 
tello, da  un  tempo  piii  lungo  ancora  lo  vituperava  in 
pubblico  e  in  privato  ;  don  Gaspare  dunque  rimase, 
vedendoselo  apparire  dinanzi.  Il  monaco  entrò  nello 
scrittoio  del  fratello  col  cappello  in  testa,  come  a  casa 
propria  ;  ^li  disse  :  «  Ti  saluto  »,  col  tono  di  chi  vede  una 
persona  lasciata  il  giorno  innanzi,  e  si  mise  a  sedere, 
li  duca,  passato  il  primo  momento  di  stupore,  sorrise 
finemente,  dicendogli  con  lo  stesso  tono  :  «  Che  abbia- 
mo ?  ))  e  i'I  monaco  entrò   subito  in  argomento. 

— ■  Sai  che  ho  comprato  il  Cavaliere  da  San  Nicola? 
Xon  c'era  più  la  linea  del  confine,  e  feci  alzare  un 
muro.  Per  questo  il  Demanio  m'accusa  d'  usurpa- 
zione !... 

Il  duca  continuava  a  sorridere  in  pelle  in  pelle,  go- 
dendosela, e  poiché  il  monaco  taceva,  credendo  di  non 
aver  bisogno  d'aggiunger  altro,  egli  che  voleva  avere 
la  soddisfazione  di  sentirsi  richiedere  d'aiuto  da  quel- 
l'arrabbiato che  gli  aveva  mossa  tanta  guerra,  fece  : 

—  E...? 

—  Non    si    potrebbe   parlare    a   qualcuno  ? 

Non  era  precisamente  quel  che  s'aspettava;  ma  il 
duca,  in«  fondo,  era  buon  diavolo,  non  aveva  il  fiele  del 
principe  e  del   Priore,   e  se   ne  contentò. 

— •  Va.  bene.  Torna  doimani  con  le  carte. 

Cosi,  con  iiTUmenso  stupore  di  tutta  la  parentela,  furon 
visti  i  due  fratelli  andare  insieme  su  e  giù  per  le  scale 
dell'  Intendenza,  della  Prefettura,  del  Genio  civile  e  del 
Cataisto.  In  pochi  giorni  la  cosa  fu  avviata  bene  ;  ma 
il  duca  suggerì  al  Casisinesc  una  soluzione  piìi  radicale  ; 

—  Perchè  non   compri   adtlirittura  l'altro  fondo? 


—  86  — 

—  E  i  danari  ? 

—  I    danari   si  trovano  ! 

Eg-li  li  prendeva  dalle  Banche  delle  quali  era  ammi- 
nistratore :  con  essi  speculava  sui  fondi  pubblici,  riscat- 
tava le  proprietà  prese  dalla  manomorta,  ne  comperava 
dì  nuove  ;  adesso,  per  stare  anche  lui  da  sé,  faceva 
fabbricare   una   grande  e  bella  casa   in   via  del   Plebi - 

-scito Per  suo  mezzo,  don   Blasco  fu  amjnesso  allo 

sconto-  alla  Banca  di  Depositi  e  Crediti,  e  una  cam- 
biale di  venticinque  mila  lire  del  monaco  passò.  Il  Ca- 
valiere, ingrandito  di  quasi  11  doppio,  divenne  cosi  una 
proprietà  ragguardevolissima,  «  un  vero  feudo  !  »  diceva 
Carino,  il  ,quale  adesso  esaltava  il  duca,  i  suoi  talenti, 
la  potenza  a  cui  aveva  saputo  arrivare  :  ma  quei  ciar- 
latani della  farmacia  borbonica  sbraitavano  peggio  di 
prima  e  profetavano  imminente  il  giorno  in  cui  don 
Blasco  e  gli  altri  sacrileghi  avrebbero  dovuto  restituire 
il  maltolto,  n  monaco  li  la^sciava  cuocere  nel  loro  brodo 
e  non  passava  più  nel  tratto  di  strada  dov'era  la  far- 
macia, che  solo  a  vederli  da  lontano  gli  facevano  venir 
da  recere.  Però,  alla  lunga,  la  mancanza  della  conver- 
sazione gli  pesava,  e  una- domenica,  incontrato  per  le 
scale  il  professore  suo  inquilino,  lo  invitò  a  venirlo  a 
trovare. 

Il  professore  dicevii  d'essere  stato  garil^nldino,  nar- 
rava il  fatto  d'Aspromonte,  non  parlava  d'altro  che  di 
cospirazioni  e  minacciava  anche  lui  il  finimondo,  ma 
solo  nel  caso  cJie  l'Italia  non  andasse  a  Roma. 

—  \"oi  dunque  dite  che  questo  governo  durerà  ?  — 
domandava  don  Blasco,  trepidante. 

—  Se  farà  il  suo  dovere  !  Altrimenti  lo  majideremo 
all'aria  come  gli  altri  I  Gli  sbirri  non  ci  spaventano! 
Abbiamo  visto  il  fuoco  !  Sappiamo  come  si  fanno  le  ri- 
voluzioni ! 

—  C'è  però  gente  che  crede  si  possa  tornare  in- 
dietro  

—  Tornare  indietro  ?  Ma  jjisogna  andare  avanti,  in- 
vece! integrare  l'unità  nazionale!  .smantellare  l'ultima 
cittadella  della   teoci'azia,    l'ultimo   baluardo  dell'osci}- 


_  87  - 

rantismo  !...  L'umanità  non  torna  indietro!  Abbiamo 
sepolto  il  medio  Evo  !  Lo  Stato  dev'esser  laico  e  la 
Chiesa  tornare  alle  sue  orig-ini,  perchè  come  disse  quel 
i^rand'  uomo  di  Gesù  Cristo  :  «  il  mio  regno  non  è  di 
questo  'mondo  !  ». 

La  conversazione  dell'  inquilino,  quantunque  di  tratto 
in  tratto  .gli  facesse  passare  qualche  brivido  per  la 
schiena,  piaceva  moltissimo  a  don  Blasco,  e  un  giorno 
anzi,  mentre  passava  dalla  farmacia  Cardarella,  antico 
ritrovo  di  liberali,  il  professore,  che  era  lì  dentro  a  di- 
scutere calorosamente,  lo  chiamò.  Parlavano  delle  sop- 
presse corjxìrazioni  religiose,  e  il  professore  non  voleva 
credere  che  le  rendite  di  San  Nicola  toccassero  certi 
anni  il  milione  di  lire. 

—  Sissignore  —  confermò  don  Blasco.  —  Era  il  più 
ricco  di  Sicilia  e  forse  di  tutto  l'ex-regno. 

Allora  di  (professore  si  .scagliò  contro  i  monaci,  i  preti, 
i  parassiti  d'  Una  società  che  per  buona  sorte  s'era 
finalmente  «  seduta  sopra  altre  basi  ». 

Da  quel  giorno  don  Blasco  .prese  l'abituUine  di  fre- 
quentare la  nuova  farmacia.  Vi  bazzicavano  i  liberali 
più  arrabbiati  i  quali  gridavano  contro  il  governo,  come 
quegli  altri  retrogradi,  ma  per  una  ragione  diversa  :  per- 
chè era  un  governo  di  conigli,  di  lacchè  della  Francia, 
di  lustrasti  vali  di  Napoleone  III  :  perchè  perseguitava  i 
patriotti  veri  e  faceva  il  gesuita  nella  questione  romana. 
Gli  rinfacciavano  Aspromonte  e  Mentana  ;  ma  Roma 
doveva  essere  italiana  a  dispetto  di  tutti,  o  sarebbero 
scesi  in  piazza  a  ricominciar  le  schioppettate.  «  O  Roma 
o  morte  !  »  vociferava  il  professore,  il  quale  aveva  sem- 
pre notizie  di  guerre  e  di  moti  rivoluzionarli  pronti  a 
scoppiare,  e  Don  Blasco,  tra  le  grida  degli  altri,  senten- 
ziava : 

—  Il  Santo  Padre  dovrebbe  pensarci  a  tempo,  con 
le  buone,  e  rammentarsi  del  Quarantotto  ;  che  se  al- 
lora non  dava  ascolto  ai  retrivi,  oggi  sarebbe  il  Pre- 
sidente   rispettato    della    Confederazione    italiana  ! 

—  Con  le  buone?  — gridava  il  professore.  —  Sante 


—  88  — 

cannonate  vog'liono  essere  !  11  sangue  di  Monti  e  To- 
gn£tti  è  ancora  fumante  !  Ci  vuol  il  cannone  per  ab- 
battere  l'antro   del  fanatismo  ! 

Un    giorno,    entrò    dal  padron    di    casa    con    un'aria 
gloriosa  e  trionfante  : 

—  Questa  volta  ci  siamo  !   La  guerra  è  pronta  ! 
Don    Blasco,    turbato   dalla    notizia,    poiché    temeva 

che  d'una  guerra  fosse  minacciata  1'  Italia,  si  rassicurò 
quando  l' inquilino  gli  riferi  che  l'elezione  d'un  prin- 
cipe tedesco  al  trono  di  Spagna  era  considerata  dalla 
Francia  come  un  casus  belli.  «  Il  nostro  dovere —  » 
Ma,  mentre  spiegava  il  dovere  dell'Italia,  venne  un 
servitore  di  casa  Uzeda.  Il  principe  mandava  a  chieder 
notizie  dello  zio  e  nello  stesso  tempo  l'avvertiva  che 
Ferdinando  stava  molto  male,  e  che  era  bene  fargli 
una  visita.  Don  Blasco,  a  cui  premeva  sopra  ogni  cosa 
udire  il. verbo  del  suo  nuovo  amico,   rispose: 

—  Va  bene,    va   bene;   domani   ci   andrò.... 


IX, 


Ferdinando  deperiva  da  un  anno.  Xel  viso  emaciato, 
negli  occhi  gialli,  nelle  labbra  bianche,  gli  si  leggeva 
da  un  pezzo  un  malessere  secreto,  un'  intima  sofferenza; 
ma,  come  s'era  creduto  affetto  da  tutti  i  mali  quando 
stava  benissimo,  cosi  adesso  che  qualcosa  si  disfaceva 
nel  suo  organismo,  se  gli  domandavano  che  avesse, 
rispondeva,    seccato  : 

—  Nulla!  Che  ho  da  avere?  \'olete  che  m'ammali 
apposta  ? 

E  rispose  una  mala  parola  al  principe  il  giorno  che 
questi  gli  consigliò  d'andarsene  un  poco  alle  Ghiande 
a  respirare  l'aria  sana  della  campagna.  Xon  voleva  più 
sentire  neppur  nominare  la  sua  terra.  I  libri  che  gli 
erano  costati  tanti  quattrini  s'  impolveravano  e  tarm;i- 


—  8q  — 

vano  negli   scaffali,  gli   strumenti   s'arrugginivano  e   si 
rompevano  ;  solo  il  podere  prosperava,  adesso  che  egli 
non  sperimentava  più   novità.    Incaponitosi  a  negare  le 
sue    sofferenze,    i    dolori   di   stomaco,    i   disturbi   visce- 
rali,  li  attribuiva  a  cause  fantastiche  :   alla  poca  cot- 
tura   del    pane,    allo    spirare    dello    scirocco,    al    fresco 
della  sera;  ma  egli  cadeva  in  una  tristezza  lugubre,   in 
una  funebre  ipocondria.    Per  lunghe  e  lunghe  giornate 
non  diceva  una  parola,  non  vedeva  anima  viva  :  chiuso 
nella  sua  camera,  buttato  sul  letto,  se  ne  stava  immo- 
bile  a    seguire    il  volo  delle    mosche;    quando   la   crisi 
passava,    faceva    grandi    scorpacciate    di    roba    indige- 
ribile.   Una  notte   d'estate,   il  cameriere  spaventato   da 
un   vomito     nerastro  e   da  una    diarrea     sanguinolenta, 
mandò  il  figliuolo  al  palazzo,  per  avvertir  la  famiglia. 
All'arrivo  del  principe  e  alla  proposta  di  mandare  a 
chiamare   un   medico,    l' infermo  gridò  che   non   voleva 
nessuno,    che    s'era    rimesso    interamente.    Ma    adesso 
tutti  comprendevano  che   il  caso  era  grave.    Lucrezia, 
la   compagna  della   sua   fanciullezza,    ebbe   un   beli'  in- 
sistere per   dimostrargli    la  convenienza    di    una  visita 
medica;  egli  minacciò  di  chiudersi  in  camera  e  di  non 
ricevere    più    nessuno.   Ma   il    suo   polso   scottava    dalla 
febbre.    Per   vincere   quell'ostinazione,    dovettero   ricor- 
rere   a    un    artifizio,   come   con    un    fanciullo  o   con    un 
pazzo  :    finsero    che    un    ingegnere    dovesse    rilevar    la 
pianta  della  casa  e  introdussero  cosi  un  dottore  in  ca- 
mera   sua.    Il    dottore    scrollò    il    capo  :    la    condizione 
dell'ammalato  era  molto  più  grave  che  non  credessero. 
A  trentanove   anni  egli   se  ne  moriva  :   il   sangue  vec- 
chio e  impoverito  dei  Viceré  si  corrompeva,  non  nutriva 
più    le    flaccide   fibre.    Per  tentar   di   combattere   la  di- 
scrasi,  una  cura  e  una  dieta  severissima  erano   neces- 
sarie ;    ma    il    maniaco    non    ascoltava    nessuno,    tanto 
meno  i  parenti.  Se  essi  insistevano,  egli  gridava  :  «  Non 
la  volete  finire  ?  »  Fittosi  in  capo  che  stava  benissimo, 
se   coloro  pretendevano  per   forza   che  fosse   ammalato 
voleva  dire  che   desideravano,   che   aspettavano  la  sua 


—  90  — 

morte.  Perchè?  Per  raccog^liere  rercdità  !  Egli  confi- 
dava la  cosa  al  cameriere;  g-li  diceva,  quando  gli  Uzeda 
andavano  via  : 

—  Credi  che  costoro  vengano  qui  per  amor  mio? 
Vengono  per  la  roba  !  Un'altra  volta  dirai  loro  che 
non  ci   sono. 

Ma  la  sua  roba  era  già  bell'e  andata.  Dapprima  per 
le  speculazioni  stravaganti  che  avevano  rovinato  la 
terra,  poi  per  le  spese  matte  di  libri  e  d'ordegni,  più 
tardi  per  le  ruberie  del  fattore,  quand'egli  non  aveva 
voluto  veder  le  Ghiande  neppure  da  lontano,  s'era 
messo  a  fare  qualche  debituccio.  Senza  stupirsene, 
senza  indagarne  la  ragione,  si  vedeva  attorno  gente 
che  gli  offriva  denaro,  dentro  ima  certa  misura,  be- 
ninteso. Ed  egli  firmava,  firmava  cambialine,  e  le 
camlbialine  andavano  a  finire  in  mano  del  principe, 
il  quale,  adocchiando  le  Ghiande  e  comprendendo  che 
quel  matto  ,non  avrebbe  fatto  testamento,  se  le  acca- 
parrava a  quel  modo.  Il  maniaco,  incapace  di  calco- 
lare a  qual  tasso  prendeva  quei  quattrini,  credendosi 
ancora  padrone  della  roba,  era  persuaso  che  i  parenti 
gli  stessero  attorno  aspettando  la  sua  morte  ;  appena 
li  vedeva  apparire,  pertanto,  voltava  loro  le  spalle, 
tranne   che   al  nipote  Consalvo. 

Il  debito  di  costui  era  stato  finalmente  pagato,  e 
tutti  attribuivano  a  donna  Ferdinanda  la  largizione. 
Ala  la  zitellona  non  aveva  dato  un  soldo.  Sarebbe  cre- 
pata d'accidente  se  avesse  dovuto  metter  fuori  non 
seimila  lire,  ma  seicento,  ma  sessanta  !...  I  quattrini 
erano  stati  realmente  sborsati  dal  principe,  al  quale, 
con  una  generosità  che  edificò  tutti,  la  principessa 
Graziella  persuase  di  perdonare  il  figliastro.  Era  mai 
possibile  che  la  firma  del  principino  di  Mirabella  fosse 
protestata  ?  Lei  vivente,  questo  non  sarebbe  accaduto  ; 
piuttosto,  se  Giacomo  si  fosse  ostinato  a  dir  di  no, 
avrebbe  pagato  lei  del  suo  !  Per  Consalvo,  come  anche 
por  Tcresina,  ella  sentiva  l'aftezionc  d'una  vera  ma- 
dre,   quantunque    non    lo  ;n'esse    jjoitato    in    grembo  e 


—  91  — 

il  figliastro  la  ripagasse  così  male.  «  Ma  che  ci  posso 
fare  ?  Non  si  comanda  al  cuore  !  Basta,  un  giorno  o 
l'altro  egli  s'accorgerà  che  non  merito  simile  tratta- 
mento   »  Così  ella  aveva  indotto  il  principe  a  pagar 

la  cambiale,  ma  aveva  pure  trovato  l'espediente  di 
far  credere  alla  generosità  della  zitellona,  perchè  Con- 
salvo  non  facesse  assegnamento  in  avvenire  sulla  de- 
bolezza paterna.  Tra  padre  e  figlio  l'avversione  era  cre- 
sciuta frattanto  di  giorno  in  giorno  ;  Consalvo,  per 
fuggire  la  compagnia  del  principe  e  per  darsi  contem- 
poraneamente l'aria  d'un  sacrificato,  disertava  la  casa 
paterna;  ma  invece  di  andarsene  con  gli  amici  al  caffè, 
al  club,  andava  dallo  zio,  al  quale  portava  i  giornali 
e  leggeva  le  notizie  politiche.  L'  infermo  s'appassio- 
nava moltissimo  alla  guerra  minacciata,  era  quello 
anzi  l'unico  tema  che  avesse  la  virtij  di  sciogliergli  la 
lingua.  Don  Blasco,  venuto  finalmente  a  visitare  il 
nipote,  discuteva  anche  lui  con  passione  intorno  a 
quel  soggetto,  ripetendo  gli  argomenti  del  professore; 
ma  il  duca  assicurava  a  tutti  che  si  trattava  d'un  falso 
allarme  e  che  guerra  non  ci  sarebbe  stata,  con  un'aria 
cosi  convinta  come  se  Napoleone  gliel'avesse  confidato 
in  gran  secreto. 

Scoppiò  finalmente  la  notizia  della  dichiarazione,  e  il 
grand'  uomo  esclamo  allora  che  Bismarck  e  Guglielmo 
dovevano  aver  perduto  la  testa.  O  scherzavano  ?  At- 
taccar Napoleone?.  L'esercito  francese,  il  primo  del 
mondo,  avrebbe  sbaragliato,  tritalo,  polverizzato  il 
prussiano,  e  preso  Berlino  fra  due  settimane  al  più 
lardi  !...  Invece,  .arrivarono  i  telegrammi  annunzianti 
le  vittorie  tedesche  ;  e  allora  gli  avversarli  del  depu- 
tato ripresero  a  sbertarlo  con  maggior  lena.  Quella 
bestia  con  la  prosopopea  d'  un  Cavour  redivivo  non 
era  neppur  buono  di  capire  le  cose  più  evidenti  ;  smen- 
tito dai  fatti,  ostinavasi  nella  sua  sciocchezza,  annun- 
ziava i  nuovi  piani  dei  Francesi,  la  loro  imminente 
rivincita,  l'intervento  delle  potenze!...  Ferdinando, 
dal  fondo   della   poltrona    che   adesso   non   lasciava   più 


—  92  — 

percJiè  le  gambe  non  lo  reggevano,  slava  a  udire  quel 
discorsi  con  tanta  ansietà  quasi  ne  dipendesse  la  sua 
salute.  Tremante  dalla  febbre,  con  la  fronte  in  fiamme, 
una  nuova  fissazione  sconvolgeva  il  suo  cervello  esan- 
gue :  quella  delle  vittorie  napoleoniche  che  egli  voleva 
a  qualunque  costo.  Comprata  una  carta  del  Reno,  pas- 
sava Je  sue  giornate  a  piantar  spilloni  in  tutti  i  posti 
francesi  e  spille  piccole  nei  prussiani  :  col  bollettino 
della  guerra  alla  mano,  studiava  le  operazioni  dei  due 
eserciti,  mutava  di  posto  i  segni  secondo  i  mutamenti 
reali,  e  a  misura  che  le  spilje  s'avanzavano  e  gli  spil- 
loni retrocedevano,  la  sua  malattia  s'  inaspriva.  Con 
voce  rauca,  cavernosa,  spiegava  quel  che  i  Francesi 
avrebbero  dovuto  fare  per  riottenere  le  p>osizioni  per- 
dute :  improvvisava  piani  strategici,  disegnava  ogni 
giorno  parecchi  teatri  delia  guerra,  disponeva  a  modo 
suo  delle  divisioni  e  dei  reggimenti,  esclamando  :  «  Que- 
sto di  qua  va  là,  quello  di  là  va  qua....  »  finché,  stanco, 
abbattuto,  con  le  mani  penzoloni  e  la  testa  rovesciata, 
chiudeva  gli  occhi  e  schiudeva  la  bocca  quasi  fosse 
sul   punto  di   spirare. 

Frattanto  il  duca,  sentendo  crescere  l'opposizione  e 
venirgli  meno  il  terreno  sotto  i  piedi,  comprendendo 
la  necessità  di  far  qualche  cosa  per  rialzare  il  proprio 
prestigio,  preparava  un  colpo  di  mano.  Le  inquietudini 
della  guerra  accrescevano  il  malcontento  comune,  gli 
avversarli  del  governo  se  ne  giovavano  per  gridare  e 
minacciare  più  forte.  L'opposizione,  che  nei  diversi 
partiti  e  nei  diversi  ordini  sociali  procedeva  da  diversi 
motivi  e  tendeva  ad  opposti  scopi,  s'accordava  pel  mo- 
mento nel  chiedere  a  una  voce  Roma.  Come  più  la 
fortuna  della  Francia  precipitava,  le  accuse  di  fiac- 
chezza e  di  vigliaccheria  al  governo  fioccavano  da 
ogni  parte  ;  le  minacce  di  prendergli  la  mano  parevano 
dovessero  tradursi  in  atto  da  un  moinento  all'altro. 
Ora,  mentre  quasi  tutti  i  soddisfatti  tenevano  a  bada 
i   rnalcontenti    e   consigliavano   la   prudenz,a   e   naviga- 


—  ^.1  — 

vano  tra  due  acque,  una  sera  il  duca,  che  se  n'era 
stato  nelle  sue  terre,  si  recò  al  Circolo  Nazionale  dove 
battagliavasi  giorno  e  notte,  ed  espresse  senza  esita- 
zioni il  proprio  pensiero  :  era  venuto  il  momento  d'agire  ! 
Se  il  Governo  si  lasciava  scappare  quest'occasione, 
non  avrebbe  più  avuto  nessuna  scusa  agli  occhi  della 
nazione  !  Egli  aveva  sempre  combattuto  le  impazienze 
del  partito  avanzato,  perchè,  se  erano  generose,  pote- 
vano far  male  al  paese.  Oggi  però  i  tempi  erano  ma- 
turi, qualunque  indugio  sarebbe  stato  una  colpa  ine- 
scusabile.  Se  a  Firenze  non  facevano  il  loro  dovere, 
egli  minacciava  «  di  scendere  in  piazza  con  le  cara- 
bine,  come   nel   Sessanta.  » 

«Ah,  buffone!...  Ah,  vecchia  volpe!...»  esclama- 
vano nel  campo  avversario;  ma,  a  dispetto  dei  suoi 
denigratori,  quelle  opinioni  francamente  professate  e 
ripetute  ogni  giorno  a  chi  voleva  e  a  chi  non  voleva 
udirle,  sostenevano  il  pericolante  credito  del  duca. 
Benedetto  Giulente  era  rimasto,  udendole  ;  poiché,  pre- 
vedendo che  lo  zio  avrebbe  seguito  fino  all'ultimo  la 
politica  dei  temporeggiatori,  s'era  messo  con  quelli. 
Rimase  ancora  peggio,  quando  il  duca  venne  a  tro- 
varlo, dicendogli  che  bisognava  ricominciare  a  pub- 
blicare l'Italia  Risorta,  per  spingere  il  governo  sulla 
via  di  Roma  :  i  tempi  erano  maturi  e  a  non  secondare 
la  corrente   si   rischiava  d'esserne  travolti 

Benedetto,  quantunque  spendesse  tuitto  il  suo  tempo 
al  Municipio,  mise  insieme  una  redazione  d'  impiegati 
comunali  e  di  maestri  elementari,  e  pubblicò  il  foglio. 
Lucrezia  fece  cose  dell'altro  mondo  contro  quella  bestia 
che  voleva  Roma,  adesso,  «  quasi  potesse  mettersela 
in  tasca  o  portarla  a  vendere  alla  fiera  !  »  ma  gì'  in- 
fiammati articoli  di  Benedetto,  il  quale  diceva  che  il 
duca  era  col  popolo,  pronto  a  partire  per  Firenze  se 
i  governanti  non  volevano  udire  la  voce  del  paese, 
procuravano  all'  Onorevole  nuova  aura  di  popolarità. 

.11  giorno  che  arrivò  la  notizia  della  lettera  di  Vit- 
torio Emanuele  al  Papa,  arrivò  pure  da  Roma,  inaspet- 


—  54  — 

lato  ospite,  don  Lodovico.  Egli  aveva  dato  appena  unii 
volta  l'anno  notizie  di  se  alla  famiglia,  tutto  intento 
ai  doveri  del  suo  uificio,  alla  preparazione  della  sua 
fortuna  che  oramai  era  avviata.  In  poco  più  di  tre 
anni  era  già  segretario  a  Propaganda  ed  arcivescovo 
di  Nicea  ;  Pio  Nono  aveva  molta  stima  di  lui.  Al  prin- 
cipe, che  nel  primo  momento  lo  guardò  come  uno  pio- 
vuto dalla  luna,  egli  disse,  con  tono  di  dolce  rimpro- 
vero : 

—  Ferdinando  è  in  fin  di  vita,  e  mi  scrivete  appena 
che  sta  poco  bene  ?  Se  non  fosse  stato  per  Monsignor 
\'escovo,    non    avrei    saputo  la    verità  ! 

E  andò  a  mettersi  al  capezzale  del  fratello  infermo. 
Questi  non  lasciava  più  il  letto  ;  quando  chiudeva  gli 
occhi,  il  suo  viso  verde  e  affilato  pareva  d'un  morto; 
ma  rifiutava  i  rimedii  con  più  ostinazione  di  prima. 
Come  più  il  suo  corpo  si  disfaceva,  gli  ultimi  bar- 
lumi dell'offuscata  ragione  si  spegnevano  :  adesso 
mandava  a  comprare  ogni  giorno  dozzine  e  dozzine  di 
scatolini  di  spilloni  e  risme  di  carta  e  pacchi  di  matite. 
Quella  roba  avrebbe  dovuto  servirgli  per  tracciar  piani 
di  campagna,  per  infigger  segnali  di  piazzeforti,  di 
accampamenti  e  di  quartieri  generali  ;  ma  egli  dimen- 
ticava lo  scopo  degli  acquisti  e  ne  ordinava  sempre 
nuovi  e  gridava  e  smaniava  se  non  l'obbedivano.  Con 
evangelica  pazienza,  con  zelo  indefesso,  con  ammira- 
bile abnegazione,  don  Lodovico  vegliava  1'  infermo,  se- 
condava le  sue  manie;  e  frattanto  —  Baldassarre  n'era 
disperato  —  le  male  lingue  andavano  spargendo  che 
egli  era  tornato  in  Sicilia  non  per  amore  del  Babbeo 
al  quale  non  aveva  mai  pensato,  ma  per  evitare  di 
trovarsi  a  Roma  in  quei  momenti  critici,  per  poi 
prender  consiglio  dagli  avvenimenti  !... 

Gli  avvenimenti  incalzavano.  I  soldati  italiani  ave- 
vano ricevuto  l'ordine  d'avanzarsi  nello  Stato  romano. 
L'attesa  delle  notizie  era  febbrile;  il  duca,  domiciliato 
alla  Prefettura,  apriva  i  telegrammi   del  prefetto  e  an- 


—  95  — 

clava  poi  a  ditfonderli,  quasi  li  avesse  ricevuti  diretta- 
inente  da  Lanza. 

— •  È  arrivata  la  fine  del  mondo  !  —  gridava  la  zi- 
tellona da  Ferdinando,  presso  al  quale  la  famiglia 
adesso  si  riuniva,  in  una  stanza  lontana  da  quella  del 
moribondo,  che  non  voleva  attorno  nessuno.  E  il  prin- 
cipe scrollava  il  capo,  e  la  principessa  Graziella  si  fa- 
ceva il  segno  della  croce,  intanto  che  Monsignor  don 
Lodovico  mormorava,  con  gli  occhi  a  terra  : 

— •  Bisogna  perdonar  loro,  perchè  non  sanno  quel 
che  si  fanno 

Lucrezia  pareva  una  vipera  contro  il  marito,  e  nes- 
suno parlava  del  duca,  Ja  cui  condotta  era  una  ver- 
gog^na  ;  ma  donna  Ferdinanda,  incrollabile  nella  sua 
fede,  si  scagliava  peggio  che  mai  contro  don  Blasco,  il 
quale  andava  anche  lui  predicando  per  le  farmacie  : 

—  Io  r  ho  sempre  detto.  Pio. Nono,  —  non  gli  dava 
più  del  Santo  Padre,  —  doveva  pensarci  a  tempo  e  a 
luogo,  quando  era  l'arbitro  della  situazione.  Adesso 
che  vuole  ?  Chi  è  causa  del  suo  mal,  pianga  sé  stesso  !... 

E  fattosi  socio  del  Gabinetto  di  lettura,  ci  andava 
tutti  i  giorni  col  professore  per  saper  le  notizie  e  assi- 
curarsi contro  il  timore  di  dover  restituire  la  roba  di 
San  Nicola  :  pertanto  vociava  contro  i  tiepidi,  soste- 
neva a  .spada  tratta  il  fratello,  leggeva  ad  alta  voce 
gli  articoli  di  fuoco  di  Giulente,  approvandoli,  ammi- 
randoli : 

—  Eh  ?  Come  scrive  mio  nipote  !  Questo  si  chiama 
scrivere  ! 

Ma  la  recente  apostasia  di  don  Blasco,  l'antico  tra- 
dimento del  duca,  non  toglievano  al  resto  degli  Uzeda 
la  stima  dei  puri  ;  presso  la  Curia,  specialmente,  la 
loro  condotta,  la  fedeltà  prestata  ai  sani  principii,  la 
costante  devozione  alla  buona  causa  li  faceva  conside 
rare  come  figli  prediletti.  Un  giorno,  nonostante  la 
tristizia  dei  tempi,  Monsignor  \'escovo  si  recò  da  Fer- 
dinando per  restituire  la  visita  fattagli  da  don  Lodo- 
vico, per  aver  notizie  dell'  infermo  e  consolare  1'  afflitta 


^96- 

famiglia.  Tutti  andarono  incontro  al  prelato  e  gli  ba- 
ciarono la  mano  ;  la  principyessa,  dalla  commozione, 
aveva   le  lacrime   agli  occhi. 

—  Che  notizie  del  nostro  caro  ammalato  ? 

—  Non  va  bene,  Monsignore,  —  rispose  Lodovico, 
sospirando  di  tristezza.  —  Abbiamo  persino  dovuto 
disp'acciare   a  nostro   fratello   Raimondo.... 

— •  Ma   non    ci   ha    da   esser   proprio   rimedio  ? 

—  Abbiamo  provato  tutto  :  l'acqua  di  Lourdes,  le 
medaglie   di   Loreto.... 

—  Bene,  bene —  ma  avete  chiamato  un  dottore? 
Che  farmaci  gli  avete  dato  ? 

— •  Oramai  !...  —  parve  voler  dire  Lodovico,,  aprendo 
le  braccia.  —  La  vita  del  nostro  povero  fratello  non 
è  più  nelle  mani   degli  uomini 

Egli  non  disse  che  Ferdinando  era  impazzito  del 
tutto.  La  sorda  diffidenza  destatasi  in  lui  contro  i  fra- 
telli, il  secreto  sospetto  che  non  gli  aveva  consentito 
di  attribuire  all'affezione  le  loro  premure  fastidiose, 
erano  cresciuti  di  giorno  in  giorno  e  invaso  talmente 
il  suo  cervello,  che  non  capiva  più  nessun'altra  idea. 
Egli  che  per  trentanove  anni  aveva  dato  prova  di  tanto 
disinteresse  da  meritar  dalla  madre  iJ  nome  di  Babbeo, 
da  lasciarsi  rubar  da  tutti,  si  rivelava  a  un  tratto  dei 
Viceré  con  quel  sospetto  buffo  e  pazzo,  adesso  che  non 
aveva  più  nulla  da  lasciare.  Come  la  sua  fibra  s'in- 
fiacchiva e  il  suo  cervello  si  scombuiava,  il  sospetto 
cresceva,  finché  diventò  furiosa  certezza  all'arrivo  del 
fratello   Raimondo. 

Il  conte  arrivò  insieme  con  la  moglie  ed  il  figliuolo. 
Invecchiata  di  trent'anni,  la  povera  donna  Isabella  ; 
irriconoscibile  come  un  giorno  era  stata  irriconosci- 
bile la  Palmi.  In  quei  cinque  anni  che  erano  stati  fuori, 
a  Palermo,  a  Milano,  a  Parigi,  come  il  capriccio  del 
marito  aveva  voluto,  certe  voci  di  tanto  in  tanto  arri- 
vate in  Sicilia  dicevano  che  ella  pagasse  amaramente 
il  male  fatto  alla  prima  contessa  ;  che  Raimondo,  stufo 
finalmente   di    quella  donna,    l'acquisto    della   quale   gli 


—  9/"  -- 

costava  cosi  caro,  non  potendo  pensare  ad  infrangere 
la  seconda  catena  scioccamente  postasi  al  collo,  avesse 
ricominciato  a  correre  la  cavallina  molto  peggio  di 
prima,  a  portar  le  ganze  fresche  nel  mutato  letto  co- 
niugale, a  maltrattare  in  ogni  modo  la  nuova  moglie, 
cui  non  giovava  mostrar  prudenza,  pazienza,  sommes- 
sione  ed  urriiltà  per  schivar  l'astio,  il  rancore,  quasi 
l'odio  del  marito.  Ma  quantunque  le  voci  non  fossero 
incredibili,  dato  il  carattere  di  Raimondo,  non  avevano 
trovato  tuttavia  molto  credito,  potendo  esser  messe 
in  giro  dagli  invidiosi  di  donna  Isabella,  dai  nemici 
del  conte,  dalle  eterne  male  lingue.  All'arrivo  di  Rai- 
mondo non  fu  possibile  persistere  nel  dubbio.  Egli 
scese  all'albergo,  come  sette  anni  innanzi,  quando 
aveva  definitivamente  abbandonata  la  prima  famiglia  ; 
ma  questa  volta  accompagnato  da  quattro  o  cinque 
tra  governanti,  honnes  e  cameriere  :  giovani  tutte, 
una  più  bella  dell'altra,  svizzere,  lombarde,  inglesi, 
un  vero  harem  internazionale.  Aveva  una  camera  se- 
parata da  quella  della  moglie,  e  quando  i  parenti  an- 
darono a  fargli  visita,  udirono  che  dava  a  costei  del 
voi,  lessero  in  viso  a  donna  Isabella  le  sofferenze 
espiatorie.  Ella  era  mutata  oltre  che  nelle  fattezze 
anche  nel  modi  :  parlava  adagio,  evitava  di  guardare 
il  marito,  pareva  timorosa  di  spiacergli  perfino  con  la 
sola  presenza.  E  Raimondo  non  nascondeva  i  proprii 
sentimenti  verso  di  lei  :  quel  voi  era  già  molto  elo- 
quente, ma  egli  affettava  di  non  rivolgerle  la  parola, 
di  non  udire  quel  che  ella  diceva  :  quando  andò  a 
vedere  il .  fratello  infermo  le  disse,  in  presenza  dei 
parenti  : 

—  Non  occorre  che  veniate  anche  voi. 

Ora  il  Babbeo,  che  non  ragionava  più,  alla  vista  del 
fratello  ebbe  un  assalto  di  mania  furiosa.  Con  gli  occhi 
stravolti,  coi  capelli  arruffati  sul  viso  scarno  e  pauroso, 
si  mise  a  gridare  : 

—  Assassini  !  Assassini  !...  .Muto  !...  I  Prussiani  !... 
^'ogliono   avvelenarmi!... 

n»   EoUrto.    I    Viceré    ■    Il  1 


Gridò  cosi  tutta  la  notte,  delirante  ;  ma,  cessata  la 
crisi,  r  idea  rimase  fissa,  incrollabile.  E  per  paura  del 
veleno,  colla  mania  della  persecuzione,  non  schiuse  più 
bocca  :  tutte  le  volte  che  ti"li  si  appressavano  per  dargli 
del  cibo  stringeva  i  denti,  urlava,  trovava  nelle  braccia 
spaventosamente  magre  la  forza  di  respingere  i  tenta- 
1i\i   di   fargli   ingoiare  un    sorso  di   brodo  o  di   latte. 

—  Aiuto!...  Bismarck  !  Assassino!.., 

Lucrezia  gli  si  metteva  accanto,  lo  prendeva  per 
mano,  gli  domandava  : 

—  Ma  di  ohi  hai  paura?  Non  ci  riconosci?...  Credi 
che  ti  voglia  avvelenare  io?  O  Giacomo?  O  Rai- 
mondo ?... 

Il  pazzo  sorrideva  d'  incredulità,  ma  quando  riten- 
tavano di  fargli  prendere  un  boccone,  per  prolungargli 
di  qualche  giorno  la  vita,  perchè  non  morisse  di  fame, 
ricominciax  a  a  urlare':  —  Assassino!...  Aiuto!...  As- 
sassino !... 

Una  sera,  mentre  don  Blasco  stava  per  uscir  di 
casa  insieme  col  professore,  il  cocchiere  del  principe 
venne  a  dirgli,  col  fiato  ai  denti  : 

—  Eccellenza,    l'aspettano    dal    Cavaliere Sono 

tutti  lì Portano  il  viatico  al  signorino  Ferdinando — 

II  monaco  aveva  una  gran  fretta  di  andare  al  Ga- 
binetto per  sapere  che  c'era  di  nuovo.  Le  ultime  no- 
tizie dicevano  che  le  truppe  italiane  erano  dinanzi  a 
Roma  ;  e  se  la  curiosità  universale  era  vivamente  ecci- 
tata, don  Blasco  smaniava  addirittura.  Nondimeno,  a 
quell'annunzio  di  morte,  stava  per  rispondere  che  sa- 
rebbe subito  andato,  quando  arrivò  a  precipizio  un 
altro  messo  da  parte  del  duca. 

—  Sua  Eccellenza  l'aspetta  subito  a  casa È  af- 
fare  urgentissimo 

—  Vengo. 

Il  professore,  declamando  contro  il  tribunale  del 
Sant'Uffìzio,  lo  accompagnò  fino  alla  nuova  casa  del 
duca,  dove  questi  s'era  domiciliato  dal  primo  del  mese. 
Giunto  dinanzi  al  portone,   il  monaco  chiese  permesso 


—  99  - 

al  compagno,  il  quale  restò  ad  aspettarlo  passeggiando 
su  e  giù.  Dopo  due  o  tre  minuti  riapparve  don  Blasco, 
pallido  in  viso,  correndo  e  agitando  un  pezzo  di  carta  : 

—  È  nostra!...   È  nostra!... 
■ —  Chi?...    Che   cosa?... 

—  Venite!...  —  esclamava  il  Cassinese  allungando 
il  passo  e  ansimando  forte.  •—  Al  Gabinetto!...  Roma  è 
nostra!...    La   breccia   è  aperta!... 

— •  Come?...    Aspettate!...    Fatemi   vedere 

—  Avanti  !...  Avanti  !...  Mio  fratello  ha  ricevuto  il 
dispaccio —  Le  truppe  sono  entrate .andiamo  al  Ga- 
binetto !... 

Piovve  li,  tra  la  gente  seduta  sul  marciapiedi  al 
fresco,   come   una   bomba  : 

— •  f".  nostra  !  È  nostra  !  K  nostra  !...  Roma  è  no- 
stra !... 

Tutti  s'alzarono,  circondandolo,  parlando  insieme, 
levando  le  braccia.  Egli  spiegava  il  pezzo  di  carta 
dove  il  duca  aveva  riadattato  il  telegramma  ricevuto 
dal  Prefetto  'per  togliergli  il  carattere  ufìficiale,  mutando 
l'indirizzo  per  far  credere  che  fosse  venuto  a  lui;  e 
la  gente  accorreva  dal  fondo  delle  sale,  i  passanti  si 
fermavano,  la  folla  ingrossava  da  un  momento  al- 
l'altro. Tutti  volevano  leggere  la  notizia,  ma  don 
Blasco  non  dava  a  nessuno  il  dispaccio  che  nella  ressa 
correva   pericolo   d'essere   stracciato  in  mille   pezzi. 

—  Leggete!...    Leggete!...    Vogliamo    sentirlo!... 
Salito  allora  sopra  una  seggiola,  il  monaco  lesse  col 

suo  vocione  :  «  Firenze,  ore  5  pomeridiane:  Onorevole 
d'Oragua,  Catania.  Oggi  alle  ore  dieci  antimeridiane, 
dopo  cinque  ore  di  cannoneggiamento,  truppe  nazio- 
nali   aprirono  breccia   cinta    di    Porta    Pia Bandiera 

bianca  alzata  su  Castel  Santangelo  segnò  fine  ostilità!  — 
Nostre  perdite  venti  morti,  circa  cento  feriti — 

E  un  urlo  si  levò  tutt'  intorno.  Ma  don  Blasco,  do- 
minando   le   grida,    tonò  : 

—  -MI' Ospizio. .. .  per  la  musica —  Fermi  !...  le  ban- 
diere.... 


In  un  attimo  tutte  le  bandiere  del  Gabinetto  furono 
recate  dai  camerieri  storditi  dalle  grida.  Don  Blasco 
ne  agguantò  una,  s'apri  un  varco  tra  la  folla  e  vociò 
novamente  : 

— ■  Air  Ospizio  !...    Air  Ospizio  !... 

.  Per  via,  le  grida  di  Viva  V  Italia  !  Viva  Roma  ! 
echeggiavano  d'ogni  intorno,  la  dimostrazione  s' in- 
grossava ;  quelli  che  ignoravano  ancora  di  che  si  trat- 
tasse gridavano  per  sapere  che  cos'era  successo,  e 
tutti  rispondevano  : 

—  I^a  truppa  ha  preso  Roma  !...  È  venuto  il  di- 
spaccio  al   deputato,   al    duca   d'Oragua!... 

Quando  la  banda  dell'Ospizio,  riimita  in  fretta  e  in 
furia,  cominciò  a  sonare,  il  clamore  divenne  assor- 
dante. E  mentre  i  sonatori  e  il  capo  musica  doman- 
davano : 

—  Da   che  parte?...    Dove   si    va?... 

-^  Dal  deputato —  risposero  dieci,  cento  voci;  — 

dal    duca 

Tutte  le  finestre  illuminate,  in  casa  dell'Onorevole; 
una  bandiera  che  pareva  una  vela  di  bastimento  sven- 
tolante al  balcone  di  mezzo,  il  deputato  che  in  persona 
rispondeva  salutando  col  fazzoletto  alle  grida  di  : 

—  \'iva  Roma  capitale!...  \'iva.  Oragua  !...  \'iva  il 
deputato  !... 

A  un  tratto,  mentre  alcuni  gridavano  per  ottener 
silenzio,  aspettando  un  discorso  d'occasione,  il  duca 
scomparve.  Per  evitare  il  pericolo  di  dover  parlare, 
poiché  Giulente  non  lo  poteva  aiutare  essendo  con 
la  moglie  al  letto  dell'agonizzante  Ferdinando,  egli 
scendeva  incontro  ai  dimostranti,  veniva  a  mescolarsi 
tra   la   folla. 

—  EvA'iva  !...    Evviva!...   .Alla  Prefettura!... 

E  la  marcia  ricominciò.  Don  Blasco,  con  la  ban- 
diera a  spall'arme,  la  tuba  im  poco  di  traverso,  il  col- 
letto monacale  madido  di  sudore,  andava  in  mezzo 
alla  dimostrazione  a  braccio  del  professore  che  lo 
aveva  ripescato  e  non  lo  lasciava  più. 


—  Fuori  i  lumi  !...  —  gridavano  i  suoi  seguaci  a 
ogni  passo,  e  applausi  e  fischi  s'alternavano  secondo 
che  le  finestre  illuminavansi  o  restavano  serrate  e  buie 
com'erano.  Dinanzi  a  una  bottega  di  mereiaio,  la  fiu- 
mana dei  manifestanti  s'arrestò  un  momento  :  «  Le 
torce!...  Le  torce  a  vento!...  »  E  tutte  quelle  che  si 
trovarono  furono  distribuite  e  accese  immediatamente. 
La  luce  fosca,  fumosa,  si  rifletteva  contro  le  case,  illumi- 
nandole, strappando  vivi  bagliori  ai  vetri  delle  finestre  ; 
sul  mare  delle  teste  fazzoletti  e  cappelli  s'agitavano; 
la  banda  eccitava  l'entusiasmo  sonando  a  tutto  andare 
la  marcia  reale  e  1'  inno  di  Garibaldi  ;  e  le  grida  echeg- 
giavano più  forte,  più  alte,  più  spesse  intorno  all'  Ono- 
revole : 

—  \'iva  Roma!...   Viva  l'Italia!...   Viva  Oragua  !... 
A   un  tratto   la   dimostrazione   s'arrestò   nuovamente 

come  se  qualcuno  le  contrastasse  il  passo,   e  un  vario 
vocio   si   levò  : 

—  Ancora!...  Avanti!...  Abbasso!...  Morte!..,  Chi 
è?...  Che  c'è?... 

Da  un  vicolo,  era  sbucato  un  frate  ;  alla  vista  della 
tonaca  i  dimostranti  che  andavano  innanzi  s'erano  fer- 
mati e  gridavano  sul  muso  aJ  malcapitato  : 

—  Abbasso  i  preti  !...  Abbasso  le  tonache  !  \'iva 
Roma  nostra  !... 

Il  frate,  livido  in  volto,  con  gli  occhi  spalancati, 
guardò  un  momento  la  folla  minacciosa  e  urlante  ;  di 
repente,  alzò  le  braccia,  gridando  anche  lui,  scompo- 
stamente : 

—  Eh  !...   Eh  !... 

—  È  il  matto —  lasciatelo  andare!...  —  esclamarono 
alcuni;  ma  pochi  udirono  l'avvertimento,  e  la  folla  si 
mise   in   moto  gridando  : 

—  Morte  ai  preti  !...  Abbasso  il  temporale  !...  Ab- 
basso !...    Morte  !... 

Don  Blasco,  allungato  il  collo,  riconobbe  Fra  Car- 
melo, un  altro  degli  Uzeda  ammattito,  il  bastardo  che 
a  dispetto  della  fede  di  battesimo  si  rivelava  anch'egU 


della  famiglia.  E  il  professore,  alla  vista  della  tonaca, 
se  era  un  energ^umeno,  inferocì  come  un  torello  al 
rosso  : 

—  Morte  ai  corvi  !...  Giù  i  tricorni  :  viva  il  pensiero 
laico!...    .\bbasso   l'ultramontanismo  !... 

Il  pazzo,  alla  luce  fantastica  delle  torce,  continuava 
a  gestire  scompostamente,  a  gridare  :  «  Eh  !...  Eh  !...  » 
senza  riconoscere  l'ex-paternità  di  don  Blasco,  il  quale, 
per  non  esser  da  meno  del  professore  che  gì'  intronava 
le  orecchie,   vociava  anche  lui  : 

—  .Abbasso!...    Morte!...    Abbasso! 


I 


I03  — 


PARTE  TERZA. 


«  Signore  otiurcnuìissinio, 

«  L'origini'  nommenchè  1'  istoria  della  patria  nobiltà 
sapere,  tornar' in  niente  non  dev'a  ciascuni,  specie  in 
ta'  tempi  che  la  vengon  stimando  da  sezzo,  in  quella 
vece  che  tuttosì  dagli  esteri  ammirando  si  viene.  Da  ri- 
cajx)  narrarla,  dopocchè  il  Mugnos,  il  \'illabianca  ed 
altri  famosi  a  sé  recarono  immortalità  sbrancandone 
quel  denso  velo,  chiarirsi  potrebbe  un  fuor'opera;  se 
quei  valentuomini,  per  legge  di  natura,  arrestati  non 
fossers'ai  tempi  che  vissero.  Ma,  senzachè  il  prose- 
guimene' insin'a  nostri  ultimi  giorni,  un  altr'oggetto 
ne  rischiara  la  convenienza  ;  vogliam  dir  la  rarezza  di 
quell'oper'  insigni,  cui  non  a  tutt'è  dat'acquistare. 
Quind'e  perciò,  all'oggettocchè  tra  le  mani  dell'uni- 
versale una  nuov'opera  messa  in  giornata  ne  gisse, 
abbiam  divisato  dettarla.  E  altaiche  non  ci  s'  imputi 
in  superbia  a  tant'  impres' azzar  darci,  non  vogliamo 
far  senza  di  porre  qui  bocca  sulla  scienza  che  del- 
l'araldiche discipline  noi  succhiammo  una  col  latte, 
si  come  quelle  eh 'a  discendente  di  non  ultima,  tra  le 
sicole  blasonate  famiglie,  famiglia,  piij  convenissero. 
Lusingarci  da  indi  possiamo  che,  la  mercè  d'uno  studio 
indefesso,  nommenchè  la  paziente  compulsione  d'ar- 
chivii  importanti  e  zeppati  di  documenti  solo  noi  dato 
esaminare,  saracci  dato  fornire  l'assunto  come  disse  il 
Poeta,    senza   infamia   sicuro,  forse  con   lode. 

«  Comecché  cultore  d'istoric'istudii  ed  amante  delle 
patrie   glorie,   Vostra   .Signoria  Onorandissima,    echeg- 


—  I04  — • 

giando  al  nostro  proposito,  negar  non  vorrane  il  suo 
ambito  concorso;  laonde  viviamo  fidenti  della  sua  firma 
nella  scheda  dove  le  soscrizioni  si  ammozzolano.  Bassa 
idea  di  guadagno  non  spronaci,  laddiomercè  not'  es- 
sendo non  averne  noi  uopo  ;  nonperoddimanco  onde 
coprire  .in  parte  le  pure  semplici  spese,  abbisognamo  il 
suo  appoggio.    Delchè  dormiam'  in  guanciali. 

«  Scheda   di    soscrizione 
«  all'  opera 

«  del  cavaliere  don  Eugenio  Uzeda  dei  principi  di  Fran- 
calanza  e  Mirabella,  duchi  d'Oragua,  conti  della  Lu- 
mera,  etc,  etc.  ;  già  Gentiluomo  di  Camera  (con  eser- 
cizio) di  Sua  Maestà  il  Re  Ferdinando  II  ;  medagliaio 
dell'ordine  ottomano  del  Nisciam-Ifitkar  da  Sua  Al- 
tezza il  Bey  di  Tunisi,  membro  di  varie  Accademie, 
etc,  etc,  intitolata: 

«  L'Araldo  sicolo 

«  consistente  nell'istoria  documentata  dell'origini,  sor- 
t' e  vicende  delle  Nobili  Famiglie  Siciliane  da'  tempi 
più  oscuri  infino  al  giorno  d'oggi  :  ben  tre  volumi,  di 
cui  il  primo  testo,  il  secondo  alberi  genealogici,  il 
terzo  stemmi.  Usciranno  una  dispensa  ogni  mese. 
Prezzo  d'ogni  dispensa  :  lire  due.  Associazione  all'o- 
pera completa,  lire  cinquanta.  —  NB.  Chi  procura  sei 
soscrizioni  avrà  diritto  a  pubblicare  il  proprio  albero 
genealogico.  Chi  ne  procura  dodici  avrà  tuttosi  lo 
stemma   colorato.  » 

Questa  circolare,  diffusa  a  centinaia  e  centinaia  di 
copie,  provò  ai  concittadini  del  cavaliere  don  Eugenio 
che  egli  era  ancora  tra  i  vivi.  Nessuna  notizia  di  lui 
arrivava  da  più  anni  ;  sulle  prime,  aveva  scritto  ai  pa- 
renti chiedendo  quattrini  in  prestito  per  grandi  e  si- 
cure speculazioni;  ma  poiché  gli  rispondevano  picche, 
aveva  finalmente  smesso.  Che  cosa  avesse  fatto  tanto 
tempo,  dove  fosse  stato,  non  seppe  nessuno.  Nessuno 
di  quelli  che  andavano  a  Palermo  lo  vide  mai,  nessuno 


udi  parlare  di  lui,  e  insomma  l'ignoranza  dei  fatti 
suoi  fu  cosi  grande,  che  molti  avevano  supposto  fosse 
passato  zitto  zitto  al  mondo  di  là.  La  posta  non  aveva 
finito  'di  distribuire  il  manifesto  deW Araldo  Sicolo, 
che  arrivò  l'autore   in  persona. 

Mancava  da  tanti  anni,  ed  era  naturalmente  invec- 
chiato, toccando  ormai  la  sessantina  ;  ma  stranamente 
imbruttito,  anche,  e  quasi  irriconoscibile.  Sul  viso  di- 
magrito ed  emaciato  il  naso  sembrava  essersi  allun- 
gato, come  una  tromba,  una  proboscide,  un'appendice 
flessibile  atta  a  frugare  in  mezzo  al  letame  ;  la  caduta 
dei  denti,  affossando  la  bocca,  aveva  contribuito  an- 
ch'essa a  quell'apparente  crescenza  che  dava  a  tutto 
il  viso  un  aspetto  basso,  ignobile  e  quasi  animalesco. 
Indosso,  la  sordidezza  della  camicia  e  dell'abito  a  coda, 
troppo  lungo  e  troppo  largo,  con  un  panciotto  che  era 
stato  bianco  e  l'untume  del  cappello  che  pareva  su- 
dasse dal  troppo  caldo,  lo  facevano  prendere  per  un 
servitore  di  trattoria  o  per  un  bigliardiere  di  bisca  ; 
la  gotta  che  gli  tormentava  i  piedi  lo  costringeva  ad 
un'andatura  storta  e  strisciante.  Prese  alloggio  in  un 
albergo  d'infimo  ordine;  ma  alle  prime  persone  alle 
quali  si  diede  a  conoscere  —  giacché  nessuno  lo  rico- 
nosceva —  egli  disse  che  non  aveva  trovato  camere  di- 
sponibili al  Grand  Hotel  e  che,  partito  improvvisa- 
mente da  Palermo,  non  aveva  potuto  portare  con  sé  i 
bauli  —  i  bauli,  come  pronunziava. 

La  sua  prima  visita  fu  pel  capo  della  famiglia  ;  ma, 
giunto  dinanzi  al  portone  del  palazzo,  vide  con  stupore 
che  era  chiuso,  col  solo  sportello  aperto.  Datosi  a 
conoscere  come  zio  del  padrone  al  nuovo  portinaio  che 
lo  squadrava  da  capo  a  piedi,  senti  rispondersi  che  non 
c'era,  nessuno  :  né  il  principe,  né  la  principessa,  né 
Consalvo:  partiti  tutti  :  il  signorino  in  viaggio  da  quasi 
un  anno,  i  padroni  per  togliere  dal  collegio  la  signorina 
e  farle  vedere  un  po'  di  mondo.  Non  bene  persuaso, 
come  uno  avvezzo  ad  esser  mandato  via,  il  cavaliere 
alzava  gli  occhi  alle  finestre,  pareva  voler  guardare  a 
traverso  i  muri,  quando  s'udì  salutare  : 


—   io6  — 

—  Eccellenza?...    \'ostra    Eccellenza    qui? 

Era  Pasqualino  Riso,  il  cocchiere.  Anche  lui  era 
andato  giù,  non  sfoggiava  gli  abiti  eleganti,  gli  anelli 
e  le  catene  d'oro  d'un  tempo. 

—  Tutti   partiti,  Eccellenza....    La   casa  è   vuota! 
— ^- Quando  torneranno? 

—  Xon  sappiamo,  Eccellenza  ;  forse  per  le  vendem- 
mie,  i  padroni 

— ■   E  il  principino  ? 

—  Ah,    il   principino. non   per  ora 

Don  Eugenio,  i  cui  occhietti  luccicavano  di  curiosità 
sul  viso  affamato,  s'accomodò  sulla  seggiola  senza 
spalliera  che  il  portinaio  teneva  dinanzi  all'uscio  del 
suo    stanzino,    domandando  : 

—  Perchè  ?  Che  c'è  di  nuovo  ? 

E  a  poco  a  poco,  Pasqualino  rivelò  la  verità.  Il  si- 
gnorino non  poteva  più  stare  in  casa,  almeno  per  un 
certo  tempo,  a  cagione  dell'urto  continuo  col  padre. 
Dai  tanti  dispiaceri,  il  signor  principe  era  caduto  am- 
malato. Quanto  a  don  Consalvo,  non  si  poteva  dire  che 
s'affliggesse  tanto  da  farne  una  malattia,  ma  neanche 
lui  doveva  ingrassare  a  furia  di  dissapori  e  di  diverbii  ; 

il  meglio  perciò  era  che  se  ne  stesse  un  pezzo  lontano 

Così  il  principe  avrebbe  trovato  tempo  di  placarsi,  di 
persuadersi  che,  in  fin  dei  conti,  il  figliuolo  non  aveva 
ammazzato  nessuno  !  L'accusavano  di  non  interessarsi 
alle  faccende  dell'amministrazione,  di  trattar  male  la 
madrigna  ?  «  Ma  \''ostra  Eccellenza  sa  com'  è  fatto  il 
signor  principe  :  piuttosto  che  dare  ad  altri  i  registri 
dei  conti  o  le  chiavi  della  cassa,  si  lascerebbe  tagliare 
tutt'e  due  le  mani!...  Alla  principessa  il  signorino  non 
vuol  bene  come  una  madre,  questo  è  vero  :  madre  però 
ce  n'è  una  sola:  dico  bene.  Cavaliere?  La  madrigna, 
basta  che  la  rispetti;  e  rispettarla,  la  rispetta....  »  La 
ragione  vera  del  dissenso  era  pertanto  un'altra  :  che  il 
signor  principe  non  voleva  metter  fuori  quattrini,  e  il 
principino  invece  spendeva  da  signore....  Perciò  il  si- 
gnorino   aveva    firmato    qualche    cambialetta  ;    e    ogni 


—   I07  — 

volta  che  i  creditori  ne  presentavano  una  al  signor 
principe,  pareva,  Dio  ne  scampi  e  liberi  tutti  quanti, 
che  gli  pigliasse  un  accidente  secco.  E  voleva  perfino 
farlo  arrestare,  come  se  una  cosa  simile  potesse  dirsi 
per  puro  e  semplice  scherzo,   in  casa  Francalanza  ! 

Fatto  un  gesto  d'  indignazione,  Pasqualino  prese 
un'altra  seggiola  nel  bugigattolo,  e  sedette  accanto  al 
cavaliere,  il  quale,  scrollando  gravemente  il  capo, 
trasse  di  tasca  mezzo  sigaro  spento  e  chiese  un  cerino 
al  cocchiere.  «  Allora,  \'ostra  Eccellenza  permette?...» 
E  accesa  la  sua  pipa,  riprese  il  filo  del  discorso.  Per 
chi  dunque  aveva  ammassato  tante  ricchezze,  il  signor 
principe?  Per  se  stesso,  no;  giacché  non  ne  godeva; 
per  la  figlia,  neppure  ;  perchè,  una  volta  maritata,  la 
signorina  Teresa  avrebbe  preso  la  sua  dote  e  buona 
notte;  dunque,  pel  figlio  !  Allora,  perchè  tenerlo  a  corto 
di  quattrini?  Un  giovanotto  come  il  principino  di  Mi- 
rabella aveva  bisogno  di  tante  cose;  doveva,  per  neces- 
sità, far  tante  spese!...  Il  padrone  non  lo  capiva, 
lui  che,  giovane,  era  vissuto  da  monaco.  «  Ma  siamo 
tutti  fatti  ad  un  modo?  »  E  poi,  i  tempi  erano  mutati  : 
i  signori  dovevano  spendere,  se  volevano  essere  consi- 
derati ;  se  no,  il  primo  ciabattino  arricchito  si  repu- 
tava da  più  di  loro  !...  E  nel  rammarico  di  non  poter  più 
guadagnare  come  un  tempo  sulle  spese  intime  del  pa- 
droncino, Pasqualino  qualificava  arditamente  di  por- 
cherie le  lesinerie  del  principe  :  diceva  che  per  una 
lira  colui  avrebbe  rinnegato  il  figliuolo  ;  lasciava  inten- 
dere, per  trarre  dalla  sua  il  cavaliere,  che  il  capo  della 
casa,  se  fosse  stato  un  altro,  avrebbe  dovuto  aiutare  i 
parenti  che  non  erano  ricchi  quanto  lui...  Don  Euge- 
nio, fumando  e  sputando,  con  le  gambe  magre  da  don 
Chisciotte  accavalciate,   chinava   il  capo,    dava  ragione 

al  cocchiere,  si  dava  ragione  da  sé  :  «Io  l'avevo  detto 

così  non  poteva  durare —  mio  nipote  ha  un  certo 
modo!...  » 

Al    fresco   del   vestibolo   la   conversazione   si  prolun- 
gava :   padrone   e  servo   discorrevano   intimamente,    da 


—  io8  — 

pari  a  pari,  mescolando  il  fumo  della  pipa  e  del  sigaro; 
anzi,  quantunque  Pasqualino  non  fosse  elegante  come 
un  tempo,  pure  sembrava  il  padrone,  e  don  Eugenio 
il  creato.  Il  guardaportone,  tra  scandalizzato  ed  invi- 
dioso della  confidenza  che  il  cavaliere  accordava  al 
cocchiere,  spasseggiava  dignitosamente  dinanzi  all'en- 
trata, con  le  mani  sul  dorso  del  soprabitone  gallonato. 

—  Chi  è  quel  pezzo  di  straccione  ?  —  gli  domanda- 
vano i  commessi  dell'amministrazione,  uscendo  dopo 
il  lavoro. 

—  Uno   zio  del    sig'nor   principe,  dice  ! 

E,  tutto  sommato,  fu  la  miglior  accoglienza  che 
ebbe  il  povero  don  Eugenio.  Il  domani  egli  cominciò 
il  giro  dei  parenti  che  erano  in  città  :  andò  prima  di 
tutti  dal  fratello  don  Blasco. 

Il  monaco  pareva  sul  punto  di  scoppiare  :  il  pancione 
gli  s'era  imbottito  di  lardo  e  la  testa  ingrossata  ;  il 
mento  si  confondeva  con  la  massa  gelatinosa  del  collo. 
Non  poteva  muoversi,  per  l'enormezza  della  persona, 
per  la  fiacchezza  delle  gambe  ;  e  accanto  a  lui  donna 
Lucia,  la  moglie  di  Carino,  sembrava  svelta  e  leggiera. 

—  Perchè  sei  tornato  ?  —  disse  al  fratello,  appena 
lo  vide  entrare  ed  a  modo  di  saluto.  Aveva  infatti  ri- 
cevuto la  circolare  deW Amido  Sicolo,  e  comprendendo 
da  quella  che  l'autore  doveva  aver  l'acqua  alla  gola, 
metteva  le  mani  avanti,  per  evitare  richieste  di  sus- 
sidi!. 

—  Sono  venuto  per  poco,  - —  rispose  don  Eugenio  ;  — 
prima  di  tutto  per  rivedervi,  e  poi  per  fare  associati 
all'opera  di  cui  ti  ho  mandato  il  manifesto.... 

E  cominciò  a  enumerare  gì'  insigni  sottoscrittori  : 
Sua  Altezza  il  Bey  di  Tunisi,  i  vizir  della  reggenza,  i 
più  gran  signori  palermitani;  il  principe  d'Ali,  il  mar- 
chese di   Lojacomo,    ii   duca  tale  e -il   conte  tal   altro. 

—  E?...  —  fece  il  monaco,  quasi  a  dire:  «Perchè 
vieni  a  contarmi  queste  storie  ?  »  senza  neppur  doman- 
dare al  fratello  :  «  Sei  stato  a  Tunisi  ?  Che  sei  stato  a 
farci  ?  » 


—  Ho  pure  le  firme  di  venti  Miinicipii,  di  trenta 
Società,  di  otto  Biblioteche.  L'affare  è  magnifico.  A 
conti  fatti,  dedottele  spese  di  stampa,  carta,  posta,  etc. 
con  le  'sole  soscrizioni  sinora  raccolte  il  guadagno  è 
assicurato.  Ma  debbo  ancora  girare  mezza  Sicilia  per 
fare  associati.  Se  arriveremo  a  trecento,  resteranno 
diecimila  lire   nette. 

-^  E?... 

—  Io  ti  vorrei  proporre  di  stampare  insieme  il  libro. 
II  monaco  lo  guardò  fisso  nel  bianco  degli  occhi. 
— •  Sei   pazzo  ? 

—  Perchè  ?  O  non  credi  forse  che  ci  sia  da  guada- 
gnare ?  Ti  faccio  i  conti  in  quattro  e  quattr'otto,  ti 
faccio  vedere   le   firme  raccolte.... 

—  Xon  voglio  veder  niente  !  Credo  benissimo  e  ti 
ringrazio   tanto.    Tieni   per  te  le   diecimila  lire. 

Il  cavaliere  ebbe  un  beli'  insistere,  col  tono  persua- 
sivo e  insinuante  d'  un  sensale  o  d'  uin  mezzano,  e  un 
bello  sgolarsi  per  dimostrare  a  luce  meridiana  l'eccel- 
lenza della  sua  proposta;  don  Blasco  continuava  a  ri- 
fiutare, dapprima  seccamente,  poi  alzando  la  voce,  poi 
gridando  perchè  quel  seccatore  gli  si  togliesse  dai  piedi. 

—  Allora —  se  non  vuoi  correre  i  rischi  dell'affare 

fammi  un  favore....  I  soscrittori  non  pagano  anticipata- 
mente; m'occorre  una  somma  per  cominciare  la  stam- 
pa.   Prestami  un   migliaio  di   lire 

—  Non  le  ho. 

—  Ti  cederò  le  firme  più  sicure,  le  sceglierai  tu 
stesso 

— •  Non  le  ho. 

Il  cavaliere  non  si  scoraggiava  neppure  adesso.  Ri- 
dusse la  domanda  da  mille  a  ottocento  e  poi  a  cinque- 
cento lire;  e  poiché  il  monaco  continuava  a  rispondere, 
cantilenando  dall'impazienza;  «  Non  le  ho,  non-ho-de- 
na-ri....  come  debbo  dirtelo?...  »  don  Eugenio  con- 
cluse,  pacatamente  : 

—  Allora   aspetterò  finché   sarai  comodo Non   ho 

fretta:    prima    debbo    compire    la   soscrizione....    poi    ti 


porterò  a   veder   le   schede,   le   domande,   i   manifesti 

Sperando  di  riuscir  meglio  con  la  sorella,  il  cavaliere 
andò  a  rinnovare  il  tentativo  con  donna  Ferdinanda. 
Asciutta  e  verde  come  un  ag-lio,  la  zitellona  pareva 
sfidare  il  tempo,  g-li  anni  le  passavano  addosso  senza 
mutarla  :  ne  aveva  oramai  sessantadue  e  non  ne  mo- 
straxa  piìi  di  cinquanta.  Solo  le  mani  le  si  coprivano 
di  rughe  e  si  spolpavano  e  s'irruvidivano  a  contar  de- 
nari, come  a  lavorare  il  ferro  od  a  zappar  la  terra. 
Anche  lei  aveva  ricevuto  la  circolare  deW Araldo  Si- 
colo  :  ma,  vedendo  il  fratello,  cominciò  a  chiedergli  no- 
tizie della  sua  salute,  di  Palermo,  delle  persone  che 
conosceva  in  quella  città  ;  ascoltando  con  interesse  i 
discorsi  interminabili  del  cavaliere  che,  incoraggiato 
da  quelle  buone  disposizioni,  nominava  un  mondo  di 
persone  colle  quali  era  come  «  fratello  »,  ne  narrava  i 
casi  con  tanto  interesse  come  se  fossero  occorsi  a  lui 
in  persona  :  «  la  separazione  del  duca  Proti,  tanto 
amico  mio —  quella  pazza  della  baronessa  non  mi  volle 
dar  retta —  io  al  principe  l'avevo  detto  :  Caro  Ema- 
nuele,   pensaci   bene »    Le    chiacchiere   tiravano    in 

lungo,  perchè  donna  Ferdinanda  gli  dava  la  corda,  ed 
il  cavaliere  non  ne  aveva  neppur  bisogno,  felice  di  men- 
tovare le  sue   grandi   relazioni  palermitane. 

—  E  non  sai  la  più  bella  notizia  ?  La  figlia  della 
Palmi  è  sposa  ! 

—  Sì  ?  E  con  chi  ? 

—  Col  mio  amico  Memmo  Duffredi,  Duffredi  di  Ca- 
saura,  il  nipote  di  Ciccio  Lojacomo  :  la  prima  nobiltà 
di  Palermo   e   parecchi   milioncini   di   proprietà — 

—  Ma   davvero  ? 

—  Una  gran  fortuna  per  la  ragazza  !  Quell'intri- 
gante del  barone  ha  combinato  ogni  cosa  ed  ha  preso 
Memmo  in  trappola —  Naturalmente,  come  parente, 
non  potevo  dir  questo,  altrimenti  sarei  andato  da  Ciccio 
per  avvertirlo  :  «  Tuo  figlio  può  trovare  un  partito  mi- 
gliore.... »  E  poi,  quella  ragazza  ha  un  certo  fare.... 
Basta  ;  io  non  ho  parlato,  tanto  più  che  giusto  quando 
si   combinava   la  cosa,   ero  a   Tunisi  — 


—  Ah,  .sei  stato  a  Tunisi?  E  per  far  che  cosa? 

—  Che  cosa?...  Niente!...  Per  eliporto....  —  egli 
tossicchiava  un  poco,  tuttavia,  imbarazzato,  quasi  con- 
fuso. E  poiché  donna  Ferdinanda  continuava  a  fargli 
domande,  per  sapere  se  Tunisi  era  una  bella  città, 
quanto  tempo  c'era  stato  e  \ia  discorrendo,  il  cava- 
liere, quasi  risolvendosi,  disse  finalmente — 

—  Ci  fui  anche  per  raccogliere  soscrizioni  alla  mia 
opera,   sai 

—  Opera?  —  fece  la  zitellona,  con  atto  di  mera- 
viglia.   —    Qual   opera  ? 

—  Come,   non  hai    ricevuto   il   manifesto? 
— -   Io  non   ho   ricevuto   niente — 

— •  h'Araldo   Sicolo?...    la    storia   della    nobiltà?... 

—  Tu?...   Tu  stampi  un'opera?...   Ah!  ah!  ah!... 

E  scoppiò  in  una  di  quelle  sue  rare  risate  che  punge- 
vano nel  vivo.  Don  Eugenio  che  aveva  sostenuto  im- 
perterrito tutti  i  rifiuti  del  monaco,  si  sconcertò  all'ila- 
rità della  sorella. 

—  Perché  ?  —  domandò,  tentando  di  rialzare  la 
propria  dignità  di  cui  donna  Ferdinanda  faceva  ludi- 
brio con  quelle  risa  indecenti.  —  Xon  sono  forse  buono 
a   scriverla,   come  tanti  altri?... 

—  Ah  !   ah!   ah  !... 

E  la  risata  non  finiva.  Quando  il  vecchio  spiegò  che 
libro  aveva  scritto,  essa  divenne  piij  fine,  più  ironica, 
più  tagliente.  Una  storia  della  nobiltà  dopo  il  Mugnos 
e  il  \nilabianca  ?  Per  ficcare'  dentro  gli  arricchiti  che 
si  facevano  dare  del  cavaliere  e  del  marchese  ?  La  no- 
biltà autentica  era  tutta  scritta  nei  libri  antichi  !...  E 
il  cavaliere  tentava  almeno  di  dimostrare  la  bontà  della 
speculazione  :  ma  la  zitellona  non  gli  dava  quartiere  : 
guadagnare  con  la  carta  sporca  ?  Per  chi  mai  la  carta 
sporca  ha  avuto  valore,  fuorché  pei  pizzicagnoli  ?  E  chi 
avrebbe  comprato  un  libro  di  lui  ?  Si  sarebbero  messi 
a  ridere,  come  rideva  lei  !  Le  firme  ?  Le  avevano  date 
per  levarselo  di  torno  !  Bisognava  vedere  quanti  avreb- 
bero poi  pag;ato  !... 


112   — 

• — ■  Almeno,   mi   presti  -qualche  centinaio   di   lire? 

—  No,  perchè  non  me  le   restituiresti. 
E  ogni  altra  insistenza  fu  inutile. 

Andato  a  ripetere  il  tentativo  dalla  nipHDte  Chiara, 
don, Eugenio  non  potè  neppure  vederla:  la  cameriera 
gli  disse  che  il  marchese  era  fuori  e  la  marchesa  chiusa 
in  camera  col  dolor  di  capo. 

—  Digli  che  c'è  suo  zio. 

—  Vostra  Eccellenza  scusi  ;  ma  quando  ha  il  dolor 
di  capo,  nessuno  può  parlare  alla  signora  marchesa. 

E  facendo  il  cavaliere  un  atto  d'  impazienza,  la  donna 
mormorò,   guardandosi  attorno  : 
— •  Eccellenza,  c'è  guai  ! 
— .  Che   guai  ? 

—  La  marchesa....  ma  signor  cavaliere,  per  carità, 
non  mi  faccia  perdere  il  pane  !...  Pazza  pel  marito,  è 
vero, •  Eccellenza  ?  Tutt'una  cosa;   quello  che  voleva  il 

signor  marchese  era  legge  per  lei Né  il  padrone  ne 

abusava  :  d'amore  e  d'accordo  in  tutto  e  .per  tutto — 
Adesso?  Adesso  non  c'è  più  pace,  per  quel  figlio  di — 
chi  so  io!  Un  diavolo  dell'inferno,  Eccellenza;  e  la 
padrona,  che  non  ci  vede  dagli  occhi,  dal  tanto  bene 
che  gli  vuole,  lo  lascia  fare,  lo  difende  contro  il  pa- 
drone   Litigano  tutti  i  giorni,  perchè  il  signor  mar- 
chese vorrebbe  correggerlo,  insegnargli  l'educazione, 
obbligarlo  a  studiare  ;  e  invece  la  nipote  di  Vostra 
Eccellenza  Se  la  prende  col  padrone  perchè  gli  mal- 
tratta  il   ragazzo....    Ieri   vennero   alle   grosse;    non  si 

parlano    da    ventiquattr'ore Il    signor    marchese    è 

uscito  di  casa  all'alba chi  sa  se  torna! 

E  per  quanto  insistesse,  don  Eugenio  non  potè  per- 
suadere la  cameriera  ad  affrontare  il  malumore  della 
padrona   portandole  l'ambasciata. 

Allora  egli  andò  a  battere  alla  porta  dei  Giulente. 
Arrivò  da  loro  sull 'annottare,  dopo  una  giornata  di 
corse.  Benedetto  non  c'era  e  Lucrezia  non  si  ricono- 
sceva più,  tanto  s'era  trasformata  ed  imbruttita.  Il 
corpo   era    diventato   un    sacco    di  carne,  dove   non    si 


.     —  rr3  — 

distinguevano  più  né  seno,  né  vita,  né  fianchi  ;  il  viso, 
dalla  continua  acrimonia  che  la  animava,  dall'ingua- 
ribile scontento  della  propria  condizione,  era  divenuto 
duro,  arcigno,  inaspettatamente  rassomigliante  a  quello 
del  principe.  E  il  primo  discorso  che  tenne  allo  zio, 
rivedendolo  dopo  tanti  anni,  fu  giusto  contro  Bene- 
detto. 

—  Non  c'è;  non  sta  mai  in  casa.  Adesso  che  non  è 
piij  sindaco,  s'è  fatto  nominare  presidente  del  Consiglio 
provinciale.  Per  amor  della  patria,  Vostra  Eccellenza 
mi  capisce  !...  Piia  invecchia,  e  piìi  bestia  diventa.  È  un 
pazzo  !  Ma  la  disgrazia  è  che  fa  impazzire  anche  me. 
Dopo  vent'anni,  —  ella  calcolava  il  tempo  a  modo  suo, 
—  un  altro  che  non  fosse  tanto  bestia,  avrebbe  capito 
r  inutilità  di  fare  il  servitore  a  questo  e  a  quello.  In- 
vece, pare  l'uovo  ai  fuoco:  più  sta  e  più  indurisce! 
Vuol  essere  deputato;  per  che  cosa,  domando  io?  Dopo 
che  sarà  deputato,  che  cosa  avrà  buscato?  A  fare  il 
sindaco  ha  guadagnato  questo  :  che  nessuno  lo  può 
vedere,  neppur  quelli  ai  quali  ebbe  la  stupidaggine  di 
rendere  servizio!  Bene  gli  sta!... 

Verso  la  propria  famiglia  ella  aveva  ancora  quel  mi- 
sto d'astio,  d'  invidia  e  di  premura,  secondo  che  il 
vanto  di  farne  parte,  M  dolore  d'averla  lasciata  o  il  so- 
spetto d'esserne  ripudiata  predominavano  nel  suo  cer- 
vello. Anche  ora,  parlando  del  viaggio  del  principe,  ella 
ripeteva  con  insistenza  che  il  fratello  e  la  cognata  le 
scrivevano  ogni  due  giorni,  e  riferiva  il  contenuto 
delle  loro  lettere,  annunziava  il  loro  ritorno  per  l'au- 
tunno ;   poi  cominciava  a  criticare  ed  a  malignare  : 

— ■  Hanno  fatto  bene  a  prender  essi  stessi  Teresina 
dal  collegio,  e  a  farla  viaggiare —  Mia  cognata  è  un'al- 
tra madre  per  questa  figliastra!...  Dal  tanto  amore, 
r  ha  tenuta  due  anni  più  del  bisogno  in  collegio,  per 
farne  una  letterata.  Graziella  s'  intende  molto  di  lette- 
ratura !... 

Però,  subito  dopo  soggiunse  : 

—  Vostra   Eccellenza   non  ha   visto   l'ultimo   ritratto 

Do    Roberto.    /     yiceri-    -    Il  i 


—  114  — 

di  Teresina?...  No?...  Aspetti....  vedrà  che  bellezza; 
me  l'hanno  mandato  due  mesi  addietro Di  Con- 
salvo però,  —  riprese  dopo  che  ebbe  mostrato  il  ri- 
tratto allo  zio,  —  né  nuova  né  vecchia come  se  non 

fosse  loro  figlio  anche  lui —  Senza  le  lettere  che  scrive 

alla   zia,    non  sapremmo    se   é    vivo   o   se    é    morto 

Adesso  dice  che  è  a  Parigi.  È  stato  a  Berlino,  a  Lon- 
dra, a  Menna 

Il  cavaliere  non  l'udiva,  rimuginando  il  discorso  da 
tenerle.  Appena  la  nipote  fece  una  pausa,  egli  espose 
la  speculazione  ideata,  che  riuniva  l'immancabile  riu- 
scita finanziaria  alla  nobiltà  dello  scopo.   Ma  Lucrezia  : 

— •  Storia  della  nobiltà  ?  —  replicò  —  Dov'  é  più  la 
nobiltà  ?  Che  storia  vuole  scrivere  Vostra  Eccellenza  ? 
Adesso  sono  in  favore  i  lustrascarpe,  non  i  nobili  !  Per 
esser  considerati,  bisogna  venire  dal  niente  !  Scriva 
piuttosto  la  storia  dei  villani  e  dei  mastri  notari  ;  quella 
sì,    che  c'è  da   guadagnare!... 

Imperturbabile,  don  Eugenio  ricominciò  il  giorno  se- 
guente. Dai  Radall-Uzeda  trovò  il  duca  Michele  e  il 
barone  Giovannino;  la  duchessa  era  fuori  di  casa.  Mi- 
chele, a  venticinque  anni,  perdeva  i  capelli  e  pareva 
vecchio  del  doppio  ;  Giovannino  era  invece  più  gra- 
zioso di  prima,  fine,  elegante.  Udita  la  richiesta  del 
parente,  entranrbi  risposero  che  solo  la  madre  gli 
avrebbe  potuto  dare  risposta.  Il  giorno  dopo  il  cava- 
liere tornò  a  parlare  con  la  duchessa,  e  questa  cadde 
dalle  nuvole  : 

—  Io  stampar  libri  ?  E  come  mai  vi  viene  in  testa 
una  cosa  simile  ?   So  molto  di   queste  cose,   io  ! 

E  don  Eugenio  ci  rimise  le  pedate. 

Ma  egli  non  si  perdette  d'animo.  Dai  lontani  pa- 
renti passò  agli  amici,  ai  semplici  conoscenti,  alle  per- 
sone che  incontrava  per  istrada  e  che  fermava  col  pre- 
testo di  rivederle  e  salutarle.  Cominciava  a  riferire, 
come  se  le  avesse  avute  direttamente,  le  notizie  del 
principe  e  di  Consalvo  apprese  da  Lucrezia,   s'addolo- 


-^  115  — 

rava  per  Ja  lite  tra  padre  e  figfliuolo,  annunciava  il  ri- 
torno della  princip>essina,  che  diceva  d'aver  visto  a  Fi- 
renze :  «una  bellezza  da  sbalordire!...  »  e  poi  parlava 
del  suo  sogg-iorno  di  Palermo,  descriveva  l'apparta- 
mento di  dieci  stanze  che  aveva  abitato  sul  Cassaro, 
drappeggiandosi  maestosamente  nell'  abito  lercio  e 
sdruscito  che  diceva  la  miseria,  la  fame,  le  ignobili 
promiscuità;  riferiva  ancora  il  viaggio  di  Tunisi,  l'ono- 
rificenza beilicale,  ma  senza  spiegare  a  qual  titolo  l'a- 
vesse ottenuta,  che  cosa  avesse  precisamente  fatto  alla 
corte  di  Sua  Altezza  ;  e  quando  aveva  bene  intontito  la 
gente  con  tutti  questi  discorsi,  domandava  a  brucia- 
pelo : 

—  Avete   ricevuto   il   mio   manifesto  ? 

E  riesponeva  il  concetto  dell'opera,  enumerava  le 
adesioni  ricevute  :  ogni  volta,  queste  crescevano  di  nu- 
mero :  le  firme  dei  privati  salivano  da  duecento  a  tre- 
cento, a  quattro,  a  cinquecento;  quelle  dei  Municipii 
sommavano  a  cinquanta,  a  settanta,  a  novanta  ;  le  Bi- 
blioteche si  moltiplicavano  da  un  momento  all'altro. 
Mille  sottoscrittori  erano  già  sicuri,  un  altro  migliaio 
non  potevano  mancare.  E  offriva  la  compartecipazione, 
si  restringeva  all'anticipo,  da  ultimo  dichiarava  di  con- 
tentarsi di  dodici  firme,  di  sei,  anche  di  una.  Per  le- 
varselo di  torno,  la  gente  prometteva  ambiguamente  ; 
ma  egli  prendeva  nota  dei  nomi  in  un  suo  portafogli 
unto  e  squarciato,  unicamente  imbottito  di  circolari  e 
di  schede,  delle  quali  faceva  nuove  distribuzioni,  fic- 
candole in  tasca  a  chi  rifiutava  col  gesto,  raccoman- 
dando di  diffonderle,  di  riempirle  al  più  presto Dopo 

una  giornata  di  lavoro,  nel  momento  che  stava  per 
rientrare  all'albergo,  incontrò  Benedetto  che  ne  usciva. 

—  Eccellenza!...  Come  sta?...  Ero  venuto  a  tro- 
varla; mi  dispiacque  tanto,  ieri,  di  non  essere  in  casa 

Un  poco  imbarazzato,  don  Eugenio  lo  invitò  a  salir 
su  in  camera.  Una  camera  col  pavimento  affossato, 
due  strisce  di  tela  bianca  a  guisa  di  tendine  dinanzi 
alla  finestra,  una  catinella  sopra  una  seggiola  e  una 
brocca  per  terra. 


^  tx6  -^ 

—  Ho  dovuto  venir  qui  perchè  al  Grand  Hotel  era 
lutto  pieno.  Come  si  sta  male  in  questa  città  !  A  Pa- 
lermo avevo  un  appartamento  di  dodici  stanze...  biso- 
g-nava  vedere  che  scala!... 

E  nonostante  il  rifiuto  oppostogli  da  Lucrezia,  eg'li 
cavò  di  tasca  le  circolari  ed  entrò  subito  in  materia. 

—  Tua  moglie  non  t'ha   detto?...   Sono  venuto  per 

stampare   la    mia   opera Per    ventimila    lire    non    la 

cederei  a  nessuno Ma  non  ho  quattrini  da  comin- 
ciare la  stampa.  Vogliamo  farla  insieme  ?  Spartiremo 
i  guadagni,  da  buoni  parenti  ed  amici. 

Giulente   esitò  un   poco,    poi   domandò  : 

—  Che   ha   detto   Lucrezia  ? 

—  Tua  moglie?  Ha  detto  di  sì,  solo  che  tu  ti  per- 
suada della  convenienza  della  cosa Guarda  un  po' — 

—  E  non  capendo  nei  panni  dalla  gioia  d'aver  trovato 
finalmente  uno  che  non  rifiutava,  gli  sciorinò  dinanzi 
alcune,  schede  con  qualche  firma. 

—  Va   bene,    va   bene,    giacché    Lucrezia  approva — 

—  Se  anche  mutasse  parere',  in  fin  dei  conti,  po- 
tremmo fare  a  meno  del  suo  consenso!... 

Benedetto  esitò  un  poco,   poi   disse  : 

—  Nossignore,  è  necessario....  perchè  adesso  i  de- 
nari li  tiene  lei 

—  Come  !  I  denari  ?  Tu  non  puoi  disporre  di  qualche 
migliaio    di    lire  ? 

—  Eccellenza  no....  Gli  affari  pubblici  mi  portavano 
via  molto  tempo Ho  ceduto  a  lei  l'amministra- 
zione  


IL 


Il  ritorno  del  principe,  con  lo  zio  duca,  la  moglie  e 
la  figlia,  al  principio  dell'  inverno,  diede  nuovo  alimento 
alla  pubblica  curiosità.  Aspettavano  tutti  di  vedere  in 
viso  questa  famosa  principessina  della  cui  bellezza  si 
parlava  tanto;  ma  quantunque  l'esagerazione  delle  lodi 


—  117  — 

anticipate  avesse  disposto  la  g-ente  alla  diffidenza,  pure 
la  realtà  lasciò  molto  indietro  ogni  imaginazione.  La 
bellezza  bianca  e  bionda,  fine,  delicata,  quasi  vaporosa 
della  fanciulla  non  aveva  riscontri  nella  famiglia  dei 
Viceré.  La  vecchia  razza  spagnuola  mescolatasi  nel 
corso  dei  secoli  con  gli  elementi  isolani,  mezzo  greci, 
mezzo  saracini,  era  venuta  a  poco  a  poco  perdendo  di 
purezza  e  di  nobiltà  corporea  :  chi  avrebbe  potuto  di- 
stinguere, per  esempio,  don  Blasco  da  un  fratacchione 
uscito  da  lavoratori  della  gleba,  o  donna  Ferdinanda 
da  una  vecchia  tessitrice  ?  Ma  come,  nella  generazione 
precedente,  s'era  vista  l'eccezione  del  conte  Raimondo, 
cosi  adesso  anche  Teresa  pareva  fosse  venuta  fuori  da 
una  vecchia  cellula  intatta  del  puro  sangue  castigliano. 
Alta,  magra  di  spalle,  con  una  vita  che  le  sue  due 
mani  quasi  arrivavano  ad  accerchiare  e  che  rendeva 
più  vistosa  la  curva  dei  fianchi.  Teresa  possedeva  una 
istintiva  eleganza,  una  nobile  grazia  di  portamento, 
ancora  non  del  tutto  liberata  dall'  impaccio  della  col- 
legiale, fino  a  qualche  mese  addietro  costretta  nella 
goffa  uniforme.  Nei  primi  g-iorni,  quando  cominciò 
ad  uscire  in  carrozza,  accanto  alla  madrigna,  la  gente 
si  fermava  sui  marciapiedi,  l'aspettava  al  varco,  di- 
nanzi al  portone  del  palazzo,  per  figgerle  gli  occhi  ad- 
dosso, a  bocca  aperta  :  ella  pareva  non  accorgersi  di 
quella  curiosità  indiscreta,  non  guardare  anzi  nessuno. 
In  casa,  naturalmente,  erano  venute  a  trovarla  prima 
di  tutte  le  zie,  e  Lucrezia  s'era  quasi  attaccata  alle 
gonne  della  nipote,  l'accompagnava  per  ogni  dove,  le 
dava  consigli,  non  parendole  vero  di  poter  esercitare 
su  qualcuno  la  sua  smania  d'autorità.  La  principessa  la 
lasciava  fare  ;  ma  a  Chiara  non  restituì  neppure  la 
visita,  per  via  del  bastardello.  Una  ragazza  come  Te- 
resa, appena  uscita  di  collegio,  poteva  andare  in  una 
casa  dove  c'erano  di  quei  pasticci  ?  Ella  diceva  a  tutti, 
cameriere,  parenti  e  conoscenze,  con  grandi  gesti  e  tor- 
cimenti di  sguardo  :  «  Posso  permettere  che  mia  figlia 
sappia  di  queste  cose,  eh  ?  Tanto  peggio  se  Chiara  se 


~  ii8  — 

ne  adunla  );.  K  Chiara  se  ne  adontò  in  malo  modo. 
Aveva  rotto  con  tutti  i  parenti,  oramai,  per  amore  del 
fig"lio  della  cameriera,  il  quale,  guastato  dai  tanti  vizH, 
la  comandava  a -bacchetta,  le  dava  del  tu,  all'occor- 
renza le  alzava  le  mani  addosso.  Ma  ella  lo  lasciava 
fare,  e  se  il  marchese  diceva  mezza  parola,  grida,  mi- 
nacce, un  inferno.  Uditi  gli  scrupoli  della  cognata- 
cugina,  si  nettò  la  bocca  contro  di  lei,  tanto  più  che, 
per  ordine  di  Giacomo,  donna  Graziella  condusse  Te- 
resa a  baciar  la  mano  allo  zio  don  Blasco.  Dal  mo- 
naco si,  che  teneva  la  Sigaraia  e  le  tre  figlie  in  casa, 
e  da  lei  no  ?  «  Sicuro,  perchè  dal  monaco  aspettano 
l'eredità » 

Don  Blasco,  adesso,  era  un  signore  :  oltre  la  casa  e 
i  due  poderi,  aveva  messo  di  bei  quattrini  da  canto;  il 
principe  gli  faceva  la  corte  per  questo.  11  Cassinese  se 
la  lasciava  fare  da  lui  come  da  Lucrezia  e  da  Chiara  ; 
non  andava  piij  in  casa  di  nessuno,  non  potendo  più 
salire  scale;  ma  dettava  legge  ai  nipoti,  se  ne  serviva 
in  tutti  i  modi,  e  se  qualcuno  di  costoro  lo  faceva  an- 
dare in  collera,  egli  cavava  fuori,  come  donna  Ferdi- 
nanda, un  suo  foglio  di  carta  e  lo  stracciava  in  mille 
pezzi  :  «  Neanche  un  soldo  da  me  !...  »  La  visita  della 
nipote  Teresa  gli  fece  piacere  ;  le  figliuole  non  si  la- 
sciarono vedere,  e  la  principessa  spiegò  alla  ragazza  che 
donna  Lucia  era  «  governante  »  dello  zio. 

Del  resto,  queste  precauzioni  erano  inutili  per  Te- 
resa. Ella  non  aveva  curiosità  sconvenienti,  e  quando 
comprendeva  che  le  più  grandi  avevano  da  dirsi  qual- 
cosa, s'allontanava,  andava  ad  ordinare  la  sua  came- 
retta o  a  badare  alle  sue  cosucce.  Non  era  soltanto 
bella  da  far  strabiliare,  ma  piena  d'ingegno,  istruita 
da  dar  punti  a  tanti  uomini.  Disegnava  e  dipingeva, 
parla\a  il  francese  e  1'  inglese  come  la  sua  propria  lin- 
gua, sapeva  far  versi  e  comporre  musica;  e  modesta, 
con  questo,  semplice,  buona,  affettuosa  da  non  si  dire. 
Rientrando  nella  casa  dove,  bambina,  aveva  lasciata 
];i  sua  mamma,  e  adesso  non  la  trovava  più,  avevano 


—  119  — 

dovuto  sorreg^gerla  e  i  suoi  occhi  eran  parsi  due  vive 
fonti,  dal  tanto  pianto;  ma  il  culto  per  la  santa  me- 
moria non  le  impediva  di  rispettare  e  di  amare  il  padre 
e  la  madrigna.  E  timorata  di  Dio,  sempre  con  qualche 
libro  di  preghiere  tra  le  mani,  quando  non  lavorava 
ai  suoi  ricami,  ai  suoi  disegni,  alla  sua  musica  :  certi 
libri  dorati,  ricoperti  di  velluto  o  di  pelle  odorosa  : 
mesi  di  Maria,  coroncine  della  Beata  \^ergine,  vite  di 
Santi,  pieni  ad  ogni  pagina  d'  imagini  divine,  tutti 
premii  riportati  quand'era  all'Annunziata.  Ma  questi 
sentimenti  pii,  questo  timor  di  Dio  non  le  impedivano 
di  amare,  come  conveniva  ad  una  fanciulla  della  sua 
età,  gli  svaghi  mondani,  le  eleganze  della  moda. 
Quando  aveva  da  vestirsi  per  far  visite  o  per  rice- 
verne, o  per  andare  al  passeggio  o  al  teatro,  ella  s' in- 
dugiava, come  le  altre,  dinanzi  allo  specchio  ;  e  aveva 
un  certo  modo  tutto  suo  di  portare  gli  abitini  più  sem- 
plici che  la  faceva  parer  vestita  come  per  andare  a  un 
ballo.  Quando  passavano  dalla  modista  o  dalla  sarta, 
se  dovevano  sceglier  stoffe  o  guarnizioni  o  minuti  og- 
getti d'ornamento,  ella  dava  prova  di  gran  gusto,  sce- 
gliendo le  cose  più  belle  e  più  eleganti,  persuadendo 
con  buone  maniere  la  zia  Lucrezia,  la  quale,  dacché 
teneva  le  chiavi  della  cassa,  si  faceva  un  abito  ogni 
quindici  giorni  preferendo  ogni  volta  quel  che  c'era 
di  più  disgraziato,  ed  imbronciandosi  se  non  lodavano 
la  sua  scelta.  Invece  la  principessa  lasciava  che  la  fi- 
gliastra facesse  a  modo  suo  e  scegliesse  quel  che  le 
piaceva;  anzi,  si  rimetteva  a  lei  per  le  cose  sue  proprie. 
«  Che  gusto,  quello  della  mia  figliuola  !...  Che  figliuola 
modello  !...  »  La  lodava  specialmente  per  la  dolcezza 
del  carattere  e  la  bontà  del  cuore;  la  baciava  e  l'ab- 
bracciava dinanzi  a  tutti,  anche  in  conversazione;  ve- 
gliava su  lei  come  una  vera  mamma. 

Era  gelosa  e  scrupolosissima  ;  non  permetteva  che 
oltre  i  libri  di  religione  la  figliastra  leggesse  cose  ca- 
paci di  guastarle  la  testa;  né  che,  dinanzi  alla  giovane, 
tenessero   certi    discorsi,    per   paura   che   le    stesse  pa- 


iole  le  contaminassero  il  pensiero.  Stava  perciò  sulle 
spine  quando  la  cognata  Lucrezia  narrava  certe  storie 
di  concubinagg-i,  di  separazioni  coniugali,  di  nascite 
illegittime.  Cominciava  allora  a  tossire  per  dar  sulla 
voce  a  quella  stravagante  malaccorta  ;  e  se  la  tosse 
non  bastava,  mutava  discorso  bruscamente,  con  un 
certo  modo  tutto  suo,  fatto  apposta  per  richiamare 
l'attenzione  sulle  cose  dalle  quali  voleva  invece  stor- 
narla. Ma  Lucrezia  non  si  accorgeva  di  nulla,  e  non 
commetteva  anzi  la  sconvenienza  di  dire  spesso  alla 
nipotina,  a  proposito  ed  a  sproposito,  ma  più  spesso 
quando  si  lagnava  di  Benedetto  :  «  Bada  a  chi  piglierai 
per  marito?...»  oppure:  «Apri  gli  occhi,  quanto  sa- 
rai maritata?...  »  La  principessa  diventava  di  mille 
colori,  alzava  gli  occhi  al  soffitto,  facendo  sforzi  straor- 
dinarii  per  contenersi,  per  non  dire  il  fatto  suo  a  quella 
matta  a  cui  il  Signore  aveva  fatto  bene  di  non  dar 
figlie,  se  intendeva  così  l' educazione  delle  ragazze. 
<c  Cognata  !...  Lucrezia  !...  »  ma  nulla  serviva,  tanto 
che  una  volta  la  principessa  mise  carte  in  tavola  : 

— i  Scusa,  cugina;  ma  questi  discorsi  mi  sembrano 
fuor  di  luogo.  Teresa  si  mariterà  quando  sarà  tempo, 
e  ci  penserà  suo  padre,  non  dubitare  :  a  me  non  piace 
la  moda  d'oggi,  di  parlar  di  queste  cose  alle  signorine.... 

Teresa,  con  gli  occhi  bassi  e  le  mani  in  grembo, 
pareva  non  ascoltare  ;  Lucrezi,a  ammutolì  e  andò  via 
dopo  un  poco,  senza  salutar  nessuno.  Ma  un  altro  par- 
lava spesso  di  cose  scabrose  e  la  principessa  doveva 
tenerlo  in  riga  :  il  cavaliere  don  Eugenio.  Appena  sa- 
puto l'arrivo  del  fratello  e  del  nipote,  era  corso  da 
loro  per  ricorninciare  il  discorso  deWAraldo  Sicolo.  11 
duca,  senza  le  grida  di  don  Blasco  e  le  commedie  di 
donna  Ferdinanda,  gli  aveva  risposto  chiaro  :  «  Coi 
libri,  caro  mio,  nessuno  ha  mai  fatto  quattrini  ;  tu  ne 
farai  meno  degli  altri  perchè  non  hai  saputo  far  nulla 
mai.  Se  vuoi  stampar  l'opera,  nessuno  te  lo  impedisce; 
ma  io  non  ho  denari  da  buttar  via  in  queste  imprese.  » 
Don    Eugenio    accettava    a   capo   chino    il    predicozzo, 


121 


come  riconusceudo  di  meritarlo,  ossequente  ed  umile 
dinanzi  a  quell'imbroglione  che  sputava  sentenze,  e 
come  s'era  arricchito  ?  a  spese  delle  casse  pubbliche, 
manipolando  gli  appalti,  facendo  ogni  sorta  d'im- 
brogli !...  «Almeno,»  don  Eugenio  insisteva,  «farai 
comprare  il  libro  alle  biblioteche  dello  Stato?  A  te  non 
costa  nulla,  sei  tanto  influente!...  Basterà  che  tu  dica 
una  parola....  »  Il  deputato  ascoltava  la  lode  a  occhi 
socchiusi,  beatamente.  Infatti  i  bei  giorni  erano  tor- 
nati per  lui;  dopo  l'atteggiamento  preso  nella  qui- 
stione  romàna  aveva  rimesso  il  tallo  ;  l'elezione  del  no- 
vembre Settanta  era  stata  un  altro  trionfo.  Si,  gli  sa- 
rebbe bastato  dire  una  parola  per  aiutare  il  fratello  ; 
tuttavia,  alle  insistenze  di  costui,  rispondeva  che  avreb- 
be visto,  che  ci  avrebbe  pensato,  preso  da  uno  scru- 
polo :  «  Che  cosa  si  potrà  dire  ?  Che  mi  giovo  del  mio 
credito  per  procurar  favori  alla  mia  famiglia?...  » 

Don  Eugenio  allora  s'era  rivolto  al  principe.  Questi 
aveva  negato  sulle  prime,  come  meglio  aveva  potuto, 
ma  in  fin  dei  conti  gli  riusciva  difficile  insistere  in  un 
rifiuto  crudo  crudo,  poiché  egli  non  avea  tanta  confi- 
denza con  lo  zio  da  mandarlo  a  spasso,  e  nemmeno 
poteva  addurre  ragionevolmente  la  mancanza  di  quat- 
trini ;  perciò  s'era  lasciata  strappar  la  promessa  d'una 
anticipazione  d'un  par  di  migliaia  di  lire,  aspettando  a 
sborsarle  che  la  sottoscrizione  fosse  a  buon  punto. 
Frattanto  don  Eugenio,  allettato  dalla  promessa,  ve- 
niva al  palazzo  quasi  ogni  sera,  con  grande  mortifica- 
zione della  principessa  che  non  poteva  soffrire  la  vista 
della  famelica  faccia  e  dei  miserabili  indumenti  del  ca- 
valiere e  stava  poi  sui  carboni  ardenti,  come  un'anima 
del  Purgatorio,  quando  egli  cominciava  a  raccontare 
tutti  i  fatti  della  società  palermitana  :  «  vSasà  marita 
le  sue  fighe....  La  moglie  di  Cocò  ne  ha  fatta  un'altra 
delle  sue....  Il  figlio  di  Nenè  è  scappato  con  una  balle- 
rina.... »  Cocò  era  il  principe  di  Ali,  Sasà  il  duca  di 
Realcastro,  Nenè  il  barone  Mortara  ;  e  nessuno  nomi- 
nava qualche  persona  di   Palermo  senz,a  che  egli  assi- 


curasse  d'essere  con  questa  persona  «  come  fratello —  » 
Tutte  le  volte  che  descriveva  il  suo  appartamento  il 
numero  delle  stanze  cresceva  :  adesso  era  arrivato  a 
quindici,  e  non  potendolo  più  ragionevolmente  aumen- 
tare, aggiungeva:  «oltre  la  stalla  e  la  rimessa —  »  Il 
principe  lo  lasciava  dire,  ma  gli  faceva  pagare  l'atten- 
zione prestatagli  e  la  promessa  dei  quattrini,  giovan- 
dosi di  lui  come  di  un  servo,  mandandolo  di  qua  e  di  là 
a  portar  lettere  od  ambasciate,  che  gli  affidava  dan- 
dogli tuttavia,  per  un  certo  rispetto  umano,  delVEccel- 
ìenza.  Neppure  lo  metteva  a  giorno  dei  proprii  affari, 
né  gli  faceva  confidenze  di  sorta  ;  curioso,  il  cavaliere 
voleva  sapere  a  chi  pensavano  di  dare  in  moglie  Teresa, 
che  cosa  faceva  Consalvo,  quando  sarebbe  tornato  ; 
ma  non  riusciva  ad  appurar  nulla,  specialmente  circa 
il  principino,  il  quale  non  scriveva  se  non  a  donna 
Ferdinanda.  Le  notizie  del  giovane,  al  palazzo,  veni- 
vano per  mezzo  di  Baldassarre,  il  quale  ogni  due 
giorni  scriveva  al  signor  principe  per  riferirgli  minu- 
tamente la  vita  del  padroncino.  Quelle  lettere  facevano 
fare  schiette  risate  a  Teresina,  scritte  com'erano  in  una 
lingua  fantastica,  di  particolare  composizione  del  mae- 
stro di  casa.  «  So  Eccellenza  sta  bene  e  s'addiverte.... 
Oggi  abbiamo  stato  al  Bua  di  Bologna,  che  ci  era 
grande  passeggio  di  carrozze  e  cavalli  e  signori  e  si- 
gnore   accavallo »    Il    maestro    di    casa   annunziava 

Ogni  giorno  il  programma  del  successivo  :  «  Domani 
andiamo  all'  Ussaburgo domani  partiamo  per  Fon- 
tana Bu,  vedere  il  palazzo  reale....  »  ma  donna  Ferdi- 
nanda aspettava  la  narrazione  d'una  visita  ben  altri- 
menti importante:  quella  a  Sua  Maestà  Francesco  II. 
Prima  che  Consalvo  partisse,  ella  gli  aveva  fatto  un 
obbligo,  quando  sarebbe  passato  da  Parigi,  di  «  ba- 
ciare la  mano  al  Re  »,  e  appena  saputo  il  nipote  nella 
metropoli  francese,  gli  aveva  rammentato  di  mantener 
subito  la  promessa.  Padre  Gerbini,  che  a  Parigi  era 
(appellano  della  Maddalena  e  andava  in  casa  di  tutta 
la  nobiltà  legittimista,  ed  era  ammesso,  insieme  con  gli 


123    — 

intimi,  presso  l'ex-Re,  aveva  chiesto  l'udienza  pel  g^io- 
vanotto  siciliano,  facendo  opportunamente  valere  la  fede 
serbata  dalla  più  gran  parte  degli  Uzeda  alla  causa 
borbonica.  In  una  lunga  lettera,  della  quale  donna  Fer- 
dinanda diede  lettura  in  mezzo  al  circolo  dei  parenti, 
Consalvo  riferiva  1'  accoglienza  affettuosa  dell'  antico 
sovrano,  la  premura  con  la  quale  s'era  informato  di 
tutta  la  famiglia  e  il  dono  che  g'ii  aveva  fatto,  prima 
di  congedarlo,  dopo  un  lungo  colloquio  :  il  proprio  ri- 
tratto con  dedica  autografa.  «  Sua  Maestà  la  Regina  » 
era  sofferente,  e  perciò  non  aveva  potuto  riceverlo  anche 
lei  ;  ma  il  «  Re  »  gli  aveva  detto  che  voleva  rivederlo 
prima  della  sua  partenza  !...  Venne  anche  la  lettera  di 
Baldassarre  che  riferiva  la  visita  «a  So  Maistà  Francisco 
secundo,  inseme  con  So  Paternità  don  Placito  Gerbini. 
So  Maistà  abbia  parlato  a  So  Eccellenza  della  Siggilia 
e  dei  signori  sigiliani  che  abbia  conosciuto  in  Napoli 
e  in  Pariggi.  So  Eccellenza  ci  ha  baciato  le  mani,  e  So 
Maistà  gli  arregalato  il  suo  ritratto,  dicendoci  che  ci 
deve  tornare  un'  altra  volta,  per  appresentarlo  a  So 
Maistà  la  Regina.  »  Infatti  prima  che  padrone  e  servo 
partissero  da  Parigi,  tutt'c  due  annunziarono  la  seconda 
udienza,  ma  questa  volta  la  lettera  del  maestro  di  casa 
al  padrone  conteneva  un  particolare  del  quale  non  era 
parola  in  quella  di  Consalvo  alla  zia.  «  So  Maistà  abbia 
fatto  una  grande  festa  a  So  Eccellenza,  e  quando  ci 
abbia  stretto  la  mano  ci  ha  addomandato  chi  sa  quando 
ci  arrivedremo  ;  e  So  Eccellenza  mi  ha  contato  So  Pa- 
ternità che  ci  abbia  risposto  :  «  Maistà,  ci  arrivedremo 
in  Xapoli,  nel  palazzo  reale  di  Vostra  Maistà  !...  » 

Da  Parigi,  il  giovanotto  tornò  finalmente  in  Italia, 
e  fermatosi  un  poco  a  Torino  e  a  Milano  passò  a  Roma, 
che  era  l'ultima  tappa  del  suo  viaggio.  Lì  si  fermò  un 
pezzo  ;  ma  dopo  aver  scritto  un  paio  di  lettere  alla  zia, 
non  si  fece  più  vivo.  Donna  Ferdinanda  gli  aveva  anche 
raccomandato  di  «  baciare  il  piede  al  Papa  »  e  Baldas- 
sarre infatti,  da  principio,  annunziava  che  «  Monsignori 


—    124    — 

don  Lotovico  »  doveva  condurre  in  \'aticano  il  nipote, 
ma  poi  non  disse  se  la  visita  era  stata  fatta;  anzi  un 
giorno,  inaspettatamente,  annunziò  per  telegrafo  l'immi- 
nente ritorno.  Aspettato  alla  stazione  da  donna  Ferdi- 
nanda e*  da  Teresa  —  perchè  il  principe  era  rimasto 
ed  aveva  ordinato  alla  moglie  di  rimanere  al  palazzo,  — 
Consalvo  fece  una  specie  d'ingresso  trionfale,  tra  le 
persone  di  servizio  e  gì'  impiegati  dell'amministrazione 
schierati  su  due  file,  che  ammiravano  la  bellissima  ciera 
del  signorino,  e  gli  davano  il  bentornato  e  si  facevano 
in  quattro  per  aiutare  Baldassarre  a  scaricare  la  gran 
quantità  di  bauli,  valige,  portamantelli  e  cappelliere  di 
cui  era  piena  la  carrozza  e  un  carrozzino  da  nolo.  Il 
principe,  con  aria  tra  dignitosa  ed  affabile,  si  fece  tro- 
vare nella  Sala  Rossa  e  gli  dette  la  mano  a  baciare  ; 
altrettanto  fece  la  principessa,  ma  con  maggiori  dimo- 
strazioni d'affettuosa  premura:  «Ti  sei  divertito?... 
Avesti  buon  tempo  di  mare  ?...  C'è  tutta  la  tua  roba  ?... 
Le  tue  camere  sono  già  pronte  !...  » 

La  stanchezza  del  viaggio,  lo  stordimento  dell'arrivo 
spiegavano  naturalmente  la  poca  loquacità  di  Consalvo 
in  quelle  prime  ore  ;  infatti  la  sera,  dopo  aver  mandato 
in  camera  del  padre,  della  sorella  e  della  madrigna  una 
quantità  di  regali,  egli  cicalò  moltissimo,  riferì  una 
quantità  d'impressioni,  narrò  certi  aneddoti  comici  su 
Baldassarre  che,  all'estero,  sconoscendo  le  lingue,  s'era 
spesso  smarrito,  aveva  attaccato  lite  con  gente  alla  quale 
diceva  male  parole  siciliane  ;  e  una  volta,  anzi,  a  Vienna, 
aveva  corso  rischio  di  dormire  al  posto  di  guardia.  Il 
giorno  dopo  continuò  il  discorso  del  viaggio,  special- 
mente di  Parigi  ;  ma  a  poco  a  poco,  e  secondo  che 
quell'argomento  si  esauriva,  il  giovanotto  non  prendeva 
più  parte  alla  conversazione.  Se  la  principessa  narrava 
qualche  cosa,  o  se  il  principe  discorreva  degli  affari  di 
casa,  si  contentava  di  stare  a  sentire  e  rispondeva 
qualche  Eccellenza  sì  o  qualche  Eccellenza  no  di  tanto 
in  tanto.  A  tavola,  col  muso  sul  piatto,  non  guardava 
.nessuno  e  spesso  non  pronunziava  due  parole  una  dopo 


—  ^25  - 

l'altra.  Il  principe  cominciava  a  soffiare  e  ammutoliva 
anche  lui,  facendo  però  certi  versacci  che  non  annun- 
ziavano niente  di  buono  ;  la  principessa  alzava  gli  occhi 
al  soffitto  dalla  costernazione,  e  Teresa,  angustiata  da 
quella  freddezza,  perdeva  sin  l'appetito.  Levandosi  di 
tavola,  quando  il  figlio  andava  via  : 

—  Cominciamo  da  capo  !  —  sfogavasi  il  principe.  — 
State  a  vedere  che  cominciamo  da  capo  !  Che  gli  hanno 
fatto,  a  cotesta  bestia?  S'è  divertito  più  d'un  anno  a 
viaggiare,  non  gli  è  mancato  niente,  e  mi  ringrazia  così, 
tenendomi  il  broncio,  av^'elenandomi  tutti  i  giorni  il 
desinare  !... 

Né  era  da  dire  che  quella  bestia  stesse  muto  per  poca 
voglia  di  parlare;  giacché,  in  presenza  di  estranei,  non 
la  finiva  più  di  narrare  le  sue  avventure  di  viaggio,  le 
grandi  cose  che  aveva  viste,  le  novità  di  cui  in  Sicilia 
non  v'era  neppur  sentore.  Con  Benedetto  Giulente,  spe- 
cialmente, e  con  la  gente  più  o  meno  mescolata  nelle 
cose  pubbliche,  teneva  certi  discorsi  stupefacenti  in 
bocca  sua,  sull'ordinamento  delle  guardie  di  città,  sulla 
manutenzione  dei  giardini,  intorno  ai  sistemi  d'inaffia- 
mento  delle  vie  o  d'illuminazione  dei  teatri.  Perchè 
diamine  s'occupava  di  quelle  cose?  Per  far  sapere  che 
era  stato  fuori  via?...  Ma  nossignore;  non  solo  teneva 
discorsi  diversi  dagli  usati,  mutava  anche  sistema  di 
vita.  Riveduti  appena  gli  antichi  compagni  di  ,ba- 
gordo,  non  li  aveva  più  cercati,  anzi  li  evitava  ;  la  pas- 
sione dei  cavalli  pareva  gli  fosse  interamente  passata  ; 
non  scendeva  più  nelle  stalle,  non  teneva  conversazione 
coi  cocchieri.  Non  più  donne,  non  più  giuoco  ;  passava 
il  suo  tempo  chiuso  nella  propria  stanza,  dove  non  si 
sapeva  che  diamine  ordisse.  Quando  andava  fuori, 
faceva  frequenti  visite  allo  zio  duca,  col  quale  parlava 
di  cose  serie,  o  si  vedeva  in  compagnia  di  gente  che 
prima  soleva  evitare  come  la  peste  :  parrucconi,  poli- 
ticanti del  Gabinetto  di  lettura,  sorci  di  farmacie,  per- 
sone occupanti  pubbliche  cariche,  tutto  il  codazzo  del 
deputato.  La  posta  gli  portava  ogni  giorno  una  quantità 


—    126    

di  giornali  italiani  e  francesi,  e  il  libraio,  ogni  settimana, 
gli  mandava  grossi  pacchi  di  libri  che  egli  stesso  anda\'a 
a  scegliere  e  ad  ordinare. 

—  Qual  altra  pazzia  adesso  gli  salta  in  capo  ?  — 
diceva  il  principe,  con  tono  sempre  più  acre,  alla 
moglie  ;    ma    questa  : 

—  Di  che  ti  lagni  ?  —  rispondeva,  conciliante.  — 
Non  si  riconosce  più  ;  pare  davvero  un  altro  :  benedetto 
questo  viaggio,  se  lo  ha  fatto  cambiare  di  nero  in 
bianco  ! 

Certi  giorni.  Consalvo  non  veniva  a  tavola;  al  came- 
riere che  andava  a  chiamarlo,  rispondeva,  dietro  l'uscio, 
che  aveva  da  fare  ;  e  allora  il  principe  buttava  via  il 
tovagliolo,  stringeva  i  denti,  quasi  scoppiava  dinanzi  ai 
lavapia-tti  che  assistevano  al  pranzo.  Teresa,  a  un  segno 
della  principessa,  andava  a  cercare  il  fratello  e  insisteva 
tanto,  con  voce  dolce,  con  persuasioni  amorevoli,  finché 
egli  apriva. 

—  Perchè   non   vieni?    Sai   che    al   babbo   dispiace — 

—  Perchè  ho  da  fare,  sto  scrivendo,  non  posso  per- 
dere il   filo 

— ■  Lascia  di  scrivere,  contentalo,  fratellino  !...  Hai 
tanto  tempo  per  studiare  !  Altrimenti,  potrebbe  parere 
che  tu  lo  faccia  apposta,  che  tu  l'abbia  con  lui....  o  con 
la  mamma — 

—  Io  non  l'ho  con  nessuno.  Vedi  che  sto  scrivendo  ?... 
— •  infatti  la  scrivania  era  piena  di  carte  e  di  libri  aperti. 

E  quando  finalmente  veniva  a  tavola,  il  principe 
gonfiava,  gonfiava,  gonfiava,  vedendo  il  figliuolo  taci- 
turno e  ponzante  come  un  nuovo  Archimede. 

—  Mangerò  solo,  se  debbo  vedere  quella  faccia  da 
funerale  !  Tutto  il  giorno  quella  faccia  ingrugnita  !  È  una 
iettatura  !  Il  cibo  non  mi  fa  buon  sangue  !  Piglierò  una 
malattia 

Allora  Teresa,  come  la  sola  capace  d'esercitare  un'  in- 
fluenza sull'animo  del  fratello,  tornava  da  lui,  gli  pren- 
deva le  mani,  lo  scongiurava  d'esser  buono,  gli  parlava 
dei   suoi    doveri   di   figlio;   e   Consalvo  la   lasciava  dire. 


—    127  — 

muto  ed  immobile.  Ma  una  volta  che  ella,  fra  gli  altri 
argomenti,  addusse  quello  della  gratitudine  che  dove- 
vano al  padre  e  alla  madrigna,  egli  rispose,  con  ironia 
fredda  e  tagliente  : 

—  Molta,  in  verità —  Mio  padre  m'  ha  voluto  sempre 
bene,  fin  da  quando  mi  tenne  dieci  anni  chiuso  al  No- 
viziato, come  ha  tenuto  in  collegio  sei  anni  te  !  Gli 
dobbiamo  essere  molto  grati  entrambi,  perchè  non  lasciò 
passare  sei  mesi  dalla  morte  di  nostra  madre,  che  mise 
un'altra  al  posto  di  lei —  Anche  lei,  dal  paradiso,  deve 
essergli  grata  pel  rispetto,  per  l'amore,  per  le  cure  di 
cui  la  circondò — 

—  Taci  !    Taci  !...    —  esclamò   Teresa. 

—  Ho  da  tacere?...  Lo  sai  dunque,  quel  che  fecero 
soffrire  a  quella  poveretta?...  Ma  tu  eri  a  Firenze,  tu 
non  puoi  saper  niente — 

—  Taci,   Consalvo  ! 

—  Allora,  che  vuoi  ?  Dimmi  tu  che  debbo  fare  per 
contentarlo!  Quando  stavo  tutto  il  giorno  fuori  casa,  a 
divertirmi  a  modo  mio,  spendendo  quattrini  :  nossignore, 
bisognava  cambiar  vita  !  Adesso  che  sto  sempre  dentro, 
a  studiare,  continua  a  rompermi  la  testa  ? 

Consalvo  studiava  economia  politica,  diritto  costitu- 
zionale, scienza  dell'amministrazione.  La  gente  che  non 
sapeva  di  che  cosa  s'occupasse,  ma  che  vedeva  il  radi- 
cale mutamento  operatosi  in  lui,  lo  attribuiva  al  lungo 
viaggio,  al  senno  che  tutti  i  giovani,  o  presto  o  tardi, 
hanno  pure  da  mettere.  E  il  viaggio,  infatti,  era  stato 
l'origine  della  conversione  del  principino,  la  sua  grande 
lezione. 

La  lotta  col  padre  lo  aveva  disgustato  della  sua  casa 
ed  anche  del  suo  paese,  dove  la  mancanza  di  quattrini 
e  la  pesante  autorità  paterna  non  gli  consentivano  di 
fare  tutto  ciò  che  voleva;  pertanto  egli  aveva  accettato 
con  gioia  di  andar  via,  di  girare  un  poco  il  mondo;  ma 
la  prima  impressione  da  lui  provata,  appena  fuori  di 
Sicilia,  fu  quella  che  proverebbe  un  vero  Re  in  cammino 


—    128   — 

per  l'esilio.  Il  giorno  prima,  quantunque  non  potesse 
sbizzarrirsi  a  modo  suo,  era  nondimeno  un  pezzo  grosso, 
il  pezzo  più  grosso  del  suo  paese,  dove  tutta  la  gente, 
in  alto  e  in  basso,  gli  faceva  di  cappello  e  s'occupava 
di  lui  e  delle  cose  sue  ;  a  un  tratto  egli  si  svegliava 
uno  qualunque  in  mezzo  alla  folla  che  non  gli  badava. 
E  se  neppur  egli  avesse  visto  nessuno,  meno  male  :  ma 
le  lettere  di  presentazione  di  cui  era  fornito  lo  avevano 
messo  in  rapporto,  a  Napoli,  a  Roma,  a  Firenze,  a 
Torino,  con  altra  gente,  coi  signori  di  lassù  ;  e  allora 
aveva  compreso  che  c'eran  pezzi  grossi  più  grossi  di  lui. 
Il  nome  di  principino  di  Mirabella  aveva  perduto  la 
sua  virtù,  .era  diventato  quello  di  un  signore  come  ce 
n'erano  a  migliaia.  Il  lusso  vero,  e  non  quello  mediocre 
di  suo  padre,  il  gusto  fastoso,  lo  sfarzo  elegante  di 
cui  non  s'aveva  idea  in  quell'angolo  di  Sicilia,  fuori  delle 
grandi  vie  del  mondo,  dov'egli  era  vissuto,  lo  costrin- 
gevano a  riconoscere  la  propria  inferiorità.  Al  Club  di 
Catania  erano  quasi  in  famiglia  ed  egli  troneggiava  ;  a 
Napoli  e  a  Firenze  otteneva  per  favore  un  biglietto  per 
pochi  giorni  ;  se  fosse  rimasto  a  lungo  avrebbe  dovuto 
esporsi  ad  una  votazione,  farsi  raccomandare,  correre, 
chi  sa,  il  rischio  d'essere  respinto!...  Nella  sua  testa 
avveniva  una  rivoluzione.  Soffrendo  realmente  nell'or- 
goglio, nella  vanità  di  «  Viceré  »  quando  andava  a  fare 
qualche  visita  in  certi  palazzi  grandi  quattro  volle 
l'avito,  nei  quali  invece  di  botteghe  da  affittare  c'erano 
gallerie  vaste  quanto  musei,  con  dentro  tesori  d'arte, 
egli  smise  di  frequentare  le  sue  conoscenze,  rinunziò  a 
farne  di  nuove.  Per  affermare  in  qualche  modo  la 
propria  ricchezza,  buttava  via  i  quattrini  a  carrozze  di 
rimessa,  o  nei  caffè,  nei  teatri,  nei  negozii  dove  com- 
prava una  quantità  di  cose  inutili,  col  solo  scopo  di 
lasciare  il  suo  indirizzo  :  Principe  di  Mirabella,  albergo 
tale  —  il  più  caro  della  città.  E  meno  male  ancora  a 
Napoli,  dove  le  tradizioni  d'uno  spagnolismo  in  tutto 
eguale  al  siciliano  gli  facevano  dare  deU' Eccellenza  dagli 
sconosciuti  che  gli  si  professavano  servi  ;  ma  a  Firenze, 


—  i2g  — • 

a  Milano,  yli  toccava  il  setnplice  signore  ;  e  in\ano  Bal- 
dassarre, che  gli  stava  sempre  a  fianco,  prodigava  il 
Sua  Eccellenza  e  il  Voscoiza  paesano  :  la  gente  sorri- 
deva o  restava  a  bocca  aperta  alle  espressioni  strava- 
ganti del  maestro  di  casa. 

Cosi,  per  evitare  queste  mortificazioni,  il  principino 
passò  all'estero  piili  presto  del  tempo  stabilito.  In  paesi 
stranieri,  la  maggior  ricchezza  e  autorità  della  gente 
della  sua  casta  non  lo  feriva  tanto,  ma  un  altro  im- 
paccio lo  aspettava  :  col  suo  povero  e  mal  digerito 
francese,  si  senti  come  fuor  del  mondo  a  Menna,  a 
Berlino,  a  Londra  :  a  Parigi  fece  sorridere  come  in 
Italia  Baldassarre.  Ma  frattanto  la  Sicilia,  il  suo  paese 
nativo,  la  sua  casa  dove  la  considerazione  ed  il  primato 
d'un  tempo  lo  aspettavano,  erano  divenuti  per  lui 
sempre  più  piccoli  e  meschini.  Come  rassegnarsi  a  tor- 
nare laggii^i,  dopo  aver  visto  la  gran  vita  delle  grandi 
città  ?  E  come  tenere  un  posto  mediocre  in  una  capitale  ? 
Bisognava  dunque  essere  il  primo  tra  i  primi  !...  E  una 
volta  entratagli  in  testa  quest'  idea,  Consalvo  si  mise 
a  considerare  il  m.odo  di  attuarla.  Suo  padre  avrebbe 
consentito  a  lasciarlo  andar  via  per  sempre  ?  La  cosa 
era  dubbia,  ma  immancabilmente,  articolo  quattrini,  ne 
avrebbe  assegnati  il  meno  possibile;  e  con  vincoli  umi- 
lianti, come  durante  quel  viaggio,  tutte  le  spese  del 
quale  dovevano  esser  fatte  personalmente  dal  maestro 
di  casa  !  \'ivendo  il  padre,  egli  non  avrebbe  dunque 
potuto  conseguire  il  suo  scopo;  e  il  principe  poteva 
vivere  cent'  anni,  come  tanti  di  queg'li  Uzeda  che  ave- 
vano il  cuoio  duro,  se  il  vecchio  sangue  non  si  scom- 
poneva prima  del  tempo —  E  Consalvo  che,  ragio- 
nando freddamente,  mettendo  a  calcolo  tutto,  faceva  i 
suoi  conti  sulla  morte  del  padre  come  sopra  un  avve- 
nimento necessario  alla  propria  felicità,  considerava 
anche  un  altro  lato  della  quistione  :  l' insufficienza  di 
tutta  la  sostanza  paterna,  il  giorno  in  cui  egli  ne  sa- 
rebbe stato  unico  padrone,  a  dargli  le  soddisfazioni  che 
andava  cercando.  Grande  lagg-iù,  e  anche  da  per  tutto, 

D»    Hob?rto.    l    Viceré    -    Il  9 


per  uno  che  non  avesse  voglie  smodate,  il  patrimonio 
del  principe  di  Francalanza  era  per  Consalvo  poco  più 
che  la  mediocrità,  a  Roma.  La  morte  del  padre  era 
dunque  inutile  ;  egli  doveva  cercare  un  altro  mezzo. 
E  li,  alla  capitale,  quando  vi  passò  di  ritorno,  egli  lo 
trovò. 

Lo  zio  duca,  fra  le  altre  lettere,  gliene  aveva  date 
parecchie  per  i  colleghi  del  Parlamento.  All'  andata,  egli 
aveva  visto  un  momento  l'onorevole  Mazzarini,  giovane 
avvocato  della  provincia  di  Messina,  il  quale  faceva  la 
politica  continuando  ad  esercitare  la  professione.  Di  ri- 
torno, Consalvo  pensava  a  tutti  fuorché  a  costui,  pel 
quale  sentiva  un  profondo  disprezzo  di  razza,  quando 
una  sera  si  vide  accostato  per  via  dall'  Onorevole.  «  Di 
nuovo  a  Roma,  principino  ?  Di  ritorno,  naturalmente  ? 
Ma  perchè  non  m'avete  avvertito  del  vostro  arrivo? 
Sarei  venuto  a  trovarvi,  m'  avreste  fatto  tanto  piacere! 
E  vi  siete  divertito  certamente,  non  c'è  bisogno  di  do- 
mandarlo I  »  Colui  parlava  a  vapore,  gestendo,  dandogli 
confidenzialmente  del  voi,  mettendogli  le  mani  addosso. 
E  Consalvo,  che  alle  dimostrazioni  d' intimità  restava 
freddissimo,  si  tirava  indietro,  schifando  ogni  contatto. 
L'  Onorevole  però,  quantunque  accusasse  un  gran  da 
fare,  e  avesse  infatti  lasciato  un  crocchio  di  gente  che 
lo  attorniava,  lo  trattenne  un  pezzo  ;  prima  di  lasciarlo 
gli  disse  :  «  Ci  vedremo  domani  ;  verrò  a  trovarvi  all'  al- 
bergo   » 

Consalvo  fu  tanto  stupito  che  non  ebbe  tempo  di  le- 
varselo dai  piedi.  Ed  il  domani  Mazzarini,  venuto  a 
prenderlo,  lo  invitò  a  desinare  con  lui,  trascinandolo 
ai  Morteo.  \' 'erano  molti  altri  deputati,  una  quantità 
di  clienti  li  circondava  ;  Mazzarini  stesso,  prima  di  po- 
tersi sedere  a  tavola,  dovette  sbarazzarsi  di  quattro  o 
cinque  persone  che  lo  aspettavano,  e  per  tutta  la  du- 
rata del  pranzo  parlò  della  moltitudine  delle  sue  fac- 
cende, delle  combinazioni  politiche,  degli  affari  pubblici  ; 
un  fattorino  del  telegrafo  gli  portò  due  dispacci,  dei 
quali  egli  firmò  la  ricevuta  masticando  a  due  palmenti, 


—   r3i  — 

niaccliianclo  d'inchiostro  il  tovagliolo  che  teneva  appeso 
al  collo.  Le  persone  che  traversavano  il  caffè  lo  saluta- 
vano, egli  rispondeva  loro,  interrompendosi  con  un  «  Ca- 
\aliere  !...)>  o  un  «  Caro  commendatore  !...  »  Alle  frutta, 
aveva  una  piccola  corte  d'  intorno  alla  quale  parlava, 
con  g-rande  animazione,  di  Roma,  di  quel  che  biso- 
g"nava  fare  per  renderla  degna  dei  suoi  destini,  per 
affermarne  l' italianità,  per  tenere  a  segno  il  Vaticano. 
Finito  il  pranzo,  un  po'  alticcio,  prese  a  braccio  Con- 
salvo  il  quale  fremè  a  quel  contatto  ;  ma  il  deputato, 
con  un  sorriso  che  voleva  esser  discreto  ed  era  beato, 
esclamò  :  «  È  dura  la  via  della  politica,  specialmente 
quando  bisogna  lavorare  per  \ivere;  ma,  in  fin  dei 
conti,  procura  anch'essa  qualche  soddisfazione!...  E 
voi,  principino,  non  pensate  di  mettervi  nella  vita  pub- 
blica ?... 

Parole  dette  così,  sbadatamente,  per  continuare  a 
parlare  ;  ma  Consalvo  ne  fu  abbagliato.  Stanco,  infa- 
stidito, disgustato  dalle  chiacchiere  dell'  Onorevole, 
dalla  confidenza  con  la  quale  lo  trattava,  da  queir  igno- 
bile pranzo  che  ave^■a  dovuto  ingozzare  per  forza,  egli 
si  vide  in  un  momento  schiuder  dinanzi,  diritta  ed  age- 
vole, la  via  che  andava  cercando,  quella  che  d'  un  umile 
faccendiere  come  Mazzarini  faceva  un  uomo  importante, 
riverito  e  corteggiato  ;  quella  che  permetteva  di  rag- 
giungere la  notorietà  e  la  supremazia  non  in  una  sola 
regione  o  sopra  una  sola  casta,  ma  in  tutta  la  nazione 
e  su  tutti.  Deputato,  ministro  —  Eccellenza  !  —  presi- 
dente del  Consiglio,  Viceré  per  davvero  ;  che  cosa  oc- 
correva per  ottenere  quei  posti  ?  Nulla,  o  ben  poco. 
-Mazzarini  aveva  parlato  delle  aspre  lotte  sostenute  nel 
proprio  collegio  ;  ma  il  duca  di  Oragua  non  possedeva 
un  feudo  elettorale  che,  naturalmente,  sarebbe  passato 
al  nipote  ?  Per  farsi  conoscere,  l'avvocato  aveva  do- 
vuto crearsi  pazientemente,  accortamente,  una  clien- 
tela :  il  principino  di  Mirabella  1'  aveva  già  bell'e  pronta. 
Alla  cultura,  alla  competenza,  egli  non  pensava  :  se 
aveva  potuto  fare   il   deputato  un   ignorante  come   suo 


—   132  — 

zio,  egli  si  credeva  capace  di  reggere  i  destini  della 
nazione.  La  forza  della  memoria,  la  facilità  della  pa- 
rola, la  sicurezza  dinanzi  alla  folla  che  erano  mancate 
al  duca  e  lo  avevano  tormentato  per  tutta  -la  vita  accre- 
scendo la  sua  miseria  intellettuale.  Consalvo  le  posse- 
deva :  a  San  Nicola,  dinanzi  ai  monaci  che  s'empivano 
il  buzzo  di  cibo  o  al  cospetto  della  folla  che  veniva  ad 
ascoltar  le  prediche  di  Natale  ;  più  tardi  nelle  vie  della 
città,  nelle  taverne,  attorniato  da  gente  d'ogni  risma, 
egli  aveva  fatto  sfoggio  d'eloquenza  :  gli  sguardi  fissi 
su  lui,  il  silenzio  dell'uditorio  aspettante  non  lo  ave- 
vano mai  sgomentato.  Che  altro  occorreva  ? 

Aveva  promesso  alla  zia  di  baciare,  oltreché  le  mani 
a  Francesco  II,  anche  i  piedi  al  Santo  Padre  :  egli  sop- 
presse questa  seconda  visita,  poiché  g'ii  conveniva  mu- 
tare non  solo  le  abitudini  ma  anche  le  idee.  Fin  a  quel 
momento  era  stato  borbonico  nell'anima  e  clericale  per 
conseguenza,  quantunque  non  credente,  anzi  scettico 
sulle  cose  della  religione  al  punto  di  non  andare  a  sen- 
tire la  messa:  altro  capo  d'accusa  mossogli  da  quel 
bigotto  di  suo  padre.  Adesso,  per  mettersi  e  riuscire 
nella  nuova  via,  egli  doveva  esser  liberale  e  mangia- 
preti come  Mazzarino  Andò  tuttavia  a  visitare  lo  zio 
Lodovico.  Monsignore  l'accolse  con  l'untuosità  con- 
sueta, con  le  fredde  espressioni  d'un  sentimento  preso 
ad  imprestito  per  la  circostanza.  L'antico  Priore  di 
San  Nicola  pareva  conservato  sott'aceto  :  asciutto,  senza 
un  pelo  bianco,  con  la  faccia  liscia,  nessuno  lo  avrebbe 
giudicato  sulla  cinquantina.  Ed  i  suoi  occhi  sfavilla- 
rono quando,  richiesto  dal  nipote  se  sarebbe  tornato 
in   Sicilia,    rispose   piano,   modestamente  : 

—  No,  pel  momento.  E  i  miei  nuovi  doveri  mi  trat- 
terranno ancora  più  a  Roma 

—  Che  doveri,  zio? 

Egli   abbassò  le  ciglia,   dicendo  : 

— ■  Il    Beatissimo    Padre    vuole,    senza    merito    mio, 

destinarmi  alla  sacra  porpora 

Furbo,  quello  li  :  arrivato  a  furia  di  furberia  !...  Con- 


—  U3  — 

salvo  se  Io  propose  a  modello.  Frattanto,  invece  di 
fug-g-ire  3ilazzarini,  lo  andò  cercando,  si  fece  g^uidare 
da  lui  alla  Camera  ed  al  Senato  per  esaminar  subito 
il  campo  della  sua  azione  futura.  Allora  comprese  che, 
se  ad  occupare  un  posto  di  deputato  gli  mancava  sol- 
tanto l'età,  g-li  occorreva  qualche  altra  cosa  per  salire 
più  in  alto.  Per  tanto,  tornato  a  casa,  nessuno  lo  rico- 
nosceva. Persuaso  che  gli  conveniva  studiare,  co- 
minciò a  comprare  libri  su  libri,  d'ogni  genere  e  d'ogni 
grossezza  :  li  divorava  da  cima  a  fondo  o  li  spilluz- 
zicava prendendo  note,  pieno  di  buoni  propositi,  sul 
principio,  disposto  a  fare  sul  serio.  Tutte  quelle  ma- 
terie erano  tali  che  non  occorreva  l'opera  del  maestro  : 
bastava  la  preparazione  superficiale  che  egli  posse- 
deva e  la  naturale  intelligenza.  Il  latino  dei  monaci, 
quello  studio  detestato,  adesso  gli  giovava  a  qualche 
cosa.  Più  tardi,  col  fervore  d'un  neofita,  con  la  pre- 
sunzione degli  Uzeda  che  non  conoscevano  ostacoli, 
comperò  grammatiche  e  libri  di  lettura  spagnuoli, 
inglesi  e  tedeschi  per  apprender  da  sé  quelle  lingue. 

La  fama  della  sua  conversione  si  diffuse  subito.  Stu- 
piti, sospyettosi  o  rallegrati,  i  parenti,  gli  antichi  amici, 
gli  stessi  servi,  dissero  che  stava  tutto  il  giorno  a 
tavolino.  Associatosi  al  Gabinetto  di  lettura,  lui,  il 
fondatore  del  Club  aristocratico,  vi  andava  a  discu- 
tere di  politica  e  d'amministrazione,  a  criticare  o  lo- 
dare uomini  e  cose,  a  nominare  autori  e  citar  opere. 
Una  sera  che  Giulente  e  il  duca,  in  casa  di  quest'ultimo, 
discutevano  a  proposito  dei  dazii  di  consumo,  se  con- 
venisse meglio  al  Comune  appaltarli  o  riscuoterli  per 
conto  proprio,  Consalvo  disse  la  sua,  con  grande  sfog- 
gio di  erudizione.  Uscendo  di  lì.  Benedetto  esclamò 
con  tono   scherzoso   di  protezione  : 

—  Ti  faremo  consigliere  comunale,  appena  avrai 
l'età!... 

—  Perchè?  Xo  !...  —  esclamò  egli  —  E  poi,  come 
si   fa  ? 

—  Perchè  ?  Per  avere  un  posto  nella  rappresentanza 
del   tuo  paese  !   Quanto  al   modo,   è   semplicissimo. 


—   134  — 

Innaazi  tutto  lo  presentò  al  Circolo  Nazionale.  Al- 
cuni socii  fecero  qualche  difficoltà.  Era  degli  Uzeda 
liberali  o  dei  retrivi  ?  Più  d'uno  assicurò  che  era  bor- 
bonico come  la  zia  Ferdinanda;  che  anzi,  a  Parigi, 
era  andato  a  far  visita  a  Francesco  II.  .Ma  Giulente 
si  portò  garante  dei  liberi  sensi  del  nipote  :  all'ex-Re 
aveva  fatto,  era  vero,  una  visita,  ma  costretto  dai 
parenti  ;  una  visita  di  pura  forma,  del  resto,  che  non 
lo  impegnava  a  niente.  Fino  a  quel  momento  era  stato 
un  ragazzo  irresponsabile  delle  idee  che  aveva  potuto 
esprimere  ;  adesso,  se  chiedeva  di  far  parte  del  Cir- 
colo, significava  che  ne  approvava  il  programma.  Né 
conveniva  rifiutarlo,  perchè  altrimenti  egli  avrebbe 
potuto  gettarsi  in  braccio  ai  reazionarii Gli  scru- 
polosi si  contentarono  di  quelle  assicurazioni,  mormo- 
rando tuttavia  che,  secondo  una  certa  versione,  il 
principino  aveva  augurato  al  Re  spodestato  di  rivederlo 
nella  reggia  di  Napoli —  Quando  Consalvo  seppe  che 
correva  questa  voce,  protestò  con  tutte  le  sue  forze 
che  era  una  menzogna  sfacciata,  della  quale  non  ca- 
piva l'origine.  Ma,  preso  a  quattr'occhi  il  maestro  di 
casa,  che  solo  poteva  averla  messa  in  giro,  gli  gridò 
sul   muso  : 

—  Tu,  bestione,  hai  scritto  che  io  ho  detto  a  Fran- 
cesco II  che  voglio  rivederlo  a  Napoli  e  il  diavolo  che 
ti    porti  ? 

Imbarazzato  e  confuso,    Baldassarre   rispose  : 

—  Eccellenza,   si 

— •  E  chi    t'ha   detto   una    simile   bestialità? 

—  Me  lo  disse  padre  Gerbini,  che  l'udì  dire  a  \'ostra 
Eccellenza.... 

Alzato  il  braccio  in  atto  di  minaccia,  Consalvo  in- 
giunse : 

—  Un'altra  volta  che  ripeterai  simili  corbellerie,  li 
piglierò  a  scapaccioni,  hai  capito? 

E  fu  ammesso  al  Circolo  a  pieni  voti.  Allora  bisog^nò 
sentire  donna  Ferdinanda  !  Già  ella,  subodorato  qual- 
cosa dell'apostasia,   aveva   afferrato  pel  braccio  il   ni- 


—  135  — 

potè,  gridandogli  :  «  Bada  che  non  li  guarderò  più  in 
faccia  !  Bada  che  non  avrai  un  soldo  da  me  !  »  E  Con- 
salvo  le  aveva  risposto  facendo  l' indiano,  protestando 
la  propria  innocenza  :  «  Che  hanno  dato  a  intendere 
a  Vostra  Eccellenza  ?  »  Ma  Lucrezia  le  andò  un  bel 
g-iorno  a  portar  la  notizia  dell'ammissione  del  nipote 
al  Circolo.  Schiumava  anche  lei  dall' indig'nazione  ;  ma, 
in  fondo  andava  a  denunziare  Consalvo  alla  zia  per 
farglielo  cader  dal  cuore,  gliene  parlava  male  per 
entrar  ella  nelle  sue  buone  grazie,  per  vendicarsi  della 
principessa. 

—  Ah,  mala  razza!...  Ah,  gesuiti!...  Ed  a  me  di- 
ceva  che   non  era   vero!... 

La  vecchia  non  poteva  tollerare  singolarmente  che 
quel  mariuolo  avesse  tentato  d' infinocchiarla  spudora- 
tamente. 

—  Ma  vorranno  star  freschi  tutti  quanti  !...  \*oglio 
vederli    crepare,    tutti    quanti  !... 

E  andata  a  prendere,   come  dieci  anni  addietro,  pel 
matrimonio    di    Lucrezia,    la    solita    carta    che    teneva 
nell'armadio,   la   lacerò   in   mille   pezzi  dinanzi   alla   ni 
potè. 

—  Neanche    un    soldo  !    Cosi  ! 

Anche  Chiara,  poiché  suo  marito  s'era  venuto  a  poco 
a  poco  accostando  alle  idee  liberali,  fiottò  contro  il  ni- 
pote e  contro  il  marito.  Don  Blasco,  invece,  liberale  di 
data  oramai  quasi  aniica,  approvò  la  conversione  del 
nipote;  il  quale,  lasciando  che  ciascuno  di  quei  pazzi 
dicesse  la  sua,  fece  il  suo  esordio  al  Circolo,  una  sera 
che  l'assemblea  discuteva  intorno  ai  trattati  di  com- 
mercio. Nella  sala,  angusta,  la  gente  era  stipata  e  le 
seggiole  si  toccavano.  Per  evitare  contatti.  Consalvo 
aveva  tirato  la  sua  fuori  della  fila,  distruggendone 
l'ordine  ;  e  mordendosi  i  baffetti,  stava  a  sentire  con 
aria  di  grave  attenzione.  Ma  quando  il  presidente  an- 
nunziò :  «  Se  nessuno  domanda  la  parola,  metto  ai  voli 
le  conclusioni   della  commissione,  »  il  principino  s'alzò. 

—  Domando  la  parola. 


—  136  — 

Immediatamente  si  fece  un  profondo  silenzio,  e  tutti 
gli  sguardi  si  diressero  su  Consalvo.  Rivolte  le  spalle 
al  muro,  guardando  da  un  lato  l'assemblea,  dall'altro 
la   presidenza,   egli   cominciò  : 

- —  Signori,  io  vi  debbo  innanzi  tutto  chieder  venia 
dell'ardimento  di  cui  potrete  accusarmi  vedendomi,  ul- 
timo arrivato  fra  voi,  osare  di  prender  la  parola  in- 
torno a  una  grave  materia,  oggetto  di  cosi  accurato 
esame  da  parte  di  socii  ai  quali  volendo  ma  non  po- 
tendo dare  il  nome  di  colleghi,  debbo  e  voglio  dare 
quello  di  maestri. 

ri  laborioso  periodo  fu  detto  con  tanta  sicurezza, 
uscì  cosi  ^filato,  era  cosi  abile  ed  opportuno,  solleticava 
tanto  l'amor  proprio  dei  precedenti  oratori,  riusciva 
cosi  inaspettato  sulla  bocca  d'  un  giovanotto  conosciuto 
fino  a  quel  momento  solo  per  le  sue  prodigalità  ed  i 
suoi  vizii,  che  molti  mormorarono:  «Bravo!... 
Bene  !...  » 

Egli  continuò.  Disse  che  se  il  suo  ardimento  poteva 
giudicarsi  grande,  egli  sapeva  che  non  meno  grande 
era  l' indulgenza  del  suo  uditorio.  Qualificò  come  «  mo- 
dello del  genere  »  la  relazione  della  commissione,  la 
disse  «  degna  veramente  d' un  Parlamento  ».  Ne  citò 
due  o  tre  paragrafi  quasi  letteralmente  ;  quel  prodigio 
di  memoria  sollevò  un  lungo  mormorio  ammirativo. 
Ma  forse  l' indulgente  assemblea  aspettavasi  che  egli 
esprimesse  la  propria  opinione?  E  questa  egli  espri- 
meva «  con  peritanza  di  discepolo  ma  saldezza  di  apo- 
stolo ».  Egli  era  per  la  libertà  ;  per  la  libertà  «  che  è 
la  più  grande  conquista  dei  nostri  tempi  »  ;  della  quale 
«  non  si  può  mai  abusare  »,  perchè  essa  è  «  correttivo 
di  sé  stessa  ».  I  vantaggi  del  libero  regime  erano  in- 
finiti, perchè  «  come  dice  il  celebre  Adamo  Smith  nella 
sua  grande  opera —  »  e  infatti  «opina  anche  il  grande 

Proudhon »  ma  quantunque  «  il  famoso  Bastiat  non 

ammetta  »,  pure  «  la  scuola  inglese  è  del  parere....  »  Lo 
stupore  e  il  piacere  erano  propriamente  grandi,  tutt'  in- 
torno; Benedetto  godeva  come  d'un  personale  trionfo, 


—  ^37  — 

pareva  dicesse:  «Avete  visto?  E  quando  io  vi  garen- 
tivo?...  n  Salve  d'applausi  interrompevano  tratto  tratto 
quel  discorso  che  tutti  credevano  improvvisato,  con 
tanta  disinvoltura  era  detto  ;  ma  un  vero  trionfo  suc- 
cesse all'argomentazione  finale  :  la  necessaria  corri- 
spondenza tra  la  libertà  economica  e  la  politica  :  «  le 
piij  grandi  garanzie  di  benessere  e  di  felicità,  le  ra- 
gioni d'essere  di  questa  giovane  Italia,  ricomposta 
ad  unità  di  nazione  libera  e  forte  per  virtù  di  popolo 
e    Re  !...  » 


III. 


Una  notte,  mentre  al  palazzo  tutti  dormi\ano  tranne 
Consalvo  curvo  sui  volumi  di  Spencer,  fu  picchiato 
con  grande  fracasso  al  portone  :  Carino,  il  marito  della 
Sigaraia,  chiamava  il  principe  a  rotta  di  collo  perchè 
a  don  Blasco  era  venuto  un  accidente. 

Il  monaco,  floscio  come  un  otre  sgonfiato,  rantolava. 
La  vigilia  aveva  fatto  una  solenne  scorpacciata  e  cion- 
cato largamente  :  spogliato  e  messo  a  letto  da  donna 
Lucia,  s'era  addormentato  di  botto;  ma  nel  mezzo 
della  notte  un  sordo  tonfo  aveva  fatto  accorrere  tutti 
quanti,  e  allora  s'era  visto  il  Cassinese  disteso  quant'era 
lungo  in  terra,  $enza  più  sentimento.  La  Sigaraia,  le 
figliuole,  la  serva  non  la  finivano  di  raccontar  la  di- 
sgrazia; ma  Carino,  che  lasciata  l'ambasciata  al  prin- 
cipe e  chiamato  un  dottore,  era  tornato  di  corsa  a  casa, 
aveva  la  ciera  rannuvolata  e  non  diceva  verbo.  Mentre 
il  medico  dichiarava  di  non  poter  far  nulla,  perchè  il 
colpo  era  fulminante,  e  le  donne  ricominciavano  a  con- 
tristarsi, e  ad  invocare  la  Bella  Madre  Maria  e  tutti 
i  Santi  del  paradiso.  Carino  prese  per  un  braccio  il 
principe  appena  arrivato  e  lo  trascinò  in  una  stanza 
remota. 

—  Eccellenza,    siamo    rovinati  !    Ho    frugato   da   per 


-   138  - 

lutto,  e  non  c'è  niente  !   Rovinata  Vostra  Eccellenza  e 
rovinati   noi  !    Dopo   tanti   anni   che   l'abbiamo   servito  ! 
E  quelle  creature  anch'esse  !  Sua  Paternità  non  doveva 
farci   un    simile  tradimento  ! 
, —   A\cte    cercato    bene? 

—  La  casa  sottosopra,  Eccellenza;  che  appena  suc- 
cesse la  disgrazia  presi  le  chiavi  e  frugai  da  per 
tutto....  neir  interesse  di  Vostra  Eccellenza Ma  po- 
tevo credere  a  una  cosa  simile  ?  Dopo  che  Sua  Pa- 
ternità aveva  promesso  dodici  tari  al  giorno  alle  ra- 
gazze ?  È  un  tradimento  !  Sono  rovinato  !  E  \"ostra 
Eccellenza  pure....  Io  credevo  che  il  testamento  fosse 
scritto  da  anni,  dall'altra  volta  che  gli  prese  il  capo- 
giro.... 

—  L'  avrà  forse  dato  al  notaro  ? 

—  Ala  che  notaro  !  Sua  Paternità  non  voleva  sen- 
tirne, e  anzi  quando  il  notaro  Marco  gli  parlò  in  pro- 
posito     per  amicizia  a  noi gli   rispose  brusco  che 

il  testamento  l'avrebbe  fatto  da  sé  e  chiuso  nella  sua 
cassa!...  Ma  non  c'è  niente  in  tutta  la  casa —  Se 
avessi  saputo  una  cosa  simile  !...  —  E  tacque,  guar- 
dando il  principe. 

— •  Che   avreste   fatto  ? 

—  Avrei    scritto    io    il    testamento,    secondo    le    sue 

intenzioni per    darglielo    a    firmare —    La    firma   ce 

Pavrebbe  messa  in  mezzo  minuto —  Potevo  anche — 

Ala  in  quel  punto  chiamarono  di  là.  Il  dottore,  tanto 
per  contentare  «  la  famiglia  »,  aveva  ordinato  che  si 
cavasse  sangue  al  fulminato  e  gli  s'attaccasse  qualche 
mignatta  alle  tempie;  Garino  scappò  per'  eseguire  gli 
ordini  del  dottore,  t'  il  principe  si  mise  a  girare  per  la 
casa. 

Faceva  giorno  quando  Acnnc  il  salassatore.  L'opera- 
zione non  giovò  quasi  a  nulla  ;  solo  gli  occhi  del  mo- 
ribondo s'aprirono  un  momento;  ma  né  un  muscolo  si 
scosse,  né  una  parola  uscì  dalla  bocca  serrata.  Col 
giorno  venne  la  principessa.  Gli  altri  parenti  non  sa- 
pevano  ancora   nulla,   e   cominciarono  ad   arrivare  più 


—   139  — 

tardi,  uno  dopo  l'altro;  entravano  un  momento  nella 
camera  dell'agonizzante  e  poi  passavano  nella  stanza  at- 
tigua, girellonando,  cercando  il  momento  di  prendere 
a  parte   il  principe,    per  dirgli   in   un   orecchio  : 

—  C'è  testamento? 

—  Non  so....  non  credo....  —  rispondeva  il  prin- 
cipe.  —  Chi  pensa  a  queste  cose  per  ora  ? 

Invece  non  pensavano  ad  altro,  divorati  dalla  curio- 
sità, dalia  cupidigia  dei  quattrini  del  monaco.  Dopo  la 
vecchia  principessa,  don  Blasco  era  il  primo  Uzeda  da- 
naroso che  se  ne  andava;  Ferdinando  non  era  con- 
tato :  aveva  poca  roba  e  quella  poca  era  stata  carpita 
dal  principe.  Il  Cassinese,  invece,  tra  i  due  poderi,  la 
casa  e  i  risparmi!  lasciava  quasi  trecentomila  lire,  e 
tutti  speravano  di  rasparne  qualcosa.  Se  non  c'era  testa- 
mento i  due  fratelli  Gaspare  ed  Eugenio  e  la  sorella 
Ferdinanda  avrebbero  ereditato;  e  la  zitellona,  dopo 
una  vita  d'  inimicizia,  aspettava  d'arruffar  la  sua  parte. 
Tutti  gli  altri,  al  contrario,  aspettavano  un  testamento 
che  li  nominasse.  Il  principe  dichiarava  piano  all'orec- 
chio dello  zio  duca  che  non  sperava  nulla  per  sé,  ma 
qualcosa  per  Consalvo,  e  di  mezz'ora  in  mezz'ora  spe- 
diva al  palazzo  qualcuno  dei  camerieri  della  paren- 
tela, accorsi  coi  padroni,  perchè  chiamassero  suo  figlio. 
Ma  il  principino  dapprima  aveva  risposto  che  era  a 
letto,  poi  che  dovevano  dargli  il  tempo  di  vestirsi,  poi 
che  stava  per  venire,  e  finalmente  gli  ultimi  messi  non 
lo  trovarono  più.  Se  n'era  andato  al  Circolo  Nazionale 
per  assistere  all'adunanza  d'una  commissione  inca- 
ricata di  studiare  il  piano  regolatore  della  città.  Arrivò 
finalmente  quando  attaccavano  le  mignatte  all'agoniz- 
zante. Il  principe  non  gli  rivolse  neppure  la  parola  e 
prese  invece  in  disparte  Garino  che  in  quel  momento 
tornava  per  la  quarta  o  la  quinta  volta.  Poi  il  ma- 
rito della  Sigaraia  entrò  nella  camera  del  moribondo, 
che  sua  moglie  e  le  ragazze  non  lasciavano  un  mo- 
mento. Invece  di  giovare,  le  sanguisughe  affrettarono  la 
catastrofe;   Garino  affacciossi  sull'uscio,   annunziando: 


—   140  — 

—  Il   Signore  i'  ha  chiamato  con   sé  ! 

Tutti  entrarono  nella  camera  del  morto.  Era  im- 
mobile, stecchito,  con  gli  occhi  chiusi,  con  le  tempie 
butterate  dai  morsi  delle  mignatte.  L'odore  nauseante 
del  sangue  appestava  la  camera,  come  una  beccheria; 
e  c'era  per  terra  e  sui  mobili  una  confusione  straordi- 
naria :  panni  disseminati  qua  e  là,  catinelle  piene 
d'acqua,  caraffe  di  aceto.  La  Sigaraia,  dischiusa  im- 
mediatamente la  finestra  perchè  l'anima  del  Cassinese 
potesse  volarsene  difilato  in  paradiso,  disponeva,  sin- 
ghiozzando, due  candele  sul  comodino.  Le  ragazze 
piangevano  come  due  fontane  e  Lucrezia  pareva  avesse 
perduto  il  suo  secondo  padre  ;  ma  i  pianti  e  le  preci 
a  poco  a  poco  cessarono  ;  e  allora,  asciugatisi  gli 
occhi,   Lucrezia   disse,    molto   tranquillamente  : 

—  Adesso  che  lo  zio  è  in  paradiso,  potremmo  ve- 
dere se  c'è  testamento. 

Nel  silenzio  di  tutti,  il  principe,  come  capo  della 
casa,  fece  un  gesto  di  consenso.  Ma  donna  Lucia,  che 
finiva  d'accendere  le  candele,  si  voltò  e  disse: 

—  C'è  testamento,  Eccellenza.  La  sant'anima,  per 
sua  bontà,  me  lo  diede  a  serbare.  Vado  a  prenderlo 
subito. 

'Si  potevano  udir  volare  le  mosche  mentre  la  donna 
consegnava  al  principe  una  busta  aperta,  e  questi,  per 
deferenza,  la  passava  allo  zio  duca.  Il  duca  diede  una 
occhiata  al  foglio  dove  c'erano  poche  righe  di  scritto, 
e  senza  leggere,  annunziando  il  contenuto  dei  brevi 
periodi  a  mano  a  mano  che  li  scorreva,   disse  : 

—  Erede  universale  Giacomo....  esecutore  testamen- 
tario.... un  legato  di  duecent'onze  l'anno  a  don  Matteo 
Carino 

—  Nient'altro  ?...  E  nient'altro  ?...  ^ —  domanda- 
rono  tutt'  intorno. 

—  Non   c'è  altro. 

Donna  Ferdinanda  s'alzò  e  si  mise  a  leggere  il  foglio 
prendendolo  dalle  mani  del  principe  a  cui  il  duca 
l'aveva  passato;  ma  Lucrezia,  venendo  a  metterglisi 
al  fianco,  le  disse  : 


—  t4i  — 

— ■  \'ostra    Eccellenza   mi    lasci    vedere. 

Il  principe  pareva  del  lutto  disinteressato.  Le  due 
donne  che  stavano  chine  sul  documento  scambiarono 
sottovoce  qualche  parola  ;  poi  Lucrezia  annunziò,  forte  : 

—  Questo  testamento  è  falso. 

Tutti  si  voltarono.    Il   principe,   con  estremo  stupore, 
esclamò  :        '     • 
— •  Come   falso  ? 

—  Falso  ?  —  saltò  su  Garino,  che  se  ne  stava  nel 
vano  d'un  uscio. 

—  Ho  detto  che  è  falso,  —  ripetè  Lucrezia,  dando 
uno  spintone  a  suo  marito  che  voleva  leggere  anche 
lui  il  foglio.  —  Questa  non  è  scrittura  dello  zio;  la 
scrittura   dello   zio   la  conosco. 

—  Lasciami  vedere  !...  —  e  Giacomo  considerò  atten- 
tamente i  caratteri,  mentre  tutti  gli  altri  gli  s'affol- 
lavano  intorno,    esaminandoli    anch'essi. 

—  T'inganni,  —  disse  il  principe  freddamente;  — 
è    scrittura   dello   zio. 

Degli  altri  nessuno  espresse  un'opinione.  Con  tono 
di    fine   ironia,   Lucrezia   replicò  : 

—  Allora,  vorrei  sapere  quando  l' ha  scritto.  Sta- 
notte ?   C'è   ancora   la   sabbia   attaccata  ! 

La  Sigaraia  intervenne  : 

—  Eccellenza,  Sua  Paternità  scrisse  il  testamento 
ieri  l'altro,  perchè,  poveretto,  il  cuore  gli  parlava  e 
gli   diceva  che  la  sua  fine  era  prossima — 

— •  E  perchè  non  ne  avete  detto  nulla  ?  —  domandò 
allora  donna  Ferdinanda. 

—  Eccellenza 

—  Io  ne   fui  avvertito,   — *  affermò   il  principe. 

—  Ma  a  noi  dicesti  che  non  credevi  ci  fosse  testa- 
mento  

—  Avresti  potuto  farcelo  sapere,  —  ribattè  donna 
Ferdinanda. 

— ■  Ma  che  !  — ■  riprese  Lucrezia,  dando  un  altro 
spintone  a  Benedetto,  il  quale  le  faceva  qualche  osser- 
vazione  prudente    all'orecchio:    —    È    un    testamento 


—  142  — 

falso,  si  vede  dalla  freschezza  della  scrittura  e  anche 
dalla  firma.   Lo  zio  firmava  Blasco  Placido   Uzechi,  col 

secondo    nome   preso   in  religione 

Carino  allora   credette  -di   dover   dire   la   sua  : 
^-  Eccellenza,   allora  A'ostra   Eccellenza  crede.... 

—  Voi  state  zitto  !  —  esclamò  Lucrezia,  sprezzan- 
temente, superba  di  fare  atto  d'autorità  dinanzi  a 
tutta  la  parentela. 

—  \'ostra  Eccellenza  è  la  padrona —  continuava 

nondimeno  il  Sigaraio,  con  aria  dignitosa.  —  ma  non 
può  offendere  un  galantuomo.^  Allora  1'  ho  fatto  io,  il 
testamento   falso  ? 

E   a   un   tratto  la    Sigaraia    scoppiò    in   pianto. 

—  Quest'affronto!...    Maria    Santissima!... 

Il  duca,  il  marchese,  Benedetto  intervennero  tutti 
insieme  : 

—  Chi  ha  detto  questo?...  State  zitta,  in  un  mo- 
mento simile —   Silenzio,  vi  dico:  che  è  questo  modo? 

— •  Tu  accetti  il  testamento?  —  insisteva  Lucrezia, 
rivolta   al   fratello. 

—  Sicuro  che  l'accetto  ! 

—  Allora  ce  la  vedremo  in  tribunale  !  Intanto  chia- 
mate l'autorità  per  mettere  i  suggelli.... 

E  la  Sigaraia  che  si  strappava  i  capelli,  di  là,  ingi- 
nocchiata dinanzi  al  morto  : 

—  Parlate  voi  !...  Ditelo  voi  se  è  vero  !...  Una  simile 
ingiuria!...  Dopo  tant'anni  che  v'abbiamo  servito!... 
Parlate  voi  dal  paradiso,   con  la  bocca  della  verità  !... 

E  la  lite  scoppiò,  più  feroce  di  tutte  le  precedenti. 
Donna  Ferdinanda  non  scherzava,  all'  idea  che  le  ave- 
vano tolto  la  sua  parte  della  successione  ;  ma  Lucrezia 
era  implacabile  per  la  rivincita  da  prendere  su  Gra- 
ziella che  l'aveva  trattata  male  e  anche  un  po'  perchè 
sperava  sull'eredità  dello  zio  come  un  mezzo  di  met- 
tere in  piano  l'amministrazione  della  propria  casa  : 
dacché  la  teneva  lei,  non  c'erano  quattrini  che  bastas- 
sero.   Il  marchese,  bonaccione,   voleva  evitare  lo  scan- 


<ialo  ;  ma  Chiara,  per  fare  il  contrario  di  ciò  che  egli 
\oIeva,  si  schierò  contro  Giacomo  con  la  zia.  A  poco 
a  poco  tutto  l'amor  suo  pel  marito  s'era  rivolto  al  ba- 
stardo ;  e  poiché  Federico  era  sempre  vergognoso  della 
paternità  clandestina  e  non  voleva  riconoscerla,  l'odio 
antico  per  il  marito  che  le  avevano  imposto  s'era  ve- 
nuto ridestando  in  lei.  La  sua  testa  di  Uzeda  sterile 
aveva  concepito  e  maturato  un  disegno  :  lasciare  Fe- 
derico, adottare  il  bastardello  e  portarselo  via  ;  avendo 
bisogno  di  quattrini,  sperava  nella  sua  parte  dell'ere- 
dità di  don  Blasco.  Ella,  Lucrezia  e  donna  Ferdinanda 
si  nettavano  quindi  la  bocca  contro  quel  falsario  di 
Giacomo,  contro  quel  ladro  che  voleva  la  roba  del 
monaco  come  aveva  carpito  le  (Hiiande  alla  felice  me- 
moria di  Ferdinando  :  contro  quello  sbirro  di  Garino, 
anche,  che  aveva  proposto  ed  eseguito  il  colpo,  che  al 
tempo  in  cui  esercitava  l'onorato  mestiere  di  spia  s'era 
provato  ad  imitare  le  scritture  dei  galantuomini,  per 
rovinarli  dinanzi  alla  polizia.  'Ma  il  più  bello  che  era  ? 
Che  un  ladro  aveva  rubato  l'altro;  giacché  Garino,  il 
quale  doveva  farsi  lasciare  dodici  tari  al  giorno,  sol- 
tanto, aveva  calcato  la  mano,  mentre  c'era,  portando  il 
legato  a  200  onze  l'anno  I  Né  il  principe  poteva  fiatare, 
perchè  altrimenti  si  sarebbe  dato  la  zappa  sui  piedi!... 

Garino  e  la  Sigaraia  giuravano  e  spergiuravano  che 
era  tutta  un'infamia  inventata  dalla  parentela,  la  quale 
non  aveva  mai  potuto  andare  d'accordo.  A  chi  vole- 
vano dunque  chela  buon'anima  lasciasse?  Alla  sorella 
ed  ai  fratelli,  che  aveva  amato  come  il  cane  i  gatti? 
L'erede  naturale  era  il  principe,  il  capo  della  casa  ! 
Quanto  ad  essi,  niente  di  più  naturale  che  la  sant'anima 
si  fosse  disobbligato  dei  loro  buoni  servigi  ;  anzi,  per 
dire  la  verità,  chi  si  sarebbe  aspettata  quella  miseria 
di   200  onze,   dopo  quanto  avevano  fatto  per  lui?... 

O  fatto  o  non  fatto,  donna  Ferdinanda  spedi  la 
prima  carta  bollata,  in  cui  impugnava  il  testamento  e 
domandava  una  perizia  al  tribunale.  Il  principe  si 
strinse  nelle  spalle,  ricevendola.   Per  lui,  niente  era  più 


.-  M4  — 

«doloroso»  delle  liti  in  famiglia;  e  a  tutte  le  persone 
che  incontrava  esprimeva  il  suo  profondo  rammarico 
per  la  condotta  della  zia  e  delle  sorelle.  Ma  che  poteva 
farci  ?  Poteva  rinunziare  all'eredità  ?  Erano  esse  le 
os.tinate,  le  prepotenti  e  le  pazze!...  In  casa,  però, 
egli  era  divenuto  piia  irascibile  di  prima.  Contegnoso 
in  presenza  di  estranei,  sfogava  dinanzi  alla  moglie,  ai 
figli  ed  ai  servi  la  contrarietà  e  l'acredine.  Teresa, 
veramente,  non  gli  dava  nessun  appiglio,  sempre  do- 
cile e  obbediente  ;  la  principessa  anche  lei  chinava  il 
capo  al  soffio  della  bufera  ;  ma  egli  se  la  prendeva  tutti 
i  momenti  col  figliuolo,  attribuendo  all'apostasia  poli- 
tica di  costui   r  inasprimento   di   donna   Ferdinanda. 

—  S'è  messo  in  urto  con  sua  zia  che  gli  voleva 
tanto  bene,  cotesto  imbecille,  cotesto  buffone  !  Perderà 
l'eredità,  per  andare  a  dir  buffonate  al  circolo  e  al 
quadrato  !  E  mi  fa  piovere  una  lite  sulle  spalle  !  Io 
domando  e  dico  se  mi  poteva  capitare  maggior  di- 
sgrazia d'avere  un   figlio  cosi   bestia  e  birbante!... 

Ma,  oltre  quella,  egli  aveva  tante  altre  ragioni  di 
cruccio.  Più  che  mai  infervorato  nelle  sue  nuove  idee, 
deciso  colla  cocciutaggine  di  famiglia  a  percorrere  la 
strada  prefissa,  Consalvo  spendeva  adesso  a  libri  un  oc- 
chio del  capo.-  Ne  faceva  venire  ogni  giorno,  intorno 
ad  ogni  soggetto,  dietro  una  semplice  indicazione  del 
libraio,  senz'altro  criterio  fuorché  quello  della  quan- 
tità, con  la  stessa  smania  di  sfoggiare  e  di  far  le  cose 
in  grande  che,  prima,  quando  l'eleganza  degli  abiti 
era  il  suo  unico  pensiero,  gli  faceva  comperare  i  ba- 
stoni a  dozzine  e  le  cravatte  a  casse.  Era  umanamente 
impossibile,  non  che  studiare,  ma  neppur  leggere  tutta 
quella  carta  stampata  che  pioveva  al  palazzo,  le  opere 
in  associazione,  le  voluminose  enciclopedie,  i  dizionarii 
universali  ;  e  ad  ogni  nuovo  arrivo  il  principe  montava 
peggio  in  bestia. 

—  Vedi  ?...  —  rispondeva  Consalvo  a  Teresa,  quando 
la  sorella  andava  a  parlargli  il  linguaggio  della  pace 
e  dell'amore.   —  Vedi  ?  S'è  proprio  messo  in  capo  di 


~  145  — 

rontraiiarmi  in  tutto  e  per  tutto.  Che  faccio  di  male? 
C'è  cosa  che  più  raccomandano,  oggi  :  lo  studio  ?  il 
sapere?    No:    neppur  questo!... 

E  quando  il  principe  se  la  pigliava  direttamente  con 
lui,  e  gli  rimproverava  il  dissidio  con  la  zia  e  lo  sciupio 
dei   quattrini  : 

—  Io  penso  con  la  mia  testa,  —  rispondeva  fred- 
damente   il    figlio.    —   Ciascuno    è    libero    di    pensarla 

come  crede.    Mia   zia   non   può  impormi  le   sue   idee 

e  se  spendo  qualche  cosa  a  libri,  domando  altro?... 

Ogni  domenica  c'era  un'altra  lite  per  la  messa.  Con- 
salvo si  seccava  di  andare  a  sentirla,  sorrideva  d'un 
ambiguo  sorriso  allo  zelo  religioso  del  padre  :  costretto 
a  confessarsi,  recitava  al  vecchio  Domenicano  una  fila- 
strocca di  bislacchi  peccati.  Punzecchiava  anche  la 
sorella  pel  fervore  che  ella  metteva  nelle  devozioni  ; 
\oltava  le  spalle  alle  tonache  nere  che  bazzicavano 
per  la  casa.  Il  principe  aveva  fatto  costruire,  nel  cam- 
posanto del  Milo,  un  monumento  di  marmo  e  bronzo 
sulla  sepoltura  della  prima  moglie  :  negli  anniversarii 
della  morte  andava  lassili  con  la  principessa  e  Teresa, 
faceva  dire  molte  messe  pel  riposo  dell'anima  della  de- 
funta, portava  grandi  corone  di  fiori  sulla  tomba.  Con- 
salvo non  andava  mai  insieme  con  la  famiglia  :  o  un 
giorno  prima,  o  un  giorno  dopo.  Ad  ogni  pretesto  ad- 
dotto dal  figlio,  il  principe  lo  guardava  fisso;  poi  si- 
lasciava  condurre  via  dalla  moglie,  la  quale  lavorava  a 
metter  pace,  ad  evitar  liti.  E  adesso  l'urto  era  piìi  tra 
figlio  e  padre  che  tra  figliastro  e  madrigna  ;  Consalvo 
si  piegava  piuttosto  ad  una  buona  parola  della  princi- 
pessa  che  alle   ingiunzioni   del   principe. 

Un  giorno  annunziò  che  aveva  preso  un  professore 
di  tedesco  e  d'  inglese.  Il  padre,  dopo  averlo  guardato 
bene  in  viso,   gli  domandò  : 

—  Mi   spiegherai   una   volta  che   diamine   vuoi   fare  ? 
Consalvo,    dopo    averlo    guardato    anche    lui  : 

—  Quel  che  mi  pare,   —  rispose. 

A  un  tratto  il  principe  diventò  rosso  come  un  gam- 

De   Roberto.    1    Viene    -    II  10 


—  146  — 

bere,  e  levatosi  da  sedere,  quasi  una  nioUa  lo  avesse 
spinto,   si  precipitò  contro  il   figliuolo,   gridando  : 

—  Cosi   rispondi,   facchino  ? 

vSe  la  principessa  e  Teresa  non  si  fossero  slanciate 
a  trattenerlo,  e  se  Consalvo  non  fosse  andato  subito 
via,  sarebbe  finita  male.  Da  quel  momento  la  rottura 
fu  totale.  Per  ordine  del  principe,  il  giovanotto  non 
venne  più  a  prender  i  pasti  con  la  famiglia  :  cosa  che 
se  dispiacque  alla  principessa,  e  più  alla  sorella,  fece 
a  lui  grandissimo  piacere.  Egli  vide  il  padre  un  mo- 
mento ogni  giorno,  per  dargli  il  buon  giorno  o  la 
buona  sera  ;  né  costui  lagnossi  più  del  mutismo  e  della 
solitudine  in  cui  si  chiudeva  il  figliuolo,  anzi  evitò 
egli  stesso  d' incontrarlo.  Prima  del  famoso  viaggio, 
quando  i  vizii  e  i  debiti  del  giovanotto  procuravano 
al  principe  stravasi  di  bile,  moti  nervosi  e  vere  ma- 
lattie, un  dubbio  era  sorto  nella  testa  di  quest'ultimo  : 
suo  figlio  era  forse  iettatore  ?  E  il  dubbio  adesso  fa- 
cevasi  strada,  quantunque  egli  non  osasse  manife- 
starlo. Ma  perchè,  dunque,  tutte  le  volte  che  egli 
affrontava  una  discussione  col  figliuolo,  gli  veniva  il 
mal  di  capo  o  gli  si  guastava  lo  stomaco  ?  Perchè,  du- 
rante la  lunga  assenza  di  Consalvo,  egli  era  stato  be- 
nissimo? In  un  altro  ordine  d'idee,  quella  conver- 
sione politica  che  aveva  acceso  il  furore  di  donna 
iFerdinanda  e  coonestata  1'  impugnazione  del  testa- 
mento, non  era  un'altra  prova  di  malefico  influsso? 
Rivangando  nella  propria  memoria,  il  principe  trovava 
altre  ragioni  di  credere  a  quel  funesto  potere  :  una 
vendita  andatagli  male  quando  il  figliuolo  aveva  detto  : 
«  Sarà  diflìcile  ottenere  buoni  prezzi  »  ;  una  scossa  di 
terremoto  prodottasi  dopo  che  il  giovanotto  aveva  os- 
servato :  «  L'  Etna  fuma  !...  »  Pertanto  egli  era  adesso 
contento  di  rion  averlo  più  vicino  ;  se  lo  incontrava 
per  le  scale,  o  traversando  le  stanze,  rispondeva  con 
un  cenno  del  capo  al  suo  saluto  e  tirava  via;  se  c'era 
una  necessità  qualunque  di  stargli  da  presso,  in  sa- 
lotto, quando  venivano  visite,  gli  parlava  il  meno  pos- 
sibile, scappava  appena  poteva. 


—  t47  — 

L'unico  mezzo  di  rimetter  la  pace  in  famiglia  era 
elle  il  giovane  prendesse  moglie  e  andasse  a  far  casa 
da  sé.  Tanto  e  tanto,  aveva  ventitré  anni,  e  tra  gli 
L^zeda  gli  eredi  del  principato  s'ammogliavano  presto. 
I  lavapiatti,  i  pettegoli,  i  curiosi,  tutti  coloro  che  s'oc- 
cupavano dei  fatti  dei  Francalanza  come  se  fossero  i 
proprii,  aspettavano  con  impazienza  il  matrimonio  di 
lui  e  di  Teresa,  discutevano  i  partiti  possibili.  Per 
Consalvo  c'era  l' imbarazzo  della  scelta  :  il  barone 
Currera,  il  barone  Requense,  il  marchese  Corvitini,  i 
Cùrcuma,  tanti  altri  avevano  figliuole  straricche  in 
età  d'andare  a  marito;  per  Teresa  la  cosa  era  piìi 
difficile.  Giovani  a  un  tempo  ricchi  e  nobili  tanto  da 
poterla  sposare,  non  c'erano  altri  che  i  due  figli  della 
duchessa  Radali.  La  duchessa,  sacrificati  i  suoi  pii^i 
begli  anni  per  amor  del  primogenito,  gelosa  di  lui, 
non  gli  aveva  ancora  dato  moglie,  non  trovando  buono 
nessun  partito;  e  se  lo  teneva  cucito  alle  gonne,  quasi 
potessero  rubarglielo;  invece  lasciava  libero  Giovan- 
nino, perchè  al  giovane  non  venisse  voglia  d'ammo- 
gliarsi. L'eredità  dello  zio  lo  aveva  fatto  ricco  quanto 
il  fratello  maggiore,  ma  tra  loro  due  c'erano  differenze 
che  andavano  considerate.  Michele  non  era  di  fisico 
molto  vantaggioso,  a  ventisei  anni  aveva  pochi  ca- 
pelli ed  una  corporatura  troppo  pingue  ;  ma  era  il  pri- 
mogenito, possedeva  tutti  i  titoli  della  casa  ;  il  se- 
condo, che  godeva  solo  di  quello  non  trasmissibile  di 
barone,  era  fra  i  giovani  più  graziosi  ed  eleganti. 
Quantunque  andassero  poco  dagli  Uzeda  dacché  c'era 
una  ragazza  da  marito,  —  anzi  a  causa  di  ciò,  —  le 
voci  d'un  possibile  matrimonio  trovavano  credito;  ma 
il  principe,  se  gli  domandavano  che  cosa  ci  fosse  di 
vero,  dichiarava  che  prima  doveva  ammogliarsi  Con- 
salvo, e  la  princif)essa  si  guastava  addirittura.  «  Queste 
ciarle  mi  dispiacciono,  non  per  niente,  ma  perchè  po- 
trebbero venire  all'orecchio  di  Teresina,  e  io  sono 
molto  gelosa  :  il  mio  sistema  è  che  le  ragazze  non 
debbano    saper  certe   cose   né   udire   certi    discorsi  !...  » 


—  148  — 

Teresa  pareva  non  udii'e  nò  questi  né  altri  discorsi, 
e  sognare  tuttodì  ad  occhi  aperti.  Divorava  i  pochi 
libri  di  versi  e  i  romanzi  che  la  principessa  le  con- 
sentiva di  leggere,  dipingeva  quadretti  dove  si  ve- 
devano castelli  merlati  sorgenti  in  mezzo  a  laghi  di 
cobalto,  trovatori  con  la  chitarra  ad  armacollo,  o 
più  spesso  castellane  inginocchiate  ed  oranti.  Madonne 
col  divino  Figimolo  tra  le  braccia.  Le  composizioni 
austere  e  più  le  sacre  erano  le  preferite  dalla  princi- 
pessa ;  e  la  figliuola  lasciava  perciò  da  canto  i  sog- 
getti futili.  Questa  costante  remissione  ai  voleri  altrui, 
questo  senso  di  doverosa  obbedienza  erano  sempre  vivi 
in  lei  ;  più  Consalvo  dava  motivi  di  cruccio  in  famiglia, 
più  ella  credeva  suo  obbligo  di  evitare  ai  parenti  ogni 
più  piccolo  dispiacere.  Le  finzioni  poetiche  dei  libri 
le  accendevano  la  fantasia  e  le  facevano  battere  il 
cuore,  ma  se  la  principessa  giudicava  troppo  lungo 
il  tempo  da  lei  dedicato  alle  letture  frivole,  le  smet- 
teva addirittura.  Spesso  udiva  lodare  un  romanzo,  un 
dramma,  un  volume  di  versi,  e  si  struggeva  di  leg- 
gerli, imaginando  quanto  dovevano  esser  belli,  che 
piacere  le  avrebbero  procurato  ;  non  ci  pensava  più 
se  la  madrigna  le  diceva  :  «  Xo,  Teresina,  non  sono 
per  te  ».  Certe  volte  quei  libri  erano  posseduti  da 
Consalvo,  il  quale,  benché  s'occupasse,  solo  di  studii 
positivi,  pure  comprava  anche  la  roba  amena  per  far 
vedere  che  era  a  giorno  di  tutto  ;  e  allora  sarebbe 
bastato  a  Teresa  farsi  prestare  il  volume  dal  fratello 
per  leggerlo  di  nascosto;  ma  quest'idea  non  le  pas- 
sava neppure  pel  capo,  per  la  stessa  ragione  che,  in 
collegio,  aveva  rifiutato  di  leggere  i  libri  che  qualche 
sua  compagna  era  riuscita  a  procurarsi,  e  non  aveva 
dato  ascolto  ai  discorsi  proibiti  delle  amiche  sven- 
tate. Il  confessore,  la  direttrice  le  avevan  detto  che 
non  bisognava  neppur  parlare  di  certe  cose,  ed  ella 
se  ne  asteneva,  rigorosamente.  Come  quando  era  bam- 
bina, r  idea  delle  lodi  e  del  premio  da  ottenere,  l'am- 
bizione   di    vedersi   additata   come   esempio   alle    altre, 


—  149  — 

vincevano  le  tentazioni  della  curiosità,  non  le  facevano 
sentire  le   privazioni  che   s' infliggeva. 

Adesso  la  conducevano  spesso  al  teatro,  d'estate  alla 
commedia,  d'inverno  al  melodramma;  ed  ella  non  sa- 
peva veramente  dire  quale  dei  due  spettacoli  le  piacesse 
di  più.  Ella  stessa  comtponeva  di  tanto  in  tanto  un 
valzer,  una  mazurca,  oppure  notturni,  sinfonie,  fan- 
tasie   senza    parole   che   portavano   per    titolo  :    Vorrei  ! 

Incanti,  Storia  mesta,   Ognor e  conoscenze,  parenti, 

amici,  tutti  andavano  in  visibilio  udendole;  lo  stesso 
maestro,  un  vecchietto  scelto  apposta  dalla  princi- 
pessa per  non  mettere  «  l'esca  accanto  al  fuoco  »,  pro- 
digava grandi  lodi  :  don  Cono,  il  vecchio  lavapiatti,  le 
dava  del  «  Bellini  in  gonne  »  ed  anzi  una  volta  escla- 
mò :  «  Opino  che  al  concerto  bellico  convenga  appa- 
rarle onde  eseguirle  in  pubblico  !  »  Il  concerto  bellico 
era  la  musica  militare,  che  godeva  la  fama  d'essere 
una  delle  migliori  d'Italia.  Teresa  si  schermì;  la  prin- 
cipessa, tra  il  piacere  di  far  conoscere  a  tutti  il  talento 
di  «  mia  figlia  »  e  la  repulsione  per  la  pubblicità,  non 
sapeva  risolversi  ;  il  principe,  poiché  non  ne  andavan 
quattrini  di  mezzo,  era  del  tutto  indifferente  ;  ma  don 
Cono,  incaponito  nella  sua  idea,  venne  un  giorno  a 
dire   che   aveva   già   parlato  al   capobanda. 

Il  maestro  venne  al  palazzo,  in  compagnia  del  lava- 
piatti :  era  un  giovane  cosi  bello  che  pareva  .San  .Mi- 
chele .\rcangelo  :  bruno  di  capelli,  biondo  di  baffi, 
roseo  di  carnagione.  La  principessa,  appena  lo  vide, 
cominciò  a  torcere  il  muso  e  a  far  segni  a  don  Cono 
per  dirgli  che  non  s'aspettava  da  lui  quella  parte  : 
condurle  in  casa  un  tipo  simile?..!  Intanto  il  maestro 
eseguiva  al  pianoforte  le  composizioni  della  signorina, 
con  un  colorito,  un'espressione,  un'anima  da  renderle 
irriconoscibili  alla  stessa  autrice;  e  ad  ogni  pezzo  le 
esprimeva  una  crescente  ammirazione,  e  quando  non 
ce  ne  furono  più,  disse  che  non  sceglieva  perchè  erano 
uno  pili  bello  dt-ll'altro  :  non  potendoli  prender  tutti, 
lasciava  clic  la  stessa  «  principessa  »  scegliesse,    Tere.sa 


—  15°  — 

g"li  diede  Storia  ìucsta ;  ma  quando,  finito  di  cavar  la 
partitura,  una  settimana  dopo,  il  maestro  si  presentò 
al  portone  del  palazzo,  per  far  vedere  il  suo  lavoro,  il 
portinaio  gli  disse  che  i  padroni  non  ricevevano. 
, —  Condurmi  in  casa  quel  tipo?  Non  m'aspettavo 
un  simile  tiro  da  voi  !  Si  vede  bene  che  non  avete 
figliuole  !  —  aveva  detto  donna  Graziella  al  vecchio 
lavapiatti,  non  riuscendo  a  darsi  pace;  ma  ella  esage- 
rava, come  in  ogni  cosa  :  la  principessina  di  Franca- 
lanza  poteva  forse  gettare  gli  occhi  sopra  un  capo- 
banda ? 

Storia  mesta  fu  eseguita  una  domenica,  alla  Marina, 
dalla  musica  del  reggimento  :  il  concerto  era  veramente 
uno  dei  migliori,  e  la  composizione  di  Teresa  parve  un 
vero  pezzo  d'opera,  con  certi  cantabili  affidati  ad  un 
corno  inglese  dolce  come  una  voce  umana,  e  certi  ef- 
fetti d'organo  da  far  credere  alla  gente  d'essere  a  S.^n 
Nicola,  dinanzi  allo  strumento  di  Donato  del  Piano. 
Teresa,  in  carrozza  chiusa,  sotto  i  platani,  stava  a 
udire,  col  cuore  che  le  batteva  come  se  volesse  schian- 
tarsi, con  un  nodo  di  piamo  alla  gola  e  pallida  in  viso 
come  una  rosa  bianca,  e  poi  a  un  tratto  di  porpora 
quando,  al  finire  del  pezzo,  s'  udì  uno  scroscio  d'ap- 
plausi     La  musica  sua,   quella   degli  altri,   i   dramrii, 

la  poesia  l'inebbriavano,  la  rapivano,  la  sollevavano  m 
alto,  in  cielo,  nell'etere  azzurro,  dove  ella  non  sentiva 
più  il  suo  corpo,  dove  aspirava  e  beveva,  anche  tr.\  le 
lacrime,  la  pura  felicità.  Ma  niente  delle  commozioni 
ora  dolci,  ora  ardenti,  or  tristi,  or  soavi,  or  disperate, 
ineffabili  sempre,  che  gonfiavano  il  suo  cuore  di  gioia 
o  lo  serravano  dall'angoscia,  era  noto  al  mondo.  Ella 
non  si  tradiva  :  mentre  l'anima  sua  era  più  turbata,  al 
pensiero  dell'amore,  nell'attesa  dell'amore,  dinanzi  agli 
uomini,  ai  giovani  belli  come  il  cugino  Giovannino  Ra- 
dali ;  mentre  la  fantasia  le  rappresentava  con  maggior 
evidenza  il  proprio  avvenire,  piaceri  e  dolori,  fortune 
e  sciagure,  ella  rimaneva  tranquilla  e  composta  e  se- 
rena. Non  le  costava  farsi  forza,  disperdere  quelle  fan- 
tasie per  attendere  alle  minute  o  ingrate  bisogne  reali. 


—    151   — 

La  conoscenza  del  maestro  del  reggimento,  le  sue 
lodi,  l'esecuzione  della  musica  avevano  scatenato  una 
tempesta  in  lei  ;  ma  quando  il  giovane,  per  divieto  della 
principessa,  non  tornò  più  al  palazzo,  ella  non  pensò 
più  a  lui.  Don  Cono,  incaponito  nella  sua  idea,  inco- 
raggiato dal  lieto  successo,  parlò  un  giorno  all'asses- 
sore dei  pubblici  spettacoli,  perchè  desse  ordine  al  di- 
rettore della  musica  cittadina  di  concertare  anche  lui 
le  composizioni  della  principessina.  Questo  assessore 
degli  spettacoli  era  Giuliano  Biancavilla,  figliuolo  di 
don  Antonio  e  dalla  Bivona,  un  giovanotto  sulla  tren- 
tina, bruno  di  carnagione  e  nero  di  capelli  come  un 
Arabe,  ma  fine,  elegante  e  con  gli  occhi  dolcissimi. 
Appena  udi  la  proposta  di  don  Cono,  diede  immedia- 
tamente gli  ordini  opportuni,  e  la  principessa  acconsentì 
che  la  figliuola  avesse  tutte  le  conferenze  occorrenti 
col  maestro,  che  era  sulla  sessantina.  Ma  quando  il 
diavolo  ha  da  ficcarci  la  coda  !  Donna  Graziella,  con 
tutte  le  sue  precauzioni,  non  potè  impedire  che  il  gio- 
vane assessore  mettesse,  da  lontano,  gli  occhi  addosso 
a  Teresa  !  Al  teatro  la  guardava  fiso,  senza  lasciarla 
un  istante;  al  passeggio,  la  sua  carrozza  seguiva  sem- 
pre quella  degli  Uzeda  ;  perfino  in  chiesa  si  faceva 
trovare  sul  loro  passaggio.  Appena  accortasi  di  quella 
commedia,  la  principessa  riferi  ogni  cosa  al  principe, 
il  quale  lasciò  cadere  tre  sole  parole  : 

—  È  pazzo,   poveretto. 

E  la  lingua  della  moglie  cominciò  a  lavorare.  Un 
Biancavilla  pretendere  alla  principessina  di  Franca- 
lanza  ?  Forse  perchè  una  Uzeda  aveva  sposato  un  Giu- 
lente  ?  Poveretto,  credeva  d'avere  a  fare  con  un'altra 
Lucrezia,  quell'assessore!...  Nobili,  sissignori  :  i  Bian- 
cavilla erano  nobili,  ricchi  anche  ;  ma  la  loro  ricchezza 
e  la  loro  nobiltà  non  li  faceva  eguali  ai  Viceré.  «  Guar- 
date frattanto  che  ardimento  e  che  petulanza  !  Far  ciar- 
lare la  gente  intorno  alla  mia  figliuola  !...  »  E  con  tutti 
i  suoi  discorsi,  non  s'accorgeva  di  diffondere  più  rapi- 
damente la  nuova. 


In  breve  non  si  parlò  d'  altro  in  città.  «  Gliela  da- 
ranno?... Non  .gliela  daranno?...»  Ma  tutti  ricono- 
scevano che  Biancavilla  aveva  posto  gli  occhi  troppo 
in  alto.  Baldassarre,  specialmente,  non  sapeva  darsi 
pace.  Egli  voleva  naturalmente  che  la  principessina 
sposasse  uno  fatto  per  lei,  un  barone,  a  dir  poco,  ricco 
da  mantenerla  come  una  Regina  ;  e  pure  aspettando 
che  il  principe  facesse  la  sua  scelta,  in  cuor  suo  aveva 
destinato  alla  padroncina  il  cugino  don  Giovannino. 
Questo  frattanto  era  per  lui  certo;  che  la  signorina 
non  si  sarebbe  neppure  accorta  dell'esistenza  di  Bian- 
cavilla. 

Invece,  alla  lunga,  gli  sguardi  del  giovane  avevano 
attirato  quelli  di  lei  quasi  per  virtù  magnetica,  e  le  fa- 
cevano adesso  affrettare  e  mancare  tutt'  in  una  volta 
il  respiro.  Anch'ella  lo  guardava,  di  tanto  in  tanto, 
senza  vederlo  bene,  dal  turbamento  ;  ma  tornava  a 
casa  felice  e  ridente  quando  lo  aveva  scorto  anche  da 
lontano,  e  si  metteva  a  improvvisare  al  pianoforte,  tre- 
mando da  capo  a  piedi,  come  se  egli  potesse  udire  tutti 
i    segreti    pensieri    d'amore    confidati    allo    strumento, 

le   divine   speranze  d'eterna   felicità In  collegio,   ella 

aveva  composto  talvolta  qualche  verso,  per  le  feste  delle 
maestre,  per  gli  onomastici  delle  amiche  :  voleva 
adesso  scriverne  per  lui,  metterli  in  musica  unicamente 
per    lui  — 

Se   fosse   il   pallido 
raggio   di  luna 
che   a  notte   bruna 
ti  posa   in  fronte  ; 

se  fossi  il   zeffiro  , 
la   lieve   brezza 
ohe  t'aiccarezza... 

Non  riuscì  ad  andare  più  innanzi,  ma  si  pose  a 
comporre  una  romanza  su  quel  tema,  intitolato  Se!-.. 
piangendo  di  dolcezza,  quando  non  la  vede\ano,  men- 
tre le  note  appassionale  s'in\ola\'ano  dal  pianoforte, 


In  inverno,  il  barone  Cùrcuma  diede  alcuni  balli. 
Donna  Graziella  non  aveva  ancora  condotto  Teresa  in 
società,  prima  di  tutto  perchè  non  intendeva  che  i  gio- 
vanotti avvicinassero  sua  «figlia»,  e  poi  anche  perchè 
non  aveva  giudicato  nessuna  casa  degna  d'esser  fre- 
quentata dalla  principessina.  Quella  dei  Cùrcuma,  ve- 
ramente, poteva  passare  ;  e  poi  il  principe  volle  che 
tutta  la  famiglia  vi  andasse.  Ma  il  cuore  le  parlava,  a 
donna  Graziella  :  giusto  la  prima  sera,  chi  ci  trovò  : 
Giu'iano  Biancavilla  !...  Se  quel  petulante  avesse  cono- 
sciuto un  poco  il  mondo,  sarebbe  rimasto  quieto  al  suo 
posto;  invece  pensò  di  farsi  presentare  e  di  ballare  con 
la  sua  Teresa  !...  Costei  tremava,  nelle  sue  braccia;  egli 
non  le  disse  altro  che  qualche  parola:  «È  stanca?... 
Grazie!...  »  ma  pare\a  a  lei  d'essere  in  cielo,  mentre 
la  principessa  stava  sulle  spine  e  faceva  segni  al  ma- 
rito per  dargli  segno  del  pericolo.  Ma  il  principe  era  in 
istretto  colloquio  col  padrone  di  casa;  e  a  un  tratto 
quel  petulante  si  ripresentò  per  chiedere  alla  signorina 
una  mazurca.  Allora  donna  Graziella  intervenne  : 

—  vScusate,   cavaliere  ;   mia  figlia  è   stanca. 

Con  una  gran  stretta  al  cuore  Teresa  s'accorse  del- 
l'opposizione della  madre.  Iniìammato  per  averla  te- 
nuta un  momento  fra  le  braccia,  Biancavilla  cominciò  a 
seguirla  per  le  vie,  come  l'ombra  :  la  principessa  gon- 
fiava, smaniava,  soffiava  :  una  volta,  sulla  porta  della 
chiesa  dei  Minoriti,  passandogli  innanzi,  esclamò  piano, 
ma  in  modo  che  i  vicini  potessero  udirla  :  «  Che  sec- 
catore !...  » 

Teresa  pianse  a  lungo,  nascondendo  le  proprie  la- 
crime, prevedendo  che  tutte  le  sue  speranze  si  sareb- 
bero infrante,  se  i  suoi  non  volevano.  Anche  i  Bian- 
cavilla sapevano  che  gli'  Uzeda  non  avrebbero  mai 
consentito  a- quel  matrimonio;  ma  il  giovane,  che  era 
proprio  cotto,  insisteva  giorno  e  notte  presso  la  madre  e 
il  padre  perchè  facessero  la  richiesta  ;  tanto  che  un 
giorno  Biancavilla  padre  prese  il  suo  coraggio  a  due 
mani   e   andò   a   parlare   col    duca.    Onesti,    con   grande 


—  154  — 

consumo  di  «  molto  onorati  »  e  di  «figuratevi  con 
quanto  piacere,  per  me  !  »  gii  rispose  che  ne  avrebbe 
parlato  al  principe  ;  Giacomo  ripetè  allo  zio  le  stesse 
tre  parole  dette  alla  moglie,  con  una  piccola  variante  : 
«_Sono  pazzi,  poveretti  !  »  Quindi  il  duca  rispose  a  don 
Antonio,  con  molte  belle  parole,  che  non  se  ne  poteva 
far  niente,  «  perchè  il  principe  voleva  prima  accasare 
Consalvo.  » 

Non  era  un  'pretesto.  Il  principe  aveva  iniziato  pra- 
tiche coi  Cùrcuma  ed  era  andato  in  casa  loro  per  com- 
binare il  matrimonio  della  baronessina  col  figlio.  Il 
partito  era  stato  accettato  a  occhi  chiusi,  e  l'assiduità 
di  Consalvo  ai  balli  del  barone  fu  appresa  come  l'ini- 
zio della  sua  corte  alla  signorina.  Ma  egli  non  sapeva 
niente  di  quanto  aveva  ordito  suo  padre,  e  andava 
ora  in  società  per  parlare  di  politica  e  di  filosofia. 
Tutto  l'oro  del  mondo  non  lo  avrebbe  piegato  a  fare 
un  giro  di  valzer  :  teneva  cattedra  nel  cerchio  degli 
uomini,  e  se  avvicinava  le  signore  o  le  signorine,  le 
metteva  a  parte  del  bilancio  comunale,  del  regola- 
mento scolastico  e  del  gettito  dei  dazii  consumo,  con 
molte  citazioni  statistiche  e  proverbii  latini.  Ripetuta  di 
bocca  in  bocca,  la  notizia  del  suo  matrimonio  arrivò 
anche  a  lui  ;  e  allora  egli  scoppiò  in  una  risata  cor- 
diale, dicendo,  più  laconico  del  padre  : 

—  Sono   pazzi  ! 

Prender  moglie,  sposare  una  bambola  carica  d'oro 
come  quella  baronessina,  legarsi  ancora  più  stretta- 
mente a  quel  paese  dal  quale  voleva  andar  via,  crearsi 
gli  avvincenti  doveri  della  famiglia,  quando  aveva  bi- 
sogno d'essere  libero  come  l'aria,  di  dedicare  tutte  le 
proprie  energie  al  conseguimento  dello  scopo  prefis- 
sosi ?  Matti,  davvero  !  E  la  cosa  gli  parve  tanto  buffa, 
che  neppur  volle  smettere  le  visite  al  barone. 

Giusto  in  quel  torno,  perduta  ogni  speranza.  Giu- 
liano Biancavilla  parti.  Chi  diceva  che  sarebbe  andato 
a  Roma,  chi  a  Parigi,  chi  aggiungeva  che  non  sarebbe 
inai   più   tornato  a  casa,    senza   riguardo  al   dolore  dei 


—  155  — 

suoi.  Il  duca,  per  incarico  del  principe  che  aveva  paura 
di  parlare  direttamente  col  figliuolo,  annunziò  a  Con- 
salvo che  era  tempo  di  prender  moglie  e  che  tutta  la 
famiglia   era   d'accordo   per   dargli   la   baronessina. 

—  Benissimo,  Eccellenza,  —  rispose  il  giovane.  — 
C  è  però  una  difficoltà. 

—  Cioè  ? 

—  Che  io  non  la  voglio  ! 

—  E  perchè  non  la  vuoi  ? 

— ■  Perchè  no  !  Si  tratta  di  me  o  di  \'ostra  Eccel- 
lenza ?  Si  tratta  di  me  !  Dunque  tocca  a  me  manife- 
stare  la   mia   volontà.    Io   non   la   voglio. 

Quando  il  duca  riferi  al  principe  questa  risposta, 
Giacomo  era  già  fuori  della  grazia  di  Dio,  per  aver 
saputo  che  il  perito,  incaricato  dal  tribunale  di  esami- 
nare il  testamento  del  fu  don  Blasco,  s'era  pronun- 
ziato contro  l'autenticità  della  scrittura.  Udendo  il  de- 
cisivo rifiuto  del  figlio,  egli  scoppiò,  gridando  con  voce 
rauca  : 

—  Ah,  iettatore  !  Lo  fa  apposta  !  Per  farmi  crepare  ! 
Ma  voglio  far  crepare  lui,  prima  !  Ditegli  dunque  che 
si  scelga  chi  diavolo  vuole  :  sposi,  sposi  la  prima  sgual- 
drina che  gli  piace,  una  di  quelle  ciarpe  con  le  quali 
andava  bagordando  quando  ancora  non  s'era  fitto  in 
capo  di  divenire  letterato  !  Sposi  chi  gli  piace  e  vada 
al  diavolo,  perchè  io  non  voglio  più  trovarmelo  fra  i 
piedi,   cotesto   iettatore  ! 

—  Eccellenza,  —  rispose  il  principino  allo  zio  che 
gli  riferiva  la  seconda  ambasciata,  —  io  non  voglio 
sposare  né  la  Cùrcuma,  né  nessun 'altra.  Sono  ancora 
giovane  e  ci  sarà  sempre  tempo  di  mettermi  la  catena 
al  collo.  La  cosa  certa  è  che  per  ora  non  bisogna  par- 
larmi di  matrimonio.  Non  sono  una  donna  come  la  zia 
Chiara,  che  la  nonna  fece  sposare  per  forza 

E   la    nuova    tempesta    si    veniva    addensando    sorda- 
mente ;  i  lampi  guizzavano  negli  sguardi  irosi  del  prin- 
cipe,   i   tuoni   rumoreggiavano  nella   sua  voce  cupa. 
—  Santo  Dio  d'amore!..,  —  diceva  la  principessa  q. 


Teresa.  —  Che  dispiacere,  questa  guerra;  che  scan- 
dalo! E  chi  sa  come  e  quando  finirà....  Ma  tu!...  Tu 
no,  non  hai  dato  a  nessuno  il  minimo  motivo  di  do- 
lore!...   Benedetta!...    Sempre  santa  cosi!... 

Teresa  si  lasciava  abbracciare  e  baciare  dalla  ma- 
drigna, assaporando  la  lode,  dolendosi  della  guerra  tra 
il  padre  e  il  fratello,  votandosi  alla  Madonna  affinchè 
la  facesse  cessare.  Che  cosa  poteva  offrire  alla  Vergine, 
per  ottenere  tanta  grazia?  L'amor  suo  per  Giuliano?... 
Xo,  era  troppo,  era  la  cosa  che  più  le  stava  a  cuore — 
Ella  non  vedeva  più  il  giovane,  non  aveva  notizia  della 
richiesta  e  del  rifiuto;  sapeva  nondimeno  che  i  suoi 
non  vedevano  bene  quel  partito  ;  ma  la  speranza  era 
in  lei  viva  ancora  :  un  giorno  o  l'altro  il  padre  e  la  ma- 
drigna avrebbero  potuto  ricredersi,  consentire  alla  sua 
felicità.... 

Un  giorno,  invece,  scoppiò  la  tempesta  tra  il  padre 
e  il  fratello.  Questi  aveva  ordinato,  di  suo  capo,  senza 
dirne  niente  a  nessuno,  quattro  grandi  scaffali  per  di- 
sporvi  i  suoi  libri  ;  quando  il  principe  vide  arrivare 
.quei  mobili,  fece  chiamare  Consalvo  e  gli  domandò 
concitato  : 

—  Chi  t'ha  permesso  d'ordinar  nulla,   in  casa  mia? 
Il  giovane  rispose,  con  la  studiata  freddezza  che  fa- 
ceva  imbestialire  suo  padre  : 

—  i\vevo    bisogno    di    questi    mobili. 

—  Qui  comando  io,  t'  ho  detto  molte  volte,  —  ri- 
battè l'altro,  facendo  sforzi  violenti  per  contenersi.  — 
Non  s'  ha  da  piantare  un  chiodo  senza  mio  permesso  ! 
Se  vuoi  far  da  padrone,  vattene  via  !  Nessuno  ti  trat- 
tiene !...    Prendi  moglie  e   rompiti   il  collo. 

• —  Ho  già  detto,  —  rispose  Consalvo  più  freddo  che 
mai,  —  ho  già  detto  allo  zìo  che  non  voglio  ammo- 
gliarmi  

—  Ah,  non  vuoi?...  Non  vuoi?...  Ed  io  ti  butterò 
via   a   pedate,   bestione!    facchino!    animale!... 

—  Tanto  meglio,  —  soggiunse  il  principino  freddo 
come  la  neve.   —  Mi   farete  piacere,.., 


^  ^=;7  — 

A  un  tratto  il  principe  impallidi  come  se  stesse  per 
svenire,  poi  diventò  paonazzo  come  per  un  colpo  apo- 
plettico, e  finalmente  proruppe,  abbaiando  come  un 
cane  : 

—  Fuori  di  qui  !...  Fuori  di  casa  mia!...  Ora,  all'i- 
stante,   cacciatelo    fuori  !... 

Accorsero,  pallidi  ed  impauriti,  la  principessa.  Te- 
resa e  Baldassarre  ;  con  la  bava  alla  bocca,  il  principe 
fu   trascinato  via   dalla   moglie  e  dal  servo. 

Teresa,  giunte  le  mani  tremanti  dinanzi  al  fratello, 
esclamò   con    voce    d'angosciosa    rampogna  : 

—  Consalvo!...   Consalvo!...   Come  puoi   fare  cosi? 

—  Tu  Io  difendi?  —  rispose  il  giovane,  sempre 
calmo,  ma  con  voce  un  po'  stridula.  —  Difendilo,  di- 
fendili,  gli   assassini   di  nostra  madre. 

—  Ah  ! 

Ella  nascose  la  faccia  tra  le  mani.  Quando  si  guardò 
intorno,  era  sola.  Un  andirivieni  di  servi,  per  la 
casa  :  chiamavano  un  dottore,  applicavano  vesciche  di 
ghiaccio  alla  fronte  del  principe.  Ella  andò  a  cadére 
dinanzi  all'  imagine  di  Maria  Santissima.  Un  rimorso, 
dopo  la  scena  disgustosa,  dopo  le  terribili  parole  del 
fratello,  le  serrava  il  cuore,  per  non  aver  voluto  offrire 
in  olocausto  l'amor  suo,  le  sue  speranze  di  gioia,  pur 
di  evitare  la  lite  violenta  e  la  tremenda  accusa.  Ella 
chiedeva  perdono  alla  Vergine  di  tanto  egoismo,  le 
chiedeva  conforto  ed  aiuto,  tremante  di  paura,  mal- 
ferma come  se  11  suolo  oscillasse  sotto  le  sue  ginoc- 
chia. Ed  era  ancora  in  ginocchio,  quando  fu  sorpresa 
dalla  principessa  che  la  chiamava  al  capezzale  del  padre. 

—  Figlia  mia  !  Figlia  mia!...  Che  cuore  di  figlia!... 
Si,  prega  la  Madonna  santa  che  torni  la  pace  :  Ella 
sola  oramai  può  fare  questo  miracolo —  Tuo  padre  non 
vuole  più  vederlo,  non  lo  vuole  più  in  casa;  ed  egli 
non   cede!...    Tu   no!   Tu   no!... 

E  tra  i  baci  e  le  lacrime,  le  parlò  di  qualcuno,  di 
lui ,  dandole  la  notizia  che  era  partito  : 

—  Era  il  meglio  che  potesse  fare.  Tu  forse  lo  guar- 


-  '58  - 

davi  con  simpatia  :  non  te  ne  incolpo  :  siamo  tutte  state 
ragazze  e  so  come  vanno  queste  cose.  Ma  non  avresti 
potuto  esser  felice  con  lui,  e  tuo  padre,  il  cui  unico 
scopo  è  la  tua  felicità,  non  voleva....  Non  ti  avrei  par- 
lato di  tutto  ciò  senza  i  dolori  che  soffriamo,  e  se 
non  sapessi  che  tu  sei  tanto  buona,  tanto  giudiziosa  da 
comprendere  che  tuo  padre  non  può  voler  altro  che  il 
tuo  bene.  È  vero,  figlia  mia?... 

La  prima  volta,  dopo  quella  scena,  che  il  principe 
udì  nominare  il  figliuolo,   gridò  : 

— •  Non  parlate  più  di  cotesto  iettatore  !  Non  lo  no- 
minate  più  !    O   mando   via   tutti  — 

La  rottura  fu  definitiva.  Il  duca,  messo  a  giorno  del- 
l'accaduto, venne  a  prendersi  Consalvo  e  lo  condusse 
per  alcune  settimane  in  campagna.  Di  ritorno,  fu  de- 
ciso che  il  principino  sarebbe  andato  ad  abitare  la  casa 
che  il  padre  possedeva  alla  .Marina.  Il  giovane  non 
chiedeva  di  meglio.  Arredò  il  quartiere  a  modo  suo,  e 
passò  a  starci  contento  come  una  pasqua.  Faceva 
adesso  da  padrone,  non  andava  più  alla  messa,  rice- 
veva chi  voleva,  invitava  a  casa  sua  i  pezzi  grossi  del 
Circolo,  ai  quali  mostrava  due  stanzoni  tutti  pieni  di 
carta  stampata.  I  vantaggi  erano  infiniti.  Al  palazzo, 
non  aveva  ancora  potuto  significar  bene  i  suoi  senti- 
menti liberali,  mettendo  fuori  lumi  e  bandiere  per  le 
feste  patriottiche;  qui  il  14  marzo  e  il  giorno  dello  Sta- 
tuto inalberava  un  bandierone  grande  quanto  una 
tenda,  e  disponeva  ai  balconi  una  fila  di  lampioncini 
che  splendevano  malinconicamente  nelle  tenebre  del 
quartiere  deserto.  Poi,  restava  nel  suo  studio  quanto 
voleva,  e  prendeva  i  suoi  pasti  nelle  ore  più  strava- 
ganti. Studiava  l'Enciclopedia  popolare,  ne  mandava 
a  memoria  gli  articoli  riguardanti  le  quistìoni  del 
giorno,  e  poi  sbalordiva  l'assemblea  con  la  propria 
erudizione,  dicendo  :  «  Su  questa  materia  hanno  scritto 
Tizio,  Caio,  Sempronio,  Martino,  etc,  etc.  »  Come 
un  tempo  aveva  gettato  sulla  folla  il  suo  tiro  a  quattro, 


—  '59  — 

COSI  la  schiacciava  con  tutto  il  peso  della  sua  dottrina, 
e  la  gente  che  si  tirava  da  canto,  un  tempo,  per  non 
restar  sotto  i  suoi  cavalli,  esclamando  tuttavia  :  «  Che 
bell'equipaggio  !  »  adesso  lo  stava  a  udire,  intronata 
della  sua  loquela,  dicendo  :  «  Quante  cose  sa  !  »  La  na 
tiva  spagnolesca  albagia  della  razza  ignorante  e  pre- 
potente, e  la  necessità  d'adattarsi  ai  tempi  democratici 
si  contemperavano  cosi  in  lui,  a  sua  insapxita.  Pur  di 
arrivare  all'  intento,  niente  lo  arrestava,  le  imprese 
più  ardue  non  lo  sgomentavano  ;  leggeva  i  libri  piili 
grevi  come  se  fossero  romanzi  ;  come  un  romanzo 
avrebbe  letto  un  trattato  di  calcolo  sublime.  Cavava 
da  quello  studio  il  mediocre  profitto  che  era  solo  pos- 
sibile :  acquistava  una  infarinatura  di  tutto,  ammagaz- 
zinava  cognizioni  disparate,  idee  contraddittorie,  una 
scienza  farraginosa  e  indigesta.  Ma,  in  mezzo  alla 
massa  ignorante  della  nobiltà  paesana,  si  guadagnava 
la  riputazione  di  «  istruito,  »  e  quando  la  gente  minuta 
udiva  nominare  il  principino  di  Mirabella,  tutti  dice- 
vano :    «  Quello  che   ora   fa   il   letterato  ?  » 

Una  bella  mattina,  tra  le  stampe  che  la  posta  gli 
portava  a  cataste,  ricevette  da  Palermo  il  primo  fasci- 
colo delVAraìdo  Sicolo,  opera  istorico -nobiliare  del 
Cavaliere  don  Eugenio  Uzeda  di  Francalansa  e  Mira- 
bella. Come  lui,  tutti  i  parenti,  i  sottoscrittori,  i  cir- 
coli ne  ebbero  un  esemplare.  L'opera  storico-nobiliare 
cominciava  con  Brevi  cenni  amplificati  sulle  dinastie 
che  avevano  regnato  nell'  isola  :  Real  Casa  Normanna, 
Real  Casa  Sveva,  Real  Casa  d'Angiò  e  cosi  via  discor- 
rendo fino  alla  Real  Casa  Sabauda  —  che  il  cavaliere 
aveva  riconosciuto  la  nuova  monarchia  per  vender  co- 
pie del  libro  alle  biblioteche  dello  Stato.  I  brevi  ap- 
punti amplificati  fecero  ridere  Consalvo,  la  Real  Casa 
Sabauda  fece  imbestialire  donna  Ferdinanda,  benché 
del  resto  la  vecchia  adesso  fosse  in  un  immutabile 
stato  di  furore  per  via  della  lite  ancora  indecisa.  Ma 
la  sua  collera  contro  la  famiglia  del  principe  s'ac- 
crebbe naturalmente,  poiché  la  stampa  di  quelle  «  por- 


• —   t6o  — 

cherie  »  era  stata  possibile  per  l'anticipazione  fatta  dal 
principe   a   don    Eugenio  !... 

Dopo  aver  promesso  duemila  lire,  il  principe  però 
non  ne  aveva  date  più  di  cinquecento,  per  le  quali  lo 
zio  aveva  dovuto  rilasciargli  una  cambiale  con  la  data 
in  bianco;  ma,  dopo  la  morte  di  don  Blasco,  i  rap- 
porti finanziarii  tra  zio  e  nipote  avevano  preso  una 
piega  pericolosa.  Don  Eugenio,  dapprima  con  le  buo- 
ne, poi  con  le  minacce,  scriveva  al  nipote  chiedendo 
altri  quattrini,  perchè,  in  caso  contrario,  egli  avrebbe 
fatto  lega  con  Ferdinanda  per  impugnare  il  testa- 
mento del  fratello  ;  il  principe,  da  canto  suo,  con  la 
cambiale  in  mano,  pretendeva  tenere  in  riga  lo  zio. 
Avviata  la  stampa  dell'opera,  il  cavaliere  piovve  un 
giorno  da  Palermo  :  era  più  sordido  di  prima,  aveva 
l'aria  più  affamata  che  mai.  Dopo  una  lunga  serie  di 
trattative,  il  principe  sborsò  altre  duemila  lire,  me- 
diante le  quali  don  Eugenio  rinunziò  con  apposito  atto 
a  tutto  quel  che  avrebbe  potuto  eventualmente  toc- 
cargli nella  spartizione  dell'eredità  del  monaco,  e  ri- 
conobbe il  nipote  proprietario  di  mille  esemplari  del- 
l'opera. 

Il  principe  aveva  capito  che  l'impresa  di  quella  pub- 
blicazione non  era  poi  l'affare  sballato  che  tutti  crede- 
vano. I  fascicoli  successivi,  dove  s' iniziava- la  storia 
delle  singole  famiglie,  andavano  a  ruba.  Don  Eugenio, 
in  verità,  si  restringeva  a  trascrivere  il  Mugnòs  e  il  \'il- 
labianca,  infiorandoli  di  locuzioni  di  sua  particolare  fat- 
tura ;  ma,  da  una  parte,  quei  libri  erano  introvabili,  o 
costavano  caro  e  si  prestavano  poco  alla  lettura,  coi 
loro  vecchi  tipi,  con  la  loro  carta  secca,  gialla  e  polve- 
rosa; mentre  l'edizione  di  don  Eugenio  era  veramente 
bella,  e  i  fascicoli  degli  stemmi  colorati  fiammeggia- 
vano dal  tanto  minio  e  dal  tanto  oro;  da  un  altro  canto, 
poi,  il  compilatore  usava  1'  innocente  artifizio  di  sop- 
primere le  indicazioni  troppo  precise,  talché  tre,  quat- 
tro, cinque  famiglie  che  portavano  per  caso  lo  stesso 
nome  senza   nessuna  relazione  di  parentado,   potevano 


—  Ibi  — 

credere  che  la  storia  della  sola  autenticamente  nobile 
fosse  anche  la  propria.  A  Palermo,  a  Messina,  in  tutta 
la  Sicilia,  egli  trovava  cosi  una  quantità  di  «  gentilesche 
genti  »  e  quindi  di  associati.  Certuni  volevano  dire  che 
prendesse  altri  quattrini  per  aggiungere  qua  e  là: 
«  Una  branca  di  cotanto  blasonata  famiglia  fiorisce  tut- 
tosl  nella  vetusta  città  di  Caropepe...  »  Donna  Ferdi- 
nanda, pertanto,  diventava  paonazza  dall'indignazione; 
e  anche  Consalvo  nutriva  un  profondo  disprezzo  per 
quel  parente  che  non  solo  prostituiva  in  tal  modo  sé 
stesso,  ma  discreditava  tutta  la  casata.  Il  principino 
però,  al  contrario  della  zia,  teneva  per  sé  i  propri!  sen- 
timenti, e  manifestava  solo  quelli  che  gli  giovavano. 
Sentiva  di  dover  fare  in  politica  come  aveva  visto  fare 
a  suo  padre,  in  casa,  quando  si  teneva  bene  con  tutti 
e  assecondava  le  pazzie  di  tutti  quanti,  salvo  a  dare  un 
calcio  a  chi  non  poteva  piij  nuocergli.  Adesso  adope- 
rava anch'egli  quel  metodo,  piaggiando  tutti  i  par- 
titi. Quello  dello  zio  duca  aveva  sempre  il  mestolo  in 
mano.  Veramente  nei  quattro  anni  passati  dallo  scio- 
glimento della  questione  romana,  il  favor  popolare 
aveva  a  poco  a  poco  ricominciato  ad  abbandonare  il 
deputato,  poiché  questi,  dimentico  del  pericolo  corso, 
persuaso  d'aver  consolidato  stabilmente  la  propria  po- 
sizione, non  temendo  più  sommosse  e  rivolgimenti, 
aveva  ripreso  a  mostrarsi  partigiano,  a  badare  agli  af- 
fari proprii  e  degli  amici  piuttosto  che  a  quelli  del 
paese,  a  trattare  il  collegio  come  un  feudo  ;  ma,  se  la 
gente  spicciola  ricominciava  a  mormorare,  i  pezzi 
grossi,  invece,  i  capi  della  camarilla  si  lasciavano  am- 
mazzare per  r  Onorevole,  non  giuravano  per  altro  che 
per  lui,  per  i  suoi  sani  principii  di  moderazione  :  nel 
novembre  di  quell'anno  Settantaquattro,  egli  fu  rie- 
letto, senza  dimostrazioni,  ma  senza  opposizioni  :  alla 
unanimità.  Cosi  Consalvo,  dinanzi  allo  zio  ed  ai  suoi 
amici  celebrava  la  saldezza  della  loro  fede,  l'eccellenza 
nel  principio  conservatore  «  da  cui  dipende  la  salute 
dell'  Italia  »  ;    ma   trovandosi    dinanzi   a   qualcuno    degli 

De   Roberto.   1    Viccri:    -    II  11 


avversarli,  affermava  la  necessità  del  progresso,  la 
convenienza  che  anche  la  Sinistra  facesse  la  prova  del 
governo,  perchè  «  come  dice  il  celebre  Tal  dei  Tali,  i 
partiti  debbono  alternarsi  al  potere.  »  E  se  gl'i  stavano 
di  fronte  due  che  la  pensavano  in  modo  contrario,  ta- 
ceva o  dava  ragione  ad  entrambi  e  torto  a  nessuno. 
Tranne  che  nel  grande  principio  aristocratico,  nel  pro- 
fondo sentimento  di  sprezzo  verso  la  ciurmaglia,  nella 
ferma  opinione  d'esser  fatto  veramente  d'un'altra  pa- 
sta, neir  ardente  bisog-no  di  comandare  al  gregge 
umano  come  avevano  comandato  i  suoi  maggiori,  egli 
era  disposto  a  concedere  tutto.  Non  aveva  neppure 
scrupolo  di  sostenere  a  parole  il  contrario  di  quel  che 
pensava,  se  era  necessario  nascondere  il  proprio  pen- 
siero ed  esprimerne  un  altro.  Le  parole  «  repubblica  »  e 
«  rivoluzione  »  gli  facev'ano  passare  brividi  di  paura 
per  la  schiena  ;  ma,  per  .secondare  la  corrente  demo- 
cratica, per  farsi  perdonare  la  sua  nascita,  s'ingra- 
ziava il  partito  estremo.  Al  Circolo  Nazionale  buona 
parte  dei  socii,  pure  accettando  le  istituzioni,  onora- 
\'ano,  sopra  tutti  gli  uomini  del  risorgimento,  Mazzini 
e  Garibaldi;  altre  società,  specialmente  le  popolari,  fe- 
steggiavano il  19  marzo,  giorno  di  San  Giuseppe,  in 
loro  onore;  egli  ripetè  l'esposizione  del  bandierone  e 
dei  lumi  anche  in  quell'occasione,  cercò  apposta  i  più 
noti  repubblicani  per  dir  loro  :  «  Io  non  capisco  l'esclu- 
sivismo di  certuni  :  senza  Mazzini  il  fuoco  sacro  si  sa- 
rebbe spento;  e  senza  Garibaldi,  chi  sa,  Francesco  II 
sarebbe  ancora  a  Napoli  ». 

Né  credeva  alla  sincerità  della  fede  altrui.  Monar- 
chia o  repubblica,  religione  o  ateismo,  tutto  era  per 
lui  quistione  di  tornaconto  materiale  o  morale,  imme- 
diato o  avvenire.  Al  Noviziato  aveva  avuto  l'esempio 
della  sfrenata  licenza  del  monaci  che  avevano  fatto 
voto  dinanzi  al  loro  Dio  di  rinunziare  a  tutto;  in  casa, 
nel  mondo,  aveva  visto  che  ciascuno  tirava  a  fare  il 
proprio  comodo  sopra  ogni  cosa.  Non  c'era  dunque 
nienl 'altro    fuorché   l'interesse    individuale;    per    soddi- 


-   i63  - 

start'  il  suo  amor  proprio  eg'li  era  disposto  a  giovarsi 
di  lutto.  Del  resto,  il  sentimento  ereditario  della  pro- 
pria superiorità  non  gli  permetteva  di  riconoscere  il 
male  di  questo  scettico  egoismo  :  gli  Uzeda  potevano 
fare  ciò  che  loro  piaceva.  Il  conte  Raimondo  aveva 
distrutto  due  famiglie;  il  duca  d'Oragua  s'era  arric- 
chito a  spese  del  pubblico,  il  principe  Giacomo  spo- 
gliando i  proprii  parenti  ;  le  donne  avevano  fatto  stra- 
\  aganze  che  confinavano  con  la  pazzia  :  se  egli  dun- 
que s'accorgeva  talvolta  d'essere  in  fallo,  secondo  la 
morale  dei  più,  pensava  che  in  fin  dei  conti  faceva 
meno   male   di   tutti  costoro. 


IV. 


Il  principe  Giacomo  tardò  molto  a  riaversi  intera- 
mente dal  colpo  che  l'ultima  spiegazione  col  figlio  gli 
aveva  procurato..  Con  la  minaccia  d'una  congestione  ce- 
rebrale, si  condannò  da  sé  stesso,  pel  terrore  di  morire 
di  subito,  a  una  dieta  magra  che  gli  impoverì  il  san- 
gue. Debole,  irritabile,  divenne  più  di  prima  il  terrore 
della  casa,  e  attribuendo  più  che  mai  il  proprio  male  al 
pestifero  influsso  del  figliuolo,  non  soffriva  più  d'u- 
dirlo nominare.  Nei  primi  tempi,  se  Baldassarre  o  qual- 
cuno dei  lavapiatti  o  della  servitù  alludeva  al  princi- 
pino, egli  esclamava,  afferrando  1'  ignobile  amuleto, 
tenendolo  stretto  come  in  procinto  di  naufragare  :  «  Sa 
Iute  a  noi  !...  Salute  a  noi  !...  »  e  ingiungeva  alle  per- 
sone di  tacere,  di  smettere  immediatamente,  rosso  in 
viso  come  se  davvero  fosse  per  morir  soffocato.  La 
gente  si  faceva  il  segno  della  croce  udendo  parlare  di 
quella  paura  inumana,  di  quell'avversione  contro  na- 
tura; Teresa  ne  soffriva  più  di  tutti.  Poiché  suo  fra- 
tello non  poteva  più  venire  al  palazzo,  ella  stessa  an- 
dava   a    trovarlo,    in   compagnia    della    principessa,    per 


—   164  — 

la  quale  Consalvo  era  tornato  d'  un'  indiiìcrcnza.  quasi 
serena  ed  urbana,  poco  lontana  dall'affabilità.  La  ma- 
drigna, di  nascosto  dal  principe,  mandava  al  giova- 
notto buona  parte  della  roba  che  i  fattori  portavano 
dalla  campagna,  e  quantunque  ella  stessa  disponesse 
di  pochi  quattrini,  pure  metteva  a  disposizione  del 
figliastro  la  propria  borsa.  Consalvo,  ringraziandola, 
non  accettava  nulla  :  suo  padre  gli  aveva  fatto  un  asse- 
gno, e  Baldassarre  gli  portava  ogni  primo  del  mese  i 
quattrini.  Erano  pochi,  ma  egli  s'  ingegnava  di  farli 
bastare,  soffocava  i  suoi  bisogni  costosi,  mortificava  i 
suoi  desideri!  di  lusso;  e  non  ne  soffriva,  o  ne  soffriva 
come  d'una  cura  dolorosa,  necessaria  al  riacquisto  della 
salute.  Quanto  al  principe,  era  come  se  egli  non  avesse 
più  quel  figliuolo  :  costretto  a  parlare  di  lui,  non  lo 
chiamava  più  «  mio  figlio,  »  né  «  Consalvo,  »  né  «  il 
principino,  »  ma  «  Salut'a  noi  !...  »  Diceva,  per  esem- 
pio, a  Baldassarre  :  «  Porta  la  mesata  a  Salut'a  noi...  » 
oppure  domandava  alla  principessa,  in  qualche  raro 
momento  di  buon  umore  :  «  Che  dice  quella  bestia  di 
Salut'a  noi  ?...  » 

E  Teresa  non  pensava  più  a  Giuliano,  dimenticava 
il  proprio  dolore,  atterrita  da  quell'odio  scellerato. 
Ella  non  leggeva  più,  non  sedeva  più  al  pianoforte, 
col  triste  pensiero  sempre  nella  mente.  L'esilio  del  fra- 
tello era  grave  al  suo  cuore  ;  ma  perché  aveva  egli 
suscitalo  l'ira  del  padre  ?  Come  aveva  osato  incolpar- 
lo?... Se  pure  egli  avesse  avuto  ragione?  se  era  ve- 
ro?... Allora  si  nascondeva  il  viso  tra  le  mani,  come 
nel  pauroso  momento  della  rivelazione,  per  non  pen- 
sare, per  non  rammentare.  Non  rammentava  ella  la 
madrigna  far  da  padrona  in  casa  della  sua  povera 
mamma?  Non  rammentava  il  dolore  provato  all'annun- 
zio che  suo  padre  sposava  '  quell'altra  qualche  mese 
dopo  la  morte  della  sua  santa  mamma?...  Ma  no!  Ma 
no  !  Per  discacciare  i  suoi  ricordi,  per  vincere  l'or- 
ribile pensiero,  si  segnava,  pregava,  e  usciva  fortifi- 
cata  dall'orazione.    Era    colpa    dimorare    in    quei    pen- 


-  i65  - 

sieri,  continuar  quell'indagine  :  ella  unicamente  doveva 
al  padre  rispetto,  obbedienza  ed  amore.  E  credendo  suo 
debito  compensarlo  della  ribellione  di  Consalvo,  lo  ub- 
bidiva cecamente,   lo  ser\dva  con  umiltà. 

Il  principe  non  le  sapeva  grado  di  quella  sua  ine- 
sauribile bontà.  Se  talvolta,  essendo  triste,  provando 
il  bisogno  di  sollevare  un  istante  lo  spirito  oppresso, 
ella  si  metteva  al  pianoforte,  i  suoni  lo  irritavano,  le 
ingiungeva  che  smettesse.  Sempre  più  interessato,  liti- 
gava sulle  spese  per  le  sue  vesti  ;  Teresa  si  conten- 
tava di  tutto.  Ma  per  solo  capriccio  di  criticare,  di  eser- 
citare comunque  la  propria  autorità,  ed  anche  per  una 
specie  d'invidia  che,  goffo  com'era  sempre  stato,  gli 
destava  l'abilità  con  la  quale  ella  faceva  figurare  come 
un  abito  di  lusso  la  pilli  modesta  vesticciuola,  la  pun- 
zecchiava assiduamente  a  proposito  della  sarta  o  del 
figurino   di   mode. 

Un  giorno  però,  contro  il  solito,  s'occupò  dell'abbi- 
gliamento della  figliuola  non  per  rimproverarne  l'ele- 
ganza, ma  per  giudicarlo  troppo  modesto. 

—  Non  hai  un  abito  più' grazioso  da  mettere  oggi  ? 
Era  una  domenica  d'estate,   e  come   di  consueto  la 

principessa  e  Teresa  andavano  fuori  in  carrozza  per 
prendere  il  gelato  e  fermarsi  poi  dinanzi  al  cancello  del 
Giardino  pubblico,  a  veder  la  folla  pedestre  che  v'en- 
trava borghesemente  durante  il  concerto.  Ma,  usciti  ap- 
pena dal  portone,  donna  Graziella,  che  s'abbottonava 
ancora  i  guanti;  disse  a  Teresa  : 

—  Andiamo  a  fare  una  visita  alla  zia  Radali.  Oggi 
è  il  suo  onomastico. 

Da  un  pezzo  non  la  conducevano  più  li;  ma  la  prin- 
cipessa e  la  duchessa  si  salutarono  come  se  si  fossero 
lasciate  il  giorno  innanzi.  C'erano  i  due  figliuoli,  il  duca 
e  il  barone,  e  altri  parenti;  furono  serviti  i  rinfreschi,  la 
società  si  sciolse  molto  tardi. 

La  duchessa  restituì  la  visita  coi  figliuoli,  e  le  rela- 
zioni furono  riprese  con  più  intrinsichezza  di  prima.  Il 
duca   Michele,    mezzo  calvo,   grasso,   asmatico,  trascu- 


—  i66  — 

rato  nel  vestire,  stava  male  e  mal  volentieri  in  società; 
Giovannino  invece  vi  fig^urava  moltissimo.  Salutando 
la  cugina,  mettendosi  vicino  a  lei,  parlandole,  eg^li  fa- 
ceva mostra  di  molta  grazia,  d'una  viva  premura;  il 
primogenito,  più  grossolano,  più  ignorante,  apriva  di 
rado  la  bocca,  non  parlava  se  non  di  quaglie  e  di  co- 
nigli, del  Biviere  e  del  Pantano,  di  cani  e  di  doppiette. 
Teresa,  cortese  ed  amabile  con  tutt'e  due,  sentiva  risor- 
gere e  a  poco  a  poco  farsi  più  forte  l'ammirazione  per 
la  bellezza  del  cugino.  Ella  aveva  dimenticato  Bianca- 
\ì\\a,  ma  c'era  un  vuoto  nel  suo  cuore  :  il  pensiero  di 
Giovannino  lo  colmava.  Dopo  una  lunga  mortificazione, 
l'anima  sua  schiudevasi  ancora  una  volta  all'amore; 
il  canto  le  fioriva  sulle  labbra,  il  pianoforte  ridiventava 
il   suo  confidente,    i   libri   di   poesia   i   suoi   ispiratori. 

Tra  le  due  famiglie  l'intimità  si  venne  stringendo 
sempre  più;  c'era  un  continuo  scambio  di  regali,  la 
A'oce  del  matrimonio  di  Teresa  con  uno  dei  cugini  tor- 
nava ad  acquistar  nuovo  credito  ;  ma  ne  il  principe  né 
la  principessa  si  spiegavano  con  nessuno.  Baldassarre 
però  trionfava  :  il  partito  che  egli  aveva  destinato  alla 
padroncina  era  quello  che  i  padroni  preferivano  !  E 
con  un  piacere  immenso,  con  una  gioia  indicibile,  ve- 
deva che  tra  la  signorina  e  il  barone  la  simpatia  cre- 
sceva ogni  giorno.  Il  duca  Michele  regalava  gran  quan- 
tità di  cacciagione  agli  Uzeda,  ma  Giovannino,  che  si 
occupava  con  amore  di  floricoltura,  mandava  enormi 
mazzi,  i  quali  finivano  tutti  nella  cameretta  di  Te- 
resa, o  piante  rare  e  delicate  che  ella  educava  amoro- 
samente. Amante  della  buona  tavola,  il  primogenito 
era  sempre  un  po'  intorpidito  dal  cibo  e  dalle  libazioni  ; 
se  si  facevano  quattro  salti,  egli  restava  sopra  una 
poltrona  a  sonnecchiare;  Giovannino  ballava  con  Te- 
resa. Una  delle  cose  che  più  facevano  piacere  alla  prin- 
cipessina era  l'udir  parlare  del  fratello  in  quella  casa 
dove  non  si  poteva  più  nominarlo  :  farne  le  lodi,  van- 
tarne l'intelligenza,  la  serietà  della  conversione,  era  il 
miglior  mezzo  per  guadagnarsi   il   cuore  della   sorella. 


—  167  — 

E  Giovannino,  rammentando  i  tempi  del  Noviziato  e 
le  monellate  commesse  a  San  Nicola,  profetava  a  Con- 
salvo il  più  lieto  avvenire,  andava  apposta  a  fargli 
visita  per  riferire  a  Teresa  d'averlo  trovato  intento  allo 
studio. 

—  Sapete,  cugina,  —  le  disse  una  sera,  —  Con- 
salvo  

—  Sst...!  —  esclamò  piano  Teresa,  giungendo  le 
mani.  —  Il  babbo 

Infatti  il  principe  passava  in  quel  momento  vicino  ad 
essi,    dirigendosi   verso  la  duchessa. 

—  Vogliono  Consalvo,  —  riprese  Giovannino  all'o- 
recchio della  cugina,  —  consigliere  comunale.  Ve- 
drete  che   risulterà   dei   primi — 

Benedetto  Giulente,  come  aveva  promesso,  fu  il 
padrino  del  candidato.  Egli  non  sospettava  di  prepa- 
rare il  terreno  ad  un  rivale.  Gli  pareva  che  un  posto 
nella  rappresentanza  civica  bastasse  all'attività  e  alla 
ambizione  del  nipote  ;  tutt'al  piìi  Consalvo  avrebbe  po- 
tuto prender  parte,  più  tardi,  all'amministrazione  mu- 
nicipale, essere  eletto  assessore  e,  chi  sa,  un  giorno, 
nominato  anche  sindaco.  Che  aspirasse  al  Parlamento, 
né  sospettava,  né  credeva  possibile.  Prima  di  tutto,  lo 
zio  duca  gli  aveva  garentito  tante  A'^olte  che,  ritiran- 
dosi dalla  politica  militante,  avrebbe  ceduto  a  lui,  Be- 
nedetto, il  proprio  posto;  e  questo  ritiro,  attesa  l'età 
dell'Onorevole,  poteva  tardare  ancora  di  poco;  forse  il 
seggio  sarebbe  rimasto  libero  alla  prossima  legisla- 
tura, quando  Consalvo  non  avrebbe  neppure  compiuti  gli 
anni  dì  legge.  Del  resto  gli  mancavano  tante  altre 
cose,  l'esperienza  della  vita  pubblica,  principalmente, 
e  segnatamente  il  patriottismo.  Agli  occhi  di  Benedetto, 
che  si  struggeva  da  tanti  anni  dal  desiderio  d'essere 
mandato  •  alla  Camera,  aver  preso  parte  alle  battaglie 
dell'indipendenza  e  dell'unità,  aver  pagato  un  tributo 
di  sangue,  era  il  massimo  titolo  per  aspirare  alle  pub- 
bliche  cariche.    Ora    Consalvo    non    solo   era    bambino 


—  i68  — 

quand'egli  si  batteva  sul  Volturno,  ma  fino  a  due  anni 
addietro  non  aveva  nascosto  a  nessuno  l'affezione  e  il 
rimpianto  per  l'antico  regime.  Giulente  credeva  che 
la  conversione  del  nipote  fosse  in  gran  parte  merito 
proprio,  e  ne  andava  naturalmente  altero,  e  si  credeva 
destinato  a  guidare  ancora  per  lungo  tempo  l'erede 
degli  Uzeda  nella  vita  pubblica;  l'atteggiamento  osse- 
quiente del  giovanotto  lo  confermava  in  questa  fiducia. 
Ad  aprirgli  gli  occhi  non  valse  l'esito  delle  elezioni 
amministrative.  Egli  stesso  era  tra  i  candidati,  avendo 
finito  il  suo  quinquennio,  e  Consalvo  si  presentava 
la  prima  volta  ;  Consalvo  fu  eletto  il  secondo,  subito 
dopo  lo  zio  duca,  sempre  primo;  Giulente  ebbe  il  de- 
cimo posto Alla  prima  riunione  del  Consiglio  ricon- 
vocato, il  principino  venne  severamente  vestito  d'una 
redingote  tagliata  all'  inglese,  con  cravatta  scura  e  cap- 
pello alto  :  mentre  già  tutti  erano  ai  loro  posti,  egli 
s'aggirava  per  l'angusta  sala  delle  riunioni,  salutando 
i  conoscenti,  chiacchierando  col  sindaco,  interrogando 
il  segretario  e  volgendosi  di  tanto  in  tanto  alla  mezza 
dozzina  di  curiosi  che  stavano  vicino  all'uscio.  Sedu- 
tosi finalmente  in  un  angolo,  per  evitar  vicinanze,  co- 
minciò a  sfogliare,  con  mani  inguantate,  il  volume 
del  bilancio  e  a  prendere  appunti,  facendo  correre  l'u- 
sciere per  spedir  biglietti  a  destra  e  a  manca,  come 
aveva  visto  che  usava  a  Montecitorio.  Appena  si  pre- 
sentò l'occasione  di  parlare,  l'acchiappò  a  volo.  Trat- 
ta vasi  dell'  inaffiamento  stradale  che  facevano  con  un 
metodo  troppo  primitivo  :  egli  chiese  di  parlare  e  spiegò 
quello  che  aveva  visto  all'estero.  Raccomandò  il  si- 
stema di  Londra  e  suggerì  al  sindaco  l'idea  di  scrivere 
al  Lord  Mayor  «  che  è  il  primo  magistrato  civico  della 
capitale  inglese.  »  Mentre  c'era,  aggiunse  che  il  Muni- 
cipio avrebbe  dovuto  pensare  anche  ad  ordinare  un 
corpo  di  pompieri.  «  Nei  miei  viaggi,  non  vidi  mai 
città,  per  piccola  che  fosse,  la  quale  non  avesse  simile 
istituzione,  la  cui  necessità  non  ho  bisogno  di  far  no- 
tare agli  onorevoli  del  consiglio.  »  Nondimeno,  per  di- 


—   log  — 

mostrare  la  convenienza  di  quel  servizio,  enumerò 
quante  case  s'incendiavano  a  Costantinopoli,  in  media, 

ogni  anno.    «  È   vero  che  non   siamo   in  Turchia »   e 

fece  una  breve  pausa  per  dar  tempo  ai  colleghi  di  ri- 
dere della  facezia,  «  ma  pensate  un  poco,  onorevoli  del 
consiglio,  ai  grandi  magazzini  di  zolfo  che  si  trovano 
ad  ogni  pie'  sospinto  dentro  le  mura  della  nostra  cit- 
tà. »  Allora  spiegò  che  lo  zolfo  «  è  una  sostanza  emi- 
nentemente combustibile,  come  quella  che  entra  nella 
composizione  della  stessa  polvere  pirica;  e  se  le  sue 
lente  combinazioni  con  l'ossigeno,  preparate  nelle  offi- 
cine, sono  di  tanta  applicazione  nell'industria  e  nel 
commercio  col  nome  di  acido  solforico,  una  combina- 
zione troppo  rapida  manderebbe  in  fiamme  la  nostra 
città » 

11  discorso  ebbe  un  bel  successo  :  pochi  osserva- 
rono che  quel  giovanotto  di  primo  pelo  aveva  1'  aria 
di  far  la  lezione;  quasi  tutti  ammirarono  la  facilità  della 
sua  parola  e  giudicarono  che  il  principino  di  Mira- 
bella era  davvero  un  giovane  aistruito  ».  Egli  continuò 
a  parlare  ogni  giorno  :  per  la  discussione  del  bilancio 
pronunziò  una  trentina  di  concioni  una  piii  sbalordi- 
tiva dell'  altra  :  sulla  quistione  della  dote  al  Comunale 
tirò  in  ballo  Sofocle  e  Euripide,  gli  odei  della  Grecia 
e  i  circhi  romani  ;  parlando  dell'ospedale  fece  un  pic- 
colo corso  di  clinica  distinguendo  tutte  le  malattie  per 
le  quali  bisognava  poter  disporre  d'altrettante  sale; 
a  proposito  della  pescheria  citò  Darwin  e  1'  Origine 
della  specie,  «  giacché  il  pesceluna  che  s'  imbandisce 
nelle  nostre  mense  e  le  sardine  che  ailimentano  il 
popolo  discendono  dagli  stessi  protozoi  ».  Sul  capitolo 
del  camposanto  arrisciiiò  questa  idea  :  «  Io,  veramente, 
non  sarei  alieno  dal  concetto  storicamente  più  este- 
tico e  scientificamente  più  razionale  della  crema- 
zione   »  ma  le  unanimi,  vivaci  proteste  di  una  doz- 
zina di  consiglieri  clericali  lo  fecero  accorto  che  sba- 
gliava  strada. 

Lì   dentro,   e   nel   paese,    i   clericali   erano   una   forza 


con  la  quale  bisognava  patteg^giare.    Già  essi   avevano 
notato  che  il  principino,    imbandierando  e   illuminando 
la   sua   casa   per   tutte    le   feste    costituzionali   e   demo- 
cratiche,   pareva    non    accor^gersi    delle    solennità    reli- 
giose, della  festa  di  Sant'Agata  specialmente.  La  cele- 
bravano, come  sempre,  due  volte  all'anno  :  in  febbraio 
e    in    agosto;    ma    la    nuova    Giunta    libera-pensatrice, 
giudicato  che  una  sola  gazzarra  bastasse,   aveva  sop- 
presso   dal    bilancio    l'assegno,  per    la    festa     estiva. 
Questo    fii    il    segnale    di    una    specie    di    guerra    civile. 
Dal    pulpito,    nei    confessionali,    nelle    sacrestie    i    preti 
incitavano   i   fedeli   alla   riscossa  ;    i   liberali    si   ostina- 
vano nel  loro  proposito,   gì'  indifferenti  erano  costretti 
a    prendere    un     partito,    e    le    cose    minacciavano    di 
guastarsi.    Il   Consiglio   fu   chiamato   a   decidere.    Una 
folla     straordinaria     .'issistè     alle     tempestose     sedute  : 
sagrestani,    scaccini,    appaltatori    e    mercantucci    inte- 
ressati   alla    festa    pel    g-uadagno    che    ne    speravano  ; 
giornalisti    improvvisati    badavano    a    stendere    precise 
relazioni    del    dibattimento    per   divulgarle.    I    campioni 
liberali  facevano  grandi  sfoggi  di  eloquenza,  ma  erano 
fischiati  di  santa  ragione;  i  clericali,  quasi  tutti  poveri 
oratori,  erano  invece  portati  alle  stelle.   Il  duca  d'Ora- 
gua   non    parlava,    come   non   aveva    mai    parlato,    ma 
si   sapeva   che   avrebbe   votato   a   favore  ;    Giulente,    in 
cuor   suo,   era   contrario,    ma   per   far  la   corte   allo  zio 
avrebbe    votato   come   lui.    Con   chi    si    sarebbe   messo 
il    principino?   C'era   una   grande   curiosità   di   saperlo; 
pertanto,'  il  giorno  che  egli  parlò,   una  folla  tripla  del 
consueto    si    stipava    nella    piccola    sala    e    tendeva   le 
orecchie    dalle    contigue.    E,gli    cominciò    a    parlare    in 
mezzo   a    un   silenzio   profondo.    L'esordio    accrebbe   la 
curiosità,  consistendo,  al  solito,  nella  ripetizione  lauda- 
tiva di  tutto  ciò  che  avevano  detto  «  gli  egregi  preo- 
pinanti ».    Poi  :    «  Ma,    signori   del   consiglio,    consenti- 
temi   di    lasciare    per    un    momento    la    quistione    che 
sta  sul  tappeto  e  di  rivolgere  a  me  stesso  una  domanda, 
che    parrebbe    non    avere,    ma    invece    ha    diretto    rap- 


I?!     — 

porto  con  quella  (i  cronisti  notarono:  segni  d' atteìi- 
zione).  La  domanda  è  questa  :  i  rappresentanti  del 
paese  vengono  a  sedere  nell'  aula  consiliare  per  soste- 
nere le  idee  che  passano  loro  pel  capo,  e  siano  pure 
provvide  e  giuste,  o  non  piuttosto  per  eseguire  il 
mandato  che  ripetono  dal  popolo  sovrano?...  Certa- 
mente per  tutelare  gl'interessi,  per  soddisfare  i  bisogni 
del  popolo  che  rappresentano.  Ora,  di  fronte  alla 
quistione  che  ci  occupa,  il  paese  ha  una  volontà?  Se 
si,  qual  è  dessa?...  Signori  del  consiglio,  sarebbe  vano 
nasconderlo  :  il  paese,  o  per  lo  meno  la  più  gran  parte 
di  esso,  vuole  la  festa!  »  Il  silenzio  religioso  mante- 
nuto fino  a  quel  punto  fu  rotto  da  un  urlo  d'  appro- 
vazioni :  uragano  d'  applausi,  notarono  i  cronisti  cleri- 
cali, mentre  i  consiglieri  liberi-pensatori  scrollavano  il 
capo,  facevano  atto  di  protesta,  chiedevano  di  parlare. 
Calmo  in  mezzo  alla  tempesta,  data  un'occhiata  alle 
cartelle  che  teneva  dinanzi,  egli  riprese,  dominando  il 
tumulto  con  la  voce  squillante  :  «  Consideriamo  per 
un  momento  accertato  che  la  volontà  del  paese  è  per 
la  festa  :  noi,  suoi  delegati,  qual  altro  obbligo  avremo 
se  non  quello  di  tradurla  in  atto?  E  mi  scusino  i  miei 
colleghi  che  siedono  a  quei  posti  (additando  i  liberali 
più  avanzati)  io  comprenderei  che  a  questo  concetto 
si  ribellassero  tutti  gli  altri,  non  mai  essi,  i  quali  fanno 
consistere  nell'imperativo  categorico  uno  dei  punti  più 
salienti  del  loro  programma!...  »  Nel  silenzio  che  tornò 
a  regnare  tutt'  intorno,  egli  cominciò  allora  una  lezione 
sul  libero  arbitrio,  citando  il  «  celebre  Aristotile  », 
r«  illustre  scuola  scozzese  »,  e  nominando  un  gran- 
d'  uomo  tedesco,  inglese  o  francese  ogni  mezzo  minuto. 
Il  peso  di  quel  discorso  schiacciava  l'uditorio;  ma 
egli  s' era  già  guadagnato  il  cuore  della  folla,  e  la 
sua  erudizione  non  poteva  se  non  farlo  ammirare  di 
più.  Tuttavia,  per  non  dispiacere  ai  rappresentanti 
delle  idee  radicali,  quando  finì  la  sua  lezione,  riap- 
piccò :  «  Né  la  persona  rivestita  d'  una  procura  abdica 
ai    proprii    principi!    pel    fatto    che'^  esegue    la    volontà 


—    172    — 

del  mandante.  Ho  sentito  lanciare  in  quest'  aula  1'  ac- 
cusa di  clericalismo  contro  tutti  coloro  che  voteranno 
la  festa  ;  ma,  signori  del  consiglio,  chi  può  essere 
così  ardito  da  leggere  nelle  coscienze?  A'ogliamo  forse 
tornare  ai  tempi  infausti  del  Torquemada?  Voi  sapete 
che  qui  seggono  uomini  d'  un  patriottismo  superiore 
ad  ogni  discussione  »  —  la  piaggeria  andava  allo  zio 
duca  —  «  i  quali,  votando  la  festa,  non  intendono  per 
nulla  cancellare  tutto  un  passato  che  la  storia  ha 
scritto  a  lettere  d'oro  nei  suoi  annali  imperituri!... 
Anch'io  voterò  la  festa  (forniidahile  scoppio  d'ap- 
plausi) ma  il  mio  voto  non  pregiudica  i  miei  prin- 
cipe (nuovi  applausi).  Dei  miei  principii  sono  respon- 
sabile dinanzi  alla  mia  coscienza,  e  con  la  mia  coscienza 
io  non  transigo'!  {benissimo  !)  Né  io  consiglierei  mai 
agli  egregi  oppositori  di  transigere  con  la  loro;  ma, 
o  signori  del  consiglio,  in  quest'aula  vi  possono  essere 
clericali,  cattolici,  atei,  protestanti....  ebrei....  turchi, 
se  volete  (ilarità),  e  siete  proprio  sicuri  che  io  non 
segua  la  dottrina  di  Maometto?  (nuova  ilarità).  Ho 
letto  il  Corano,  che  è  il  \'angelo  degli  Islamiti,  e  se 
davvero  esiste  il  paradiso  delle  Uri,  forse  più  d'  uno 
fra  voi  si  convertirebbe  alla  fede  ottomana!  (scoppio 
di  risa  generali).  Ma  anche  un  turco,  siatene  sicuri, 
se  venisse  in  quést'  aula  mandato  dal  nostro  popolo 
che  vuole  la  festa,  la  voterebbe!...  Se  io  ordino  al  pro- 
curatore che  amministra  i  miei  feudi  di  eseguire  un 
certo  lavoro,  sarebbe  per  lo  meno  curioso  che  il  mio 
procuratore  si  rifiutasse,  perchè  ostano  i  suoi  principii! 
(ilarità,  applausi).  Se  costui  si  rifiuta,  sapete  che  cosa 
succede?  Io  lo  mando  via!  E  se  noi  rifiuteremo  la 
festa,  sapete  che  cosa  farà  il  paese?  Eleggerà  altri 
consiglieri  che  cancelleranno  il  nostro  voto  e  ristabi- 
liranno r  assegno!  » 

Oramai  ad  ogni  periodo  g"li  applausi  scrosciavano 
come  gragnuola,  e  quando  egli  cominciò  a  dimostrare 
per  quali  interessi  «  legittimi,  rispettabili,  onesti  »  tutte 
le   classi   della    popolazione    volevano    la    festa,    l'ova- 


—  T73  — 

zione  si  mutò  in  trionfo  :  i  festaiuoli  per  poco  non  Io 
portarono  a  braccia  per  le  vie  ;  gii  stessi  oppositori 
doA'ettero  riconoscere  la  sua  abilità.  Per  la  festa  i 
suoi  balconi  furono  illuminati  a  giorno;  e  poiché  la 
processione  della  Santa  passava  sotto  casa  sua,  eg'Ii 
fece  dar  fuoco  a  un  considerevole  numero  di  bombe  e 
mortaretti. 

Il  Consiglio,  il  giorno  prima,  lo  aveva  eletto  asses- 
sore. 

Giusto  per  l'occasione  ci  fu  grande  ricevimento,  in 
casa  del  principe  .  la  duchessa  coi  figliuoli  arrivò  tra  i 
primi,  e  Giovannino,  presa  a  parte  Teresa,  le  diede  la 
notizia  della  nomina  del  fratello.  Ella  non  potè  gustar- 
la, perchè  il  principe  era  di  un  umor  nero  da  far  spa- 
vento. Nella  mattina,  il  tribunale  aveva  pubblicato  la 
sentenza  relativa  al  testamento  di  don  Blasco  ;  la  quale, 
sulla  fede  del  risultato  della  perizia,  dichiarava  false 
le  ultime  volontà  del  Cassinese,  buon'  anima  sua.  Quel 
disastro,  coincidendo  con  l'assunzione  di  Consalvo 
all'  assessorato,  era  parso  al  principe  una  nuova  prova 
del  potere  iettatorio  di  «  Salut'a  noi  »,  e  tutto  il  giorno 
egli  aveva  smaniato  come  un  pazzo.  Ora,  perchè  non 
si  dicesse  che  era  troppo  dolente  della  cosa,  sfor- 
zavasi  di  mostrarsi  indifferente,  di  discorrere  del  più 
e  del  meno.  Gira  e  rigira,  ogni  discorso  però  finiva 
con  una  sfuriata  cdntro  i  periti  corrotti  e  i  giudici 
birbanti.  «  Li  hanno  pagati  apposta,  per  far  dire  bianco 
al  nero.  Se  avessi  voluto  pagarli  anch'io,  a  quest'ora 
la    sentenza   direbbe    tutto    il    rovescio ». 

Teresa  aiutava  la  madre  a  servire  gl'invitati;  il 
duca  Radali  non  si  faceva  pregare,  sempre  pronto  a 
bere  ed  a  mangiare  ;  ma  Giovannino  aspettava  che 
Teresa  avesse  finito  per  servirla  egli  stesso.  Ella  as- 
saggiò appena  il  gelato  che  il  giovane  le  offri.  Il  malu- 
more del  padre  non  le  dava  cuore  di  divertirsi,  di 
goder  della  festa,  della  compagnia  di  Giovannino. 
Questi  non  la  lasciava  cogli  occhi,  pareva  cercar  I'  occa- 
sione   di    restarle   vicino   un    momento. 


—  174  — 

—  Che  avete,  cugina?...  Xon  siete  contenta?...  — 
le  disse,  mentre  la  folla  degl'  invitati  ai'facciavasi  per 
veder    passare    la    processione. 

—  No,  non  ho  nulla —   Perchè? 

—  Avete  una  cert' aria....   Xon  per  colpa  mia,  spero? 

—  Che    dite    mai!...    X'enite   a    veder    la    Santa. 

Ella  troncava  co^ì  ogni  volta  i  colloqui i  che  minac- 
ciavano di  prendere  una  piega  pericolosa.  Era  dover 
suo  fare  così  ;  non  già  che  le  parole  tènere,  gli  sguardi 
innamorati  del  cugino  'le  dispiacessero.  L'  altro  fra- 
tello, meno  riguardoso,  senza  dirle  nulla  di  gentile, 
era  capace  di  metterle  le  mani  addosso,  di  branci- 
carla, di  abbracciarla,  voltando  poi  la  cosa  in  ischerzo, 
facendo  ridere  tutti,  togliendo  a  lei  il  modo  di  doler- 
sene ;  ma  i  tentativi  timidi  e  secreti  di  Giovannino  la 
turbavano,  come  qualcosa  di  proibito,  un  vero  peccato». 

-Al  balcone,  dove  e'  era  ressa  di  signore,  ella  potè 
appena  sporgere  il  capo  per  veder  ia  processione  : 
Giovannino  le  si  pose  accanto,  fingendo  anch'  egli  di 
guardare. 

Saliva  dalla  via  un  rumore  come  d'alveare,  tanta  era 
la  folla,  e  il  campanone  del  Duomo  coi  suoi  rintocchi 
lenti  e  gravi  pareva  batter  la  solfa  alle  campane  della 
Badia,  della  Collegiata  e  dei  Minoriti  :  «  Viva  Sant'A- 
gata!...» Tutte  le  signore  s'inginocchiarono;  Teresa, 
prostrata,  col  capo  basso,  gli  occhi  fissi  alla  Santa,  si 
fece  il  segno  della  croce.  Cominciava  lo  sparo  dei  fuochi 
d'artificio  pagati  dal  principe;  in  mezzo  al  fumo  che  pa- 
reva quello  d'una  battaglia  lampeggiavano  i  colpi  rapidi 
e  frequenti  come  le  scariche  di  un  reggimento;  le  grida 
di  viva  si  perdevano  in  mezzo  al  fragore  degli  scoppii  e 
solo  vedevasi  sul  mar  delle  teste  sventolare  i  fazzoletti 
come  sciami  di  colombe  impazzate.  Teresa  piangeva  a 
calde  lagrime,  dalla  commozione,  pregando  la  Martire 
gloriosa  di  ricondurre  la  pace  in  famiglia,  di  comporre 
tutti  i  dissensi,  di  far  felici  il  padre,  il  fratello,  la  ma- 
drigna, le  zie,  tutti,  tutti....  E  a  un  tratìo  senti  pren- 
dersi, premersi,   stringersi  forte  la  destra  :  era  Giovan- 


—    17^   — 

nino,  inginocchiato  al  suo  fianco.  El'la  non  ebbe  cuore 
di  svincolarsi  da  quella  stretta  :  le  pareva  che  la  vSanta 
benedicesse  quell'unione,  che  le  promettesse  tutto  il  suo 
aiuto.  E  il  crepitio  delle  bombe  e  dei  mortaretti,  il  cla- 
more delle  campane  e  delle  grida  umane  diveniva  più 
assordante  ;  e  in  mezzo  g^quel  frastuono  le  parve  d'udire 

parole  soavi,  la  voce  siin  che  mormorava:   «Teresa 

Teresa,  mi  vuoi  bene  ?  » 

1  fuochi  cessarono  a  un  tratto,  e  l'urlo  degli  evviva 
sali  al  cielo.  Allora,  dolcemente,  lentamente,  dopo  aver 
risposto  alla  stretta  di  Giovannino,  ella  liberò  la  propria 
mano —  E  nel  silenzio  rifattosi  a  poco  a  poco,  s'udì  una 
voce  che  gridava  : 

—  Ala  siete  insorditi  ? 

Era  il  cavaliere  don  Eugenio,  arrivato  allora  allora. 
J^gli  pareva  più  morto  di  fame  di  quando  era  partito. 
E 'abito,  tutto  macchiato  e  rattoppato,  gli  piangeva  ad- 
(iosso;  le  scarpe  non  dovevano  veder  cerotto  chi  sa  da 
quanto,  la  cravatta  pareva  un  pezzo  di  corda.  Il  viso  del 
principe,  alla  vista  dello  zio,  se  era  già  scuro,  si  fece 
buio  pesto.  Dopo  la  sentenza  contraria,  ci  mancava  que- 
st'altro affamato  !  Ed  appunto  don  Eugenio  aveva  fatto 
il  viaggio  di  Palermo  per  chiedere  nuovi  quattrini  : 

—  Ho  un'idea;  siccome  \' Araldo 

—  Volete  ancora  soldi?...  —  gli  gridò  sul  muso  il 
principe,  mettendo  da  banda  l'Eccellenza.  —  State  fre- 
sco !  Xon  vi  bastano  tutti  quelli  che  vi  siete  presi  ?  In- 
vece di  restituire,  chiedete  dell'altro? 

—  Io  non  ho  da  restituire  nulla;  puoi  pretendere  solo 
le  copie  ! 

—  Sicuro  che  le  voglio  ! 

—  Dopo  che  ho  rinunziato  alla  causa  ? 

—  Grazie  tanto  della  rinunzia  !  Dice  che  il  testamento 
è  falso:  avete  capito?  .Andate  a  riscuotere  la  vostra 
parte,  andate  I... 

I  danari  arruffati  con  V Araldo  Sicolo  non  avean  fatto 
prò  al  cavaliere.  Prima  di  tutto,  la  gente  da  lui  man- 
data attorno  ad  incassare  il  prezzo  dei  fascicoli  si  tratte- 


-    r76  -^ 

neva,  di  riffe  o  di  raffe,  una  buona  metà  :  certuni  poi 
se  l'eran  battuta  col  valsente.  Provato  a  far  da  ss,  i 
guadagni  se  n'erano  andati  a  spese  di  viaggio.  Il  car- 
taio, l'incisore  e  il  tipografo  avevano  riscosso  da  parte 
loro  solo  qualche  acconto;  quindi  s'erano  accordati  per 
sequestrar  le  copie  dell'opera  e  non  liberarle  se  non  dopo, 
pagamento,  talché  don  Eugenio,  se  ne  volle  vendere, 
dovè  pagarle  quanto  costavano  e  contentarsi  di  guada- 
gnarci qualche  lira.  I  premii  versati  dai  «  branchi  »  delle 
«  blasonate  famiglie  »  gli  eran  serviti  a  fare  qualche 
giorno  di  buona  vita,  e  adesso  egli  precipitava  di  nuovo 
nella  miseria.  Per  sollevarsi,  tentava  un  altro  colpo  :  il 
Xuovo  Araldo,  ossivero  Siipplimento  all'opera  storico- 
nohiliare.  Con  meno  pudore  e  più  fame  di  prima,  egli 
voleva  metterci  non  solo  le  famiglie  dimenticate,  ma 
anche  i  nuovi  nobili,  quelli  che  non  si  trovavano  nel 
Mugnòs  e  nel  Villabianca,  la  gente  che  si  faceva  dare 
dell  cavaliere  senza  avere  titoli  autentici,  che  sfog- 
giava stemmi  più  o  meno  fantastici.  Ma  per  far  questo 
gli  bisognavano  altri  quattrini —  \"isto  di  non  poter  spe- 
rare nulla  dai  principe,  andò  da  Consalvo,  che  nella 
sua  qualità  di  assessore  poteva  dargli  aiuto;  ma  il  prin- 
cipino adesso  aveva  fatto  un  altro  passo  avanti  neLle 
idee  politiche.  Il  i6  marzo  di  quell'anno  1876,  dopo 
sedici  anni,  il  partito  di  destra  era  finalmente  capitom- 
bolato con  grande  stupore  del  moderatume  paesano  e 
gioia  infinita  dei  progressisti.  In  quel  frangente  i  nemici 
del  duca  profetarono  che  il  grande  patriotta,  seguendo 
la  solita  tattica,  si  sarebbe  voltato  contro  gli  antichi 
amici,  a  favore  dei  nuovi  trionfatori  ;  ma  la  profezia 
non  s'avverò.  Il  duca,  che  non  andava  più  da  tanto 
tempo  alla  capitale,  e  non  sapeva  perciò  le  ragioni  e 
r  importanza  della  rivoluzione  parlamentare,  non  cre- 
dette alla  riuscita  e  alla  durata  di  essa,  e  si  mostrò  più 
che  mai  saldo  nelle  proprie  idee.  Questa  fu  la  sua  sal- 
vezza ;  perchè  i  progressisti  trionfanti  non  avevano  an- 
cora voce  in  capitolo,  mentre  quasi  tutta  la  classe  diri- 
gente   del    paese    era    contro    la    strombazzata    novità. 


—  177  — 

Sciolta  la  Camera,  un  certo  avvocato  Molara  ardi  pre- 
sentarsi contro  il  duca,  facendo  un  programma  quasi  ri- 
voluzionario in  cui  si  parlava  del  «  più  che  trilustre  sgo- 
\erno,  »  di  diritti  «  conculcati,  »  di  rivendicazioni  «  im- 
minenti, »  non  che  di  red^c  rationem.  I  fautori  del  duca 
si  strinsero  intorno  a  lui  sentendosi  con  lui  minacciati. 
Per  rispondere  alla  «  sfida  »  del  Molara,  l'Oragua  mise 
fuori,  dopo  cinque  legislature,  una  «  Lettera  ai  miei  elet- 
tori. »  Benedetto  Giulente,  che  aspettava  ancora  di  po- 
ter fare  un  programma  per  proprio  conto,  la  scrisse. 
Essa  enumerava  i  titoli  della  Destra  alla  gratitudine  del- 
l'Italia, la  cui  unificazione  era  tutta  opera  di  quel  par- 
tito :  se  errori  erano  stati  commessi,  questi  avevano  la 
loro  origine  nelle,  circostanze  e  non  nelle  intenzioni.  Don 
Gaspare  fu  cosi  rieletto  con  duecento  e  più  voti  ;  Molara 
potè  raggruzzarne  appena  un  centinaio.  Uno  dei  ministri 
della  Riparazione,  passando  da  Catania,  fu  accolto  a 
fischiate. 

Ma  intanto  che  il  duca  s'ubbriacava  del  nuovo  trionfo. 
Consalvo  fiutava  il  vento,  si  rendeva  conto  del  muta- 
mento operatosi  in  tutta  Italia,  dell'  imminenza  delle  ri- 
forme liberali.  Pertanto,  senza  prender  parte  all'agi- 
tazione elettorale,  dichiarò  che  la  Destra  era  morta  e 
sepolta.  Tenendo  la  gente  a  distanza,  per  non  conta- 
giarsi, cominciò  a  dichiarare  d'esser  «  dem.ocratico.  » 
E  lo  zio  don  Eugenio  veniva  appunto  in  quel  frangente 
a  proporgli  l'affare  del  Nuovo  Araldo!...  Egli  lasciò  che 
quello  straccione  facesse  anticamera  un  bel  pezzo;  poi, 
udita  la  sua  domanda,  alzò  le  spalle. 

—  Ma  che  araldo  e  trombettiere  !  Queste  cose  hanno 
fatto  il  loro  tempo  !  Il  Comune  non  può  spendere  \ 
denari  dei  contribuenti  per  incoraggiare  pubblicazioni 
ispirate  alla  divisione  delle  classi  sociali.  Ce  n'è  una 
sola  :  quella  dei  liberi  cittadini  ! 

E  la  risposta,  udita  dagli  impiegati,  ripetuta  in  tutti 
gli  ufificii,  gli  valse  il  plauso  dei  buoni  democratici.  Il 
cavaliere  andò  subito  a  riferirla  al  principe,  per  farsi 
un  merito  mettendogli  in  peggior  vista  il  figliuolo.   Ma 

De   Roberto.   /    Viceré    -    II  12 


né  la  denunzia  né  le  insistenti  preghiere  gli  valsero  un 
soldo  :  Giacomo  anzi  pretendeva  i  quattrini  anticipati, 
e  l'accusava  di  sciocchezza,  per  soprammercato,  a  causa 
del  sequestro  che  s'era  lasciato  porre  dallo  stampatore. 

Il  cavaliere  tentò  un  nuovo  passo  presso  la  sorella 
Ferdinanda.  Presentatosi  in  'casa  sua,  g'ii  chiusero 
l'uscio  sul  muso.  Nondimeno  egli  fece  parlare  alla  zi- 
tellona per  ottenere  un  piccolo  prestito  che  a  lei  non 
sarebbe  costato  nulla  ed  a  lui  avrebbe  assicurato  un 
pane  :  la  vecchia  rispose  che  neppure  a  vederlo  crepar 
di  fame  gli  avrebbe  dato  un  soldo  per  stampare  quelle 
«  schifezze  ». 

Chiusa  quest'altra  via,  don  Eugenio  andò  dalla  ni- 
pote Chiara.  Trovò  il  marchese  solo  :  sua  moglie,  la 
quale  da  un  certo  tempo  non  gli  dava  più  requie,  aveva 
un  bel  giorno  fatto  attaccare  di  nascosto  e  se  n'era 
andata  al  Belvedere  col  bastardello  per  non  tornarci 
più.  Il  cavaliere  tentava  di  esporre  i  suoi  guai  al  nis 
potè  ;  ma  questi  non  finiva  più  di  narrare  i  proprii, 
tutto  ciò  che  quella  matta  gli  aveva  fatto  soffrire  ;  talché 
il  povero  Gentiluomo  di  Camera  se  ne  andò  via  ancora 
una  volta  a  mani  vuote. 

Allora,  non  sapendo  più  a  qual  santo  votarsi,  si  ri- 
volse a  Giovannino  Radali.  Col  fiuto  d'un  bracco  affa- 
mato, s'era  accorto  dell'amoretto  fra  i  due  cugini,  spe- 
cialmente dai  discorsi  di  Baldassarre.  Il  maestro  di  casa 
era  più  che  mai  contento  e  soddisfatto  della  piega  che 
prendevano  le  cose.  L'  intimità  cresciuta  tra  le  due  fa- 
miglie era  indizio  che  il  principe  approvava  il  matri- 
monio —  giacché  Sua  Eccellenza  non  faceva  nulla  senza 
un  secondo  fine  —  e  il  bene  che  i  due  giovani  si  vo- 
levano assicurava  la  loro  unione.  Se  ancora  non  se  ne 
parlava,  la  ragione  andava  cercata  nei  dispiaceri  che  il 
principe  aveva  patiti  per  via  del  testamento  :  siccome 
il  padrone  trattava  gli  affari  ad  uno  per  volta,  bisognava 
naturalmente  aspettare  che  la  lite  finisse  del  tutto  perchè 
egli  si  decidesse  a  maritar  la  figliuola.  Sciogliendo  il 
riserbo  che  manteneva  scrupolosamente  su  tutte  le  fac- 


—  1/9  — 

cende  del  padroni,  Baldassarre  dava  quindi  agli  intinii 
l'assicurazione  che,  composta  la  lite,  il  matrimonio  si  sa- 
rebbe certamente  combinato. 

Il  cavaliere  pertanto  cominciò  a  strizzar  l'occhio  a 
Giovannino,  a  parlar  bene  di  lui  dinanzi  a  Teresa,  la 
quale  si  faceva  di  mille  colori.  «  Quasi  non  si  sapesse 
che  sarà  tuo  marito!...»  sussurrava  alla  nipote;  e  al 
g'ovane  :  «  Quasi  non  si  sapesse  che  sarà  tua  mo- 
glie!... »  Egli  li  incoraggiava,  dava  all'uno  notizie  del- 
l'altra, riferiva  saluti  e  ambasciate,  finché  chiese  a  Gio- 
vannino un  piccolo  prestito  di  mille  lire.  Il  giovane  le 
diede   subito,   e   allora  don   Eugenio  prese  il  volo. 


V. 


«Un  sindaco  a  ventisei  anni?...  Dove  s'è  visto?... 
Bisognerà  dargli  nello  stesso  tempo  un  aio!...  Avremo 
l'amministrazione  delle  balie!...»  Ma  le  satire  non 
attecchivano,  tanto  entusiasmo  animava  i  partigiani  di 
Consalvo  Uzeda.  In  un  anno  che  il  principino  era  stato 
assessore,  non  s'eran  forse  visti  in  città  continui  mi- 
glioramenti, quanti  non  avevan  saputo  compierne  in 
diciotto  anni  i  suoi  predecessori  ?  I  sergenti  di  città  che 
prima  andavano  attorno  bracaloni,  unti  e  lerci,  tra- 
scinando le  sciabole  arrugginite  come  vecchi  spiedi, 
adesso,  per  opera  sua,  sfoggiavano  divise  nuo-ve  fiam- 
manti, tutte  mostreggiature,  alamari  e  nappine  da 
farli  parere  altrettanti  ammiragli.  E  il  corpo  dei  pom- 
pieri, con  gli  elmi  lucenti  e  i  pennacchi  rossi  come 
quelli  dei  soldati  romani  del  Santo  Sepolcro,  non  era 
tutta  opera  sua?...  «  Largo  ai  giovani  !  Largo  ai  gio- 
vani istruiti  come  il  principino  di  Mirabella  !  » 

Egli  adesso  non  st>udiava  più,  giudicando  sufficiente 
la  sua  preparazione,  accorgendosi  del  resto  che  nella 
scienza  principale,   quella   di  gettar  polvere  agli  occhi, 


—  i8o  — 

era  g'ih  maestro.  Sapeva  che  la  grande  popolarità  della 
sua  casata  dipendeva  dal  fasto  esteriore,  dalle  livree 
fiammanti,  dalle  carrozze  rilucenti,  dal  [guardaportone 
maestoso  ;  e  quantunque  dicessero  che  i  tempi  erano 
muiati,  tutte  queste  cose,  i  segni  \isibili  della  ricchezza 
e  della  potenza,  non  avevano  potuto,  non  potevano  per- 
dere mai,  per  mutar  di  tempi,  il  loro  valore.  I  provve- 
dimenti di  quella  che  egli  già  chiamava,  essendo  sol- 
tanto assessore,  «  la  mia  amministrazione,  »  s'erano 
dunque  aggirati  su  lutto  ciò  che  dava  all'occhio,  che 
poteva  essere  subito  apprezzato  dalla  folla.  Quindi 
egli  aveva  messo  il  più  grande  impegno  nel  reggimen- 
tare,  nel  vestire  di  divisa  i  corpi  municipali  dei  quali 
era  capo  e  che  passava  poi  in  rivista,  come  un  gene- 
rale :  i  custodi,  gli  spazzini  e  gli  accalappiacani.  Uscito 
dalla  casa  paterna,  una  delle  sue  piccole  sofferenze,  sop- 
portata del  resto  pazientemente,  come  tutte  le  altre, 
era  sfata  quella  di  non  aver  più  un  drappello  di  came- 
rieri, di  sguatteri,  di  cocchieri  e  di  famigli  che  s'in- 
chinassero al  suo  passaggio  ;  adesso  teneva  sotto  i 
suoi  ordini  un  piccolo  esercito. 

11  suo  tormento  era  tuttavia  il  contatto  con  la  gente 
e  le  cose.  Riceveva  tenendo  ficcate  le  mani  in  tasca  per 
non  aver  da  stringere  le  altrui,  o  le  stringeva  coi 
guanti  che  poi  gettava  via  ;  firmava  i  fogli  tenendo  la 
penna  con  due  dita  intanto  che  un  impiegato  li  trat- 
teneva perchè  non  gli  scorressero  sotto,  e  quando  la- 
sciava il  Palazzo  di  città  faceva  chiudere  il  suo  seggio- 
lone in  un  ripostiglio  ^perchè  nessuno  avesse  da  sedercisi 
sopra.  Un  giorno  che  non  fu  trovata  la  chiave,  restò  sei 
ore  in  piedi.  E  il  suo  terrore  erano  certi  impiegati  poco 
puliti,  coi  capelli  lunghi,  le  unghie  nere.  Sbuffava, 
esclamava  :  «  Non  vi  buttate  addosso  alla  gente,  » 
mentre  gli  parlavano  di  cose  di  servizio,  o  gli  riferi- 
vano lo  stato  degli  affari  in  corso;  e  invece  di  rispon- 
dere alle  loro  domande,  usciva  inaspettatamente  in  un  : 
«  Ma  tagliatevi  quella  zazzera  !  »  oppure  :  «  Pulitevi  un 
po'  le  unghie  !...  » 


—   t8i   — 

«  Come  se  lutti  potessero  passar  la  g'iornaia  allo 
specchio,  al  par  di  lui  !  »  mormoravano  i  rimproverati, 
dandogli  dell'aristocratico,  del  superbo  e  dell'infinto, 
poiché,  a  sentirlo,  tutti  gli  uomini  erano  fratelli,  fatti 
per  sedersi  sopra  una  stessa  panca —  Ma  le  mormora- 
zioni si  perdevano  nel  coro  delle  lodi  degli  altri  impie- 
gati che  egli  aveva  creati,  e  ai  quali  aveva  fatto  au- 
mentare lo  stipendio,  o  concedere  gratificazioni,  o  ac- 
cordar licenze,  o  condonar  colpe  :  tutti  quelli  che  gli 
stavano  dinanzi  con  maggiore  umiltà  e  gli  davano  del 
Vostra  Eccellenza,  come  servi.  Cosi,  il  partito  che  lo 
voleva  innalzare  al  supremo  magistrato,  se  era  forte 
in  città,  al  Municipio  era  fortissimo.  Tuttavia,  egli  si 
schermiva,  adducendo  l'età  immatura,  la  mancanza  di 
pratica;  e  a  Giulente,  il  quale  faceva  il  suo  giuoco  con 
sempre  ma,ggiore  ingenuità,  aveva  confidato  che  temeva 
di  fare  un  capitombolo  e  di  chiudersi  l'avvenire.  «  Non 
cadrai,  »  assicurava  Benedetto,  con  aria  di  protezione; 
«  ci  siamo  noialtri  che  ti  sosterremo,  tutto  il  partito 
dello  zio  duca.  »  Ma  egli  non  s'arrendeva,  si  faceva 
pregare  dal  prefetto,  ringraziava  «  dal  profondo  del 
cuore  »  le  commissioni  che  andavano  ad  invitarlo,  ma 
dichiarava  che  il  peso  era  troppo  forte  per  le  sue  spalle. 
Continuava  a  nicchiare,  sapendo  che  c'era  una  cor- 
rente contraria,  gì'  immancabili  brontoloni,  i  malcon- 
tenti invidiosi,  tutti  quelli  che  volevano  romperla  coi 
soliti  signori,  con  gli  eterni  Uzeda.  E  come  gì'  im- 
piegati municipali  gili  ripetevano  ogni  giorno  : 

—  Il  sindaco  ha  da  esser  \'ostra  Eccellenza  :  il  paese 
lo  vuole — 

—  Che  ne  so  io?  —  rispose  una  volta.  —  Il  paese 
non   m'ha  detto  niente! 

Allora  fu  messa  insieme  una  dimostrazione,  con  mu- 
sica e  bandiere,  per  andarlo  ad  acclamare  capo  della 
città.  Egli  si  lasciò  strappare  una  mezza  promessa, 
«se  il  prefetto  proporrà  la  mia  nomina —  »  La  dimo- 
strazione andò  a  gridare  :  «  \'iva  il  sindaco  Mirabella  !  » 
^otto  i  balconi  della  Prefettura.    E  quando  il  decreto  d'\ 


—    l82    — 

nomina  fu  pronto,  egli  pose  un  altro  patto  :  che  a  com- 
porre la  Giunta  entrassero  tutte  le  frazioni  del  Consi- 
glilo, dai  clericali  borboneggianti  ai  repubblicani.  Lo 
lasciarono  libero  di  dettar  egli  stesso  la  lista  degli  as- 
sessori :  in  capo  ci  mise  Benedetto  Giulente.  Questi  ebbe 
un    bel    protestare  ;    Consalvo   gli   disse  : 

—  Se  non  accettate,  tutto  va  a  monte.  Io  sarò  il 
sindaco  di  nome,  di  fatto  faremo  ogni  cosa  insieme. 
Capisco  che  vi  chiedo  un  sacrifizio,  mia  voi  ne  avete 
fatti  ben  altri  ! 

Figurarsi  Lucrezia  !  Ella  non  si  potè  veramente  dar 
pace. 

—  Di  sindaco,  assessore  !  Fa  il  progresso  del  gam- 
bero !  Qualche  giorno  di  questi  lo  nomineranno  bidello  ! 
IH  mestiere  pel  quale  è  nato  !  E  s'è  fatto  infinocchiare 
da  quel  gesuitello  !  Per  servi.g'H  da  comodino  !  per  fargli 
da  servitore  !  che  non  è  buono  ad  altro  ! 

Ella,  se  n'andava  a  sfogare  dalla  zia  Ferdinanda  e 
tutt'e  due  erano  nervosissime,  intrattabili,  perchè  giusto 
s'aspettava  di  momento  in  momento  la  sentenza  della 
Corte  d'appello  sull'affare  del  testamento.  Il  giorno  che 
essa  fu  pubblicata  e  diede  ragione  al  principe,  annul- 
lando la  prima  perizia  e  ordinandone  una  nuova,  zia 
e  nipote,  verdi  dailla  bile,  fecero  cose  dell'altro  mondo; 
il  povero  Giulente,  avvilito  dalle  tante  grida,  dai  tanti 
rimproveri,  scappò  di  casa  come  disperato.  Il  principe 
invece,  che  negli  ultimi  tempi  era  tornato  a  star  male, 
guari  come  per  incanto,  e  manifestò  il  proprio  con- 
tento parlando  quasi  urbanamente  con  le  persone,  chie- 
dendo perfino  notizie  di  «  Salut'a  noi.  » 

Qualche  settimana  dopo,  nonostante  il  caldo  della  sta- 
gione, la  principessa  andò  attorno  con  la  figliuola,  fa- 
cendo grandi  acquisti  di  biancheria;  poi  chiamò  ope- 
raie che  si  misero  a  cucire  e  a  ricamare  servizii  d'ogni 
sorta.  «  Lavoriamo  per  la  principessina  !  »  dicevano 
esse  con  tono  d'affermazione  che  voleva  tuttavia  provo- 
care una  conferma;  ma  la  principessa  non  diceva  niente; 
fibbracciava  invece  più  spesso  del  solito  la  figliuola,  Ja 


-  i83  - 

guardava  con  una  cert'aria  come  per  dire  :  «  Aspetta  e 
vedrai  !...  »  Teresa  non  le  domandava  nulla,  ma  com- 
prendeva che  il  g-iorno  della  sua  felicità  era  vicino. 
Baldassare  gongolava,  annunziava  il  matrimonio  senza 
tante  reticenze  :  la  cosa  era  certa  oramai  :  il  principe 
non  andava  tutti  i  giorni  in  casa  della  duchessa,  per 
regolare  gì'  interessi  ?  Poteva  esser  quistione  di  setti- 
mane, e  tutto  il  parentado  avrebbe  ricevuto  comunica- 
zione del  lieto  avvenimento. 

Infatti,  un  giorno,  a  proposito  di  certe  coperte  da 
Ietto  tra  le  quali  non  riusciva  a  scegliere,  Teresa  disse 
alla  madrigna  : 

—  Faccia  Vostra  EcceUenza,  per  me  sono  tutte 
belle.... 

—  Debbo  forse  usarle  io  ?  Non  capisci  che  si  tratta 
di  te  ?  —  rispose  la  principessa. 

Una  viva  fiamma  sali  alla  fronte  di  Teresa.  Ella 
trattenne  il  respiro  ed  abbassò  le  ciglia. 

—  Vieni  qui  !...  —  e  attirataila  sul  cuore,  donna 
Graziella  cominciò  :  —  Si  tratta  di  te,  del  tuo  matri- 
monio.... È  venuto  il  momento  di  farti  felice....  Credevi 
che  tuo  padre  non  pensasse  a  te  ?  Tanti  affari,  tante 
cure!...  Ma  adesso  faremotutto  presto,  vedrai!...  — 
Stampatole  un  bacio  in  fronte  mentre  le  reggeva  il 
capo  con  tutt'e  due  le  mani,  esclamò  :  —  Sei  contenta 
di  divenir  duchessa  ? 

Un  momento,  Teresa  credè  d'aver  capito  male.  Battè 
le  palpebre  guardando  negli  occhi  la  madrigna,  e  ripetè 
come  un'eco  : 

—  Duchessa  ?... 

—  Duchessa  Radali,  sicuro,  ed  anche  baronessa  di 
Filici,  perchè  il  tuo  secondogenito  porterà  questo  titolo  ! 
Duchessa,  e  con  molti  ducati  !  Una  delle  più  ricche  ! 
Tuo  padre,  perchè  Consalvo  s'è  portato  male  con  lui, 
ti  tratterà  bene....  Ha  già  stabilito  tutto  con  la  zia.... 
E  il  miio  non  sarà  poi  tuo?...  E  che?  Fingi  di  non 
sapere?...    Perchè  mi   guardi   cosi?...    Che  hai?... 

—  Mamma....  mamma.... 


—  i84  — 

Sempre  più  pallida  come  la  madrigna  veniva  dicendo 
quelle  parole,  e  più  smarrita  e  più  tremante,  quasi  ve- 
desse una  cosa  di  spavento,  ella  adesso  portava  una 
mano  alla  tempia  ed  afferrava  con  l'altra  la  mano  della 
principessa. 

—  Mamma,    no io    non    credevo — 

—  Che  cosa?...  Figlia  mia!  Confidati  a  me!...  Non 
credevi?...  Ma  io  invece  ero  sicura —  Veniva  qui  quasi 
ogni  giorno!...  Ebbene,  lo  sai  adesso!...  No?...  Dici  di 
no?...  E  perchè?  Con  qual  motivo?...  Tuo  padre  non 
bada  a  sacrifizii  per  assicurarti  questo  partito  !...  Tren- 
tamila onze,  capisci  ?...  Ti  dà  trentamila  onze  !...  E  Mi- 
chele  ne   possiede   quattro   volte   tante E   tu   dici   di 

no?...    O    perchè?... 

—  Perchè  credevo....   non  credevo —   che  fosse  lui... 

—  Chi  dunque?...  Un  altro?...  —  E  la  principessa 
parve  cercare  ;  a  un  tratto,  quasi  rammentandosi  :  — 
Suo  fratello,  forse  ?  —  soggiunse. 

Lasciatasi  cadere  sopra  una  seggiovia.  Teresa  na- 
scose il  volto  tra  le  mani  e  scoppiò  in  pianto.  Fin  dal 
primo  momento  ella  ave\  a  sentito,  col  cuore  stretto, 
che  tutti  i  suoi  rifiuti  sarebbero  stati  invano  ;  che  se 
avevano  deliberato  di  darla  al  primogenito,  ella  doveva 
a  qualunque  costo  accettarlo  ;  e  le  melate  parole  della 
madrigna  che  le  diceva,  giungendo  le  mani  :  «  Se  avessi 
saputo!...  Perchè  non  hai  parlato?...  Adesso  che  tuo 
padre  ha  combinato  ogni  cosa  I...  »  la  confermavano  in 
quella   sconsolata   fiducia,    facevano   raddoppiare   il    suo 

pianto Parlare?  A  chi,  ed  a  che  scopo?  Se  in  quella 

casa  non  c'era  confidenza,  se  tutti  stavano  in  guerra, 
unicamente  curanti  del  proprio  tornaconto?  Se  l'ave- 
vano prima  abituata  a  cedere  in  tutto  e  poi  cullata  nella 
fiducia  che  l'avrebbero  fatta  contenta  ?  Poteva  ella  sup- 
porre che  avrebbero  scelto  da  loro,  senza  consultarla, 
e  che  un  giorno  sarebbero  venuti  a  dirle  :  «  Sai,  bi- 
sogna che  tu  sposi  chi  non  ti  piace  ?...  »  E  perchè,  poi  ? 
Perchè  volevano  darle  quell'altro  e  non  chi  aveva  il  suo 
cuore  ? 


-  i85  - 

—  Pel  tuo  meglio  !  —  esclamava  la  madrigna,  — 
abbiamo  deciso  cosi  pel  tuo  meglio  !  È  il  primogenito, 
sarai  duchessa,  i  tuoi  figli  avranno  due  titoli  da  dividersi, 
mentre  con  l'altro  non  ne  resterà  loro  nessuno —  Ed  è 
anche  più  ricco;  non  molto,  è  vero;  ma  c'è  tuttavia 
una  differenza  !...  E  la  figilia  del  principe  di  Franca- 
lanza  non  deve  sposare  un  oscuro  cadetto  come  una 
qualunque  !... 

Che  le  importava  di  ciò  !  Se  ella  aveva  dato  il  suo 
cuore  a  Giovannino  ?  Se  non  aveva  mai  pensato  che 
l'altro  fratello,  cosi  grossolano,  cosi  brutto,  potesse 
essere  suo  marito  ? 

—  Ma  tu  non  sai,  —  riprendeva  la  principessa,  — 
che  neppure  la  zia  duchessa  consentirà  al  matrimonio 
di  Giovannino,  ancora  quando  noialtri  acconsentissimo, 
come  io  vorrei  acconsentire,  per  farti  contenta  ?  Xon  sai 
che  la  zia  vuol  dar  moglie  al  solo  primogenito  ?  Questa 
è  la  legge  delle  nostre  famiglie  ;  che  anzi,  se  i  tempi 
non  fossero  mutati,  Giovannino  non  avrebbe  neppur 
pensato  a  inquietare  una  ragazza  come  te,  sapendo  di 
non  poterla  sposare  ! 

—  No,  no!...  —  proruppe  allora  Teresa  fra  le  la- 
crime; —  non  l'accusate;  sono  stata  anch'io....  gli  vo' 
bene  anch'io — 

—  Andiamo!...  —  fece  la  madrigna  con  un  sorriso 
pieno  d'indulgenza;  —  Fantasie  di  ragazzi,  cose  che 
passano!...  No?...  —  riprese  con  un  altro  tono,  ve- 
dendo che  il  muto  pianto  di  Teresa  ricominciava.  — 
Ti  ostini  a  dare  un  dispiacere  a  tuo  padre  ?  Come  se 
gliene  mancassero?...  E  allora  diglielo,  che  non  lo 
vuoi  ! 

—  Io,  iTuamma?... 

— •  Vuoi  dunque  che  tocchi  a  me  darg^li  questa  grata 
notizia?...    E  sia!   Anche  a  me  dispiace  il  tuo  rifiuto, 

sai....  Ma,  ma,  ma Non  sono  tua  madre  !...  È  giusto 

che  a  te,  come  a  tuo  fratello,  non  importi  il  mio  piacere 
o  il  mio  dispiacere — 

—  Mamma  !...  Perchè  dice  cosi?...  Non  sa  che  1'  ho 
sempre  rispettata  ed  amata  come  la  mamma  mia?.,. 


—  i86  — 

—  E  sia  !...   E  sia  !.. 

Ah,  perchè  non  aveva  accanto  la  sua  mamma  vera, 
in  quella  triste  ora  che  il  bisogno  d'un  affetto  sincero, 
d'una  protezione  gelosa  era  più  necessario  !  La  mamma 
sua  non  l'avrebbe  lasciata  sola,  piangente,  come  la  la- 
sciava la  madrigna,  con  queste  sole  parole  per  tutto 
conforto  : 

— -  E  sia;  dirò  tutto  a  tuo  padre!  In  fin  dei  conti, 
ci  avrà  da  pensar  lui!... 

La  principessa  non  riparlò  piìj  a  Teresa  del  matri- 
monio, come  se  mai  gliene  avesse  tenuto  parola. 
Neppure  il  principe  le  disse  nulla  ;  ma  dal  contegno 
mutato  del  padre,  ella  comprese  che  sapeva  ogni  cosa 
e  che  gliene  voleva.  Da  un  giorno  all'altro  non  le 
diresse  più  la  parola,  non  la  chiamò  più  per  nome,  parve 
non  accorgersi  della  sua  presenza;  e  dissipatasi  dal  suo 
volto  l'aria  di  contento  per  le  buone  notizie  della  lite, 
egli  si  rannuvolò  peggio  che  mai,  riprese  a  montare 
in  bestia  per  niente.  La  notizia  cominciò  a  trapelare  fra 
i  parenti  :  i  più. giudicavano  sciocca  Teresa,  che  preferi- 
va il  barone  al  duca  ;  alcimi  la  sostenevano,  Consalvo  tra 
questi.  A  lui  non  importava  un  fico  secco  della  sorella, 
ma  per  dar  prova  di  dottrina  e  di  democrazia  :  «  Vedete 
la  forza  del  pregiudizio?  »  esclamava.  «  Vogliono  dare 
mia  sorella  a  un  cugino,  »  e  giù  una  lezione  sui  matri- 
monii  tra  consanguinei  ;  «  ma  tra  i  due  le  danno  quello 
che  non  vuole,  non  quello  che  le  piace;  e  perchè?  Per 
una  differenza  di  parole!  Duca  o  barone!...  Pazienza 
ci  fossero  dietro  a  questi  titoli  la  ducea  o  la  baronia  !  » 

L'avversione  della  zia  Ferdinanda  e  di  Lucrezia  ebbe 
nuovo  alimento;  qiiella  sciocca  preferiva  il  secondoge- 
nito al  primo  !  Si  opponeva  alla  volontà  del  padre  !  E 
il  padre  che  non  aveva  saputo  educarla  a  un'obbedienza 
più  cieca  !...  Lo  zio  duca,  coi  piedi  in  due  staffe,  come 
sempre,  pencolava  un  po'  di  qua,  un  po'  di  là,  ma  in 
cuor  suo  era  favorevole  al  partito  voluto  dal  principe, 
come  più  degno  della  casata.  E  del  resto,  se  anche  la 
duchessa  non  volava  dar  moglie  al  cadetto? 


-  i87  - 

La  duchessa,  infatti,  s'era  poste  le  mani  in  capo. 
Dopo  aver  sacrificato  tutta  la  sua  vita  per  amore  di 
quel  primog-enito,  per  assicurare  una  grande  ricchezza  a 
lui  ed  alla  sua  discendenza,  dopo  aver  tanto  aspettato 
a  darg-li  mog-lie  perchè  nessuna,  a  suo  giudizio.  Io  me- 
ritava ;  ora  che  gli  aveva  trovato  la  cugina  Teresa,  che 
era  alla  vigilia  di  coronar  l'opera  di  trenta  lunghi  anni, 
l'amoretto  di  Giovannino  distruggeva  a  un  tratto  tutti 
i  suoi  piani.  Ella  non  aveva  sospettato  una  cosa  si- 
mile, tanto  le  pareva  che  Giovannino  dovesse  sentir  l'ob 
bligo  di  restar  scapolo  affinchè  solo  il  primogenito  con- 
tinuasse la  casa.  «  Quando  Michele  prenderà  moglie 

Quando  Michele  avrà  figli »  ella,  lo  stesso  Giovan- 
nino non  aveva  parlato  d'altro  che  del  matrimionio  di 
Michele,  del  duca.  I  due  fratelli  si  volevano  bene,  erano 
andati  sempre  d'accordo;  se  dunque  Giovannino  pareva 
voler  mettere  bastoni  tra  le  ruote,  la  colpa  era  di  lei 
che  non  lo  aveva  avvertito  del  matrimonio  disegnato. 
La  colpa  era  anche  di  Michele.  Indifferente  a  tutto, 
incapace  di  riscaldarsi  per  niente.  soJo  amante  della 
bella  caccia  e  della  buona  tavola,  quando  la  madre  aveva 
lasciato  passar  gli  anni  senza  dargli  moglie  egli  non 
aveva  chiesto  di  prenderla  ;  adesso  che  gli  proponeva 
la  cugina  Teresa,  si  disponeva  a  sposarla,  senza  vo- 
lontà, senza  desiderio,  come  avrebbe  fatto  un'altra  cosa 
qualunque.  Trattava  la  cugina  con  la  confidenza  giu- 
stificata dalla  parentela,  scherzava  con  lei  come  scher- 
zava con  tutti,  un  po'  grossolanamente;  era  incapace 
di  dirle  una  parola  tenera  :  chi  poteva  dunque  sospet- 
tare che  quello  fosse  un  futuro  promesso  della  ragazza  ? 
Non  lo  sospettava  neppure  Baldassarre,  il  quale  rimase, 
udendo  che  il  fidanzato  non  era  più  il  suo  favorito, 
ma  l'altro  fratello.  Come  ?  Il  principe  voleva  dare  quel- 
l'altro alla  padroncina  ?  Se  la  signorina  non  lo  voleva  ! 
Se  lui  stesso,  Baldassarre,  aveva  annunziato  a  tutti  che 
il  promesso  era  il  barone  Giovannino  ?  «  Andiamo  !  il 
principe  non  sa  che  la  padroncina  vuol  bene  al  piccolo. 
Quando  vedrà  che  dice  davvero,  si  persuaderà....  »  In- 


—  i88  — 

\ece,  poiché  Teresa  aveva  sempre  gli  occhi  rossi  di 
pianto,  per  l'avversione  che  le  dimostrava  il  padre,  per 
la  freddezza  che  ostentava  la  stessa  madrigna,  per  la 
nuova  guerra  scoppiata  in  famiglia  mentre  ella  voleva 
far  opera  di  pace,   un  giorno  la  principessa  le  disse  : 

—  Si  può  finalmente  sapere  che  hai  ? 

—  Xiulla,    mamma  ;   non   ho  nulla. 

—  Allora,  perchè  questo  broncio  continuo  ?  Ti  ostini 
sempre  nella  tua  idea?...  Oh,  adesso  è  tempo  di  parlar 
chiaro.  Tuo  padre  ha  dichiarato  che  sposerai  Michele, 
o  nessuno.   Non  ho  voluto  dirtelo  prima,  credendo  che 

egli  si  sarebbe  piegato,  ma  tu  lo  conosci  meglio  di  me 

E  del  resto,  proprio  in  questo  momento  vuoi  dargli  un 
gran  dispiacere  ?  Non  sai  che  è  ammalato,  molto  più 
gravemente  che  non  sembri?..,  E  non  solo  tuo  padre, 
ma  anche  la  duchessa  ?  Due  famiglie  !  Avete  disturbato 
due  famiglie  !...    Adesso  che   sai  come  stanno   le   cose, 

continua  pure,   se  ti  piace Certo,   oggidì  la   volontà 

dei  parenti  non  ha  pei  figli  forza  di  legge.  Se  lo  vuoi 
a    qualunque    costo,    puoi    anche    scappartene    di    casa, 

come  fanno  le  ragazze  senza  rispetto  e  senza  pudore 

—  svolgendo  questi  argomenti,  la  voce  di  donna  Gra- 
ziella si  addolciva,  quasi  ella  non  potesse  credere  alle 
ipotesi  che  enunziava  ;  —  e  potrete  anche  maritarvi,  ma 
ad  altre  condizioni,  beninteso,  e  senza  la  benedizione 
dei  vostri  parenti e  se  tu  credi  che  in  tal  modo  po- 
trete esser  felici,  fa'  pure!... 

Teresa  non  piangeva  più,  adesso;  aveva  versato  tante 
lacrime  in  segreto,  bagnando  il  suo  guanciale,  tutte  le 
notti  !  Guardava  dinanzi  a  sé,  fiso,  senza  veder  nulla, 
con  un  tremito  nervoso  della  mascella,  con  una  piega 
senza  fine  amara  del  labbro....  E  la  principessa,  smessa 
la  severità,  ricominciava  a  persuaderla  con  le  buone, 
amorosamente,  dicendole  che  i  migliori  giudici  di  quel 
che  le  conveniva  erano  i  suoi  parenti  ;  che  ella  poteva  in- 
gannarsi, come  s'era  in,gannata,  per  esempio,  sua  zia 
Lucrezia.  Aveva  voluto  a  qualunque  costo  sposare  Giu- 
lente,  e  adesso  come  ne  parlava?  Certo  i  casi  erano  di- 


—  iSo  — 

Versi,  perchè  tra  Michele  e  Giovannino  non  passava 
tanta  differenza  da  rendere  l'uno  degno  di  lei  e  l'altro 
no  ;  ma  c'era  una  grave  ragione  che  li  consigliava  a 
darle  iil  maggiore,  una  ragione  che  bisognava  pur  dire. 
- —  Se  Michele  non  è  cosi  bel  giovane  come  Giovan- 
niino,  ha  una  salute  di  ferro;  mentre  suo  fratello  è  gra- 
cile,  cagionevole Senza   contare   un'altra   cosa,    più 

grave  ancora  :  la  soverchia  irrequietezza  dello  spirito — 
Non  sai  che  suo  padre  era  già  pazzo  quand'egli  nacque  ? 
Dio  disperda  la  profezia,  ma  se  un  giorno  anche  a  lui 
voltasse  il  cervello?...  Avresti  fatto  un  bell'affare!... 
\'edi  che  tuo  padre  adduce  dunque  ragioni  e  non  ca- 
pricci. Contrariarlo  importa  dargli  un  dispiacere  che 
gli  può  riuscire  fatale,  tanto  più  che  la  sua  malattia 
non  si  sa  che  cosa  sia....  Ho  pianto  tanto,  giorni  ad- 
dietro, quando  il  dottore  mi  confidò  che  bisogna  pensare 
alla  sua  salute  !...  Non  te  ne  volevo  dar  nulla;  ma  è  ne- 
cessario che  tu  sappia  quale  sarebbe  la  tua  responsa- 
bilità nell'opporti  ai  suoi  desiderii,  che  non  mirano  ad 
altro  fuorché  al  tuo  bene — 

E  ricominciò  il  giorno  dopo,  e  poi  l'altro  appresso,  e 
cosi  sempre,  con  le  buone,  coi  ragionamenti,  ai  quali 
Teresa  non  opponeva  i  ragionamenti  contrarli  che  le  si 
affollavano  nella  mente.  Che  esempio  era  quello  della 
zia  Lucrezia,  se  costei  aveva  mutato  sentimento,  senza 
ragione,  per  stravaganza  —  come  dicevano  tutti?...  E 
se  temevano  per  la  salute  morale  di  Giovannino,  perchè 
le  consigliavano  di  portargli  un  colpo  cosi  forte,  come 
quello  di  rifiutar  di  sposarlo,  dopo  ch'egli  le  aveva 
detto  di  voler  bene  a  lei  sola?....  No,  ella  non  diceva 
né  questa,  né  quante  altre  cose  pensava;  perchè,  do- 
vendo manifestare  tutto  l'animo  suo,  avrebbe  dovuto 
dire  che  suo  padre  voleva  sacrificarla  ad  uno  sciocco 
pregiudizio,  che  la  madrigna  fingeva  quell'affetto  per 
indurla  a  fare  ciò  che  voleva  il  marito  ;  avrebbe  dovuto 
dire  che  in  nessun'altra  famiglia  la  malattia  del  padre 
è  stata  ragione  di  ordire  l'infelicità  delle  figliuole;  e 
avrebbe   dovuto   dire   ancora   che   la   ribellione   di    Con- 


—  igó  — 

salvo  si  dimostrava  ora  giustificata,  avrebbe  dovuto  ri- 
bellarsi ella  stessa Ma  questo  era  peccato!  11  confes- 
sore glielo  avvertiva,  raccomandandole  la  prudenza, 
l'obbedienza,  l'abnegazione,  tutte  le  virtù  cristiane,  di 
cui  in  famiglia  ella  aveva  luminosi  esempi  :  Suor  Croci- 
fissa, che  da  bambina  stava  a  S.  Placido,  che  aveva  ri- 
nunziato con  vocazione  esemplare  al  tristo  mondo  per 
darsi  allo  Sposo  celeste,  e  adesso,  giusto  premio  delle 
sue  virtù  cristiane,  era  Badessa  del  monastero;  Monsi- 
gnor Lodovico  che  anche  lui  aveva  disprezzato  il  posto 
spettantegli  al  secolo  per  abbracciare  lo  stato  monastico. 
E  la  beata  Ximena,  nei  secoli  andati.  Proprio  quell'anno 
ricorreva  il  terzo  centenario  della  sua  esaltazione  fra  gli 
Eletti  :  voleva  la  discendente  mostrarsi  degenere,  pro- 
prio mentre  Ella  la  guardava  dal  paradiso  con  più 
amore  e  fervore?...  E  le  stesse  cose  le  ripeteva  la  zia 
Badessa,  a  San  Placido,  dove  ora  la  principessa  la 
conduceva  ogni  domenica  per  ordine  del  marito. 

La  Badessa,  col  viso  color  della  cera  tra  i  veli  bianchi, 
•era  rimbambita  dei  tutto,  non  sapeva  far  altro  che  ri- 
petere alla  nipotina,  dietro  le  grate  del  parlatorio,  quel 
che  le  avevano  indettato  :  «  Bisogna  fare  la  volontà  di 
tuo  padre  e  tua  madre....  Cosi  comanda  Nostro  Si- 
gnore, cosi  comanda  la  Vergine  Immacolata,  cosi  co- 
manda il  patriarca  San  Giuseppe....  »  La  sua  voce  aveva 
il  tono  che  si  prende  nel  recitare  le  litanie;  e  lì,  tra  le 
mura  del  monastero.  Teresa  rammentava  la  fanciul- 
lezza lontana,  l'antica  paura  provata  quando  la  posa- 
vano sulla  ruota  per  farla  entrare  ndl' impenetratoile 
badia;  ma  rammentava  ancora  le  lodi  delle  monache, 
quand'ella  aiutava  a  ornar  di  fiori  gli  altari,  ad  accen- 
dere i  ceri  dinanzi  al  Crocefisso  :  «  Monachella  santa  ! 
Monachella  santa!...  »  E  l'istinto  del  sacrifizio,  i  moti 
d'umiltà,  la  sete  di  ricompense  che  l'avevano  occupata 
bambina  si  ridestavano  in  lei.  Il  confessore  le  meiteva 
un  altro  scrupolo  nell'anima  :  quello  di  spingere  al  pec- 
cato un'altr'anima;  giacche  ■ —  ella  non  lo  sapeva,  ma 
era  cosi  —  il  minore  dei  Radali  minacciava  di  ribellarsi 
apertamente  alla  madre.... 


—  i9i  — 

Era  falso  ;  Giovannino'  non  pensava  niente  affatto  a 
ribellarsi;  perdeva  soltanto  la  sua  gaiezza,  all'annun- 
zio del  disegnato  fidanzamento  del  fratello.  E  Bal- 
dassarre, sempre  più  incaponito  a  conubinare  il  matri- 
monio del  secondogenito,  non  capiva  pili  niente  di 
quanto  avveniva.  Don  Giovannino  aveva  si  o  no  fatto  la 
corte  alla  cugina  ?  La  signorina  aveva  si  o  no  mostrato 
di  gradirla  ?  Il  duca  Michele  era  sì  o  no  del  tutto 
indifferente  al'la  cugina  come  ad  ogni  altra,  e  voleva 
si  o  no  un  gran  bene  al  fratello  ?  Allora  tutto  quel 
diavolio  donde  veniva?  Dal  principe,  cocciuto  come 
tutti  gli  Uzeda...  - —  ma  Baldassarre,  a  un  certo  punto, 
si  turava  la  bocca  per  non  ripetere  i  giudizii  della  gente 
su  quella  casata  —  e  dalla  duchessa,  che  non  per  nulla 
era  un  poco  Uzeda  anche  lei  !... 

Il  centenario  della  Beata  Ximena  fu  celebrato  con 
pompa  straordinaria.  Per  il  triduo  la  chiesa  dei  Cap- 
puccini, tutta  rosse  drapperie  e  frange  dorate  e  tappeti 
fioriti,  fu  illuminata  a  giorno;  le  campane  sonavano  a 
festa,  le  messe  che  si  segaiivano  a  tutti  gli  altari  chia- 
mavano una  folla  sterminata  di  fedeli  d'ogni  stato.  I  di- 
scendenti della  santa  vi  convennero  anch'essi,  ma  in  ore 
diverse,  per  evitarsi,  dal  tanto  amore.  La  principessa 
e  Teresa,  il  primo  giorno,  restarono  un  momento  per 
impetrar  dalla  gloriosa  parente  la  guarigione  del  prin- 
cipe Giacomo,  da  due  settimane  inchiodato  a  letto  da 
misteriose  sofferenze.  Ma  la  solennità  più  grande  era 
serbata  per  il  terzo  giorno,  quando,  dopo  il  Pontificale, 
il  popolo  sarebbe  stato  ammesso  a  contemplare  la  salma. 

Gi^i,  per  cura  del  Padre  Guardiano,  coadiuvato  dal 
Padre  Camillo  e  da  Monsignor  Vicario,  era  venuto  in 
luce  un  opuscolo  intitolato  :  Nel  terzo  centenario  della 
canonizzazione  della  Beata  Uzeda,  e  stampato  con  molto 
sfoggio  di  margini  e  di  colori.  Tutti  i  parenti  ne  ave- 
vano ricevuto  un  esemplare,  e  Teresa  che  s'era  confes- 
sata e  aspettava  di  comunicarsi  il  giorno  della  gran 
festa,  m'editava  il  suo.  La  leggenda  della  santa,  che 
ella  aveva  udito  ripetere,  a  brani,  in  diverso  modo, 
era  in  quel  libriccino  narrata  per  filo  e  per  segno. 


- —   ìgz  — 

«  Ximena,  della  illustre  prosapia  degli  Uzeda  »,  così 
cominciava  il  primo  capitolo,  «  fu  figlia  al  Viceré  Con- 
salvo ed  alla  nobile  Caterina  dei  baroni  di  Marzanese. 
Fin  dai  suoi  teneri  anni,  diede  esempio  di  edificazione 
alla  famiglia,  facendo  sua  delizia  delle  sacre  immagini  e 
deg-li  ufìRcii  divini.  Quantunque  per  naturale  elezione 
Essa  volesse  dedicar  la  sua  vita  allo  Sposo  Celeste, 
pure  le  ragioni  della  politica  persuasero  LI  padre  suo 
a  far'la  sposa  del  conte  di  Motta- Reale,  potente  signore 
spagnuolo,  ma  uomo  d'efferato  animo  e  senza  timor  di 
Dio  ».  Seguiva  la  narrazione  dei  rifiuti  opposti  da  Xi- 
mena, dei  lunghi  pianti,  del  contrasto  tra  l'amor  filiale 
ed  il  celeste  ;  ma  un  giorno,  essendo  la  fanciulla  in 
età  di  quindici  anni,  avverossi  singolare  prodigio  :  un 
Angelo  apparve  a  Ximena,  il  quale  le  disse  :  Il  Signore 
t'  ha  eletta  per  redimere  un'anima  :  obbedisci  ».  .Allora 
la  fanciulla  aveva  accettato  il  partito. 

Il  secondo  capitolo  descriveva  il  castello  del  conte, 
posto  sopra  un  luogo  eminente,  «  a  cavaliere  di  più 
strade  battute  dai  mercatanti  »,  e  narrava  le  scellera- 
tezze del  suo  signore.  «  Aggrediva  i  viandanti,  li  la- 
sciava nudi,  legati  ad  un  albero  in  mezzo  alla  strada  ; 
oppure  li  menava  prigioni  o  li  spegneva  tra  spasimi 
crudeli».  La  sua  vita  era  un'orgia;  egli  faceva  ol- 
traggio alle  donne,  gozzovig'liava  da  mane  a  sera,  be- 
stemmiava Dio  e  i  Santi,  e  si  prendeva  beffe  dei  Mi- 
nistri del  Cielo  ».  E  i  tormenti  inflitti  alla  sposa  erano 
materia  del  terzo  capitolo.  Schernita  tuttodì  per  le  sue 
pratiche  devote,  costretta  a  udire  gì'  impuri  parlari  di 
quel  malvagio  e  dei  suoi  accoliti,  a  vedere  le  loro  scel- 
leraggini,  ad  assistere  alle  loro  turpitudini,  Ximena  fa- 
cevasi  usbergo  sempre  piia  saldo  della  sua  fede,  pre- 
gando ai  traviati  il  perdono  dell'Onnipotente  :  ma  la 
nequizia  di  quel  tristo  suo  sposo,  irritata  da  tanta  esem- 
p'are  santità,  offesa  dalla  protezione  che  la  consorte 
prestava  ai  poveretti  caduti  nelle  unghie  di  lui,  mise 
Ximena  a  tal  prova,  che  la  stessa  penna  arrossisce  in 
narrandola.  Una  sera,  ebro  per  la  gran  quantità  di  vino 


—  ^93  — 

tracannato,  lasciò  che  i  suoi  amici  penetrassero  nella 
camera  nuziale,  doAC  Ximena  riposava  dopo  una  gior- 
nata tutta  spesa  nel  pregare  e  nel  fare  il  bene.  Desta  ■ 
d'un  tratto  la  meschina,  e  atterrita  dagli  sguardi  diso- 
nesti di  quegli  ubriachi,  salta  giù  dal  talamjo,  cadendo 
ai  piedi  d'una  Sacra  Imagine  della  SS.  \'erg-ine  del- 
l'Aiuto che  teneva  sempre  con  gran  devozione  al  ca- 
pezzale; ed  ecco  nuovo  prodigio  operarsi:  s'arrestano 
gV  imbestiahti,  quasi  magico  cerchio  impedisca  loro 
appressarsi  alla  donna  :  e  tornati  a  un  tratto  alia  ra- 
gione, allontanansi  facendo  il  segno  della  croce  dinanzi 
alla   Immagine  ». 

Partito  un  bel  giorno  il  conte  pei  suoi  possedimenti 
di  Spagna,  e  restata  sola  in  Sicilia  la  S(posa,  tutto  s'era 
a  un  tratto  mutato  nel  castello  di  Motta-Reale.  «  Dove 
prima  echeggiavano  osceni  canti,  e  ferri  incrociati,  e 
colpi  di  fuoco,  e  grida  selvagge  e  lugubri  lamenti,  solo 
le  laudi  dell'Altissimo  salirono  al  cielo.  Quel  luogo,  g'à 
terrore  dei  viandanti,  divenne  ritrovo  di  derelitti  e  di 
infermi,  attirati  dalla  gran  fama  di  carità  de'lla  contessa. 
Alloggiava  dessa  i  pellegrini,  adottava  gli  orfanelli,  soc- 
correva i  bisognosi,  curava  gli  ammalati,  e  le  sue  mani 
stesse  medicavano  le  piaghe  e  le  ferite  e  prodigiosa- 
mente le  risanavano.  In  quei  luoghi  dove  tanti  miseri 
erano  caduti  vittime  del  conte,  altari  e  croci  s'alzarono, 
ad  espiazione  degli  antichi  delitti,  a  conversione  dei 
miscredenti.  Tutte  le  sostanze  di  Ximena  furono  spar- 
tite alle  chiese;  Essa  viveva  vita  frugale,  dicendo:  «  Il 
poco  mi  soverchia,  il  molto  rni  spaventa  ».  Non  con- 
lentavasi  che  i  poveri  venissero  a  lei,  ma  si  andava  ai 
poveri,  sfidando  le  intemperie  e  i  pericoli,  protetta  vi- 
sibilmente dal  Cielo...  ». 

Nessuna  notizia,  frattamto,  del  conte.  Che  cosa  fa- 
ceva? Dov'era?  «  Una  notte  di  tempesta,  mentre  guiz- 
zavano i  lampi  e  scoppiavano  i  tuoni,  la  contessa,  le- 
vatasi e  destata  la  sua  fantesca,  le  disse  :  «  \'a'  ad 
aprire,  qualcuno  batte  ».  La  donna  rispose  :  «  Non  bat- 
tono,   è   il   tuono  ».    E   una   seconda   volta   la   contessa 

09   Robtito.   /    Viceré       II  IS 


—  194  — 

levossi  e  disse  alla  donna  :  «  Va'  ad  aprire,  qualcuno 
balte  »  e  la  donna  rispose  :  «  Non  balLono,  è  il  vento  ». 
K  una  terza  volta  la  contessa  levossi  e  disse  alla  donna  : 
«  Va'  ad  aprire,  qualcuno  batte  »,  e  la  donna  rispose  : 
«  -Non  battono,  è  la  piog-gia  ».  Ma,  comandata  che  sve- 
gliasse i  servi,  la  fantesca  levossi  anche  lei,  e  dischiusa 
la  porta  del  castello,  un  miserabile  chiese  della  sig'nora. 
Era  costui  un  vecchio,  lacero,  scalzo,  sud  cui  viso  sta- 
\ano  impresse  le  stimmate  del  vizio;  un  terribiìe  male 
che  è  la  giusta  punizione  dei  dissoluti,  aveva  corrose  le 
sue  fattezze,  e  i  suoi  occhi  s'erano  chiusi  alla  luce  del 
di.  Moriva  di  fame,  non  reg'g'evasi  in  piedi,  e  un  fan- 
ciulletto  avrebbe'lo  avuto  alla  propria  mercè.  Chi  era 
quel  vecchio  ?  ». 

Era  il  conte  di  Motta-Reale.  «  Dissipate  nei  bagordi 
e  nei  giuochi  tutte  le  sue  ricchezze,  perduta  la  salute, 
abbandonato  dagili  antichi  compagni  di  gozzoviglie,  re- 
spinto da  tutti  per  l'orrore  del  male  che  lo  struggeva, 
egli  trascina\asi  di  luogo  in  luogo,  blasfemando  ed  im- 
precando ;  finché,  tornato  in  Sicilia,  udì  della  gran  ca- 
rità d'una  donna  che  accogilieva  e  medicava  qualunque 
infermo,  anche  i  lebbrosi.  E  nei  salire  al  castello,  nel 
penetrarvi,  i  suoi  morti  occhi  non  avevano  potuto  rico- 
noscere l'antico  suo  covo,  né  le  sue  orecchie  piagate 
avevano  potuto  riconoscere  la  voce  della  consorte.  Ma 
ben  Essa  avealo  riconosciuto.  E  ristoratolo  di  cibo  e  di 
bevande,  medicate  le  sue  piaghe,  lavati  i  suoi  piedi, 
Ximena  lo  mise  a  riposare  nel  proprio  letto —  E  il  mi- 
serabile che  insino  a  qualche  ora  indietro  avea  blasfe- 
mato e  disperato,  sentì  per  la  prima  volta  una  dolcezza 
soave  aiUargargli  le  vene,  e  un  fuoco  di  gratitudine  scio- 
giliergli  il  cuore  impetrato...  Ma  l'ora  sua  era  suonata, 
e  il  Signore  avea  stabilito  di  donargli  non  l'effimera 
salute  del  corpo,  ma  sì  quella  dell'anima...  Il  vec- 
chiardo, tra  le  cure  della  Beata,  al  lieve  mormorio  delle 
preci  che  Essa  mormorava,  entrava  in  agonìa.  Ma  la 
sua  agonia  non  aveva  nulla  di  terribile;  anzi  pareva  a 
lui  d'esser  risanato  del  tutto,  e  udire  musiche  ineffabili. 


—   195  — 

V    re.~.pii  are    prulumi    soavissimìi,    laddove    poco    innanzi 

marciva   nel   lezzo  e  avea   rotta   tutta  la  persona E 

un  sorriso  di  contento  g^li  schiudeva  la  bocca,  mentre 
le  sue  labbra  mormoravano  :  «  Chi  sei  tu  dunque  che 
non  mi  resping-esti  e  mi  ridoni  la  vita?...  »  E  la  Beata 
rispose  :  «  Guardaimi  in  viso  ». 

«  Allora  avvenne  più  grande  prodigio.  Gli  occhi  del 
cieco  si  schiusero  :  egli  ricomobbe  sua  mog-lie,  la  donna 
che  aveva  maltrattata  ed  offesa,  e  che  sola  lo  proceg- 
geva  neJla  miseria  e  nell' infermità  ;  e  nel  punto  che 
l'anima  sua,  perdonata  e  redenta,  saliva  ail  cieJo,  dalle 
sue  labbra  uscirono  queste  parole  :  «  Santa,  Signore  ! 
Santa  !  ». 

Teresa  aveva  gii  occhi  bagnati  di  pianto,  dalla  com- 
mozione; ma  il  libretto  non  era  Hnito.  L'ultimo  capitolo 
narrava  i  nuovi  e  più  grandi  e  più  chiari  esempii  di 
carità  e  santità  che  la  Beata  aveva  dati  dopo  la  morte 
d&ì  marito  ;  da  ultimo  narrava  la  morte  di  lei  e  i  suoi 
miracoli.  «  Non  era  per  anco  spirata,  che  stormi  d'au- 
gclletti  scesero  sul  tetto  della  sua  casa,  posaronsi  sul 
davanzale  del  suo  verone,  entrarono  nella  sua  cameretta, 
quasi  messaggeri  celesti  venuti  ad  incontrarne  l'Anima 
belila.  Soa^'e  profumo  di  rose  e  gelsomini  e  giacinti 
sprigionossi,  come  incenso,  dal  suo  corpo  ;  e  un  gran 
numero  d' infermi  che  trassero  a  contemplarla  l'ultima 
volta  sul  letto  ferale  guarirono  miracolosamente  sol- 
tanto per  aver  baciato  il  lembo  deMa  sua  veste.  Per 
prodigio  divino,  la  spoglia  terrena  di  questa  Eletta  sal- 
vossi  dalla  corruzione  :  dopo  tanti  secoli,  il  frale  della 
Beata  conserva  ancora  la  freschezza  ed  il  colore  che 
aveva  in  vita,  sì  che  pare  che  Essa  sia  assopita  in  un 
sogno  divino.  In  occasione  di  pestilenze  e  d'altre  pub- 
bliche e  private  calamità,  la  Beata  Uzeda  ha  operato 
innumerevoli  miracoli,  come  fu  provato  dinanzi  ai  Sacri 
Tribunali  di  Roma.  A  tal  uopo  pubblichiamo  qui  per 
la  prima  volta  il  processo  defila  Sua  canonizzazione,  che 
abbiamo  potuto  procurarci  grazie  all'alta  intercessione 
dell'  Eminenfcissimo  Cardinale  Lodovico  Uzeda,  preclaro 
discendente  della  Beata  ». 


—  196  — 

E  quella  lettura,  la  solennità  del  centenario,  i  di- 
scorsi del  confessore  e  della  madrig-na  e  della  zia  mo- 
naca, la  malattia  del  padre,  la  stessa  esaltazione  dello 
zio  Lodovico  alla  suprema  dig^nità  eccksiastica  avvenuta 
m  quei  g-iorni,  tutto  concorse  a  piegare,  come  cera,  il 
cuore  di  Teresa...  La  costringevano  forse  a  sposare  un 
mostro,  come  avevano  costretto,  nei  tempi,  la  santa? 
Michele  non  era  un  mositro,  era  un  buon  giovane  ;  e  i 
parenti  non  la  costringevano,  le  tenevano  il  linguaggio 
della  persuasione,  le  consigliavano  la  virtù  dell'obbe- 
dienza, parlavano  pel  suo  bene,  per  la  pace  delle  due 
famiglie,  per  la  salute  di  suo  padre,  ammalato  —  dice- 
vano —  dai  tanti  dispiaceri.  La  incitavano  a  non  se- 
guire il  tristo  esempio  di  Consalvo;  le  promettevano 
ogni  ricompensa  terrena  e  celeste...  E  poi,  quella  so- 
lennità del  centenario,  la  -  cerimonia  del  terzo  giorno, 
l'adorazione  della  salma  !  Ella  s'era  accostata  all'altare 
per  la  comunione,  aveva  ricevuto  l'Ostia,  mentre  le  spire 
delH'  incenso  e  il  profumo  dei  grandi  mazzi  di  fiori  im- 
balsamavano l'aria,  e  le  campane  squillavano  a  festa, 
e  l'organo  cantava,  grave  e  potente.  Quante  fronti  umi- 
liate, quante  preghiere  mormorate  dinanzi  alla  santa,  a 
cui  ella  era  state  paragonata  I  Ma  un  infinito  terrore 
la  stringeva,  da  lungo  tempo,  da  tanti  anni,  all'  idea 
di  dover  vedere  la  morta,  il  secolare  cadavere,  quasi 
che  per  un  nuovo  mostruoso  prodigio  il  corpo  esanime 
potesse  sollevarsi  dalla  bara,  infrangere  i  vetri,  affer- 
rarsi ai  viventi  spandendo  attorno  l'odore  nauseabondo 
dei  balsami  corrotti...  E  in  mezzo  ajlla  folla  che  aprivasi 
rispettosam,ente  sul  loro  passaggio,  mentr'ella  avanza- 
vasi  verso  la  cappella  tutta  lucente,  il  suo  terrore  cre- 
;,ceva,  l'agghiacciava,  le  sue  gambe  piegavansi,  bri- 
vidi di  freddo  le  scendevano  dalla  niica  giù  per  la 
schiena....  Ah,  quella  cassa  ! 

Con  gli  occhi  serrati,  ella  cadde  in  ginocchio,  smar- 
rita, tremante,  folle  dalla  paura.  L'na  voce  al  suo  fianco 
mormorò  : 

—  Pregala  per  tuo  padre...  promettile  che  sarai 
buona  com»  lei... 


—  197  — 

Dalla  paura,  per  andar  subilo  via,  per  non  veder 
quell'orrore,  ella  rispose  con  gli  occhi  serrati  : 

—  Si... 

E  passò  delil'adtro  tempo.  Il  principe  migliorò  e  ri- 
cadde, la  duchessa  venne  al  palazzo  col  solo  primoge- 
nito; la  trama  dei  consigli,  delle  persuasioni,  degli  inci- 
tamenti si  strinse  intorno  a  Teresa.  La  miadrigna  le 
disse  che  Giovannino,  per  non  esser  d'ostacolo  alila  fe- 
Tcità  del  fratello,  aveva  dato  l'esemipio  dell 'obbedienza, 
se  n'era  andato  ad  Aug^ista,  dove  domicilia  vasi  per  ba- 
dare alle  proprietà.  Teresa  consideravasi  impegnata 
dinanzi  alla  Beata  :  acconsenti.  Mise  un  patto  solo  : 
disse  alla  madrigna  : 

—  Farò  quel  che  vorrete,  purché  il  babbo  mi  pro- 
metta una  cosa.  Che  faccia  pace  con  mio  fratello  e  con- 
senta almeno  a  rivederlo,  se  non  vuole  che  torni  a  vi- 
vere qui.  Che  finisca  la  lite  con  le  zie  e  venga  a  un 
accordo.  Xon  sarà  difificiile  concluderlo,  purché  ciascuno 
ceda  in  qualche  cosa.  Se  volete,  parlerò  'o  stessa  con 
le  zie.  —  La  sua  voce  era  grave,  il  suo  sguardo  velato. 

—  Sei  una  santa  !  —  esclamò  donna  Graziella.  — 
Tua  madre  certo  t'  ispira  !  Vedremo  cosi  la  pace  tor- 
nare fra  tutti  !...  Parlerò  subito  a  tuo  padre,  ed  otter- 
remo ciò  che  tu  vuoi. 

Il  domani,  infatti,  le  annunziò  : 

—  Tuo  padre  acconsente.  Consadvo  verrà  qui  il 
giorno  in  cui  ci  verrà  il  tuo  promesso,  .andremo  ad 
invitare  noi  stessi  le  zie  ;  e  per  la  lite  speriamo  che  si 
venga  all'accordo. 

Tre  mesi  dopo,  la  duchessa  venne  a  presentare  il 
duca  in  casa  della  fidanzata.  Già  Consalvo  era  arrivato 
al  palazzo,  e  Teresa,  presolo  per  mano,  lo  aveva  guidato 
nella  camera  del  padre. 

—  Babbo,  —  gli  aveva  detto;  —  c'è  qui  suo  figlio 
che  viene  a  baciarle  la  mano. 

Il  principe,  tenendo  la  sinistra  in  tasca,  gli  porse  la 
destra  a  baciare,  e  alla  domanda  del  figliuolo  :  «  Come 


—  198  — 

sta  \'ostra  Eccellenza?»  —  «Benissimo»,  —  rispose, 
calcando  un  poco  la  voce,  e  senza  domandarg-li  :  «  E 
tu?  »  Non  avevano  ancora  barattate  quattro  parole,  che 
la  carrozza  di  donna  Ferdinanda  entrò  con  gran  fra- 
casso nel  cortile.  La  principessa  baciò  la  miano  alla 
vecchia,  e  abbracciò  la  cognata  Lucrezia,  la  quale  por- 
tava un  abito  eleg-antissimo  :  seta  color  d'ailbicocco  con 
guarnizioni  pistacchio....  Ella  avea  fatto  sapere'  a  tutti 
che  la  lite  col  fratello  s'avviava  ad  un  amichevole  com- 
ponimento e  che  le  bisognava  adesso  dare  molt-e  com- 
missioni alla  sarta  per  lo  sposalizio  di  «  mia  nipote  la 
principessina  con  mio  nipote  il  duca  ».  Era  piena  di 
debiti,  co^n  la  sarta,  con  la  modista,  il  gioielliere  :  im- 
brogliava sempre  più  l'amministrazione  del  marito,  ma 
la  sua  parte  nell'eredità  di  don  Blasco  avrebbe  appia- 
nato ogni  cosa. 

Tutti  gli  altri  parenti  sopraggiunsero  :  il  duca  d'Ora- 
gua,  Giulente,  iti  marchese  senza  la  moglie,  la  quale 
non  voleva  più  venire  dal  Belvedere,  dove  il  bastardello, 
cresciuto  neg-'li  anni  e  rovinato  dall'educazione  di  lei,  la 
picchiava  di  santa  ragione.  Il  principe,  salutando  i  pa- 
renti, guardava  con  la  coda  dell'occhio  Consalvo  e  non 
cavava  di  tasca  la  mano  sinistra.  Arrivò  finalmente  il 
promesso  con  la  madre.  Il  duca,  vestito  quasi  degan - 
temente,  non  faceva  poi  un  troppo  brutto  vedere,  e 
pareva  veramente  felice.  Sua  madre  gli  aveva  spie- 
gato che  Teresa  era  innamorata  di  lui,  e  che  i  bronci  di 
Giovannino  derivavano  dall' idea  che  questi  s'era  fìt'to 
in  capo  di  sposar  la  cugina,  senza  che  né  la  ragazza,  né 
la  famiglia,  né  lei  .stessa  che  era  sua  madre  e  doveva 
contare  bene  per  qualche  cosa,  acconsentissero.  Quindi 
se  n'era  andato  ad  Augusta;  11  si  sarebbe  persuaso  del 
proprio  torto.  Pertanto  la  duchessa  era  trionfante  : 
l'opera  a  cui  aveva  atteso  durante  tutta  la  vita  si  com- 
piva lietamente  :  il  primogenito  accasavasi,  continuava 
la  razza;  il  cadetto,  dopo  ed  a  causa  di  quell'amore  con- 
trastato, non  le  avrebbe  dato  certamente  altre  inquie- 
tudini.   Quanto  alla   principessa,    sfolgorava   dalla   sod- 


—  199  — 

disfazione  :  il  matrimonio  di  Teresina  era  tutta  fatica 
sua  particolare.  È  vero  che  la  rag"azza  aveva  dato 
prova  di  grande  arrendevolezza,  e  perciò  ella  la  baciuc- 
chiava og-ni  quarto  d'ora,  in  presenza  della  gente;  ma  i 
buoni  consigli,  le  ragioni  persuasive  chi  li  aveva  dati  ? 
Lei,  per  la  felicità  della  sua  cara  figliuola,  per  la  sod- 
disfazione del  marito,  .per  la  pace  della  famiglia  !... 
Anche  il  pri-nciipe  mostrava  una  bella  ciera,  nonostante 
r  inquietudine  ispiratagli  dal  figliuolo  e  le  tracce  della 
recente  malattia.  La  transazione  per  l'eredità  di  don 
Blasco  era  stata  discreta  :  la  casa  a  donna  Ferdinanda, 
la  rendita  al  duca,  il  quale  aveva  fatto  due  grossi  regali 
a  Lucrezia  ed  a  Chiara  :  centovent'onze  l'anno  a  Carino  ; 
il  Cin'aliere  col  nuovo  podere  —  il  più  grosso  e  bel  boc- 
cone —  a  lui. 

Cosi  la  pace  era  generale,  e  solamente  donna  Ferdi- 
nanda guardava  in  cagnesco  Consalvo  per  l'apostasia 
della  quale  s'era  macchiato.  Ma  Teresa,  do'po  aver  rap- 
pattumato il  fratello  col  padre,  riprese  Consalvo  per 
mano  e  lo  condusse  dinanzi  alla  zia. 

—  Zia,  —  disse,  —  Consalvo  le  vuol  baciare  la  mano. 
Fgli  si  chinò  subito  a  prender  la  zampa  rugosa  per 
nascondere  ri  riso  che  gli  solleticava  la  gola.  Quella 
A-ecchia  che  aveva  acchiappato  senza  tanti  scrupoli  un 
pezzetto  della  roba  della  Chiesa  dopo  avere  sbraitato 
contro  i  fedifraghi,  l'aveva  con  lui  perchè  egli,  a  parole 
soiltanto.  aveva  mutato  politica  !...  E  mentre  faceva 
uno  sforzo  straordinario  sopra  sé  stesso  per  avvicinarsi 
alile  labbra  la  mano  di  lei,  ella  la  ritraeva,  credendo  di 
fargli  cosa  sgradita,  borbottando  un  freddo  :  «  Va  bene, 
va  bene  !...  »  Egli  volse  le  spalle  alla  vecchia  matta.  Ma 
comic  chiamar  Teresa  ?  Consalvo  rideva  tra  sé,  vedendo 
lo  zelo  col  quale  costei  andava  accoppiando  i  parenti 
recalcitranti.  Per  metter  pace  tra  gente  che  il  domani 
avrebbe  ricominciato  ad  azzuffarsi,  per  dar  prova  d'ob- 
bedienza a  quei  birbanti  del  padre  e  della  madrigna, 
perché  si  dicesse  che  era  una  figliuola  modello,  aveva 
rinunziato  all'amore  di  Giovannino,  sposava  quel  ci- 
trullo del  duca  ! 


200    

—  Sei  contenta?  —  non  potè  fare  a  meno  di  doman- 
darle, a  quattr'occhi. 

—  Si,  —  ella  rispose;  e  la  tristezza  del  sacrifizio  che 
le  velava  la  fronte  si  diradò  per  dar  luogo  aiMa  serenila 
dell  dovere  compito... 

Ora,  mentre  questo  avveniva  nella  Sala  Gialla,  Bal- 
dassarre,  nell'anticamera,  parlava  solo,   fuori  di  sé  : 

—  Guardate  un  po'...  E  io  che  non  credevo!... 
Adesso  anche  lei  !...  Ma  allora  come  sono,  tutti  pazzi  ?. .. 
Questa  no!   Non  dovevano  farmela!... 

No,  fino  all'ultimo  momento  egli  no'n  aveva  creduto 
a  quel  clie  gli  diceva  tutta  la  città  :  «  Il  duca  !  Sposa 
il  duca!  »  No,  rispondeva  egli  a  tutti  con  un  sorriso 
di  compassione,  come  uno  che  la  sa  più  lunga  degdi 
altri...  Adesso,  vedendo  tutta  quella  gente  riunita,  il 
duca  seduto  accanto  alla  padroncina,  la  padroncina  che 
riceveva  i  complimenti  di  tutti,  la  testa  cominciava  a 
girar,gli.  Ijl  sangue  degli  Uzeda  si^ris vegliava --ia-luL^_ 
Dopo  cinquant'anni  di  devozione  sconfinata,  di  obbe- 
dienza cieca,  di  volontà  annichilita,  egli  aveva  espressa 
un'opinione,  annunziato  uii  avA^enimento.  Tutto  lo  aveva 
persuaso  a  crederlo  immancabile  ;  e  quando  il  principe  si 
era  opposto,  egli  aveva  fatto  assegnamento  sulla  vo- 
lontà dei  giovani.  Invece,  il  barone  se  n'era  andato  ad 
Augusta,  la  principessina  sorrideva  al  duca.  Allora  vo- 
leva dire  che  per  il  capriccio  di  coloro,  per  la  loro  stiam- 
beria,  la  parola  di  lui,  Baldassarre,  non  valeva  niente  ? 
Eg^li  valeva  meno,  in  quella  casa,  del  manico  della  gra- 
nata?... E  parlava  solo,  non  udiva  gli  squilli  del  cam- 
panello, dimenticava  gli  ordini,  sbagliava  il  servizio; 
ma  quando  la  gente  cominciò  ad  andarsene,  un'  impa- 
zienza febbrile  l'animò  ad  un  tratto.  Spingeva  via  le 
persone  con  gli  occhi,  non  stava  fermo  un  minuto,  e 
finalmente,  quando  credette  che  non  ci  fosse  più  nes- 
suno,  entrò  nella   Sala  Rossa. 

—  Ecce'llenza... 

C'era  ancora  il  principino.  Vedendo  entrare  il  maestro 
<li  rasa.  Consalvo  s'alzò  e  baciò  la  mano  al  padre.  Ebbe 


appena  voltate  le  spalle,  accompagnato  da  Teresa  e 
dalla  principessa,  che  il  principe,  cavata  finalmente  la 
sinistra  dalla  tasca  dove  l'aveva  sempre  tenuta,  squadrò 
le  corna  contro  il  iettatore.  Ma  la  voce  di  Baldassarre 
lo  richiamò  : 

—  Eccelilenza — 

. —  E  tu,  che  vuoi  ? 

— -  EcceJlenza,  —  disse  il  maestro  di  casa,  —  io  me 
ne  vado. 

—  Dove  ?  —  domandò  il  principe,  credendo  d'avergli 
dato  qualche  commissione  della  quale  s'era  dimenticato. 

—  Me  ne  vado  via.  Chiedo  licenza  a  Vostra  Eccel- 
lenza. 

Il  padrone  lo  guardò  un  poco,  credendo  d'aver  frain- 
teso. 

—  Licenza  ?  Perchè  ? 

—  Per  niente,  Eccellenza.  Sono  stato  quarant'anni 
in  casa  di  Vostra  Eccellenza,  ora  me  ne  voglio  andare. 
\'ostra  Eccellenza  può  tenermi  per  forza  ?  In  casa  sua, 
\'ostra  Eccellenza  comanda  come  gli  pare  e  piace  ;  chi 
le  può  dir  nulla?...  Anch'  io  in  casa  mia  sono  padrone. 
\'ostra  Eccellenza  può  procurarsi  un  altro  maestro  di 
casa  migliore  di  me  ;  non  ne  mancano  :  il  primo  del 
mese  io  me  ne  vado. 

—  Sei  impazzito  ? 

—  Non  ne  mancano In  casa  sua  Vostra  Eccellenza 

è  padrone fa  come  crede...  Io  me  ne  vado —  Il  primo 

del  mese 


VI. 


Uno  dei  primissimi  provvedimenti  del  giovane  sin- 
daco, appena  insediato  al  municipio,  era  stato  quello 
relativo  alla  costruzione  di  un'«  aula  »  per  le  riannioni 
consiliari.  All'antica  saletta  fu  sostituito  un  gran  salone 
provvisto  di  due  file  di  banchi  che,  per  gradi,   si   eie- 


vavano  dal  suolo  ad  anfiteatro,  con  tre  ordini  di  posti 
per  ciascuna  fila.  In  fondo  al  salone  una  specie  di  alto 
e  vasto  pulpito  comprendeva  :  a  destra,  in  bassio,  i  posti 
della  Giunta,  in  alto  quello  degli  scru'tinatori  e  la  pol- 
trona destinata  al  pi'efetto  ;  a  sinistra,  l'ufficio  di  se- 
ij-reteria  ;  nel  mezzo  di  tutta  la  baracca,  sopra  un'alta 
predella,  il  seg'giolone  sindacale  dorato  e  scolpito,  con 
un  cuscino  che  l'usciere  toglieva  e  chiudeva  a  chiave 
quando  il  principino  scioglieva  l'adunanza  e  se  ne  an- 
dava. Nel  centro  del  salone,  un  g-ran  banco  per  le  com- 
missioni ;  più  oltre,  tavole  per  «  la  stampa  »  ;  dirimpetto 
al  pulpito  sindacale  la  tribuna  pubblica.  «  Un  Parla- 
mento, in  miniatura  !  »  dicevano  quella  che  erano  stati 
a  Roma;  e  le  adunanze  del  consiglio,  sotto  la  presi- 
denza di  Consalvo,  prendevano  ora  un  vero  carattere 
parlamentare.  L'ordine  del  giorno  che  prima  attacca- 
vano manoscritto  dietro  un  uscio,  si  distribuiva,  stam- 
pato, a  tutti  i  consig'lieri  ;  un  appo.sito  regolamento, 
elaborato  dal  sindaco,  prescriveva  le  norme  da  seguire 
nelle  discussioni  pubbliche.  Gli  oratori  non  potevano 
parlare  più  di  tre  volte  sopra  uno  stesso  soggetto  ;  al 
segretario  era  rigorosamente  vietato  d' interloquire, 
neppure  per  rispondere  alle  domande  dei  consiglieri,  e 
se  qualcuno  di  costoro  aveva  da  la.gnarsi  della  sipor- 
cizia  stradale  o  dei  cani  senza  guinzaglio,  il  principino 
gli  gridava  dal  suo  seggiolone  :  «  Presenti  domanda 
d'analoga   inteipellanza  ». 

Prima  cura  della  nuova  amministrazione  furono  i  la- 
\ori  pubblici.  Il  sindaco,  in  un  discorso  dove  rammentò 
la  via  Appia,  «  che  da  Roma  conduceva  all'Adriatico  », 
d'mostrò  la  necessità  di  si-stemare  le  strade;  e  la  città 
fu  messa  sottosopra,  sommie  considerevoli  furono  spese 
per  indennizzare  i  proprietarii  danneggiati;  ma  la  vi- 
stosità dei  risultati  fruttò  considerevoli  elogi  al. giovane 
amim  i  n  i  strato  re . 

Con  le  strade,  l 'amministrazione  Di  Mirabella,  come 
tutti  la  chiamavano,  provvide  alla  costruzione  d'un 
grande  mercato,  d'un  grande  teatro,  d'un  grande  ma- 


cello,  d'una  g-randc  caserma,  d'un  gran  cimitero.  Nuovi 
edifizii   sorg•e^■ano  da  per  tutto,   il  lavoro  non  cessava, 
la  città  trasformavasi,  le  lodi  del  principino  salivano  al 
cielo.  Qua'lcuno,  timidamente,  faceva  osservare  che  tutte 
quelle  cose   stavano   benissimo  ;   ma,   e   i  quattrini  ?   Ce 
n'erano  abbastanza?...    Consalvo  rispondeva  che   il  bi- 
lancio d'una  città  in  via  di  continuo  progresso  «  presen- 
tava tale  elasticità  »  da  permettere  non  che  quelle,  ma 
sipese  anche  maggiori.  La  popolarità  essendo  tutta  sua, 
egli   faceva  degli  assessori  ciò  che  voleva;   se  manife- 
stavasi    qualche    velleità    di    contraddizione,    la    sedava 
suscitando  gli  uni  contro  gli  altri  coloro  che  s'accorda- 
vano nell'oipposizione  ;  oppure,  quando  l-a  faccenda  era 
più  seria,  minacciando  di  andarsene.  Aliora  tutti  si  che- 
tavano.  E  di  quel  che  riusciva  bene  egli  aveva  tutto  il 
merito;    di   quel   che   non   otteneva   l'approvazione   del 
popolo    rigettava    la    colpa    sulle    spalle    della    Giunta. 
Le  tornaite  consiliari  erano  diventate'  uno  spettacolo  a 
cui,  grazie  alla  «  tribuna  »  pubbdica,  la  gente  accorreva 
come  alla  commedia  o  al  giuoco  dei  bussolotti  ;  i  sociì 
del  Club,  gli  ex-compagni  di  bagordi  del  principino  sa- 
livano di  tanto  in  tanto  lassù,  con  l'intenzione  di  can- 
zonarlo; ma  la  serietà,   il  sussiego,  l'autorità  di  Con- 
salvo s'imponevano  talmente,  che  essi  arrischiavano  ap- 
pena tra  loro  qualche  epigramma....    Chi   rammentava 
più  la  prima  fase  della  sua  vita  ?  La  sua  riuscita  lo  in- 
superbiva,   la    sua  forza    quasi   lo    stupiva;    ma   ormai 
non  era  sicuro  di  poter  arrivare  dove  avrebbe  voluto  ? 
«  Sarà  deputato,   lo  manderemo   a   Roma   quando   avrà 
gli  anni;  in  lui  c'è  la  stoffa  d'un  ministro!  »  comincia- 
vano a   dire   in   città  ;   ma   se   udiva   queste   cose,    egli 
scrollava  le  spalle,  con  un  sorriso  mezzo  di  compiaci- 
mento, mezzo  di  modestia,  quasi  a  significare  :  «  Grazie 
della  buona  opinione  che  avete  di  me  ;  ma  ci  vuol  altro!  » 
Cosi  eg^li  si  teneva  bene  con  tuitti,-  raccogilieva  lodi 
da  ogni  parte.   Quelli  che  s'accorgevano  del  suo  gioco 
e   lo   denunziavano,    o   non   erano   creduti,    o   erano   so- 
spettati d'invidia  o  di  malignità,  o  finailnuente,   se  tro- 


204   — 

vavano  credito,  sentivano  rispondersi  :  «  Fanno  tutt/ 
cosi,  in  questi  tempi  d'armeggio  !  Il  principino  ha 
questo  di  vantaggio,  che  è  ricco  e  non  ha  da  ingrassarsi 
alle  spalle  nostre  !  »  Ma  gili  oppositori  più  vivaci  non 
mancavano.  Come  trasformavasi  materialmente,  la  città 
prendeva  anche  moralmente  un  nuovo  indirizzo.  La  po- 
polarità del  vecchio  duca  andava  scemando  di  giorno 
in  giorno;  il  Circolo  Nazionale,  che  aveva  s.padroneg- 
giato,  perdeva  sempre  piij  credito.  Le  nuove  società 
popolari  non  ne  avevano  ancora,  ma  le  rifonne  pro- 
messe dalla  Sinistra  l'avrebbero  loro  conferito  :  frat- 
tanto, alla  discussione  dei  negozii  pubblici  partecipa- 
vano classi  e  persone  dapprima  incapaci  di  compren- 
derne nulla.  Anche  la  stampa  era  più  ardita,  se  non  più 
libera,  e  trattava  con  pochi  riguardi  gli  antichi  spa- 
droneggiatori.  Il  principino,  fiutando  il  vento,  sfog- 
giava coi  democratici  le  sue  idee  di  democrazia.  A 
udirlo,  la  libertà,  l'eguaglianza  scritte  nelle  leggi  erano 
ancora  un  mito  :  il  popolo  era  stato  cullato  nell'opi- 
nione che  le  antiche  barriere  fossero  state  infrante  ; 
ma  i  priviilegi  esistevano  sempre  ed  erano  soltanto 
d'altra  natura.  Avevano  largito  il  diritto  del  voto,  e 
questo  era  parso  una  rivoluzione  ;  ma  quanti  gode- 
vano di  cotesto  diritto?  Bisognava  dunque  farne  un'  al- 
tra, «  legale  e  morale  »,  per  estenderlo  a  tutti.  La 
parola  «  rivoluzione  »  gli  scottava  le  labbra  e  gli  faceva 
tremare  il  cuore  ;  e  il  desiderio  intinilo,  sincero,  ardente 
dell'animo  suo  era  che  vi  fosse  un  numero  di  cara- 
binieri doppio  di  quello  dei  cittadini  ;  ma  poiché  il 
vento  soffiava  da  un'altra  parte,  egli  cercava  la  com- 
pagnia dei  radicali  più  noti  per  dir  loro  :  h  La  repub- 
blica è  il  regime  ideale,  il  sogno  sublime  che  un  giorno 
ara  realtà,  poiché  essa  suppone  uomini  perfetti,  virtù 
adamantine,  e  il  costante  progresso  dell'umanità  ci 
fa  antivedere  il  giorno  del  suo  compimento  ».  E  dichia- 
rava :  «  Io  sono  monarchico  per  la  necessità  di  questo 
periodo  transitorio.  Milioni  e  milioni  d'uomini  liberi 
possono  volontariamente  riconoscersi  e  vantarsi  sud- 
diti  di   un    uomo   come   loro?    Io   non   ho   nessun   pa- 


205   — - 

drone!  »  E  in  questo  era  sincero,  perchè  a\rel)bc  voluto 
esser    egli    stesso    padrone    degli    altri. 

Il  duca  e  i  suoi  malvacci  amici,  ostinandosi  a  giurar 
sulla  Destra,  aspettando  il  ritomo  di  SeHa  e  Min- 
gfhetti  come  quello  di  Nostro  Signore,  avevano  creato 
un'Associazione  Cusìitiizionale,  di  cui  tuttavia  l'ono- 
revole deputato  non  aveva  voluto  es.ser  capo.  Anch'  egili 
adesso,  in  cuor  suo,  riconosceva  che  la  strada  non 
aveva  uscita;  ma  oramai  egli  stava  per  toccare  la 
settantina,  era  stanco,  non  gili  resta\a  più  nulla  da 
fare.  In  meno  di  venti  anni  aveva  n^esso  insieme  una 
sostanza  di  parecchi  milioni,  le  cure  della  quale  prende- 
vano tutto  il  resto  della  sua  attività.  Deciso  vera- 
mente a  ritirarsi  dalla  vita  pubblica,  aveva  un'  ultima 
aimbizione  :  quella  d'essere  nominato  senatore;  se, 
quindi,  per  finir  bene  dinanzi  all'opinione  pubblica, 
non  gli  conveniva  abbandonar  bruscamente  il  partito 
al  quale,  dopo  il  Settantasei,  s'era  legato  ancora  più 
stretto,  non  gli  conveniva  neppure  muover  g-uerra 
troppo  apert-a  a  quella  Sinistra  da  cui  aspettava  la 
seggiola  a  Palazzo  Madama.  Quindi  aveva  dato  a 
Benedetto  Giulente  'a  presidenza  della  Costituzioìiale, 
contentandosi  del  posto  di  semplice  gregario.  Frat- 
tanto, contro  questa  società  era  sorta  una  Progres- 
sista, alla  quale  s'era  fatto  ascrivere  Consalvo.  «  Zio 
e  nipote  l'un  contro  l'altro  armati  ?  Il  ragazzo  che  si 
^ribella  al  \ecchio?  »  dicevano  in  piazza  ;  ma  le  eterne 
male  lingue  insinuavano  che  la  cosa  era  fatta  d'amore 
e  d'accordo,  che  il  duca  era  ben  contento  d'avere  il 
nipote  nel  campo  contrario,  come  il  principino  si  gio- 
vava del  credito  deMo  zio  tra  i  conservatori.  Del  resto, 
quantunque  consocio  dei  progressisti,  egli  dichiarava 
a  questi  ultimi  che  la  Sinistra  non  aveva  ancora  u  un 
■finanziere  della  forza  del  Sella  »,  né  «  oratori  eleganti 
come  Minghetti  ».  Ma  a  quelli  che  non  nascondevano 
i  disinganni  prodotti  dal  regime  costituzionale,  non 
aveva  nessuna  difficoltà  a  dichiarare  :  «  L'errore  è  stato 
di  credere  che  potesse  dare  buoni  frutti.  Il  gregge  ha 


—  2o6  

sempre  avuto  bisogno  d'un  pastore  con  relativi  ba- 
stoni e  cani  di  guardia...  »  Dava  ragione  perfino  a  quei 
pochi  che  rimpiangevano  l'autonomia  della  Sicilia  :  «  Di- 
ciamolo francamente  tra  noi  :  forse  oggi  staremmo 
meno  peggio!  »  Non  avrebbe  fatto  nessuna  difficoltà  a 
concedere  alla  zia  Ferdinanda  che  il  governo  borbonico 
era  il  solo  amabile  ;  ma  poiché  la  vecchia  non  poteva 
giovargli,  lasciava  ch'ella  cantasse.  Anzi,  si  giovava 
di  quell'opposizione,  non  che  della  rottura  col  padre. 
Siccome  sapeva  che  molti,  udendo  celebrare  la  sua  fede 
democratica,  ridevano  d'incredulità,  esclamando  :  «  Lui, 
il  principino  di  Mirabella,  il  futuro  principe  di  Franca- 
lanza,  il  discendente  dei  Viceré?  Andiamo!...  »  egli  af- 
fermava :  «  Per  questa  fede,  per  questi  principii  io  sono 
venuto  in  urto  con  mio  padre,  ho  rinunziato  all'eredità 
di  mia  zia,  sosterrei  ogni  maggiore  avversità  !...  » 

Nella  Giunta,  tra  i  conservatori  aristocratici  é  i 
radicali  progressisti  di  tanto  in  tanto  s'  accendeva  una 
lite  ;  allora  egli  esclamava  :  «  Qui  non  bisogna  par- 
lar di  politica  !...  »  ma  una  volta  che  la  contessa  di- 
venne più  vivace,  lo  tirarono  in  ballo.  Rizzoni,  radi- 
calissimo,    esolamò  : 

—  Ma  domandatelo  al  principino,  se  l'avvenire  non 
è   nostro,    se  anch' egli   non   è  democratico!... 

—  Mio  nipote?  —  rispose  Benedetto  Giulente.  — 
L  '  aristocrazia   incarnata?. . . 

Costretto  a  rispondere,  egli  sorrise,  si  lisciò  i  baffi, 
e  disse  : 

—  L'  ideale    della    democrazia    è    aristoc~raitico. 

—  Ccime?  Sentiamol...  Questa  è  nuova!...  Che  dia- 
volo!... —  esclamarono  tutti. 

Egli  lasciò  che  dicessero  :   poi   ripetè  : 

—  L'ideale  della  demiocrazia  é  aristocratico —  Che 
cosa  vuole  infatti  la  democrazia?  Che  tutti  gli  uomini 
sieno  egTuali!  Ma  eguali  in  che  cosa?  Forise  ndlla 
povertà  e  nella  sog-gezione?   Eg'uali  nelle  dovizie,   nella 

forza,  nelila  potenza —  E  poiché,  dopo  un  momento 

di  stupore,   le  esclamazioni  ricomincia\ano,   egli  troncò 


207   — 

di  batto  la  discussione:  —  Adesso  passiamo  all'allro 
articolo  :  X'ulo  id  governo  per  la  costruzione  d'  Uii 
baciiio  di  carenaggio 

Egli  andava  adesso  qualche  voilta  da  suo  padre. 
Non  sentiva  più  avversione  contro  di  lui  :  lo  zelo,  la 
febbre  con  la  quale  s'occupava  della  cosa  pubblica, 
la  tensione  di  tutte  le  sue  energ^ie  al  conseguimento 
del  nuovo  scopo,  non  lasciavano  posto  a  nessun  altro 
sentimento  né  d'odio  né  d'amore.  Quanto  al  principe, 
le  visite  del  figliuolo  gili  mette\  ao  i  brividi  addosso, 
ed  appena  lo  udiva  annunziare  dal  nuovo  maestro  di 
casa  —  poiché  Baldassarre,  cocciuto  come  un  v&r-o- 
Uzeda,  era  proprio  andatò'^vìa  —  ficcava  la  sinistra 
in  tasca  e  non  la  traeva  se  non  per  spianarla,  aperta 
col  segno  delle  corna,  dietro  ail  fig'liuolo,  quando  costui 
si  decideva  a  sgomberare.  I  loro  discorsi  s'  agg^ira- 
\  ano  sopra  cose  indilierenti,  come  fra  estranei;  vi 
principe  fingeva  di  non  sapere  che  Consalvo  fosse  il 
primo  magistrato  civico;  ma  insomma  adesso  stavano 
insieme    da   cristiani. 

Teresa,  ora  duchessa  Radali,  vedeva  in  tal  modo 
coimpensato  il  proprio  sacrifizio.  Eccettuati  i  primis- 
simi tempi,  quando  la  memoria  di  Giovannino  non  era 
interamente  morta  nel  suo  cuore,  e  più  grande  le  era 
parsa  la  superiorità  di  lui  suU'  altro  fratello,  ella  non 
aveva  del  resto  sofferto  quanto  aveva  temuto. \I1  duca 
Michele  non  solo  la  trattava  bene  e  le  lasciava  ogni 
libertà;  ma  le  dimostrava,  a  modo  suo,  un  po'  alla 
grossa,  un  affetto  vivo  e  sincero.  La  duchessa  madre, 
anche  lei,  dalla  soddisfazione  di  vedere  riusciti  i  proprii 
disegni,  le  faceva  gran  festa  e  la  metteva  perfino  a 
parte  dd  governo  della  casa.  Il  barone  se  n'era  andato 
ad  Augusta,  badava  agli  affari  di  campagna  e  scri- 
veva due  o  tre  volte  il  mese  al  fratello  od  alla  madre, 
chiudendo  le  sue  lettere  con  un  «  saluto  la  cognata  ». 
La  tranquillità  che  regnava  nella  sua  nuova  casa,  la 
pace   che    ristabilivasi    nell'  antica,    1'  affezione    del    ma- 


—  2o8  — 

rito,  i  trionfi  di  Consalvo,  }e  lodi  che  raccojjlieva  ella 
stessa  —  poiché,  tra  le  giovani  si,gnore,  aveva  occu- 
pato subito  il  primo  posto  —  facevano  fiorire  sulle 
sue  labbra  sorrisi  a  grado  a  grado  più  schietti.  Vera- 
mente, ella  non  sentiva  più  l'anima  disposta  a  com- 
porre musiche  o  poesie,  ma  sedeva  ancora  spesso  al 
pianoforte  per  esercitarsi,  e  nel  farsi  bella  spendeva 
forse  maggiori  cure  di  prima. 

Adesso  era  libera  di  leggere  i  libni  clie  più  le  pia- 
cevano; e  quando  non  aveva  nulla  da  fare,  divorava 
romanzi,  drammi  e  poesie.  L'eccitazione  di  quelle  let- 
ture non  le  impediva  però  di  attendere  alle  pratiche 
religiose  con  zelo  e  fervore  :  in  casa  Radali  verùvano 
lo  stesso  monsignor  Vescovo,  lo  stesso  Vicario,  gli 
stessi  pregiati  che  frequentavano  la  casa  del  priincip>e  : 
essi  additavano  a  tutti  la  duchessa  nuora  come  mo- 
dello   di  domestiche  e  cristiane  virtù. 

Presto  la  gravidanza  le  fece  dimenticare  del  tutto 
i  sogni  del  passato,  e  l' affezionò  meglio  alla  realtà 
del  presente.  Soffrì  pochissimo  durante  la  gestazione  ; 
il  tempo  voilò  rapido  in  mezzo  a  tante  cure  ed  a  tanti 
pensieri.  Il  parto  fu  felicissimo  ;  tutti  aspettavano  un 
maschio  e  un  n^aschio  nacque,  un  bambino  grosso  e 
florido  che  pareva  d'  un  anno.  «  Poteva  essere  altri- 
menti? »  dicevano  tutti.  «  Per  una  figlia  e  una  sposa 
buona  come  lei,  protetta  da  una  Santa  in  cielo?...  »  I 
preparativi  del  battesimo  furano  grandiosi  :  il  duca 
volle  il  fratello  come  padrino.  La  duchessa  madre 
approvò;  Teresa,  riposando  sul  letto  nuziale,  dove 
restava  più  per  una  beata  indolenza  che  per  neces- 
sità, 'disse  che  naturalmente  la  scelta  non;  poteva 
essere  migliore.  Giavamnino  tardò  a  ritspondere,  ma 
sollecitato  dal  duca  anche  a  nome  della  madre  e  della 
moglie,   arrivò  la  vigilia  della  cerimonia. 

Pareva  un  altr'uomo:  s'era  fatto  più  forte,  il  sole 
lo  aveva  abbronzato,  la  barba  cresciuta  gli  dava 
un'aria  più  maschia,  simpatica  quanto  l'antica,  ma  in 
modo  diverso.    Strinse  la  mano  alla  cogfnata,   chieden- 


—  2og  — 

tloJe  premurosamente  nottizie  della  sua  salute,  e  volie 
veder  subito  il  nipotino  che  giudicò  un-  amore  e  baciò 
e  ribaciò  fino  alla  sazietà.  Ancora  più  calma  e  serena 
di  lui,  elJa  lo  accotlse  come  un  amico  che  non  si  vede 
da  molto  temiipo.  Dopo  la  cerimonia  del  battesimo, 
alla  quale  furono  invitati  tutti  i  parenti  stretti  e  larghi, 
tutte  le  conoscenze,  mezza  città,  Giovannino  annunziò 
che  ripartiva.  Fecero  a  gara  per  trattenerlo,  ma  egli 
dichiarò  che  e'  era  molto  da  fare  in  campagna,  e 
andò  via  prccnettendo  ad  ogni  modo  di  tornar  presto 
a    rivedere   il    figlioccio. 

Molti  degli  invitati  al  battesimo,  nuovi  tra  gli  Uzeda, 
avevano  chiesto  chi  fosse  un  vecchio  magro  e  sfian- 
cato, il  quale  portava  un  abito  nuovo  fiammante  e 
certe  scarpe  che  non  ne  potevano  più,  un  cappello 
unto   e    una   mazza   col   pomo  d'argento. 

Era  il  cavaliere  don  Eugenio.  La  stairrupa  del  Nuovo 
Araldo,  ossifero  SuppUìnento,  gli  aveva  procurato  un 
altro  momento  di  benessere.  Aveva  scialato,  posse- 
deva qualche  soldo  :  ma  lo  scandalo  era  enorme  :  egli 
ave\~a  attribuito  titoli  di  nobiiltà  e  stemimi  e  corone 
a  quanti  lo  avevano  pagato  :  speziali,  calzolai,  barbieri 
sfoggiavano  dentro  le  botteghe  quadri  dalle  cornici 
dorate  dove,  sotto  corone,  elmi  e  variopinti  svolazzi, 
si  vedevano  scudi  con  leoni,  aquile,  serpenti,  gatti, 
lepri,  conigli,  ogni  sorta  di  bestie  passanti  e  volanti  ; 
e  poi  castelli,  torri,  colonne,  montagne;  e  poi  astri 
di  tutte  le  grandezze,  lune  d'argento,  piene  e  falcate; 
soli  d'oro,  stelle,  comete;  e  tutti  i  colori  dell'aride, 
tutti  i  n:etalli,  tutti  i  mantelli.  Né  scrupoli,  né  dif- 
ficoltà lo  avevano  arrestato  :  a  chi  si  chiamava  Panet- 
tiere aveva  daio  per  arme  un  forno  fiammante  in 
campo  d' oro,  a  chi  portava  il  nome  di  RapicavoJi 
un  bel  mazzo  di  verdura  in  campo  d'  argento.  Cosi 
l'impresa  aveva  fruttato  di  gran  bei  quattrini;  ma, 
ccwne  r  altra  volta,  buona  parte  s'  era  perduta  per  via. 
Egli  aveva  però  riscattato  l'edizione  del  primo  Araldo 

Da  Hoberto.   I    rUrrè   -   Il  U 


—    2IO   — 

che  il  tipografo  teneva  sotto  sequestro,  e  con  nii'Hc 
copie  dell'opera  se  n'era  tornato  al  suo  paese  per 
venderle    e   mang-iarci    su. 

Faceva  il  conto  senza  il  principe.  Sistemato  l' af- 
fare della  lite,  questi  s'era  pentito  dell'accordo,  e  si 
lagnava  d'  essere  s.tato  defraudato,  d'  esser  rimasto 
con  un  pugno  di  mosche,  mentre  l' eredità  di  don 
Blasco  doveva  toccare  tutta  a  lui.  Il  malumore,  l'inap- 
petenza, la  debolezza  di  cui  aveva  sofferto,  tornavano 
a  tormentarlo  :  sordamente  irritato,  incaipace  di  con- 
fessarsi ammalato  pel  superstizioso  timore  di  accre- 
scere con  la  confessione  la  malattia,  se  la  prendeva 
con  la  fig-lia  che  g-li  aveva  imjposto  la  transazione, 
dichiarava  d'essere  stato  spogliato  come  in  un  bosco. 
Appena  visto  tornare  lo  zio,  e  udito  che  aveva  qualche 
soldo,  andò  a  chiedergli  la  restituzione  del  prestito. 
E  siccome  don  Eugenio  tirò  in  ballo  la  rinunzia  ai 
proprii  diritti,  egli  gridò  : 

—  Che  diritti  e  che  storti?  Sono  stato  spogliato! 
Si  sono  preso  tutto!  Io  v'ho  dato  i  quattrini;  resti- 
tuiteli,  adesso  che  li   avete. 

Vista   la    mala    parata,    don    Eugenio   gli   confidò  : 

—  Non  li  ho  !  Ti  giuro  che  non  li  ho  !  Ho  quattro 
soldi  per  tirare  innanzi  ;  se  ti  do  duemila  e  cinque- 
cento lire,   come  mangio? 

—  Datemi  allora  le  copie  —  rispose  pronto  Gia- 
como. 

—  Ma  sono  il  mio  solo  provento  !  Se  tu  me  le  togli 
dove  vado  a  sbattere?  Che  t'importa  di  un  po'  di 
carta  sporca?...  Tu  che  sei  tanto  ricco?  Per  me  è  il 
pane!...  Le  venderò  a  poco  a  poco,  avrò  tanto  da 
camipucchiare 

Inflessibile,  il  principe  volle  presso  di  sé  tutta  l'edi- 
zione deìV Araldo  Sicolo  e  del  Suppìimenfo,  come  garan- 
zia  del   proprio   credile 

Quantunque  mezza  Sicilia  fosse  inondata  di  quella 
pubblicazione,  pure  riusciva  spesso  a  don  Eugenio 
di   collocarne   qualche   copia;    e   allora   andava    a   pren- 


derla  dal  principe  pruiiitllcndo  di  portare  i  quattrini 
per  poi  dividerli  con  lui;  ma  i  quattrini  non  veni- 
vano mai,  talché  un  bel  giorno,  stanco  d'esser  bef- 
fato,   il    nipote   gli   dichiarò  : 

— i  Mi  pare  che  lo  scherzo  sia  durato  a  lungo  ; 
d'ora  in  poi,  se  vorrete  altri  esemplari,  li  pagherete 
anticipatamente. 

Allora,  finiti  i  soldi  che  aveva  portato  da  Palermo, 
gì'  imbarazzi  ricominciarono  per  1'  ex-Gentiluomo  di  Ca- 
mera. Come  un  fattorino  dd  libraio,  egli  saliva  e  scen- 
deva scale,  coi  piedi  gonfi  dalla  gotta,  trascinandosi 
penosamente,  per  offrire  il  suo  Araldo,  per  mostrarne 
un  fascicolo  di  saggio,  e  quando  arrivava  a  scovare 
un  compratore  corrcAU  a  supplicare  il  principe  perchè 
gli  desse  la  copia,  giurando  e  spergiurando  che  sarebbe 
tornato  subito  coi  quattrini  ;  ma  il  principe,  diuro  : 
«  Porta'teli  prima!  »  Non  sapendo  dove  dar  il  capo,  il 
vecchio  fenmaA'a  i  parenti  e  le  semplici  conoscenze  per 
farsi  prestare  le  trenta  lire  ;  raggranellatele,  le  portava 
al  nipote,  il  quale  solo  dopo  averle  intascate  rilasciava 
r  esemplare.  Ma,  riscosso  il  prezzo  dal  compratore, 
don  Eugenio  dimenticava  di  soddisfare  i  debiti  con- 
tratti, talché  r  operazione  si  rinnovava  ogni  volta  con 
mag-gior  difìficoltà.  Del  resto,  il  cavaliere  trovava  da 
un  certo  tempo  la  piazza  molto  più  dura  di  prima  :  da 
gente  a  cui  egli  non  aveva  mai  proposto  V Araldo, 
sentivasi  rispondere  :  «  Un'  altra  volta?  L'  ho  già!  » 
Dicevano  così  per  mandarlo  via?...  Un  giorno,  per 
sincerarsene,  volle  domandare  a  uno  di  costoro  come 
r  avesse  :  «  Oh,  bella!  1'  ho  comprato!  È  venuta  una 
persona  di  casa  vostra:  non  siete  zio  del  principe?...  » 

Il  vecchio  si  batté  la  fronte  :  quel  birbone  di  Gia- 
como!... Xon  contento  di  avergli  preso  novemila  lire 
di  roba  in  cambio  deiUe  duemila  e  cinquecento  anti- 
cipiate, non  contento  d'avergli  'reso  impossibile  la 
vendita  pretendendo  l'anticipazione  del  prezzo,  adesso 
vendeva  le  copie  per  proprio  conto!  «  Ah,  ladro!  Ah, 
ladro  !...  »  Ma,  composta  la  fisonomia  all'abituale  bona- 
rietà, corse  al  palazzo. 


—   212  — 

-*-  Se  anche  tu  bui  venduto  1'  opera,  facciamo  ì 
conti!  —  disse  al  principe. 

—  Che  conti  ?  —  rispose  costui,  quasi  cascando 
da/Ue  nuvole. 

—  Hai  venduto  il  libro!  A  quest'  ora  il  mio  debito 
sarà   estinto. 

—  Ci  vuol  altro!...  I  conti  li  faremo  quando  avrò 
tempo 

Don  Eugenio  tornò,  assàduamente  ;  ma  il  nipote  un 
po'  gli  diceva  che  aveva  da  fare,  un  po'  che  gli  doleva 
il  capo,  Un  po'  che  stava  per  andar  fuori.  Lo  zio 
non  perdeva  la  pazienza;  tornava  ogni  giorno,  a  ram- 
mentargli la  promessa  ;  anzi  una  brutta  mattina  gli 
disse,  gettandosi  sopra  una  seggiola  : 

—  Senti,  i  conti  li  faremo  quando  sarai  comodo; 
ma  oggi  non  ho  niente  in  tasca  e  sono  stanco.  Pre- 
sitamó    qualche   cosa. 

—  Come?  Volete  il  resto?  —  esclamò  il  principe 
impallidendo.  —  Credete  forse  che  siamo  pari  ?  Si'  sono 
vendute  mezza  dozzina  di  copie  in  tutto  !  Avete  il  viso, 
di  chiedere  altri  danari  ? 

—  Xon  ho  come  fare  —  g'ii  confidò  il  cavaliere,  con 
un    viso   da   affaimato,    guardandolo   bene    negli    occhi. 

—  E  venite  da  me?  Che  pretendente?  Che  vi  dia 
da  mangiar  io?  Perchè  avete  sciupato  ogni  cosa?  Per- 
chè  non   avete   pensato  mai   all'  a\'venire? 

—  Io  ho  da  mangiare,  capisci?  —  ripetè  il  cava- 
liere, con  lo  stesso  tono  di  voce;  e  i  suoi  occhi  pare- 
vano  volersi   mangiare   il   nipote. 

— .  Andate  da  vostro  fratello,  da  vostra  sorella... 
che  hanno  l'obbligo  d' aiutarxi...  Perchè  venite  da  me? 

Ma,  spaventato  dall'espressione  del  vecchio,  gli  voltò 
le  spalle.  Quando  lo  udì  andar  via,  chiamò  il  porti- 
naio per  ordinargli  di  non  lasciarlo  mai  piia  salire. 

E  il  provvedimento  riscosse  l'unanime  approvazione 
della  servitù  :  veramente  quel  cavaliere  non  faceva 
onore  alla  famiglia,  non  tanto  per  quel  che  si  diceva 
sul   conto   di   lui,   quanto  per  la  condizione   in  cui   era 


I 


—   213   — 

caduto.  I]  nuovo  maestro  di  casa  confessò  :  «  Io  mi 
vergognavo,  ogni  volta  che  lo  dovevo  annunziare  al 
padrone —  » 

Tutti  i  tentativi  del  vecchio  per  salire  al  palazzo 
furono  vani  :  egli  ebbe  un  bel  dichiarare  :  «  Mio  niipete 
mi  aspetta,  m'  ha  detto  che  sarebbe  in  casa  »,  oppure  : 
«  L'  ho    visto    rientrare  »,    oppure  :    «  Eccolo    li,    dietro 

quella  finestra »:  il  portinaio,   i  cocchieri,   i  famigli 

g'ii  dicevano  sul  muso  :  «  Vostra  Eccellenza  può  andar- 
sene, che  perde  il  suo  tempo  »,  e  gli  davano  dell'  Ec- 
ceillenza  come  in  temipo  di  carnevaile  ai  facchini  di 
piazza  vestiti  da  barone.  Egli  tentò  di  salire  per  forza, 
ma  allora  lo  afferrarono  e  lo  spinsero  fuori  :  «  Eccel- 
lenza, con  le  brusche?...  Questi  non  son  modi  da 
EccelJenza  pari  vostra!...  »  Un  giorno,  si  mise  a  sedere 
in  portineria,  dichiarando  che  non  si  sarebbe  mosso 
fino  al  passaggio  de*l  nipote.  Sulle  prime,  il  gnaarda- 
portone  ci  scherzò  su  ;  poi  tentò  persuaderlo  con  le 
buone,  prendendolo  dal  lato  dell'amor  proprio:  «Qui 
non  è  il  posto  di  \'ostra  Eccellenza!...  Un  cavaliere 
come  \'ostra  Eccellenza  sedere  con  un  portinaio!  Non 
si  vergogna?...  »  Ma  il  vecchio  non  si  moveva,  non 
rispondeva,  cupo,  affamato  come  un  lupo  ;  e  il  por- 
tinaio cominciò  a  perdere  la  pazienza,  smise  a  un 
tratto  r  Eccellenza;  «  Se  ne  vuole  andare,  si  o  no?...  » 
e  cernie  don  Eugenio  restava  inchiodato  suilla  seg- 
giola, queir  altro  montò  finalmente  in  bestia,  smise 
anche  il  lei,  e  afferratolo  per  le  spalle,  lo  fece  sorgere 
e   lo   spinse   fuori    ad    urtoni,    gridando  : 

—  Fuori,  vi  dico,  corpo  del  diavolo  ! 

Donna  Ferdinanda  lo  cacciò  via  come  un  cane 
rognoso  :  il  duca  gli  dette  un  piccolo  soccorso,  facen- 
dogli intendere  di  non  dover  fare  assegnamento  sopra 
ailtre  elemosine.  Procurargli  un  posto  era  il  meglio 
che  si  pote'sse  fare  e  ciò  che  egli  stesso  desideravo  ; 
c|uindi  Benedetto  Giulentc,  il  quale  lo  aveva  anch' egli 
sovvenuto,   jie  parlò  a  Consalvo, 


—    214    — 


—  Che  posto  volete  darg-li?  —  rispose  il  princi- 
pino. —  È  una  bestia,  non  sa  far  nulla.  \'olete  che  lo 
zio  del   sindaco   serva   da   usciere   o   da  accaiappiacani? 

Era  chiaro  che  al  Municipio  non  c'era  da  far  niente 
per  il  jeg^ittiimo  orgogilio  del  principino.  Giulente  andò 
dal  duca,  sug-gerendogli  di  metterlo  in  qualche  ufficio 
alla  Provincia  o  a'ila  Prefettura.  E  il  duca,  per  evi- 
tare altre  domande  di  sussidii,  fece  in  modo  da  otte- 
nergli un  posto  di  copista  all'Archivio  provinciale,  il 
meglio  che  si  potè  trovare.  Ma  quando  ne  diedero 
comunicazione  all'  interessato,  il  cavaliere  diventò  rosso 
come  un  rosolaccio. 

— •  A  me  un  posto  di  scrivano?  Per  chi  m'  avete 
preso? 

—  Ma    veda —  gli    fece    considerare    rispettosa- 

men'te  Benedetto  :  —  Vostra  Eccellenza  non  ha  titoli 
accademici...  è  avanzata  in  età...  le  amministrazioni 
pubMiche  sono  esigenti... 

—  E  mi  proponi  di  fare  il  copista?  —  gridò  il 
cavaliere.  —  A  me,  Eugenio  Uzeda  di  Erancalanza, 
Gentiluomo  di  Camera  di  Ferdinando  II,  autore  deì- 
V Araldo  Si'coìo?...  Perchè  non  lo  fai  tu,  pezzo  d'asino 
che   sei? 

LI  vecchio  ricominciò  a  chiedere  aiuto.  Ma  il  duca, 
per  punirlo  del  rifiuto  deil  posto,  gli  chiuse  la  porta 
in  faccia,  e  Lucrezia,  dopo  averlo  giudicato  degno 
dei  più  alti  ufFicii  per  far  onta  al  marito,  non  lo  valle 
neppur  lei  per  la  casa  quando  lo  vide  questuare — 
Un  giorno,  il  cava'lierc,  sempre  piij  miserabile  e  strac- 
ciato, andò  dalla  nipote  Teresa.  II  portinaio,  non  rico- 
noscendolo, non  voleva  lasciarlo  passare;  arrivato 
finalmente  dinanzi  alla  duchessa  nuora,  che  giunse  le 
mani  vedendolo  in  quello  stato,  comlinciò  a  querelarsi  : 

—  \'edi  come  m'ha  l'idcitto  tuo  padre?  Quel  birbante 
che    m'ha    rubato    il   libro?    Quel    ladro   che    mi    ha.... 

—  Zio,  per  carità!...  —  esclamò  Teresa:  e  vuotò 
la  sua  borsa  nelle  mani  del  vecchio  che  tremava  dalla 
ruipidigia    alla    vista    dei    quattrini.    Egli    si    riprcsentò 


a'itre  valle  al  palazzo  ducale,  ma  la  duchessa  madre, 
per  evitare  i  commenti  tra  la  servitù,  dichiarò  a  Te- 
resa che,  se  voleva  soccorrerlo,  facesse  pure;  ma  che 
in  casa  non  lo  lasciasse  più  venire. 

Ed   anche   quella   porta   gii   fu   chiusa. 

Egli  aspettava  che  g-li  procurassero  un  posto  di  pro- 
fessore o  di  cassiere,  tanto  da  vivere  silg'norilmente 
senza  far  nu'lla  ;  e  siccome  non  lo  contentavano,  fer- 
mava per  istrada  le  persone  di  sua  conoscenza,  nar- 
rava  a   modo  suo  i   proprii   casi  : 

—  M'hanno  spogliato,  m'hanno  ridotto  alla  mii- 
seria!  Mio  fratello  il  Benedettino  m'  avea  lasciato  cin- 
quecent'onze  l'anno,  e  stracciarono  il  testamento,  ne 
fecero  uno  falso!  11  principe  mio  nipote  m'  ha  rubato 
la  mia  g-rand' opera  deW Araldo  Sicolo!...  Mi  chiudono 
la  porta  in  faccia!  A  me,  Eug"enio  di  Francalanza! 
Gentiluomo  di  Camera!  Presidente  dell'Accademia  dei 
Quattro  Poeti!...  Sanno  forse  chi  sono  io?  Se  veniste 
a  casa  mia,  vi  farei  vedere  quante  medag^lie  e  diplomi  : 
uno  scaffale  intero!... 

La  sua  meg'alomania,  con  la  miseria,  g^li  stenti,  le 
umiliazioni,  cresceva  di  giorno  in  giorno;  egli  annun- 
ziava : 

—  Il  governo  m'  ha  invitato  a  Roima  per  una  cat- 
tedra dantesca.  Ma  io  non  ci  vado!  Fossi  pazzo!  Me 
ne  andrò  piuttosto  in  Alemagna,  dove  conoscono  tutte 
le  mie  celebri  òpere,  e  la  scienza  è  rispettata!...  Il 
prefetto  mi  ha  detto  che  il  Re  mi  vuole  come  profes- 
sore di  suo  figlio.  Io  fare  il  maestro  di  scuola?  Per 
chi  m' hanno  preso?  Se  lui  si  chiama  Savoia,  io  mi 
chiamo  Uzeda.  Ehi,  don  Umberto,  siete  forse  al 
buio?....  —  Poi,  all'orecchio:  —  Potreste  favorirmi 
cinque   lire?    Ho   dimenticato   il   portafogli    a   casa  — 

Gliene  davano  due,  una  o  anche  mezza  ;  egli  met- 
teva in  tasca  ogni  cosa.  I  parenti,  avvertiti  di  quello 
scandalo,  si  stringevano  nelle  spalle,  o  dicevano  : 
«  Bisogna  finirfla  »,  senza  far  poi  nulla.  Giulente  e 
Teresa,    di    nascosto,    lo    soocorrevano    come    meglio 


- —    2 l6    

potevano  :  ma  egiì  aveva  g^ià  preso  l' abitudane  di 
questuare,  il  niiestiere  era  dolce  e  comodo,  il  passaig-g^io 
dei  denaro  dalia  tasca  altrui  alla  propria  gdi  pareva 
naturalissimo  ;  e  poi  un  sordo  istinto  di  rappresaglia 
contro  i  parenti  lo  spingeva  a  continuare  per  far  loro 
■  onta. 

E  un  giorno  si  diffuse  per  tutta  la  città  una  notizia  : 

—  Non  sapete  nulla?  Il  cavaliere  don  Eujgenio 
chiede   1'  elemosina! 

Egli  accattava,  alla  lettera.  Anclie  se  aveva  in  tasca 
quaiclie  lira,  s'avA'icinava  agii  sconosciuti,  tendeva  la 
mano,   diceva  : 

—  Per  gentilezza,  mi  favorite  due  soldi?  Un  soldo, 
per   comprare   un    sigaro? 

Acchiappava  la  moneta  come  u»"^^  preda,  la  cac- 
ciava   in    tasca;    s' aAmcinava    a    un    altro: 

—  Un   soldo,    per  favore? 

Teresa,  accompagnata  dal  marito,  andò  a  trovarlo 
nello  staimòugio  dove  s'era  ridotto,  gii  si  gettò  ai 
piedi  : 

—  Zio,  noi  le  daremo  tutto  quel  che  vorrà,  purché 
non  faccia  più  questa  cosa!...  Una  persona  come  lei, 
abbassarsi  cosi  ? 

—  Si,    si 

Egli  prese  i  denari  che  gli  porgevano;  il  domani 
ricominciò.  Adesso  era  un'idea  fi-asa  ;  la  malattia  che 
tornava  a  tormentarlo  finiva  di  scombuiare  la  sua 
debole  testa  d'  Uzeda.  Lacero  come  un  vero  accattone, 
con  la  barba  bianco-sporca  spelazzata  sul  viso  smunto, 
i  piedi  in  groisse  scarpe  di  panno,  andava  attorno, 
appojggiandosi  a  un  bastone,  chiedendo  : 

—  Un  soldo,  per  favore!...   per  questa  volta  sola!... 

E  per  procacciarselo  dava  spettacolo  della  sua  paz- 
zia. Certuni  gli  domandavano  chi  era,  se  non  era  il 
cavaliere   Uzeda?  e  allora  lui  : 

—  Eugenio  Consalvo  Filippo  Blasco  Ferrante  Fraji- 
cesco  Maria  Uzeda  di  Francalanza,  Mirabella,  Oragua, 
Uumera,   etc,   etc,   Gentiluoimto  di  Camera  (con  eser- 


cizio)  di  Sua  Maestà,  quello  era  Re  !  —  e  si  cavava  il 
cappello  —  Ferdinando  II;  medagiliato  da  Sua  Altezza 
il  Bey  di  Tunisi  del  Nisciam-Ifitkar,  presidente  del- 
l'Aocademiia  dei  Quattro  Poeti,  memlbro  oorniispon- 
dente  di  più  società  scienti  fico -letterarie -vulcanolog-iche 
di  Napoli,  Londra,  Parigi,  Caropepe,  Pietroburgo, 
Paolobuirgo,  Nuova  York  e  Forliniipapoli,  autore  della 
celebre  opera  storico-araildico-blasonico-gentilesco-cro- 
noJogica  intitolata  l'Araldo  Sicolo  con  supplimento.... 
Un    soldo,    per  comprarmi   un    sigaro.... 


VII. 


LI  secondo  figliuolo  di  Teresa,  un  altro  maschio, 
nacque  un  anno  dopo  il  primo,  tanto  che  tutti  dice- 
vano agli  sposi  :  «  Si  vede  che  non  perdete  tempo!  » 
Se  al  primo  parto  la  duchessa  non  aveva  sofferto,  di 
quest'  altro  quasi  non  s'  accorse  :  degno  premio  della 
purezza  dei  suoi  costumi.  La  cerimonia  del  battesimo, 
questa  volta,  fu  modesta,  un  po'  perchè  era  nato  un 
cadetto,  il  baroncino,  un  po'  per  un'  altra  raignone 
incresciosa.  Grattandosi  un  giorno  sotto  la  nuca,  in 
mezzo  alle  spalle,  per  un  forte  prurito,  il  principe 
aveva  calcato  le  unghie  fino  a  farsi  un  po'  di  sangue. 
Lì  per  lì  non  ci  aveva  badato,  ma  doipo  qualche 
tempo  gli  si  formò,  nel  punto  maltrattato,  una  specie 
di  bottone  che  crebbe  fino  a  impacciarlo  nei  mlo\'i- 
menti  e  ad  impedirgli  di  star  supino  nel  letto.  Tutti 
attribuirono  il  fatto  all'eccessivo  grattamento;  nondi- 
meno, siccome  l'incomodo  non  andava  via,  fu  neces- 
sità chiamare  un  chirurgo.  Il  dottore  confermò  che 
era  una  cosa  da  nudla,  ma  disse  che  senza  una  pic- 
cola incisione  non  sarebbe  guarita.  Il  principe  all'  an- 
nunzio dell'operazione  impallidì,  rifiutando  di  sotto- 
porvisi  ;  ma  giusto,  dopo  il  parto  di  Teresa,  quel  lumo- 


—    2l8    — 

retto  era  cresciuto  ancora,  dandogli!  tanto  fastidio  che 
egli  aveva  consentito  a  lasciarselo  tag'liare.  L'  opera- 
ziioncella  durò  più  che  non  si  credesse  e  il  principe 
dovè  restare  inodti  giorni  in  casa  ;  pertanto  il  batte- 
siimo  del  baroncino  di  Filici  fu  celebrato  senza  pompa. 
Il  sindaco  Consalvo  fece  da  compare;  da  Aujgiista 
venne  per  assistere  alla  cerimonia  Giovannino.  Du- 
rante l'anno,  egli  aveva  fatto,  secondo  la  promessa, 
due  o  tre  vis/ite  al  figilioccio  :  visite  brevi,  d'  uno  o 
due  giorni.  Dice\ano  che  egli  avesse  ad  Augusta,  e 
propriatmente  nelle  terre  di  Costantina,  la  figliuola  d'  un 
fatitore,  una  bella  contadina  bianca,  rossa  e  prospe- 
rosa, per  via  della  quale  rifiutava  di  stare  a  lungo 
a  Catania.  La  duchessa  madre  ne  era  contentissima, 
come  della  più  sicura  garanzia  contro  il  matrimbnio. 
Il  duca  godeva  neJ  sentire  che  suo  frate'Uo  si  diver- 
tiva; e  quanto  a  Teresa,  nonostante  che  l'onestà  le 
'impedisse  d'  aipiprovar  quel  legame,  pure  dimostrava 
al  cognato  un  affetto  fraterno,  e  gfìì  faceva  molta 
festa  ;  se  da  Augusta  eg'li  mandava  qualche  commis- 
sione alla  madre,  spesso  1'  eseguiva  ella  stessa.  Ch'e- 
deva  ordinariamente  biancheria,  oggetti  d'uso  dome- 
stico, mia  di  tanto  in  tanto  anche  tagli  d'abiti  da 
donna,  busti,  fazzoletti  di  seta....  Servivano  per  la 
figlia  del  fattore? 

Tutte  le  volte  che  veniva  alla  casa  materna,  egli 
aveva  il  viso  più  cotto,  la  barba  più  ispida,  la  pelle 
delle  mani  più  dura.  Su  quella  faccia  da  Arabo  del 
deserto  il  bianco  degli  occhi  era  però  dolcissimo.  Teresa 
ringraziava  il  Signore  della  saggezza  che  gli  aveva 
i5-pirata,  della  salute  che  oiH  accordava  ;  però,  in  cuor 
suo,  ella  -domandava  come  mai  quel  giovane  tanto 
eileganite,  così  avido  d'i  piaceri,  delle  cose  belle  e 
ricche,  ave\  a  potuito  rassegnarsi  a  far  la  dura  vita 
di  campagna,  a  ^  iAcre  con  una  contadina,  in  mezzo 
a  contadini?...  Xon  era  però  lei  stessa  la  causa  di 
quella  trasformazione  ?  E  subito,  quasi  a  scagionarsi 
ai  proprii  occhi,  ella  pensava  :  «  Sono  trasformata  an- 


—  2ig  — 

ch'iol...  »  Dov'erano  più,  infatti,  le  sue  ispirazioni 
poeitiche,  le  sue  alate  fantasie?  Aveva  preso  marito  da 
due  anni,  e  g-ià  coiruinciava  la  terza  gravidanza.  Quan- 
d'alia sognava  di  Giuliano  Biancavilla,  di  Giovannino, 
pensava  forse  di  divenire  una  macchina  da  far  figliuo- 
li?... Ora  dava  guerra  a  quei  pensieri  che  lo  spi- 
rito della  tentazione  doveva  certo  suggerirle —  Bian- 
cavilla,  tornato  dal  suo  viag'gio,  dimenticava  anche 
lui,  prendeva  moglie  :  un  giorno  ella  lo  incontrò  a 
faccia  a  faccia;  trasali  un  momento,  ma  un'ora  dopo 
r  incontro  se  ne  dimenticò.  Giovannino  era  suo  co- 
gnato ;  più  nulla  restava  cosi  dei  sogni  antichi.  Se  ne 
doleva  forse  ?  No  !  Pensava  :  «  Che  cosa  mi  manca 
per  esser  felice?  Sono  giovane,  bella  e  ricca,  tutti  mi 
vogliono  bene,  tutti  mi  lodano,  ho  due  angioletti  di 
tìgli  :  di  che  mi  lagno?  »  E  nella  misura  delle  proprie 
forze  aveva  fatto  il  bene  :  la  sua  mamma  di  lassù  non 
doveva  benedirla?  La  Beata  non  poteva  esser  con- 
tenta di  quella  lontana  discendente? 

Lo  spirito  della  tentazione  si  serviva  di  arti  molto 
sottili  per  turbarla  in  quella  serenità.  Forse  erano  i 
libri,  le  poesie,  i  romanzi,  quelli  che,  certe  volte, 
quando  si  sentiva  più  tranquilla  e  sicura  e  sorrideva 
di  maggior  beatitudine,  facevano  sorgere  a  un  tratto 
una  specie  di  nebbia  che  offuscava  il  suo  bel  cielo,  e 
le  davano  un  senso  di  oscuro  sgomento,  e  il  rancore 
d'un  bene  perduto  prima  ancora  che  ella  avesse  potuto 
raggiungerlo.  Era  peccato  leggere  quei  libri,  seguire 
quelle  visioni  ?  Il  confessore,  i  preti  che  la  circonda- 
vano dicevano,  si,  che  erano  pericolosi  ;  ma  non  rico- 
noscevano forse  nello  stesso  tempo  che  il  pericolo,  per 
lei,  era  molto  più  lontano,  giacché  ella  aveva  un'anima 
retta  e  una  mente  sana  e  una  coscienza  purissima?...  E 
poi,  e  poi,  e  poi,  ella  aveva  rinunziato  a  tante  cose  ;  se 
avesse  rinunziato  anche  a  vivere  con  la  fantasia,  che  le 
sarebbe  rimasto  ? 

Anche  Giovannino  lcgge\a  molto;  tutte  le  volle  che 
veniva   da    Augusta,    le   domandava  :    «  Cognata,    avete 


libri  da  prestarmi?  »  e  ne  portava  via  a  casse,  in 
mezzo  alia  rdba  di  cui  veniva  a  rifornirsi.  In  qual 
modo  ammazzare  il  tempo  quando  non  e'  era  da  ve- 
gliare ai  laA'ori  della  terra  :  la  v^ndemania,  le  semi- 
nagioni, i  raccolti?...  Un'altra  cosa  di  cui  si  prov- 
vedeva, venendo  in  città,  era  il  solfato  di  chinino.  A 
Costantina,  nei  poderi  della  Balata  e  della  Favarotta 
regnava  la  malaria  ;  eg"li,  veramente,  nella  stag"ione 
del  pericolo  se  ne  andava  a  Melilli,  sui  colli  Iblei, 
dove  l'aria  era  balsamica;  ma,  ad  ogni  buon  fine, 
per  sé  come  pei  lavoratori,  era  bene  che  il  sovrano 
r'medio  non  mancasse  mai. 

Una  bella  sera  d'estate.  Teresa  e  la  duchessa  madre, 
lasciato  a  casa,  in  custodia  della  cameriera,  il  duchino, 
e  presa  in  carrozza  la  balia  col  figliuolo  più  piccolo, 
facevano  la  consueta  passeggiata.  Il  baroncino  lat- 
tante, cullato  dal  moto  dcilce  dell  legno,  dormiiva  in 
mezzo  a  una  nube  di  garza  sulle  g-inocchia  della 
nutrice.  Teresa  portava  per  la  prima  volta  un  abito 
molto  ricco  arrivatole  da  quaJche  giiorno  da  Torino  ; 
ella  vedeva  che  tutte  le  signore  le  cui  carrozze  incro- 
cia vamsi  con  la  sua  si  voltavano,  esamlinandola,  am- 
mirandola. La  carrozza  saill  fino  alla  Madonna  delle 
Grazie;  le  padrone  e  la  balia  scesero,  entrarono  nel- 
r  angusta  cappella  e  s'  inginocchiarono  dinanzi  all'  al- 
tare. Teresa  aveva  chinato  g-li  sguardi  per  evitare  la 
vista  del  muro  pieno  di  ex-voto  orribili,  del  carnaio  che 
la  dis,gfustava  ora  come  l'inorridiva  bambina;  nia, 
fissando  l' imagi  ne  della  ^'ergine,  le  diceva  tutta  la 
sua  gratitudine  per  le  grazie  di  cui  la  colma\'a.  Sen- 
tivasi  tanto  calma,  da  un  cento  tempo;  quasi  felice! 
Da  un  pezzo  nulla  più  la  turbava;  nessun  soccorso 
aveva  da  chiedere  alla  Madonna.  Sì,  la  salute  sempre 
malferma  di  suo  padre,  l'umor  tetro  che  lo  rodeva 
dopo  l'operazione  chirurgica.  Chiuso,  cupo,  cruccioso, 
con  più  bisogno  di  prima  di  prendersela  con  qual- 
cuno, e^g-li  era  tornato  a  rimavgginnr  1'  idea  di  dar 
Dio^lie  a  Consalvo,  Quantun(^ue  non  parlasse  e  paresse 


—   221    — 

tioin  occuipafsi  di  quel  iettatore,  rodevasi  al  pensiero 
della  fine  della  propria  razza,  se  quel  iettatore  non  pren- 
deva mog'lie.  E  gli  aveva  cercato  un  nuovo  partito, 
a  Pailenmo,  un  partito  che  tutti  astsiciiravano  straor- 
dinario; ma  Consalvo  aveva  detto  ancora  dì  no,  e  il 
principe  aveva   rotto   un'  altra  volta  più   violentemente 

con    lui Teresa   pregò   più    a   lunsfo,    pertanto;    poi 

si  seg^nò  e  sorse  in  piedi.  La  suocera  era  già  alzata; 
la  balia,  l' umile  contadina  che  reggeva  in  braccio  il 
frutto  delle  sue  viscere,  finiva  di  pregare  ;  il  bambino, 
destato  daiUo  scalpiccio  dei  passi,  dal  borbottare  dei 
ciechi  questuanti,  guardava  la  fiamma  dell'  altare  tra 
ridente  ed  attonito.  Ella  distribuì  tutto  qxiel  che  aveva 
in  tasca  ai  poveri  e  risali  in  carrozza.  La  duchessa 
madre  ordinò  al  cocchiere  di  andare  a  fermarsi  al 
Caffè   di    Sicilia. 

Lì,  il  cameriere  non  aveva  ancora  portato  i  gelati, 
che   una  voce   alterata   esclamò   dietro   la   carrozza  : 

—  Teresa —   Mamma.... 

Era  il  duca,  irriconoscibile,  con  la  camicia  disfatta 
dal  sudore,  pallido  -come  un  morto.  Rivolto  al  coc- 
chiere,  mentre  esse   domandavano  sgomente  : 

—  Che  c'è? —    Michele!...    Che  hai?... 

—  Torna  a  casa!  —  ordinava  egli.  ■ —  Torna  su- 
bito  

E  aiprì  Io  sportello,  salì,  si  gettò  a  sedere  accanto 
alla  balia. 

—  Mio    padre? Il    bambino?    —    esclamava    già 

Teresa,    afferrandogli    una    mano  ; .  ma    egli  : 

—  No,    no.... 

E  mentre  i  cavalli,  sferzati,  partivano  traendo  scin- 
tille  dàil  lastricato,    spiegò   finalmente  : 

—  Giovannino....  Un  telegramma  del  fattore —  La 
perniciosa!...  Sono  corso  dal  dottore,  poi  alla  sta- 
zione.... Vi  ho  cercato  da  per  tutto....  Partirò  sta- 
notte,  con  un  treno  straordinario — 

Nel   primo   momento,    Teresa    provò   quasi   un   senso 


—   ±2±   — 

d'I  sollievo.  Smarrita  alila  vista  del  marito,  atterrita 
dalle  sue  oscure  paròle,  a\eva  creduto  alle  più  ter- 
ribiiii  catastrofi  :  la  morte  del  padre,  un'  improvvisa 
minaccia  per  1'  altro  suo  figlio.  Assicurata  che  nessuno 
dei  suoi  era  in  pericolo,  ella  non  attribaji  molta  gra- 
vità alla  malattia  del  cognato.  Poiché  MicheJe  perdeva 
la  testa,  e  la  suocera,  improvvisamente  intenerita  per 
quel  figliuolo  che  aveva  tanto  trascurarto,  simianiava 
adesso  e  parlava  di  partire,  di  correre  a  chiamare 
altri  dottori,  ella  sentiva  che  toccava  a  lei  ragionare. 
Letto  il  telegramma  del  fattore,  la  sua  fiducia  s'af- 
fermò. Il  telegramma  diceva  :  «  Fratello  Vostra  Eccel- 
lenza trovasi  a  letto  con  febbre  alta,  somministrato 
subito  chinino  temendo  trattisi  perniciosa;  venga  qual- 
cuno faimiglia  insieme  dottore  ».  Il  duca  non  aveva 
posto  attenzione  alla  forma  dubitativa  dell'annunzio; 
ella  diede  coraggio  a  tutti,  s'  offerse  di  accomipagnarli  ; 
ma  la  duchessa  che  esclamava  ogni  due  minuti  :  «  Fi- 
glilo mio!...  Figlio  mio!...  »  volle  che  restasse.  Allora 
ella  preparò  le  valige  pel  marito  e  per  la  suocera, 
non  dimenticando  nuilJa,  raccomiandando  loro  di  non 
lasciarla  senza  notizie,  a.ssicurandoli  che  anche  della 
perniciosa  il  chinino  già  somministrato  e  le  cure  del 
dottore  di  Catania  avrebbero  sicuramente   trionfato. 

All'  una  della  notte  iMichele  e  la  duchessa  parti- 
rono. Restata  soda  in  casa,  la  sua  fiducia  cominciò  a 
mancare.  Se  non  si  fosse  trattato  d'  una  cosa  grave, 
il  dispaccio,  la  richiesta  d'un  altro  dottore,  la  chia- 
miata  dei  parenti  no<n  sarebbero  staiti  necessarii.  E 
perchè  non  aveva  firmato  egli  stesso  il  teleo^ramma?... 
Stringendosi  al  petto  i  bambini,  ella  pregava  in  cuor 
suo  :  «  Signore,  Madonna  delle  Grazie,  fate  che  non 
succeda   una  disgrazia!...  » 

E  perchè  col  giorno,  quando  Michele  e  la  duchessa 
dovevano  esser  giunti  al  capezzale  di  lui,  non  veniva 
nessuna  notizia?...  Ella  diceva  tra  sé,  per  darsi  corag- 
gio :  «Nessuna  nuova,  buona  nuova!...  »  e  tentava 
raffiigurarsi    i    voliti    ilari    del    marito    e    della    suocera 


nel  vedere  il  fratello  e  il  figlio  sorrider  loro,  rassicu- 
rarli     Perchè   dunque    non    rassicuravano   lei    stessa? 

Xon  sapevano  che  anche  lei  era  inquieta?...  Come  si 
rimiproverava,  adesso,  il  crudele  egoismo  che  l'aveva 
quasi  fatta  gioire,  udendo  che  in  pericolo  versava  il 
cognato!  Non  le  era  quasi  fratello?  Non  1'  amava  ella 
di  fraterno  amore?...  Come  si  perdeva  adesso,  come 
si  cancellava  la  memoria  di  quell'altro  amore  che 
a\eva  nutrito  per  lui!  Adesso  restava  solo  l'amico,  il 
parente,  colui  che  aveva  tenuto  ali  fonte  della  reden- 
zione  la   creaiturina    sua!... 

E  le  notizie  mancavano  ancora.  Veniva  gente  a 
chiederne,  parenti,  amici  :  ed  ella  non  poteva  darne. 
Il  marchese  Federico,  scotendo  il  capo,  riferì  d'aver 
sentito  dire  che  1'  imprudente  giovanotto  era  stato  a 
dormire  parecchie  notti  ntelle  terre  della  Balata,  nel 
fitto  della  malaria  :  «  Ho  paura  che  sia  di  quella 
buona  :  sarebbe  peggio  d'  una  schioppettata  ».  La  prin- 
cipessa Graziella  protestava  :  «  Ma  che!  Le  mlale  nuove 
le  porta  il  vento!...  Se  gli  hanno  dato  il  chinino  a 
tempo,   non  c'è  pericolo!  » 

Fino  a  mezzogiorno  non  Vienne  nulla.  Ella  stessa 
voleva  fare  un  dispaccio  per  sollecitar  la  risposta;  ma, 
comunicata  l'idea  alla  madrigna,  costei  rispose  che 
non  le  pareva  il  caso,  che  era  meglio   aspettare. 

Nel  pomeriggio  restò  di  nuovo  sola.  I  tristi  pen- 
sieri tornarono  ad  assalirla.  Per  combatterli,  per  discac- 
ciarli, si  mise  in  orazione.  Pregando,  pensò  alla  Beata, 
alle  lampade  votive  ardenti  nella  sua  cappella.  Con  la 
veste  che  indossava,  buttatosi  soltanto  uno  scialle 
sulle  spalle,  accompagnata  dalla  cameriera,  si  fece 
portare  in  carrozza  chiusa  ai  Cappuccini.  Sotto  1'  al- 
tare, stava  sempre  la  secolare  cassa  mortuaria,  l'og- 
getto dei  suoi  terrori.  Ella  ne  sostenne  la  vista,  giunse 
le  mani,  invocò  dalla  santa  parente  la  sallute  dell 
poveretto,  e  ordinò  al  sagrestano  d'accendere  una  lam- 
pada perpetua.  Tornata  a  casa,  non  trovò  nulla,  ma 
uno   squillo  di   campanello   la  fece  trasalire  :   forse  era 


—    224   -^ 

li  dispaccio.  Era  invece  un  usciere  municipale  mandate» 
da  Consalvo,  il  quale  voleva  sajpere  le  novità....  Ella 
schiuse  una  finestra,  avendo  bisogno  d'  aria.  Tornando 
in  camera  sua,  cadde  sopra  una  seggfiola,  col  viso 
nascosto  tra  le  mani.  Lo  vide  morto.  Michele  non  le  dava 
la  notizia  funesta  per  riguardo  del  suo  stato.  E  a  un 
tratto,  il  passato  le  tornò  tutto  alla  memoria  :  ella  lo 
rivide  come  lo  aveva  conosciuto,  come  lo  aveva  amato  : 
udi  la  sua  voce  dolce  quando  le  aveva  domandato  : 
«Teresa,  Teresa,  mi  vuoi  bene?...»  e  con  gli  occhi 
aridi,  con  voce  strozzata,  ella  riconobbe  :  «  Si,  1'  ho 
ucciso  io!...  Per  me  ha  mutato  vita...  è  andato  a 
seppellirsi  laggii^i...   Iia  trovato  la  morte!...  » 

Sorse  in  piedi.  Se  qualcuno  l'avesse  udita?...  Le 
crleature  dormivano;  eilla  era  sola.  E  i  dolorosi,  i 
malvagi  pensieri  tornarono  ad  assalirila.  Non  era  stata 
soltanto  lei,  erano  stati  anche,  e  più,  tutti  quegli  altri  ! 
La  sua  miadrigna,  suo  padre,  la  madre  di  lui,  tutta 
quella  genite  dura,  spietata,  inesorabile,  tutti  quelli  che 
avevano  impedito  d'esser  felice  a  lui  ed  a  lei  stessa. 
Perchè  ella  non  era  stata  felice,  no,  mai!  E  le  davan 
lode  per  1'  amore  clie  portava  al  marito!  Se  non  1'  aveva 
amato  neppure  un  momento!  Se  le  ispirava  quasi  disgu- 
sto! Se  disprezzava  la  sua  ignoranza,  la  sua  volga- 
rità !  E  r  avevano  sacrificata  pei  loro  puntigli,  pei 
loro  capricci,  per  la  superstiziome  dei  titoli,  per  V  ido- 
latria deMe  vane  parole!  Pazzi  e  maligni  :  aveva  ragione 
Consalvo.  Egli  aveva  ben  fatto,  che  s' era  ribellato. 
La  sciocchezza  era  stata  tutta  sua,  nell'  obbedir  ceca- 
mente. Colpa  sua!  Anche  sua!  Per  obbedire,  per  risipet  - 
tare,  per  contentare  :  chi?  «  Gli  assassini  di  nostra 
madre!...  » 

Con  gli  occhi  spalancati,  ella  trattenne  il  restpiro. 
Il  bambino  l'aveva  udita?...  La  guardava,  coi  chiari 
occhi  sereni,  lucenti  come  celesti  spiracoli  nella  penom- 
bra della  sera....  Non  corse  a  lui.  Nella  penombra, 
anche  l'argento  del  Crocefisso,  il  vetro  del  quadro  della 
^Madonna  lucevano.   Perchè  dunque  Essi  permettevano 


queste  cose?  Non  le  sapevano?  Non  le  vedcxano?  Non 
potevano   impedirle? 

La  porta  si  schiuse  :  la  cameriera  entrò  esclamando  : 

— ■  EcceiMenza,    il  telegramma  ! 

Ella  lesse  :  «  Dottori  assicurano  superato  ultimo  ac- 
cesso.   Riprende  conoscenza.   Siamo  più  tranquilli  ». 

Allora   ruppe  in  pianto. 

LI  duca  tornò  dopo  una  settimana.  Suo  fratello  era 
entrato  in  convalescenza,  ma  quel  giorno  dell'arrivo  lo 
avevano  trovato  boccheggiante  :  in  uin  accesso  di  delirio 
aveva  tentato  buttarsi  g-ià  dal  balcone  ;  quattro  uomini 
a  stento  erano  riusciti  a  trattenerlo.  Un  vero  miracolo 
l'aveva  salvato.  Appena  in  grado  di  viaggiare,  lo  avreb- 
bero riportato  a  casa  per  assicurare  la  guarigione  col 
cambiamento  d'aria. 

Infatti,  pochi  giorni  dopo,  la  duchessa  madre,  restata 
al  suo  capezzale,  scrisse  chiamando  il  duca  per  aiutarla 
a  trasportare  il  sofferente.  Quando  Teresa  lo  vide  arri- 
vare, curvo,  dimagrito,  con  la  barba  ispida  sul  viso 
giallo,  quasi  non  lo  riconobbe.  La  pace  era  tornata 
adesso  nell'anima  di  lei.  Aveva  un  istante  disperato 
del  soccorso  divino,  e  giusto  mentr'ella  dubitava,  mentre 
quasi  accusava  il  Signore  d'averla  dimenticata,  un  mi- 
racolo aveva  salvato  il  poveretto.  Ella  vi  riconosceva 
r  intercessione  della  Beata  :  innalzava  quindi  al  cielo  le 
più  fervide  azioni  di  grazie.  La  lampada  ardeva  ora 
notte  e  giorno  nella  cappella,  la  voce  del  prodigioso 
soccorso  accresceva  la  fama  della  Santa.   — 

Nessuna  traccia  della  tempesta  restò  più  in  lei.  Di- 
nanzi al  cognato,  debole,  scarno  e  tremante,  ella  non 
provava  nuli 'altro  che  una  grande  pietà,  non  faceva 
altri  voti  che  per  la  sua  guarigione.  Mentre  gli  prodi- 
gava tutte  le  sue  cure,  come  una  suora,  pensava  : 
((  Com'è  imbruttito  !  Non  si  riconosce  più!...  »  Egli 
lasciavasi  curare  come  un  bambino,  senza  forza,  senza 
volontà,  senza  mlemoria.  Il  terribile  colpo  l'aveva  stor- 
dito, la  fibra  si  rinsanguava  a  poco  a  poco,  ma  le  fa- 

Da   Roberto,    1    Viceré    -    Il  1"> 


226    

colta  della  mente  erano  più  tarde  a  ripristinarsi.  Le 
fortissime  dosi  di  chinino  gli  avevano  quasi  tolto  l'udito; 
spesso,  egli  credeva  d'essere  ancora  ad  Augusta,  chia- 
mava la  gente  che  aveva  intorno  laggiij.  La  parola  era 
rara  sulle  sue  lablbra;'lo  sguardo  stanco,  fisso,  a  mo- 
menti   pareva   cieco. 

Dopo  un  mese,  i  dottori  consigliarono  di  portarlo  in 
montagna.  Sua  madre  lo  accompagnò  alla  Tardarla. 
Durante  la  loro  assenza,  che  durò  tre  mesi.  Teresa 
partorì  un  altro  maschietto.  In  novemlbre,  il  freddo  non 
permettendo  più  di  stare  in  mezzo  ai  boschi,  la  du- 
chessa e  il  convalescente  tornarono  :  Giovannino  era 
adesso  guarito  del  tutto,  i  colori  della  salute  gli  fiori- 
vano in  viso;  la  mente  però  era  debole  ancora.  La  sua 
lieve  sordità  lo  rendeva  inquieto,  irritabile,  nervoso. 
Ora  smaniava  per  andar  fuori,  per  veder  gente;  ora  si 
chiudeva  in  camera,  evitando  tutti.  Spesso,  ad  una  lieve 
contraddizione,  a  un'osservazione  senza  importanza  del- 
la madre  o  del  fratello,  si  spazientiva,  rispondeva  sgar- 
batamente ;  alle  volte  gridava  con  le  mani  in  testa  :  ((\'o- 
lete  dunque  farmi  iimipazzire  ?...  »  Solo  Teresa  pareva 
esercitare  un'  influenza  pacificatrice  sul  suo  spirito  am- 
malato. Come  per  virtù  d'un  senso  più  fine,  perfetto, 
egli  intendeva  sempre  tutto  ciò  che  diceva  Teresa,  quasi 
leggesse  le  sue  parole  negli  sguardi,  nello  stesso  movi- 
mento delle  labbra.  Ed  a  poco  a  poco,  per  quel  benefico 
influsso,  egli  migliorò,  guari,  riprese  le  abitudini  d'  un 
tempo,  ricoiminciò  a  vestirsi  con  cura,  a  prendere  inte- 
resse alle  cose  che  vedeva  e  udiva.  Un  giorno  si  fece 
radere  la  barba  :  fu  una  specie  di  trasformazione  come 
quelle  che  si  vedono  al  teatro  :  ringiovanì  in  un  mo- 
mento, il  bel  ragazzo  di  un  tempo  riapparve. 

—  Così  va  'bene  !  —  gli  disse  Consalvo,  che  veniva 
spesso  a  trovarlo,  quando  le  sue  occupazioni  sindacali 
lo  lasciavano  libero. 

Egli  era  adesso  all'apogeo  della  popolaritcà  :  non  si 
sentiva  parlare  d'altro  che  della  sua  intelligenza,  della 
sua  accortezza,  del  gran  bene  che  faceva  al  paese  :   il 


—    227    

governo  l'aveva  nominato  commendalore  della  Corona 
d'  Italia.  Spesso,  tuttavia,  s'  impegnavano  discussioni 
tra  lui  e  Giovannino,  poiché  quest'ultimo  osservava  che 
col  sistema  di  buttar  via  allegramente  i  •  quattrini  in 
opere  più  o  meno  utili,  le  finanze  del  Comune,  già  llori- 
dissime,  correvano  rischio  di  dare  un  crollo. 

—  Chi  ne  ha  ne  spende  I  —  rispondeva  Consalvo.  — 
Après  nnoi  le  déìiige... 

—  Dovranno  far  debiti,  se  continuerai  di  questo 
passo. . . 

— •  Qualcuno  li  pag'herà.  Mio  caro,  ho  da  farmi  po- 
polare ;  mi  servo  dei  mezzi  che  trovo.  Credi  tu  che 
questo  g'reg-ge  m'apprezzi  per  quel  che  valgo?  S'  ha  da 
buttarg-li  la  polvere  agli  occhi  ! 

Teresa  e  Giovannino,  nei  loro  discorsi,  parlavano) 
sempre  di  lui,  s'accordavano  interamente  nel  giudicarlo. 
Quel  suo  disprezzo  di  tutto  e  di  tutti  li  addolorava  : 
certo,  era  un  segno  di  forza  ;  ma  alla  lunga  non  avrebbe 
potuto  nuocergli  ?  Teresa,  specialmente,  credeva  che  la 
forza  vera  fosse  più  modesta,  più  riguardosa,  più  timida  ; 
il  cognato  consentiva  nei  suoi  giudizii  ;  però  scagionava 
Consalvo,  attribuiva  quel  che  c'era  di  men  bello  in 
lui  al  sistema  politico.  Doleva  sopra  ogni  cosa  a  lei  che 
il  fratello  non  avesse  una  fede  salda  e  desse  ragione  a 
tutti  e  si  ridesse  di  tutto.  Egli  non  praticava  più,  e 
ciò  la  crucciava  infioitamente  ;  ma  avrebbe  piutto- 
sto preferito  una  franca  negazione  ai  sotterfugi  ch'egli 
poneva  in  opera.  Per  Sant'Agata,  alla  testa  della  Giunta, 
con  l'abito  nero  e  le  decorazioni,  egli  assisteva  alla 
messa  pontificale,  dinanzi  a  mighaia  di  persone  stipate 
nella  cattedrale;  poi  dichiarava:  «La  mascherata  è 
finita!  ». 

—  Perchè  ci  vai,  allora?  —  gli  domandava  la  sorella. 
—  È  meglio  restare  a  casa,  se  credi  che  sia  una  ma- 
scherata. 

— •  È  meglio...    —  confermava  Giovannino. 

—  Se  resto  a  casa,  perdo  l'appoggio  dei  sagrestani  e 
dei  baciapile  ! 


—    228    — 

— •  Ma  i  liberi  ipensatori  che  ti  vedono  in  chiesa,  — 
sogg^iung^eva  il  cugino,  mentre  Teresa  approvava  col 
capo,  —  che  dicono  ? 

—  Dicono,  come  me  :  «  Costa,  il  favore  popolare  !...  » 

No,  no,  ella  non  voleva  che  suo  fratello  fosse  così. 
E  sosteneva  con  lui  discussioni  vivaci,  durante  le  quali 
egli  le  dava  della  pinzochera,  della  clericale,  per  finire 
con  una  raccomandazione  :  «  Xon  m'  inimicare  i  tuoi 
Monsignori  !  ». 

Ma  i  prelati  che  venivano  a  trovare  la  giovane  du- 
chessa le  facevano  anch'essi  molti  elogi  del  fratello. 
Scrollavano  un  poco  il  capo,  veramente,  a  motivo  dello 
scetticismo  di  lui,  ma  riconoscevano  le  sue  buone  qua- 
lità; e  «quando  il  fondo  è  buono,  non  bisogna  dispe- 
rare ».  La  frequentazione  di  quegli  ecclesiastici,  l'ascolto 
che  prestava  loro,  non  facevano  rinunziare  Teresa  alle 
sue  idee,  in  fatto  di  politica  religiosa.  Devota  credente 
ma  non  bigotta,  ella  non  poteva  condannare,  per  esem- 
pio, la  soppressione  delle  fraterie,  udendo  narrare  — 
adesso  che  era  maritata  —  gli  scandali  dei  Benedettini. 
E  perchè  mai  il  Papa  ostinavasi  a  pretendere  il  do- 
minio temporale,  se  Gesù  aveva  detto  :  «  Il  mio  regno 
non  è  di  questo  mondo»?...  Ma  simili  opinioni,  che 
avrebbero  fatto  scomunicare  ogni  altra,  erano  in  lei 
toMerate  dai  suoi  confidenti  spirituali,  i  quali  del  resto 
le  stavano  attorno,  tiravano  partito  della  sua  pietà, 
dell'  influenza  che  esercitava  sul  fratello  sindaco.  Se  vo- 
levano far  entrare  certi  ragazzi  all'Ospizio  di  beneficenza 
o  certi  vecchi  a  quello  di  mendicità  o  certi  ammalati 
agli  ospedali  ;  se  bisognava  sostenere  le  Suore  di  ca-  ' 
rità  che  gli  atei  volevano  mandar  via,  oppure  ottenere 
a  prezzi  di  favore  il  terreno  per  gli  asili  cattolici  ;  se 
sorgevano  contestazioni  tra  il  Municipio  e  la  Curia, 
Teresa  serviva  da  intermediaria,  otteneva  spesso  da 
Consalvo  quanto  gli  chiedeva.  Ma  gli  scherzi,  i  mot- 
teggi, le  scettiche  dichiarazioni  del  fratello  che  diceva 
di  concedere  quelle  cose  per  ottenerne  il  ricambio  a  suo 
tempo,  le  facevano  male.  Una  volta  che  ella  gli  rim- 
proverò la  mancanza  di  carattere,  le  rispose  sorridendo  : 


—  22g  — 

—  Mia  cara,  non  sai  la  storia  di  quello  che  vedeva 
una  festuca  negli  occhi  altrui  e  non  la  trave  nei  pro- 
prii  ?  Pensa  un  po'  a  ciò  che  hai  fatto  tu  stessa  ! 

Erano  soli.  Ella  chinò  il  capo. 

—  \'olevi  sposar  Giovannino,  ed  hai  preso  .Michele 
che  non  volevi  :  è  vero,  si  o  no?  Ed  era  un  atto  gra- 
vissimo, il  più  grave  di  tutta  la  vita,  quello  che  decide 
dell'esistenza...  Hai  fatto  cosi  per  mancanza  di  carat- 
tere, potrei  dirti  per  seguire  il  tuo  esempio.  Io  dirò 
invece  che  1'  hai  fatto  perchè  t'è  convenuto  !  Il  carattere, 
tienlo  bene  a  mente,  è  ciò  che  torna  conto... 

Ella  continuò  a  tacere.  Era  la  prima  volta  che  il 
fratello  le  parlava  di  quelle  cose  intime.  Ma,  quasi  per 
correggere  ciò  che  vi  'poteva  esser  d'urtante  nelle  sue 
parole.  Consalvo  riprese  : 

—  Del  resto,  non  te  ne  faccio  colpa.  Può  darsi  che 
sia  stato  meglio  per  te.  Il  povero  Giovannino,  dopo  la 
malattia,  non  ha  più  la  testa  a  posto... 

—  Perchè?...  —  domandò  ella.  —  Come  puoi  dirlo? 
A  me  non  pare... 

— •  Non  parrà  a  te,  pare  a  tutti  quelli  che  gli  par- 
lano. Xon  vedi  com'  è  sempre  nelle  nuvole?  Guardalo 
quando  camlmina  solo  per  le  strade  :  urta  i  passanti,  non 
vede  le  carrozze,  tal  e  quale  come  suo  ipadre... 

—  Dici  davvero  ? 

— ■  L'altro  giorno,  se  non  erano  le  guardie  di  città, 
restava  sotto  un  carro.  Certe  volte  non  ragiona,  mi  fa 
ripetere  due  e  tre  volte  le  cose  prima  che  capisca... 
Parlane  a  tuo  marito,  fatelo  curare,  state  attenti  prima 
che  succeda  una  disgrazia. 

Ella  rimase  profondamente  turbata.  Le  pareva  che  il 
cognato  fosse  ristabilito  del  tutto  ;  nulla  le  faceva  più 
sospettare  che  lo  squilibrio  della  sua  mente  durasse.  Ora 
aspettando  ch'egli  rincasasse,  provava  quasi  un  senso 
di  paura,  come  se  veramente  un  pazzo  stesse  per  ve- 
nirle dinanzi.  Ma  vedendolo  rientrare  sereno,  sorridente, 
con  un  cartoccio  di  dolci  pei  bambini,  con  una  quantità 
di  notiziole  per  lei,  ella  fu  certa  che  Consalvo  s'  ingan- 
nava, o  almeno  che  esagerava  sicuramente. 


. —  Sai,  —  g^li  disse  la  prima  volta  che  restò  soht 
con  lui,  —  i  tuoi  timori  sono  ingiustificati  ;  Giovannino 
non  ha  nulla... 

Consalvo  scosse  il  capo  ;  ma  come  Teresa  insisteva 
dimostrandogli  che  in  casa  il  giovane  non  dava  alcun 
sospetto,  che  con  lei  ragionava  benissimo,  egli  si  lasciò 
scappare,  con  aria  di  galanteria  : 

—  Credo  che  stia  bene...   con  te. 

A  quelle  parole,  repentinamente,  prima  ancora  che 
ne  avesse  considerata  la  significazione,  una  vampa  le 
salì  al  viso.  \''oleva  rispondergli,  dirgli  che  lo  scherzo 
era  scon\eniente  e  indegno,  che  quelle  parole  conte- 
nevano un  sospetto  ingiurioso  ed  infame,  chiedergli  di 
spiegarle  meglio,  costringerlo  a  disdirle....  ma  tutte 
quelle  idee  passavano  ratte  come  lampi  per  la  sua  mente, 
ed  ella  restava  muta,  soffocata,  avvampante,  non  udendo 
più  nula  dei  discorsi  del  fratello...  Quando  si  trovò 
sola  provò  a  ragionare.  Che  aveva  voluto  dire  Consalvo? 
Era  possibile  che  sospettasse  di  lei  ?  E  se  anche  avesse 
accolto  un  sospetto  di  quel  genere,  sarebbe  venuto  ad 
esprimerlo  dinanzi  a  lei?...  No,  era  uno  scherzo,  un'al- 
lusione sconsiderata  ma  innocente  a  quel  che  c'era  stato 
un  tempo —  Ma  perchè  non  aveva  ella  risposto  subito, 
dichiarando  che  quelle  parole  erano  fuori  di  luogo  ? 
Perchè  era  rimasta  così  turbata,  perchè  la  sua  inquie- 
tudine durava  ancora,  adesso  che  ella  si  prendeva  la 
testa  fra  le  mani  e  si  rivolgeva  tutte  quelle  domande  ?... 
Aveva  taciuto  perchè  era  stata  colta  in  fallo?...  Qual 
fallo?...  Suo  cognato,  dunque,  era  inquieto  lontano  da 
lei  e  non  ragionava,  per  causa  di  lei  ?  E  allora  per  qual 
virtù,  quando  le  stava  dinanzi,  era  sorridente  e  se- 
reno?... Ed  ella,  che  cosa  aveva  fatto  perchè  ciò 
fosse  possibile?  Lo  aveva  curato,  gli  aveva  dimostrato 
il  bene  fraterno  che  gli  voleva,  s'era  valsa  dell'ascen- 
dente che  esercitava  su  lui  per  guarirlo....  E  poi? 
Nient'altro  !...  Nient'altro  !...  Il  Signore  le  era  testi- 
monio!... Nulla,  come  un  fratello!...  Perchè  dunque  'e 
parole    del    fratello    suo?...    Forse    perchè   c'era    stato 


qualcosa  fra  loro,  un  tcmipo,  tanto  tempo  prima?  Per- 
chè Giovannino  non  le  era  fratello  di  sangue?...  E  un 
dubbio  atroce  le  passò  per  la  mente  :  «  Se  quello  che 
ha   detto  Consalvo  è  ripetuto  dagli  altri?...  ». 

Lo  stupore  dominava  quella  tempesta  di  dubbii,  di 
paure,  di  proteste.  Come 'mai,  se  ella  era  innocente  non 
solo  di  atti  ma  anche  di  pensieri.  Consalvo  aveva  po- 
tuto pensare  al  male  o  solamente  ramimentare  il  passato, 
che  ella  credeva  morto  e  sepolto?  Come  mai?...  Per- 
chè?... E  vedendo  rincasar  Giovannino,  udendolo  di- 
scorrere seduto  accanto  a  lei  alla  tavola  comtuie,  ella 
comprese  :  perchè  vivevano  adesso  sotto  lo  stesso  tetto, 
perchè  erano  tutìo  il  giorno  insieme,  perchè  uscivano 
insieme  in  carrozza,  perchè  ella  lo  ritrovava  in  casa  del 
padre,  delle  zie,  da  per  tutto  dove  andava —  No,  non 
s'era  accorta  ancora  che  la  loro  intimità  fosse  giunta  a 
tal  segno,  o  piuttosto  non  aveva  compreso  che  quel- 
l'intimità potesse  far  nascere  un  sospetto  orribile;  ma 
ecco  che  la  sua  mente  cominciava  a  rischiararsi  :  sì,  non 
le  era  fratello,  era  un  estraneo,  un  uomo  che  ella  aveva 
amato  altra  volta Bisognava  dunque  che  egli  an- 
dasse via,  che  se  ne  stesse  lontano,  come  nei  primi 
anni  del  matrimonio,  come  prima  della  malattia —  Sì, 
andarsene  via....  E  ad  un  tratto  ella  comprese  una 
cosa  più  terribile  di  tutte  :  che  ciò  era  impossibile,  per- 
chè.ella  lo  amava.  All'idea  di  non  vederlo  più,  al  pen- 
siero di  ro^mpere  quella  cara  e  dolce  comunione  di 
anime,  ella  senti  lacerarsi  il  cuore.  E  poiché  non  più 
lampi  interrotti,  ma  una  luce  cruda  illuminava  adesso 
il  suo  pensiero,  ella  riconobbe  che  non  lo  amava  sol- 
tanto per  la  compagnia  spirituale,  ma  tutto,  anima  e 
corpo,   come   prima,    come   sempre....       "" 

Suo  marito  s'era  fatto  più  grasso  e  più  goffo,  aveva 
perduto  gli  ultimi  capelli  :  il  suo  cranio  lucido  le  faceva 
ribrezzo.  All'  idea  di  passar  la  mano  sulla  chioma  folta 
e  odorosa  di  Giovannino  ella  tremava —  Perchè  s'accor- 
davano nei  giudizii,  nei  gusti,  nelle  opinioni  ?  Perchè  sì 
amavano  !...  Perchè  ella  sola,  nel  tempo  che  egli  soffriva, 


era  stata  buona  a  sedare  lo  sipirito  inquieto?  Perchè  si 
amavano!...  S'amavano,  voleva  dire  che  erano  infami  ! 
Tanto  più  degni  d'eterna  dannazione,  quanto  più  sacri 
erano  i  vincoli  che  avrebbero  dovuto  rispettare!...  Lei, 
la  santa!...  la  santa!... 

Ed  alla  ^ua  mente  atterri*  a 'parve  che  il  peccato  fosse 
commesso,  senza  più  scaonpo.  Tutte ìe  volte  che  Giovan- 
nino le  stava  vicino,  ella  tremava  come  dinanzi  al  te- 
stimonio ed  al  complice  della  propria  colpa.  Lo  evitava, 
non  lo  guardava  più  in  viso,  smaniava  quand'egli  te- 
neva in  braccio  i  nipotini,  baciandoli  lungamente,  avi- 
damente, quasi  baciasse  lei  stessa,  una  parte  della  sua 

carne «Che  avete.  Teresa?»  le  domandava  egli;   e 

r  im'barazzo,  la  freddezza  di  lei  divenivano  più  grandi, 
poiché  non  le  diceva  più  cognatia,  ma  la  chiamava  por 
nome,  ed  ella  stessa  lo  chiamava  per  nome,  tanto  la 
loro  intimità  s'era  stretta.  Micheile,  la  suocera,  comin- 
ciavano a  notare  anch'essi  il  mutato  lumore  di  lei  e  non 
sapevano  a  che  attribuirlo,  o  lo  mettevano  in  conto  di 
un  malessere  indefinibile  di  cui  ella  lagnavasi.  Se  aves- 
sero saputo  !...  Se  avessero  scoperto  !... 

Quando  giunse  al  parossismo,  il  suo  terrore  si  risolse, 
come  una  febbre.  Che  ipotevano  scoprire  ?  Quali  atti, 
quali  parole,  quali  sguardi  d'intelligenza?  Era  mai  ac- 
caduto nulla  fra  loro,  un  giorno,  un'ora,  un  minuto, 
che  li  avesse  costretti  ad  arrossire?  Dov'era  la  colpa, 
fuorché  nel  pensiero  ?  Ed  era  ella  proprio  sicura  che 
egli  nutrisse  come  lei  il  pensiero  peccaminoso  ?  Che 
prova  diretta  ne  aveva  ?  Quel  suo  spavento,  al  contrario, 
la  repulsione  che  ora  gli  dimostrava,  non  potevano  es- 
sere gili  unici  indizii  denunziatori  ?  E  a  poco  a  poco, 
sforzandosi  a  ragionare,  quetossi.  Egli  sarebbe  andato 
via,  il  tempo  avrebbe  ancora  una  volta  spento  il  fuoco 
divampante  a  tratti  nel  suo  cuore,  come  gl'incendii  vul- 
canici— 

l^n  improvviso  peg-gioramento  del  padre  la  aiutò  a 
dimenticare.    Il    tumore,    scomparso    da    un    pezzo    nel 


punto  dov'era  passato  il  ferro  del  chirur,go,  riappariva 
nuovamente  più  a  destra,  verso  l'ascella.  L'  infermo, 
appena  accortosi  della  riuova  formazione  maligna,  ebbe 
un  cosi  formidabile  accesso  di  furore  impotente,  che  lo 
spavento  gelò  le  anime  dei  suoi.  Ella  accorse,  passò 
intere  giornate  al  capezzale  del  disperato,  sopportò  pa- 
zientemente tutti  gli  scoppii  del  suo  livore,  alleviò  le 
le  pene  della  madrigna.  I  dottori,  al  momento  oppor- 
tuno, s'apprestavano  a  tagliare,  a  bruciare;  anche  que- 
sta volta  l'infermo  urlò  che  non  voleva.  «  \'ogliono 
amimazzarmii  !...  Non  sono  dottori,  sono  macellai  !... 
Li  pagate  per  ammazzarmi,  per  illberarvi  di  me!...  ». 
E  nel  delirio,  buttata  via  a  un  tratto  la  maschera  del 
zelante  cattolico  timorato  di  Dio,  orribili,  sconce  be- 
stemmie gli  uscivano  dalle  labbra.  La  principessa  si 
turava  le  orecchie.  Teresa  alzava  gii  occhi  al  cielo  ;  i 
Monsignori  però  affermavano  :   «  Non   è  lui   quello  che 

parla,  è  il  male Egli  non  sa  ciò  che  dice —  »   Ma, 

scorgendo  le  vesti  nere,  l'infermo  gridava  :  «  E  voialtri 
corvacci,  che  volete?...  Fiutate  la  carne  umana,  cor- 
vacci?...  Via  di  qua!...  \'ia  di  qua!...  »  La  crisi  finì 
con  un  pianto  dirotto.  Egli  promise  messe  alle  anime 
del  Purgatorio,  ceri  e  lampade  a  tutte  le  Madonne  e 
a  tutti  i  Crocefissi,  chiese  perdono  ai  suoi,  scongiu- 
rando che  non  lo  abbandonassero.  Teresa,  inginocchiata 
al  suo  capezzale,  lo  indusse  a  lasciarsi  operare  un'altra 
volta. 

—  Fate —  fate  come  volete —  Ma  non  mi  lasciate  !... 
Per  carità,  per  l'anima  di  tua  madre  !  non  mi  lasciare — 

Ella  assistè  al  imacello.  Dapprima,  la  vista  del  padre 
che  per  l'azione  del  cloroformio,  sotto  la  maschera  di 
feltro,  s'agitò,  rise,  disse  parole  incomprensibili,  poi  si 
quetò;  impallidi,  parve  morto,  le  gelò  il  sangue  nelle 
vene  ;  ma  ella  fece  forza  a  sé  stessa  per  non  essere  di 
impaccio  ai  dottori  ;  e  con  straordinaria  tensione  della 
volontà  vinse  i  proprii  nervi.  Ma  alla  vista  dei  ferri, 
alle  zaffate  dell'acido  fenico  che  si  mescolavano  alle 
esalazioni  dell'anestetico,  un  senso  di  freddo  le  sali  al 


cuore,  un  moto  di  nausea  le  passò  per  la  gola,  e  a  un 
tratto  le  parve  che  tutte  le  cose  girassero. 

—  A'ada  via  !  \"ada  via  !...  —  le  diceva  il  chirurgo 
quando  tornò  ih  sensi  ;  ma  ella  scosse  il  capo:  aveva 
promesso,   restò. 

Xon  vedeva  la  piaga,  ma  il  gesto  circolare  che  l'ope- 
ratore faceva  col  braccio,  iJ  sangue  che  sprizzò  sui 
grembiali  del  chirurgo  e  degli  assistenti,  che  macchiò 
il  letto  e  il  pavimento,  che  fece  più  disgustoso  l'odore 
dell'aria.  Quanto  sangue  !  Quanto  sangue  !  Se  ne  colma- 

\ano     le     catinelle;     vuotate,     si     ricolmavano Ella 

stava  dall'altro  lato  del  letto,  tenendo  una  mano  del 
padre,  fredda  come  quella  d'un  cadavere.  Non  poteva 
né  pregare  né  pensare,  vinta  dall'orrore  :  una  sola  idea 
occupava  il  suo  spirito:  «Quando  finiranno?...  Non 
finiranno  più  ?...  ». 

Non  finivano  mai.  Come  un  artefice  alle  prese  con  la 
materia  inerte  da  ridurre  alla  forma  prestabilita,  il 
chirurgo  tagliava  ancora,  recideva,  raschiava;  lasciava 
uno  strumento  e  ne  pigliava  un  altro,  poi  riprendeva 
il  primo,  calmo,  freddo,  attentissimo.  Ed  im  incidente 
prolungò  l'attesa,  ritardò  l'operazione.  Una  goccia  del 
putrido  sangue  cadde  sulla  mano  scalfita  dell'assistente; 
perchè  quell'uomo  non  fosse  avvelenato  accesero  il  ter- 
mocauterio, il  platino  rovente  fu  passato  sulla  sua 
mano;  s'udi  il  frizzo  della  carne  bruciata,  l'aria  di 
venne  mefitica. 

Dopo  un'ora,  lutto  finì.  Lavate  le  macchie,  fasciata 
la  piaga,  riposti  gli  strumenti  nelle  custodie,  il  prin- 
cipe fu  destato.  Il  primo  sguardo  del  padre,  cieco  an- 
cora, ancora  morto,  accrebbe  il  terrore  di  Teresa.  Non- 
dimeno, ella  attese  il  ritorno  della  vita;  disse  al  padre, 
sorridendogli,    stringendogli    la    mano  : 

—  È  fatto...  tutto  è  andato  benissimo...  Non  é  vero, 
dottore  ?... 

Ma  ad  un  tratto  ogni  forza  l'abbandonò.  Suo  marito, 
entrato  con  la  principessa  e  gli  altri  parenti,  la  portò 
via,  in  una  sala  lontana.  11  dottore  venne  a  dire,  con 
tono  d'autorità  : 


—  235  — 

— ■  \'olele  si  o  no  andarvene  a  casa,  adesso?...  An- 
date a  riposarvi  :  qui  non  c'è  più  nulla  da  fare... 

Non  ebbe  la  forza  di  rientrare  neppure  un  istonte 
nella  camera  dell'infermo;  volle  però  che  Michele  re- 
stasse, per  recargliene  più  tardi  le  nuove.  Scese  le  scale 
barcollando,  appoggiata  al  braccio  del  dottore,  e  si 
lasciò  cadere  sul  sedile  della  carrozza.  E  mentre  i  ca- 
valli correvano,  e  l'aria  smossa  le  vivificava  il  petto, 
anche  lo  spirito  liberavasi  finalmente  dalla  lunga  op- 
pressione. Ella  pensava  :  «  Quanti  dolori  !  quante  mi- 
serie !  ».  Che  valevano  al  padre  le  ricchezze,  l'impero 
ai  quali  aveva  tanto  tenuto  ?  Non  avrebbe  dato  tutto 
per  la  salute?...  Ed  era  condannato!  Quell'opera- 
zione era  quasi  inutile  :  l'ascesso  sarebbe  riapparso  al- 
ti ove...  E  contro  queUla  povera  vita  ròsa  dal  m^le, 
un  giorno,  un  momento,  in  cuor  suo  —  non  a  parole, 
Signore,  col  solo  pensiero;  ma  con  un  pensiero  ugual- 
mente colpevole  —  contro  quella  povera  vita  ella  s'era 
ribellata...  Perchè?...  Come  era  stato  possibile?...  Se 
egli  aveva  torti,  adesso  li  pagava,  con  un  supplizio 
atroce.  E  se  aveva  torti,  toccava  a  lei  giudicarlo?  Egli 
non  aveva  posto  opera  a  farla  felice  :  poteva  giudi- 
carlo per  ciò?...  E  dov'era  la  felicità?  Sarebbe  ella 
stata  felice  altrimenti  ?  Chi  sa  quali  altri  dolori  !  Quante 
miserie  !...  E  sempre  il  gesto  del  chirurgo  che  inci- 
deva la  viva  carne  le  stava  dinanzi  agli  occhi...  Pen- 
sava suo  padre  a  queste  cose?  Riconosceva  d'essersi 
ingannato?...  Ella  non  doveva  giudicarlo;  ma  perchè 
dunque  le  tornavano  a  mente  tutte  le  accuse  che  aveva 
udito  ripetere  contro  di  lui  :  che  era  stato  duro,  falso, 
violento  ;  che  aveva  spogliato  le  sorelle  e  i  fratelli,  e 
falsificato  il  testamento  del  monaco,  e  lasciato  morire 
accattando  lo  zio,  e  amareggiata  la  vita  e  affrettata  la 
morte  della  moglie,  della  madre  di  lei  ?...  Erano  vere 
queste  cose?  era  egli  cosi  tristo?...  Se  l'invidia,  la 
malignità  lo  avevano  calunniato,  quanto  più  tristo  era 
il  mondo  ?  Che  tristo  e  orribile  mondo,  quello  dove 
l'odio  tra  padre  e   figlio  poteva  allignare!...   Egli  non 


-  236  - 

Aoleva  veder  Consalvo  ;  il  sacrifizio  di  lei  era  stato 
dunque  inutile  !  Sarebbe  morto  senza  vederlo,  bestem- 
miando  e    piangendo Che    mondo   di    tristezza,    che 

mondo  di  miseria!...  Allora,  rapidamente,  quasi  i 
cavalli  che  la  trascinavano  la  trasportassero  indietro 
nel  tempo,  ella  pensò  a*lla  Badia,  dove,  fanciulla,  s'era 
sentita  opprimere,  come  ad  un  sicuro  rifugio,  a  un 
porto  riparato  dalle  tempeste...  Beata,  sì,  la  zia  mo- 
naca che  passava  i  suoi  giorni,  tutti  eguali,  tra  le 
preghiere  e  le  semplici  cure  della  santa  casa,  fuor  della 
vista  del  male,  al  sicuro  dalle  tentazioni,  dagli  errori 
e  dalle  colpe.  Ella  pensava  :  «  Perchè  ho  avuto  paura 
del  monastero  ?...  Cosi  vi  fossi  entrata  per  sempre  !...  ». 
L'  imaginazione  dolente  riconosceva  adesso  che  la  ve- 
rità era  li,  in  quel  silenzio,  in  quella  solitudine,  in 
quella  rinunzia.  «  Vi  entrerei  ora  ?  »  chiedeva  a  sé  stessa  ; 
e  rispondeva  :  «  Ora,  all'  istante  !  ».  Che  era  la  vita  se 
non  l'aspettazione  della  morte  ?  Perchè  avrebbe  pro- 
vato repugnanza  per  la  solitudine,  la  rinunzia,  il  silen- 
zio della  vita  claustrale,  se  ella  sentivasi  sola,  spaven- 
tosamente sola,  se  aveva  rinunziato  a  tante  cose 
che  le  erano  state  a  cuore,  se  le  voci  del  mondo  erano 
tristi  e  dolorose?  «  Se  io  non  fossi  nata?...  ». 

Un  brivido  di  freddo  l'assali  quando  la  carrozza  ar- 
restossi  nel  cortile  di  casa  sua.  E  i  suoi  figli  ?  Aveva 
dimenticato  i  suoi  figli  ?  Quando  li  ebbe  stretti  al  petto, 
la  lunga  agitazione  del  suo  spirito  si  risolse  in  pianto. 
Ed  in  quel  punto  ella  udi  una  voce,  una  voce  viva, 
dolce  e  pietosa  : 

— ■  Teresa,  che  avete?...  Com'è  andata?...  Sta 
male  ?... 

Non    potè    rispondere  ;    il    pianto   la    strozzava. 

—  Teresa!...  Per  l'amor  di  Dio,  non  v'angustiate 
così  !  Voi  che  siete  tanto  forte  !...  L'operazione  non  è 
riuscita?  SI?...  E  allora?...  Andiamo,  Teresa,  siate 
ragionevole!...  Guarirà,  vedrete Poveretta!...  Ha  ra- 
gione... Ma  ora  basta!  Basta,  Teresa...  Sentitemi... 
ditemi...   Michele  non  è  venuto  con  voi?... 


—  237  — 

Ella  rispondeva  a  cenni  del  capo.  Voleva  dirgli  di 
tacere,  perchè  quella  voce  dolce,  quelle  parole  buone 
accrescevano  la  tempesta  del  pianto,  perchè  quella 
soave  pietà  le  rivelava  la  propria  miseria.  No,  ella  non 
era  forte;  era  debole,  timida,  fragile;  non  poteva  dare 
aiuto  agli  altri;  aveva  ella  stessa  bisogno  d'appoggio 
e  di  soccorso. 

E   la   caritatevole   voce   diceva   ancora  : 

— .  Poveretta!  Poveretta!...  Fatevi  animo...  Sono 
qui  i  vostri  figli;  guardateli,  guardate  come  sono  belli... 
Fatelo  per  amore  di  questi  angioletti,  non  v'ammalate 
anche  voi...  E  la  mamma  che  non  c'è  !...  \'olete  vostro 
fratello?  Volete  che  lo  mandi  a  chiamare?...  Dite  che 
cosa  volete;  sono  qua  io... 

Ed  il  suo  braccio  la  cinse,  la  sua  tempia  sfiorò  la 
tempia  di  lei.  Ella  piangeva  ancora,  ma  di  tenerezza, 
non  di  dolore  :  dopo  l'orrore  che  aveva  visto,  dopo  le 
tristezze  che  aveva  pensate,  l'anima  sua  aveva  bisogno 
di  conforti,  e  le  confortanti  parole  le  scendevano  soavi 
all'anima  come  un  balsamo.  Avendo  pensato  d'esser 
sola  al  mondo,  di  non  aver  nessuno  che  1'  intendesse, 
abbandonavasi  ora,  con  la  trepida  voluttà  della  debo- 
lezza, a  quella  forza,. a  quella  simpatia.  Egli  le  asciu- 
gava gli  occhi,  le  divideva  sulla  fronte  i  capelli  scom- 
posti.   La  sua  mano  tremava. 

— ■  Cosi...  — .  mormorava  — ■  basta  cosi... 

Le  passò  nuovamente  il  braccio  attorno  alla  vita,  le 
prese  una  mano.  I  singhiozzi  che  le  sollevavano  il  seno 
ambasciato  facevano  più  stretto  l'abbraccio.  La  baciò 
in  fronte. 

Ella  si  liberò  dalla  stretta  e  levossi.  La  duchessa  so- 
pravveniva. 

Da  quel  momento,  entrambi  lessero  il  pensiero  della 
colpa  nei  loro  sguardi.  Evitavano  di  guardarsi,  ma  il 
pensiero  persisteva,  come  se  qualcuno,  le  stesse  mute 
cose  lo  esprimessero.  Se  la  mano,  se  l'abito  dell'una 
sfiorava  quello  dell'altro,  le  fronti  arrossivano,  le  menti 


si  turbavano.  Ella  non  pensava  più  a  suo  padre  che  se 
ne  moriva,  non  ai  suoi  figli.  Alla  tentazione,  soltanto, 
sempre.  Andò  a  gettarsi  dinanzi  alla  Beata  :  la  lam- 
pada votiva  ardeva  perennemente,  come  la  fiamma  che 
struggeva  il  suo  cuore.  Non  valsero  le  preghiere  :  nes- 
suno le  udiva.  Nulla  valeva.  Ella  pensava  :  «  Sarà 
oggi...   sarà  domani...  ». 

Suo  marito  le  disse  una  volta  : 

—  Giovannino  m'inquieta...  torna  ad  esser  turbato 
come   dopo   la   malattia,    hai    visto? 

Ella  non  aveva  visto  nulla  :  stupivasi  come  non  si 
fossero  accorti  ancora  dello  smarrimento  suo  proprio. 

—  Non  parla,  non  ride,  pare  che  ricominci  a  tor- 
mentarlo qualche  fissazione...   Che  possiamo  fare? 

Che  potevano  fare  ? 

Un  giorno,  a  tavola,  Giovannino  annunziò  : 
— •  Parto  per  Augusta. 

Era  la  salvezza,  ella  pensava  che  era  la  salvezza, 
mentre  la  duchessa  e  Michele  esclamavano  : 

—  Un'altra  volta?  Per  prendere  una  recidiva?  In 
questa  stagione?...   Di  qui  non  ti  lasceremo  partire  ! 

Ella  pensava  che  era  la  salvezza;  e  come  Michele, 
le  domandò  : 

—  È  vero  che  non   può  partire  ? 

—  È  un'  imprudenza...  —  rispose. 

Egli  alzò  lo  sguardo  su  lei.  Non  si  guardavano  negli 
occhi  da  tanto  tempo.  Allora  ella  ebbe  paura  :  quegli 
occhi  spalancati,  fiammanti,  terribili,  gli  occhi  del  folle, 
ripetevano  a   lei  :   «  Volete  dunque   farmi  impazzire  ?  ». 

E  rimase.  Ma  divenne  un  selvaggio.  Ella  s'accorse 
.«>ubito  della  pazzia,  perchè  era  rivolta  contro  di  lei. 
La  evitava,  non  le  rivolgeva  la  parola.  Quando  gli 
presentavano  i  bambini  li  respingeva,  quasi  toccasse 
lei  stessa  nel  toccar  la  carne  della  sua  carne.  Una  ter- 
ribile misantropia  lo  assali,  non  andò  più  fuori  :  un 
giorno,  costretto  ad  uscire,  non  rincasò.  Tornò  il  do- 
mani :  non  si  seppe  dov'era  stato. 

Quel  giorno   ella    fu   chiamata,   all'alba,    dalla   princi- 


—  239  — 

pessa.  Il  .principe  Giacomo  era  agli  estremi;  il  sangue 
avvelenato  incancreniva  a  poco  a  poco  tutto  il  suo 
corpo.  La  mattina  prima,  con  grande  stupore  di  tutti, 
egli  aveva  mandato  a  chiamare  Consalvo.  \'ole\a  fare 
vm  ultimo  tentativo  per  indurlo  a  prender  moglie;  la 
paura  della  iettatura  cedeva  dinanzi  alla  suprema  ne- 
cessità di  assicurare  la  discendenza.  Nella  mente  su- 
perstiziosa, indebolita  ancor  più  dal  male,  il  matrimonio, 
del  figlio  era  d'altronde  l'unico  mezzo  di  togliergli  quel 
funesto  potere.  Ammogliato,  stabilito  in  una  casa  pro- 
pria, padrone  d'un  assegno  e  della  dote  della  moglie, 
non  avrebbe  avuto  ragione  di  augurare  corta  vita  al 
padre. 

Consalvo  venne  subito,  s'  informò  premurosamente 
della  sua  salute,  sedette  al  suo  capezzale.  Il  principe 
spiegò  : 

—  T'  ho  fatto  chiamare  per  dirti  una  cosa...  È  tempo 
che  tu   prenda  moglie. 

—  Pensi  \'ostra  Eccellenza  a  guarire  !  —  esclamò 
Consalvo.   —   Poi   si  parlerà  di   questi   negozii. 

—  Xo,  —  insistè  il  principe.  —  Devi  prender  moglie 
ora...  —  Non  aggiunse  :  «  Perchè  io  sto  per  morire...  » 

Consalvo  frenò  un  moto  di   fastidio. 

—  Ma  che  teme  Vostra  Eccellenza?...  Che  la  nostra 
razza  si  spenga?...  Non  dubiti...  prenderò  moglie,  glie- 
lo prometto...  Mi  lasci  però  un  po'  di  tempo...  Vuole 
che  io  ne  prenda  l'impegno  in  iscritto?  —  aggiunse 
sorridendo.    Sono  pronto!...   È   contenta?... 

L'infermo  tacque  un  poco;  poi  riprese  con  voce 
breve  : 

—  Voglio  che  tu  non  perda  tempo...  Ha  da  esser 
ora. 

— ■  Oggi,  subito,  all'  istante?...  —  continuò  Consalvo 
con  lo  stesso  tono  di   scherzo. 

—  Ora...   o   te   ne  pentirai! 

Egli   nascose  più   difificilmente  un   moto  di   ribellione. 

—  Ma  santo  Dio,  che  fretta  ha  mai  Vostra  Eccel- 
lenza?...   Neanche    s'io   fossi    una    ragazza   che    invec- 


—  :ì^o  — ■ 

chiando  corresse  il  rischio  di  non  trovar  più  partiti  I 
Ho  appena  ventinove  anni  ;  posso  aspettare  ancora, 
fare  una  buona  scelta.  Ai  tempi  di  Vostra  Eccellenza 
davano  moglie  ai  ragazzi  di  diciott'anni  ;  ora  le  idee 
sono  altre.  Non  dico  che  col  sistema  antico  riuscissero 
cattivi  mariti  e  padri...  ma,  come  si  pensa  oggi,  come 
penso  io,  bisogna  aver  acquistato  una  larga  esperienza, 
essere  nella  pienezza  della  vita  prima  di  dar  la  vita 
ad  altri.  Forse  sbaglierò  ;  ma  a  prender  moglie  ora,  le 
assicuro  che  farei  infelice  la  mia  compagna  e  sarei  in- 
felice io  stesso.  Mi  pentirei  se  ascoltassi  Vostra  Ec- 
cellenza. Vorrei  farla  contenta,  se  l'obbedienza  al  suo 
desiderio  non  portasse  conseguenze  troppo  gravi  a 
me  e  ad  altri... 

Finché  il  figlio  parlò,  sfoggiando  la  sua  eloquenza, 
il  principe  non  disse  una  parola.  Quando  Consalvo  andò 
via,  egli  s'afferrò  al  campanello  e  sonò  disperatamente  ; 
e  la  principessa,  le  persone  accorse  lo  trovarono  in 
uno  stato  da  fare  spaA^ento.  Pallido  come  se  fosse  già 
morto,  con  le  mascelle  contratte,  con  le  coltri  stret- 
tamente afferrate  tra  le  mani  adunche  : 

—  Il  notaio  !  Il  notaio  !  Il  notaio  !  —  mugolava. 
Ad  ogni  parola  dei  familiari  che  gli  domandavano  che 

avesse,  che  tentavano  calmarlo,  mugolava,  come  un  cane 
arrabbiato  : 

—  Il  notaio!...  Il  notaio!...  Il  notaio!... 

Teresa  lo  trovò  in  quello  stato.  Non  si  chetò  se  non 
prima  venne  il  notaro.  E  allora  diseredò  il  figlio.  Sola- 
mente nell'impeto  dell'  ira,  per  vendicarsi,  aveva  po- 
tuto indursi  a  dettare  le  sue  ultime  volontà.  E  arre- 
stando con  rauche  grida  le  osservazioni  del  vecchio 
notaro  che  non  credeva  alle  proprie  orecchie  e  cercava 
richiamarlo  alla  ragione  e  impedire  quella  mostruosità, 
dettò  : 

—  Nomino  erede  universale  di  tutto  il  mio  patri- 
monio, di  tutto  il  mio  patrimonio,  mia  figlia  Teresa 
Uzeda  duchessa  di  Radali...  con  l'obbligo  che  faccia 
precedere    il    cognome    dei    suoi    figli    dal    mio    casato, 


-  2^1  — 

chiamandoli  Uzeda-Radali  di  Francalanza...  e  cosi  pei 
tutta  la  discendenza,  sino  alla  fine... 
— •  Eccellenza... 

—  Scrivete  !...  Lascio  a  mia  moglie  Graziella  prin- 
cipessa di  Francalanza  il  mio  palazzo  avito...  con  l'ob- 
bligo espresso,  espresso,  scrivete  :  espresso,  che  vi 
dimori  essa  sola,  vita  naturai  durante... 

—  Signor  principe  !... 

— .  Scrivete  !...  —  E  continuò  a  dettare  i  legati  alle 
persone  di  servizio,  ai  parenti  per  il  corrotto,  alle 
chiese  per  le  messe,  ai  preti  per  le  elemosine  ;  e  non  . 
una  sola  parola,  non  un  accenno  a  quel  figlio.  Ordinò 
che  i  funerali  fossero  celebrati  col  decoro  competente 
al  suo  nome,  che  il  suo  corpo  fosse  imbalsamato  ;  ma 
a  mano  a  mano  che  esprimeva  queste  intenzioni,  la  sua 
voce  s'arrochiva,  gli  spiriti  vitali  lo  abbandonavano  : 
quando  fini,  parve  al  notaio  che  l'ultimo  momento  fosse 
giunto  davvero.  Ma  allora  l' infermo  si  rianimò,  prese 
il  foglio,  lo  rilesse  parola  per  parola  e  lo  firmò.  Quando 
le  ultime  formalità  furono  compite,  quando  il  testa- 
mento fu  chiuso,  quella  violenta  eccitazione  venne  meno 
a  un  tratto.  Egli  aveva  parlato  della  propria  morte  ! 
Aveva  dettato  le  ultime  volontà  !  Aveva  provveduto  ai 
funerali  !  Egli  era  iettatore  di  sé  stesso  !  Xon  gli  restava 
più  che  morire  !  Nessuno  gli  cavò  più  una  parola  :  im- 
mobile,  tetro,  serrò  gli  occhi,   aspettando. 

Il  notaio  era  già  corso  dal  duca  :. 

—  Il  principino  diseredato  !  Messo  fuori  di  casa  I 
Erede  universale  la  figlia!  Il  palazzo  alla  madrigna  !... 
E  quando  mai  s'è  vista  una  cosa  simile?...  La  casa 
Francalanza  è  proprio  finita?...  Pensateci  voi!...  Ripa- 
rate lo  scandalo  !...  Persuadete  quel  pazzo!... 

Il  duca,  in  quei  giorni,  aveva  da  fare  :  la  tredicesima 
legislatura  era  stata  chiusa,  i  comdzii  convocati  per  il 
26  maggio.  Deciso  a  ritirarsi  se  lo  avessero  nominato 
senatore,  egli  ripresentavasi  ancora  una  volta  perchè  la 
nomina  non  voleva  venire.  E  tra  la  devozione  dei  vecchi 
amici,  tra  1'  indifferenza  sfiduciata  di   quanti  speravano 

Dt,    Roberto.    /    Victrc    -    II  IC 


—    24^    — 

nclia  promessa  riforma  elettorale  per  sbarazzarsi  di  lui,  j 
la  sua  candidatura  non  andava  pegg^io  delle  altre  volte  :  j 
Giùlente,  credutosi  sul  punto  di  ottenere  il  posto,  tor-  i 
nava  a  battersi  per  lo  zio.   Nonostante  le  sue  occupa- 
zioni,   udite   le    notizie    portategli    dal    notaio,    il    duca 
accorse  al   palazzo  ;   ma  il  principe  aveva  dato  ordine  [ 
di  non  lasciar  entrare  anima  viva.  Andò  allora  in  cerca  1 
di  Consalvo.  Questi  era  al  Municipio,  dove  presiedeva, 
nella  sala  della  Giunta,   una  riunione  d'  ingegneri  per 
una  nuova  opera  che  aveva  divisata  :  la  costruzione  di 
grandi    acquedotti    destinati    a   dotar   d'acqua   la   città. 
Udendo  che  suo  zio  lo  chiamava,  chiese  permesso  a,gli 
astanti  e  andò  a   riceverlo   nel  suo  gabinetto. 

—  Non  sai  che  succede?  —  esclamò  piano  il  duca, 
ma  con  aria  grave  ed  inquieta;  e  gli  riferì  ogni  cosa.  ; 

—  Ebbene?  —  rispose  Consalvo,  arricciandosi  i  baffi.  ] 

—  Come,  ebbene?...  Ma  va'  a  gettarti  ai  suoi  piedi!...  1 
Chiedigli   perdono!...    Arrenditi   una   buona   voltia —         \ 

—  Io?...  Perchè?...  —  E  con  un  sorriso  ambiguo, 
soggiunse  :  —  Può  togliermi  quel  che  mi  dà  la  legge  ? 
No?...  Faccia  del  resto  ciò  che  gli  pare  ! 

Lo  zio  restò  a  jgiuardarlo,  interdetto,  non  compren- 
dendo. Era  dunque  vero  ?  Quell' Uzeda  non  somigliava 
a  tutti  gli  altri?  Quando  gli  altri  litigavano,  s'azzuffa- 
vano, passavano  sopra  a  tutti  gli  scrupoli  e  a  tutte  le 
leggi  pur  di  far  quattrini,  quello  lì  restava  indifferente, 
sorrideva  udendo  che  era  diseredato  ? 

—  Ma  tu  non   pensi  a  ciò  che  perdi  !...    Il  palazzo 
lasciato  a  sua  moglie  per  cacciartene  via?...   Non  ca- j 
pisci  questa  cosa?...   Non  te  ne  duole?..,  1 

Consalvo  lasciò  che  lo  zio  dicesse  ;  poi  rispose  : 
— •  \'ostra  Eccellenza  ha  finito  ?...  Sappia  che  la  legit- 
tima, cioè  un  quarto  del  patrimonio,  mi  basta,  anzi  mi 

soverchia.  Quanto  al  palazzo —  egli  tacque  un  poco,  , 

perchè  questo  veramente  gli  coceva  :  il  principe  aveva  ' 
saputo  portare  il  colpo,  —  quanto  al  palazzo,  case  non 
ne   mancano,   e  coi  quattrini  se  ne  fanno  di  più  belle 

della  nostra .adesso  Vostra  Eccellenza  permetta  :  la  '■ 

commissione   m'aspetta. 


E  la  notizia  si  diftuse  per  la  città.  Ad  una  voce,  in 
alto  e  in  basso,  il  principe  fu  biasimato.  Antipatia  e 
odio  contro  il  figliuolo,  sia  pure  ;  ma  fino  a  questo 
punto?...  L'anima  a  Dio  e  la  roba  a  chi  spetta  !...  Non 
si  rammentava  egli  dunque  che  anche  la  vecchia  prin- 
cipessa sua  madre  lo  aveva  odiato,  ma  che,  nondimeno, 
lo  aveva  trattato  come  il  prediletto?...  La  cosa  era 
solo  possibile  in  quella  gabbia  di  matti.  Pazzo  il  padre 
e  pazzo  il  figlio  !  Ma  i  fautori  del  principino  esclama- 
rono :  «Vedete  il  suo  disinteresse?...  Per  esser  uomo 
di  carattere,  per  non  transigere,  perde  un  patrimonio, 
e  non  gliene  importa  niente  !  ». 

Ma  se  tutti,  universalmente,  biasimavano  il  principe, 
tra  la  servitù,  tra  i  familiari,  tra  i  lavapiatti  regnava 
una  vera  costernazione.  La  casa  Francalanza  finita  !  Le 
ricchezze  alla  femimina  !  11  palazzo  alla  moglie  !  Era 
venuta  dunque  la  fine  del  mondo?...  E  una  sola  per- 
sona durava  fatica  a  nascondere  la  propria  gioia  :  la 
duchessa  Radali  madre.  La  sostanza  che  si  riuniva  nelle 
mani  del  suo  primogenito  era  dunque  immensa  !  Il  du- 
chino  non  avrebbe  potuto  contare  le  proprie  rendite. 
Se  Giovannino  non  si  fosse  ammogliato  —  e  lei  c'era 
per  questo  !  —  la  ricchezza  del  futuro  duca  avrebbe  dato 
le  vertigini  !...  Ella  quasi  le  provava,  non  compren- 
deva come  Michele  restasse  indifferente  a  quell'an- 
nunzio, come  le  dicesse  : 

—  Mamma,  non  penso  a  questo —  Penso  a  Giovan- 
nino   Non  lo  vedete?  Cupo,  taciturno,  certi  giorni  mi 

fa  spavento... 

Ella  non  vedeva  ntdla,  era  persuasa  che  Michele  esa- 
gerasse; la  soddisfazione  le  si  leggeva  negli  occhi,  si 
manifestava  ad  ogni  atto,  ad  ogni  parola.  E  Teresa  la 
guardava,  non  comprendendo.  Sola  fra  tutti,  ella  non 
sapeva  del  testamento  del  padre.  Non  udiva  i  borbottìi 
dei  parenti,  non  comprendeva  le  allusioni  della  gente. 
Aveva  un  fuoco  ardente  nel  petto,  un  chiuso  fuoco  che 
la  consumava  a  poco  a  poco —  Perchè  non  lo  aveva 
lasciato  andar  via?  Perchè  non  aveva  stornata  la  ten- 


—   -'44   - 

fazione  ?  E  gli  ocelli  di  lui  dicevano  sempre  :  «  Volete 
ilunque   farmi  impazzire?...  ». 

Ella  non  poteva  né  udire  né  comprendere  nulla,  sotto 
il  peso  della  tragica  fatalità  che  sentiva  aggravarsi  tut- 
t'  intorno.  A  momenti  pregava  che  l'agonia  del  padre 
durasse,  perché  solo  quell'agonia,  quello  spavento  di 
morte  la  distoglieva  dal  pensiero  cocente.  Che  sarebbe 
avvenuto  dopo  la  morte  del  padre?...  Poi,  vedendo 
l'atroce  supplizio  del  principe,  s' incolpava  di  quella 
preghiera  inumana  — 

Il  principe  moriva  a  pezzo  a  pezzo,  tra  bestemmie  e 
preghiere,  scoppi!  di  furore  e  di  pianto.  Ora  aveva  paura 
di  restar  solo,  ora  la  vista  della  gente  sana  lo  rendeva 
furibondo.  Nominata  erede  la  figlia,  respingeva  anche 
lei,  poiché,  dovendo  ereditare,  anche  lei  doveva  affrettar 
coi  voti  la  sua  morte.  Nessuno  gli  parlava  né  del  testa- 
mento, né  di  null'altro  :  bisognava,  per  accontentarlo, 
che  egli  stesso  avviasse  un  discorso.  Più  spesso,  la  sua 
porta  era  chiusa  :  nessuno  poteva  penetrare  fino  a  lui. 

E  una  notte  un  servo  corsfe  in  casa  Radali  :  il  prin- 
cipe era  agli  estremi.  La  notizia  fu  comunicata  al  ba- 
rone Giovanni,  perché  avvertisse  il  fratello  che  dormiva 
con  la  moglie. 

—  E  come  si  fa?...  Come  si  fa?...  — balbettava  egli, 
in  preda  a  una  confusione  straordinaria. 

Andò  finalmente  a  chiamare  la  madre.  La  duchessa 
corse  nella  camera  maritale;  all'  improvvisa  apparizione 
Teresa,  che  non  dormiva  più  da  tanto  tempo,  sentì  un 
gran  freddo  serpeggiarle  pel  corpo. 

—  Mio  padre?...  —  e  cacciato  un  grido,  cadde  ri- 
versa sul  letto.  La  duchessa  scosse  il  duca  Michele  per 
destarlo  dal  sonno  greve,  e  corse  a  cercare  un  cordiale. 
La  cameriera  e  la  balia  accorsero  anch'esse. 

Nella  stanza  attigua  il  barone  pareva  istupidito.  Suo 
fratello  lo  chiamava,  le  persone  di  servizio  gli  dicevano, 
passando  e  ripassando  in  fretta  :  «  La  povera  duches- 
sina !...  Venga  anche  Vostra  Eccellenza...  »  ma  egli 
guardava    la    soglia    della    camera    nuziale    con    occhio 


fisso,  dilatato,  couBe  se  ci  vedesse  qualche  cosa  di  or- 
ribile. 

—  Giovannino  !   —  gridò   a  un  tratto  il   duca. 

Egli  entrò.  Era  distesa  sul  letto,  con  le  braccia  nude, 
il  seno  nudo,  i  capelli  d'oro  diffusi  sul  guanciale,  le 
labbra  dischiuse,  gli  occhi  rovesciati. 

— ■  Aiutami  a  sollevarla... 

Era  rigida  come  una  morta.  Egli  la  sollevò  per  le 
ascelle.  Come  se  le  mani  gli  scottassero,  si  mise  a  scuo- 
terle. Tremava.  Tremavano  tutti,  perchè  la  notte  era 
glaciale. 

— ■  Riprende  i   sensi,   —  annunziò  la  duchessa. 

Allora  egli  s'allontanò,  andò  a  mettersi  dietro  la  fine- 
stra dell'altra  stanza.  Mezz'ora  dopo  uscirono  tutti  e 
tre:  la  suocera  e  il  marito  reggevano  Teresa;  Michele- 
disse  al  fratello  : 

—  Tu   va'   a   letto Fa   freddo....    Tornerò   appena 

potrò. 

In  casa  del  principe  c'era  tutta  la  parentela.  Consalvo 
stava  nella  Sala  Gialla  con  gli  zii  ;  al  capezzale  del  mo- 
rente c'era  solo  la  principessa  e  lo  zio  duca.  Teresa  andò 
a  'rruettersi  accanto  alla  madrigna. 

—  È  meglio  che  finisca,  —  dicevano  nella  Sala 
Gialla  —  soffre   troppa 

Consalvo  non  diceva  nulla.  Pensava  impaurito  a 
quel  male  terribile  che  un  giorno  avrebbe  potuto  rodere, 
distruggere  il  suo  proprio  corpo  in  quel  momento  pieno 
di  vita.  Era  il  sangue  impoverito  della  vecchia  razza 
che  faceva,  dopo  Ferdinando,  un'altra  vittima  precoce, 
poiché  suo  padre  aveva  appena  cinquantacinque  anni. 
Sarebbe  anch'egli  morto  prima  del  tempo,  prima  di 
conseguire  il  trionfo,  ucciso  da  quei  mali  terribili  che 
amimazzavano  gli  Uzeda  giovani  ancora  ?  Suo  padre 
avrebbe  dato  tutte  le  proprie  ricchezze  per  vivere  un 
anno,  un  mese,  un  giorno  di  più.  Che  avrebbe  dato  egli 
stesso,  .perchè  nelle  proprie  vene  scorresse  il  sangue 
vivido  e  sano  di  un  popolano?...  «Niente!...  ».  Il 
sangue  povero  e  corrotto  della  vecchia  razza  lo  facev,] 


—  246  — 

quel  che  era  :  Consalvo  Uzeda,  principino  di  Mirabella 
oggi,  domani  principe  di  Francalanza.  A  quello  storico 
nome,  a  quei  titoli  sonori  egli  sentiva  di  dovere  il  posto 
guadagnato  nel  mondo,  la  facilità  con  cui  le  vie  mae- 
stre gli  s'aprivano  innanzi.  «Tutto  si  paga!...  »  pen- 
sava; ma  piuttosto  che  dare  qualcosa  per  vivere  la  vita 
lunga  e  forte  d'un  oscuro  plebeo,  egli  avrebbe  dato 
tutto  per  un  solo  giorno  di  gloria  suprema,  a  costo 
d'ogni  male...  «Anche  a  costo  della  ragione?».  Solo 
quest'altro  oscuro  pericolo  che  pesava  su  tutta  la  gente 
della  sua  razza  lo  atterriva;  ma  poi,  considerando  la 
lucidità  del  suo  spirito,  la  giustezza  dei  suoi  criterii, 
l'acutezza  della  sua  vista,  rassicuravasi  ;  quei  poveri 
di  spirito,  quei  monomaniaci  che  s'eran  chiamati  Fer- 
dinando ed  Eugenio  l'zeda  avevano  potuto  perdere  la 
riagione  :  non  egli  era  minacciato Ed  in  quel  mo- 
mento, sotto  r  influenza  di  quei  pensieri,  di  quel  senso 
di  paura,  si  giudicava  quasi  severamente  per  la  lunga 
lotta  sostenuta  contro  il  padre.  L'ostinazione,  1'  irre- 
movibile durezza  di  cui  aveva  fatto  mostra  non  era  un 
sintomo  inquietante,  'a  prova  che  anch'egli  poteva  un 
giorno  smarrirsi,  come  quegli  altri  ?  Anche  resistendo 
alle  im'p>osizioni  del  padre,  anche  giudicandolo  come 
meritava,  non  avrebbe  egli  potuto  conservare  una  certa 
misura,  rispettare  le  forme,  salvar  le  apparenze  ?  Per- 
chè quello  scandalo?  Non  poteva  fargli  anzi  torto?... 
E  adesso  sentivasi  quasi  disposto  a  chieder  perdono  al 

morente,   a  nuitar  politica 

Recitavano  le  preghiere  degli  agonizzanti,  nella  ca- 
mera dell' infermo;  il  principe  rantolava.  Dinanzi  allo 
spettacolo  della  morte,  il  senso  di  paura  agghiacciava 
nuovamente  il  cuore  di  Consalvo.  Egli  aveva  pietà  del 
padre,  di  tulli  i  suoi.  Stravaganti,  duri,  prepotenti,  ma- 
niaci :  erano  knse  responsabili  delle  loro  brutte  qua- 
lità ?  «  Tutto  si  paga  !...  »  e  anch'essi  pagavano  il  gran 
nome,  la  vita  fastosa,  le  più  invidiate  fortune!...  Ma 
quel  \iso  affilato  del  padre,  quello  sguardo  cieco,  quel 
rantolo    affannoso!...    Il    giovane    piegava    i    ginocchi, 


—  247  — 

intuiva  cose  che  aveva  negate.  Egli  che  s'era  fatto 
beffe  della  religiosità  della  sorella,  accusandola  di  bi- 
gotteria, comprendeva  ora  che  la  preghiera  e  la  fede 
erano  per  lei  un  rifugio.  Inginocchiata,  con  le  mani 
giunte,  immobile  come  una  figura  sepolcrale,  ella  non 
vedeva,  non  udiva.  Consalvo  quasi  invidiava  1'  imman- 
cabile conforto  cui  ella  poteva  ricorrere  nella  tristezza 

Il  sacerdote  che  vegliava  l'agonizzante  alzò  ad  un 
tratto  le  braccia  al  cielo.  S'udì  lo  scoppio  di  pianto 
della  principessa,  i  gemiti  delle  donne  di  servizio,  i  so- 
spiri della  marchesa  e  di  Lucrezia. 

Solo  Teresa  non  piangeva;  neppure  la  duchessa 
Radali  e  donna  Ferdinanda,  in  verità.  Tutti  sfilarono 
dinanzi  al  cadavere,  baciandone  la  mani.  Le  donne  si 
lasciarono  condur  via,  tranne  la  figlia  e  la  moglie.  Nel- 
la Sala  Rossa,  la  duchessa  ripeteva  che  era  meglio  fosse 
morto,  quel  poveretto;  non  era  vivere,  il  suo.  Ilduca 
col  .maestro  di  casa  e  Benedetto  Giulente  davano  dispo- 
sizioni per  la  circostanza,  mentre  i  servi  sbarravano 
tutte  le  finestre,  tutti  i  portoni.  Michele,  fattosi  vi- 
cino a  Consalvo,  gli  stringeva  la  mano,  mormorando  : 
«Coraggio!...»  Egli  stava  per  rispondere  qualcosa, 
quando  udì  una  voce  : 

— ■   Eccellenza 

Era  il  portinaio  che  gli  faceva  cenno  di  dovergli  par- 
lare. 

— •  Permetti....  —  disse  al  cugino,  e  avvicinossi  al 
servo,  credendo  gli  chiedesse  qualche  ordine. 

— ■  Eccellenza....  venga  qui....  — •  mormorava  l'altro, 
trascinandolo  nella  stanza  attigua  con  aria  di  mistero, 
che  Consaho,  nonostante  la  tristezza  del  momento,  giu- 
dicava un  poco  buffa.  —  Eccellenza  !  —  esclamò  a  un 
tratto,  quando  furono  soli,  con  voce  di  terrore  che  diede 
un  senso  di  raccapriccio  al  giovane.  —  Che  disgrazia. 
Eccellenza  !...  Suo  cugino  il  barone....  il  cognato  della 
duchessina 

—  Giovannino?  —  esclamò  egli,  non  comprendendo. 
-  S'è  ammazzato,  è  morto!...  Or  ora;  è  venuto  or 


ora  il  cameriere  della  duchessa —  L'ho  lasciato  abbas- 
so—  Morto,  con  una  pistolettata —  Per  avvertir  prima 

Vostra  Eccellenza Bisogna  mandare  qualcuno 

Un  sospiro  di  terrore  e  d'ambascia  sfuggi  dal  petto 
a  Consalvo.  Il  «  figlio  del  pazzo,  »  la  pazzia,  la  morte 
violenta!...  Ad  un  tratto  si  scosse,  strinse  il  braccio  al 
servo  : 

—  Non   una   parola   a   nessuno,    capisci?...    .Andrò   io 

stesso —  Aspetta  il  mio  ritorno Non  dire  che  sono 

andato  fuori 

Sentiva  di  dover  fare  qualcosa.  E  quel  sentimento, 
la  nettezza  della  percezione,  la  rapidità  della  risoluzione 
gli  procuravano  un ,  vero  senso  di  sollievo,  di  fiducia, 
come  se  uscendo  da  un  sogno  penoso  s'  accorgesse  in 
quel  punto  d'esser  desto  e  al  sicuro....  Alla  pazzia,  al 
suicidio  del  cugino  non  era  estranea  Teresa  :  egli  non 
sapeva  in  qual  misura,  ma  era  certo  che  non  la  so'a 
eredità,  non  la  sola  malattia  avevano  sconvolto  il  cer- 
vello del  giovane.  Bisognava  dunque  nascondere  il  sui- 
cidio per  Teresa,  per  la  famiglia,  per  la  gente E  ap- 
pena giunto  in  casa  dei  Radali,  appena  entrato  nella 
camera  dove  il  cadavere  giaceva  per  terra,  ai  piedi  di 
un  divano,  sotto  un  trofeo  d'armi,  esclamò  dinanzi  alla 
serviti!  costernata  : 

—  Ah,  quest'armi  maledette!...  Credeva  che  il  re- 
volver fosse  scarico....  Povero  Giovannino!...  Che  dis- 
grazia !... 

Nessuno  osò  rispondere.  Prima  che  sopraggiungesse 
la  giustizia,  egli  tolse  l'arma  che  il  morto  stringeva  nel 
pugno,  ne  cavò  le  cinque  cartucce  rimaste,  e  la  ripose 
in  mano  al  cadavere.  E  al  pretore,  che  saputa  la  morte 
del  principe  Giacomo,   gli  diceva  con   aria  dolente  : 

—  Signor  principe!...  Che  disgrazie!...  Due  in  una 
volta!...   Non  pare  credibile!... 

—  Non  pare  davvero —  confermò  egli,  con  chiara 

voce,   interamente  rassicurato. 

Quel  «  signor  principe  »  che  il  magistrato  gli  dava  pri- 
ma d'ogni  altro  gli  rammentava  che  una  nuova  èra  s'a- 


\ 


—  249  — 

priva  per  lui.  La  fermezza  di  cui  aveva  dato  prova,  la 
prontezza  con  cui  aveva  visto  quel  che  doveva  fare  lo 
rassicuravano  :  egli  non  aveva  paura  di  cadere  nelle 
pazzie  degli  Uzeda  ;  dei  suoi  aveva  soltanto  la  ricchezza 
e  la  potenza.  E  l'inganno  in  cui  trascinava  la  giustizia 
non  era  l'ultimo  motivo  del  suo  compiacimento;  egli  di- 
ceva al  pretore  : 

-—  Il  mio  povero  cugino  era  solo  in  casa —    Aveva 

la  passione  delle  armi Credette  che  questo  revolver 

fosse  scarico Invece,  guardi,  c'era  una  sola  car- 
tuccia dimenticata — 


Vili. 


Le  due  duchesse  stettero  un  mese  fra  la  vita  e  la 
n>orte.  II  dolore  della  madre  fu  terribile,  poiché  ella 
vide  nella  spaventosa  disgrazia  la  mano  di  Dio.  Quella 
morte  era  stata  permessa  affinchè  ella  scorgesse  il 
proprio  errore  e  misurasse  la  colpa  commessa  disa- 
mando, trascurando,  disprezzando  quel  poveretto.  Ella 
aveva  quasi  calcolato  sulla  morte  di  lui,  perchè  l'al- 
tro ne  godesse!  Non  s'era  neppur  ravveduta  alla 
prima  minaccia,  quando  lo  sventurato  era  stato  sul- 
l'orlo della  fossa  !  Cosi,  dinanzi  al  cadavere  sangui- 
noso, una  mano  l'aveva  atterrata  :  ricuperati  i  sensi, 
le  sue  lacrimie  non  cessarono  più  ;  nel  vedere  il  muto, 
inconsolabile  dolore  dell'altro  figlio,  le  crisi  di  pianto 
quasi  la  soffocavano.  Quanto  alla  duchessa  Teresa, 
tutti  furon  meravigliati  della  forza  straordinaria  che 
dimostrò  nei  primi  momenti.  Le  due  disgrazie  che 
mettevano  in  lutto  le  due  famiglie  colpivano  lei  più  di 
tutti,  perchè  iella  faceva  parte  di  entrambe  :  pure, 
nelle  primissime  ore,  mentre  gli  altri  perdevano  la 
testa,  ella  die'  prova  d'una  resistenza  incredibile.  Che 
alla    notizia    della    morte    del    barone    rimanesse    insen- 


—  250  — 

sibile,  par\c  quasi  naturale,  percliè  ella  aveva  già 
chiuso  g-li  occhi  al  padre  ed  era  quindi  sotto  il  peso 
d\m  dolore  più  grande.  Solamente  Consalvo  non  riu- 
sciva a  comprendere  come  la  nuova  sciagura  che  im- 
pressionava gli  altri  per  la  tragica  coincidenza  con  la 
prima,  e  piìi  per  la  sua  imprevedibile  rapidità,  non  sco- 
tesse  la  sorella,  non  le  procurasse  un  moto  di  stupore, 
quasi  ella  l'avesse  prevista.  Strappata  dal  letto  di  morte 
del  principe,  ella  sola  potè  strappare  il  marito  e  la  suo- 
cera dal  cadavere  del  giovane,  ella  sola  li  indusse  a 
lasciar  la  casa  e  a  ricoverarsi  coi  bambini  dai  Franca- 
lanza.  Vegliò  tutta  la  notte,  senza  piangere,  tergendo 
il  pianto  degli  altri,  passando  dalla  madrigna  alla  suo- 
cera, dai  figli  al  marito.  Solamente  col  nuovo  giorno, 
quando  venne  da  San  Martino  dei  Bianchi  il  suono  del 
mortorio,  ella  portò  la  mano  al  cuore  e  cadde. 

La  pietà  fu  immensa.  «  Solo  il  Signore  potè  darla 
tanta  forza»,  dissero  i  prelati;  «un'altra  sarebbe  rima- 
sta fulminata  sul  colpo!  »  E  le  donne,  i  servi,  gli  umili  : 
«  Pensare,  »  esclamavano,  «  che  in  due  ore  ha  visto  i 
cadaveri  del  padre  e  del  cognato!...  ^'^eramente.  c'era 
da  impazzire  !  «  Donna  Ferdinanda,  Lucrezia  e  la  mar- 
chesa, calmissime,  s'  alternavano  al  capezzale  delle  tre 
inferme,  perchè  anche  la  principessa  dovè  mettersi  a 
letto.  Consalvo  stava  spesso  accanto  alla  sorella,  te- 
neva compagnia  a  Michele;  la  sera,  però,  faceva  por- 
tar su  il  registro  aperto  al  pubblico  in  portineria.  Egli 
numerava  le  centinaia  di  firme  disposte  in  colonna  e  le 
centinaia  di  biglietti  di  visita  ammucchiati  in  due  grandi 
vassoi,  leggeva  gli  articoli  necrologici  terminanti  tutti 
con  :  «  Le  nostre  piili  sentite  condoglianze  al  figlio  incon- 
solabile ;  »  i  voti  di  simpatico  dolore  deliberati  dal  Con- 
siglio comunale,  dalla  Camera  di  commercio,  dai  soda- 
lizii  politici.  Quelle  carte  erano  il  documento  e  la  mi- 
sura della  sua  popolarità  e  del  suo  credito,  poiché  grandi 
e  piccoli,  noti  ed  ignoti,  tutta  la  città  passava  sotto  il 
portone  del  palazzo.  Dopo  il  funerale,  celebrato  con 
pompa  slraoidinaria,  egli  cominciò  a  ricevere.  Dalle  due 


alle  sei  <li  giorno,  dalle  otto  alle  undici  di  notte,  le 
sale  erano  stipate  :  assessori,  consig-lieri,  impiegati,  il 
prefetto,  il  generale,  il  questore,  parenti,  amici,  cono- 
scenze, amoniratori  d'ogni  genere,  fautori  di  tutte  le 
risme,  rappresentanti  di  tutti  i  partiti  e  di  tutte  le  clien- 
tele sfilavano  continuamente.  Tutti  insistevano,  con  aria 
adatta  alla  circostanza,  sulla  doppia  incredibile  sciagura  ; 
egli  si  diffondeva  im  pezzo  sulla  malattia  del  padre  e 
suir»  accidente  »  del  cugino;  ma  poi,  per  toglier  dall'im- 
barazzo le  persone,  avviava  il  discorso  sopra  un  altro 
soggetto,  chiedeva  notizie  degli  affari  agli  assessori  ed 
al  prefetto,  commentava  con-  gli  altri  i  risultati  delle 
elezioni  generali,  la  nuova  riuscita  dello  zio  duca.  Quin- 
dici giorni  dopo  le  due  morti,  tornò  al  Municipio  :  non 
capeva  ormai  vivere  fuori  di  li,  temeva  che  le  cose  an- 
dassero a  soqquadro  senza  di  lui,  in  mano  di  Giulente, 
il  quale,  come  assessore  anziano,  aveva  preso  la  firma. 
Ingolfato  di  nuovo  nel  mare  degli  affari  pubblici, 
quando  tornava  al  palazzo,  quando  desinava,  quando  an- 
dava a  letto,  non  pensava  ad  altro.  Del  resto,  nessuno 
lo  disturbava,  le  inferme  si  rimettevano  lentamente,  as- 
sistite dalla  principessa  vedova,  da  Lucrezia  felicissima 
di  poter  fare  nuovamente  da  padrona  di  casa,  dalle  altre 
parenti,  senza  contare  i  soliti  Monsignori.  La  duchessa 
suocera  cominciò  prima  a  levarsi  ;  aveva  poco  più  di 
cinquant'  anni,  e  parve  una  vecchia  decrepita.  Teresa 
dava  maggiormente  da  pensare  ai  dottori  ;  il  suo  male, 
ostinato,  ribelle,  come  alimentato  da  un  veleno  miste- 
rioso, si  prolungava  esaurendo  le  sue  forze.  A  poco  a 
poco,  andò  meglio  anche  lei,  ma  il  giorno  che  tentò 
di  levarsi  cadde  senza  sentimento.  Poi  tornò  a  ria- 
versi. Consalvo,  una  mattina,  prima  d'uscire,  passato 
a  chiedere  alla  sorella  se  aveva  bisogno  di  nulla,  la 
trovò  con  la  madrigna,  la  duchessa  e  Michele.  Appena 
egli  entrò,  si  volsero  tutti  dalla  sua  parte,  taciturni, 
con  aria  grave.  Teresa,  con  la  testa  sollevata  da  un 
monte  di  guanciali,  sul  cui  candore  il  suo  viso  emaciato 
pareva  di  cera,  disse  con  voce  lenta  e  fioca,  come  stanca  : 


—    252    — 

—  Ascolta,  Consalvo;  siedi  un  momento....  Abbiamo 
da  parlarti. 

Eg"li   sedette,   aspettando. 

—  Ascolta  :  abbiamo  parlato  d'  una  cosa  che  ti  ri- 
guarda     Nostro   padre....    tu    sai    che    nostro    padre, 

in  un  momento  di  collera....  volle....  volle  preferirmi  a 

te Io  non   credo  che   questa   potesse   essere  la   sua 

volontà  vera Se  il   Signore  non  ce  lo  avesse  tolto, 

egli  r  avrebbe  certo  modificata....  Io  ho  detto  a  Mi- 
chele ed  alla  mammia  che,  in  coscienza,  non  posso  ac- 
cettare     quel   che    ho   avuto   in   tali    condizioni —    — 

Tacque  un  poco,   poi  aggiunse  : 

—  Dite  voi non  posso. 

Un  momento  di  silenzio.  La  duchessa  aveva  gli  occhi 
pieni  di  lacrime,  scrollava  il  capo  amaramente.  Con- 
salvo disse  : 

—  Perchè  parlare  di  queste  cose,  adesso  ? 

Le  parole  della  sorella,  quella  rinunzia  all'eredità,  lo 
lasciavano  del  tutto  indifferente.  Da  un  pezzo  erasi  abi- 
tuato all'idea  di  non  aver  altro  dal  padre  che  la  le- 
gittima. Piuttosto  lo  stupiva  un  poco  il  magnanimo  di- 
sinteresse di  Teresa,  che  il  cognato  e  la  zia  appro- 
vavano. 

—  L'na  volta  o  1'  altra,  —  diceva  Michele,  —  biso- 
gnava pure  parlarne.  Id  e  mia  -  madre  approviamo 
pienamente  Teresa  ;  non  vogliamo  profittare  di  quel 
testamento  per  portarti  via  il  tuo Siamo  ricchi  ab- 
bastanza—    siamo    troppo   ricchi —    e    daremmo 

Girò  il  capo  per  nascondere  gli  occhi  rossi  di  la- 
crime.  La  duchessa  singhiozzava. 

—  Ma  perchè  ora  ?  —  ripetè  Consalvo.  —  Ci  sa- 
rebbe  stato    tempo Zia,    si   calmi!...    \'a   bene,    va 

bene;  vi  ringrazio....  Voi  sapete  che  io  non  ho  certi 
pregiudizi! —  voglio  dire  che,  per  me,  tutti  i  figli, 
maschi  o  femmine,  primogeniti  o —  Scorgendo  l'at- 
teggiamento umile,  quasi  supplice  della  vecchia,  non  finì 
la  frase;  disse:  —  Insomma,  se  Teresa  rinunzia  al 
testamento,  divideremo  ogni  cosa  eg'ualmente  :  va  bene 
cosi  ? 


\ 


—  Si  ;   come  vuoi.... 

Teresa,  rimasta  immobile,  con  gli  occhi  chiudi,  parve 
destarsi. 

—  Un'  altra  cosa,  —  riprese.  —  La  felice  memoria 
volle  pure,  nello  stesso  momento  di  cruccio —  volle 
lasciare  alla  mamana  questa  casa —  Non  è  giusto  nep- 
pure che  tu l'erede  del  nome....   il  solo  del  nostro 

nome,  ne  esca 

Egli  .provò  una  commozione  indefinibile  :  era  il  pia- 
cere di  trionfare  della  volontà  del  padre,  1'  orgoglio  di 
poter  restare  nella  casa  degli  avi,  la  paura  di  dovere 
qualcosa  in  cambio  alla  madrigna.  Infatti,  Teresa  con- 
tinuava : 

—  La  mamma  rinunzia  alla  casa....  prenderà  invece 
un' altra  proprietà o  un  compenso   in  denaro — 

— •  Per  me  !...  —  esclamò  la  principessa  Graziella. 
—  È  lo  stesso  !  Io  desidero  che  tutto  si  faccia  d'  ac- 
cordo,  che   la  famiglia   sia   semipre   unita — 

—  Però,  —  continuava  Teresa,  ' —  non  bisogna 
che  neppur  lei  esca  dalla  casa  di  suo  marito —  Tu  le 
cederai  un  quartiere,  fino  ai  suoi  mille  anni La  pro- 
prietà sarà  tua 

Tacque  una  seconda  volta.  Pareva  che  sul  punto  di 
morire,  con  l'anima  già  staccata  dal  mondo,  dettasse 
le  ultime  disposizioni  per  assicurare  la  pace,  il  be- 
nessere, la  felicità  di  chi  restava. 

Donna  Graziella,  sotto  1'  influenza  della  generosità 
e  del  disinteresse  di  cui  tutti  davan  prova,  per  non 
esser  da  meno  degli  altri,  perchè  non  si  dicesse  che 
ella  sola  metteva  ostacoli  all'accordo  generale,  aveva 
consentito  al  cambio;  ma  nulla  al  mondo  l'avrebbe 
indotta  a  sfrattar  dal  palazzo. 

—  È  giusto....  \'a  bene....  —  disse  Consalvo.  — 
Grazie  !...  C  intenderemo. 

Da  quel  giorno  Teresa  andò  migliorando  più  rapi- 
damente. Un  coro  di  lodi,  per  quel  che  aveva  fatto, 
per  la  nobile  rinunzia  di  cui  avev,a  preso  l' iniziativa  e 
che   aveva   indotto   tutti   gli   altri   ad    accettare,    si    levò 


—  i^4  — 

da  ogni  parte.  Il  vescovo  in  persona  venne  a  trovarla, 
appena  ella  l'u  in  giado  di  riceverlo;  e  mentr"  ella  gii 
baciava  la  mano,  piangendo,  le  disse  :  «  Figlia  mia, 
ho  saputo.  Sii  benedetta  ora  e  sempre,  pel  bene  che 
fai.  »  Ella  scosse  il  capo,  mormorando  :  «  Che  è  que- 
sto!... »  poi,  anche  a  nome  della  suocera  e  del  ma- 
rito, lo  pregò  di  distribuire  diecimila  lire  di  elemosine. 
Già  gli  altri  prelati  avevano  ricevuto  commissione  di 
far  dire  messe  pel  riposo  delle  anime  del  principe  e 
del    barone. 

I  Radali  avevano  già  stabilito  di  lasciare  il  palazzo 
Francalanza,  per  andarsene  alla  Tardarla,  appena  Te- 
resa sarebbe  stata  in  grado  di  sopportare  il  viaggio. 
Dal  giorno  funesto,  solo  Michele  aveva  rimesso  piede 
nella  casa  macchiata  dal  sangue  del  fratello  ;  ma,  pei 
preparativi  della  partenza,  era  necessario  che  una 
delle  donne  vi  si  recasse.  E  poiché  la  prova  era  più 
dura  alla  madre.  Teresa  andò  lei  accompagnata  dal 
marito.  Sali  le  scale  appoggiata  al  suo  braccio  ;  ma, 
entrando  nell'  anticamera,  fu  costretta  a  sedere,  a  fiu- 
tar la  fialetta  dei  sali.  Riavutasi,  compi  quel  che  aveva 
da  fare  con  la  fermezza  antica.  Le  stanze  del  morto 
erano  tutte  chiuse. 

II  domani  partirono  per  la  montagna,  dove  resta- 
rono  tutta   r  estate   e   1'  autunno. 

Frattanto  Consalvo  stabilivasi  definitivamente  al 
palazzo  paterno.  Lasciato  alla  principessa  il  quartiere 
di  mezzogiorno,  e,gli  s'  era  riservato  quello  di  gala, 
ma  pei  soli  ricevimenti,  fissando  la  propria  abitazione 
al  secondo  piano.  Con  la  madrigna  non  aveva  quasi 
nulla  in  comune  ;  facevano  tavola  separata  perchè  de- 
sinavano a  ore  diverse,  ciascuno  aveva  le  proprie  per- 
sone di  servizio  e  la  propria  carrozza.  Si  vedevano  di 
tanto  in  tanto  per  le  necessità  dell'  amministrazione. 
Consalvo  non  sapeva  nulla  dello  stato  della  casa, 
mentre  la  principessa  ne  era  a  giorno;  quindi,  se  l'am- 
ministratore   chiedeva    ordini    o    schiarimenti,    egli    la- 


—  255  — 

sciava  dire  alla  madiiyna.  Non  solamente  si  sentiva 
attirato  dagli  affari  pubblici  più  che  dai  suoi  proprii, 
ma  giudicava  che  non  valesse  la  pena  di  occuparsi  di 
questi   ultimi    finché  le   proprietà   restavano   indivise. 

La  divisione  fu  cominciata  al  ritorno  dei  Radali.  Le 
due  duchesse  erano  interamente  rimesse  in  salute  :  la 
suocera  pareva  ancora  più  vecchia  e  la  nuora  era  in- 
cinta. Tutti  gli  articoli  del  contratto  furono  stabiliti  di 
comime  accordo,  con  lo  stesso  disinteresse  di  cui  ave- 
vano dato  prova  in  principio.  Teresa  volle  che  tutti  i 
feudi  storici  restassero  al  fratello,  contentandosi  delle 
proprietà  di  fresco  acquistate,  delle  rendite,  dei  capi- 
tali, dei  crediti  diversi.  In  cambio,  Consalvo  volle  che 
di  questa  differenza  tutta  morale  fosse  tenuto  conto 
nella  valutazione  delle  terre.  La  principessa,  rinun- 
ziando al  palazzo,  prese  le  tenute  di  Gibilfemi  e  il 
podere  dell'  Oleastro,  che   valevano  il  doppio. 

Consalvo,  durante  le  trattative,  era  andato  quasi 
lutti  i  giorni  dalla  sorella.  Continuò  nell'  abitudine 
presa  anche  dopo.  In  fin  dei  conti  egli  doveva  esserle 
grato  della  rinunzia  che  aveva  raddoppiato,  da  un 
quarto  alla  metà,  la  sua  parte.  Ma,  nonostante  questa 
specie  di  dovere,  nonostante  la  tristezza  del  lutto,  egli 
riusciva  difficilmente  ad  astenersi  dal  punzecchiar  la 
sorella  per  la  fervente,  la  crescente  sua  devozione. 
Adesso  il  \'icario,  il  confessore,  le  suore  di  carità  pa- 
revano domiciliati  in  casa  di  lei.  Le  nuove  chiese  della 
Madonna  della  Salette  e  della  Mercè,  i  miracoli  di 
Lourdes  e  di  Valle  di  Pompei,  l'opera  dei  missionari! 
erano  argomento  di  tutti  i  loro  discorsi.  I  disciolti 
frati  Cappuccini,  tornati  a  riunirsi  in  barba  alla  legge, 
avevano  comprato  una  casa  con  le  oblazioni  dei  fedeli  : 
Consalvo  seppe  che  sua  sorella  aveva  contribuito  a 
queir  acquisto.  Non  aveva  ella,  prima,  giudicata  prov- 
vida la  legge  che  disperdeva  quelle  comunità  ?  Come 
poteva  mai  andare  ogni  venerdì  a  pregare  nella  cap- 
pella della  Beata  Ximena,  dove  ardeva  la  lampada  ac- 
cesa per  la  salute  di  Giovannino,  della  cui  pazzia  e  del 


—  256  — 

cui  suicidio  ella  era  stata  in  parte  cagione?  Sapeva 
ella  che  il  giovane  s'  era  ucciso,  e  non  era  già  morto 
d'accidente?...  iLa  sua  fede  ostinata,  resistente  ai 
disinganni,  era  sincera  o  non  più  tosto  una  forma  della 
mania  ereditaria  tra  i  suoi  ?  Consalvo  inclinava  a  que- 
st'ultima ipotesi,  anche  perchè  egli  non  aveva  fede  al- 
cuna ;  ma  non  un  atto,  non  una  parola  rivelavano  quel 
che  e'  era  nel  cuore  della  sorella.  Quando  egli  arrischiò 
le  sue  prime  allusioni  ironiche,  ella  gli  disse  : 

—  Senti,  Consalvo  :  ognuno  ha  da  rispondere  a  Dio 
delle  proprie  azioni.  Io  posso  soffrire  del  tuo  scetti- 
cismo, ma -non  vengo  a  rimproverartelo.  Cosi  vorrei 
che  tu  rispettassi  le  mie  credenze,  e  se  ti  piace  di 
chiamarle  cosi,  le  mie  superstizioni.  Ti  chiedo  troppo? 

Egli  chinò  il  capo,  prima  di  tutto  perchè  il  ragiona- 
mento era  giusto,  e  poi  anche  perchè  le  aderenze  di 
Teresa   nel    mondo   clericale    gli    potevano   giovare. 

Infatti,  il  giorno  tanto  aspettato  s'  avvicinava  rapi- 
damente :  la  riforma  elettorale  era  all'  ordine  del 
giorno;  dopo  averla  votata,  la  Camera  si  sarebbe 
sciolta.  Ed  egli  s'accorgeva  adesso  che  la  propria  ele- 
zione non  era  cosi  sicura  come  gli  era  sembrata  il 
primo  giorno,  a  Roma,  durante  la  sua  conversazione 
con  r  onorevole  Mazzarini  e  poi  nei  principii  della  sin- 
dacatura.  Per  l'allargamento  del  voto  e  per  lo  scru- 
tinio di  lista,  non  più  le  poche  centinaia  di  elettori  dello 
zio  potevano  mandarlo  alla  Camera  :  ce  ne  volevano 
migliaia.  E  se  egli  era  sicuro  della  città,  non  sapeva 
che  assegnamento  fare   sulle   sezioni   rurali. 

Già  il  vecchio  duca,  fiutato  il  vento,  annunziava  ai 
suoi  intimi  che  avrebbe  accettato  un  seggio  al  Senato  : 
sicuro  d'essere  spazzato  via  come  una  foglia  secca, 
egli  si  ritirava  finalmente  in  buon  ordine,  fingeva  di 
rinunziare  spontaneamente  per  non  patir  l'onta  d'una  di- 
sfatta. E  mentre  Consalvo  pensava  ai  casi  suoi,  in- 
quieto per  quel  mutamento,  per  quella  «  rivoluzione 
morale  »   da   lui    invocata    m'a   avvenuta   un   po'   troppo 


_     —  257  — 

presto,  Glulente  non  vedeva  nulla,  non  s'accorgeva  di 
nulla.  Fiutava  le  pedate  al  duca  come  fosse  l'oracolo  di 
vent'  anni  addietro,  aspettava  di  raccoglierne  1'  eredità, 
giurava  ancora  sulla  Destra  e  su  Cavour,  era  sicuro 
che  i  nuovi  elettori  avrebbero  dato  il  gambetto  al  go- 
verno della  Riparazione,  restaurando  il  principio  mo- 
derato. E  pensando  niattina  e  sera  a  queste  cose,  la- 
sciava ancora  le  re<iini  della  casa  alla  moglie,  la 
quale,  finendo  d'  ini'brogliarc  ogni  cosa,  aspettava  an- 
che lei  adesso,  senza  dirne  nulla,  anzi  continuando  a 
deriderlo,  l'elezione,  per  non  dargli  i  conti,  perchè  egli 
potesse  far  quattrini   come  lo  zio   Gaspare — 

Consalvo  non  s'  occupava  di  lui  :  lo  disprezzava  tal- 
mente che,  certe  volte,  .quasi  gli  faceva  pena.  Rico- 
nosciuta la  necessità  di  presto  mettersi  all'  opera,  egli 
affrettò  una  risoluzione  che  aveva  già  presa  da  un 
pezzo  :  rinunziare  all'  ufficio  di  sindaco.  Non  solo  avea 
bisogno  d' esser  libero,  ma  g'i  conveniva  evitare  un 
grave  pericolo  :  che,  prolungando  il  suo  soggiorno  al 
Municipio,  il  vantaggio  ottenuto  andasse  perduto  e  si 
niutasse  in  danno  irreparabile.  Infatti,  la  baracca  co- 
m.inciava  a  scricchiolare.  Le  spese  pazze  da  lui  fatte 
avevano  esaurita  la  cassa,  l'ultimo  bilancio  s'era  chiuso 
con  un  deficit  considerevole,  che  egli  aveva  potuto  dis- 
sim'ulare  a  furia  d'artificii;  ma  la  situazione  non  era 
più  sostenibile  ;  bisognava  o  imporre  tasse  o  contrarre 
un  debito,  ed  egli  non  voleva  affrontare  1'  impopolarità 
di  simili  provvedimenti.  Afferrò  quindi  il  primfo  pre- 
testo -per  battersela.  L'  amministrazione  comunale  •di- 
scuteva ancora  una  volta  sul  modo  di  riscuotere  i  dazii, 
poiché  il  sistema  dell'  appalto  ncn  aveva  fatto  buona 
prova.  Egli  dichiarò,  nelle  private  conversazioni,  che 
il  ritorno  alla  riscossione  diretta  era  per  lui  uno  sbaglio 
e  che  perciò  bisognava  correggere  i  difetti  del  sistem.a 
vigente,  non  abbandonarlo  ;  in  Giunta  non  fiatò,  lasciò 
che  la  maggioranza  si  pronunziasse.  La  maggioranza 
deliberò  di  mutar  sistemia.  La  sera  stessa,  andato  a 
casa,  egli  scrisse  due  lettere  :  una  al  Prefetto,  con  la 

De   Roberto.   I    Viceré   -   Il  17 


—  258  — 

quale  rassegnava  le  sue  dimissioni;  l'altra,  collettiva, 
a  tutti  gli  assessori,  annunziando  loro  che  «  per  ragioni 
di  delicatezza  »  aveva  già  mandato  la  rinunzia  alla 
Prefettura. 

Fu  come  un  fulmine  a  ciel  sereno.  «  Delicatezza?...  » 
esclamò  Giulente,  a  cui  tutti  gli  altri  chiedevano  spie- 
gazioni; «Che  delicatezza?  Io  non  capisco!...»  E  la 
Giunta  in  corpo  andò  a  trovarlo,  mentre  la  notizia  si 
diffondeva  rapidamente  per  gli  ufificii. 

—  Ci  spiegherai,  —  gli  disse  Benedetto  in  nome  dei 
colleghi,  —  che  significa  Cjuesta  lettera  ? 

—  Significa,  . —  rispose  il  principe,  guardando  per 
aria  —  che  io  non  ho  voluto  esercitare  nessuna  co- 
strizione, e  siccome  il  vostro  modo  di  vedere  è  con- 
trario al  mio,  così,  per  lasciarvi  liberi,  me  ne  vado. 

—  Jvla  a  (proposito  di  che?...  Forse  dei  dazii?...     ' 

—  Dei  da«ii,.  come  di  altre  cose — 
Comprendendo  che  quella  gente  veniva  per  indurlo  a 

ritirare  le  dimissioni,  egli  tagliava  la  via  alle  msistenze. 
Disse  che  da  un  pezzo,  in  tante  questioni,  in  cento  pic- 
coli affari  quotidiani,  s'  era  accorto  che  non  e'  era  più 
fra  loro  il  buon  accordo  d'un  tempo.  Ora  egli  non  po- 
teva né  rinunziare  alle  proprie  idee,  né  imporle  agli 
altri  :  il  meglio  era  quindi  andarsene. 

—  Potevate  però  dirlo  prima  !  Non  piantarci  in 
asso!  È  questo  il  modo?... 

Confusamente,  essi  comprendevano  il  tiro  che  aveva 
loro  giocato,  il  ballo  in  cui  li  lasciava  ;  Giulente  sol- 
tanto  insisteva  : 

—  Ebbene,  c'è  mezzo  di  riparare  :  torneremo  sulle 
deliberazioni  prese  ;  i\  Consiglio  non  le  ha  ancora  esa- 
minate ;   faremo  come   vorrai 

—  È  inutile  che  insistiate,  —  dichiarò  Consalvo.  — 
La  mia  risoluzione  è  irrevocabile.  Persuadetevi  pure 
che  non  sono  fatto  di  ferro.  Ho  lavorato  parecchi  anni 
pel  mio  paese;  ora  ho  bisogno  di  riposarmi.  Del  resto, 
sarebbe  tempo  che  pensassi  un  poco  agli  affari  di  casa 
mia,  adesso  che  li  ho  sulle  spalle Grazie  della  vostra 


—  259  — 

premura,  —  gli  assessori  invece  schiumavano;  —  ma 
credete,  non  posso.  Nessun  uomo  è  necessario  ;  voi 
avete  tanta  esperienza  quanto  me;  lascio  l'ammini- 
strazione   in   buone   mani  — 

Benedetto  andò  dal  Prefetto,  perchè  s'  interponesse  : 
fiato  sprecato.  La  Giunta  si  riunì  in  casa  di  Giulente, 
per  deliberare.  Alcuni,  volendo  evitare  gl'imbarazzi, 
sostenevano  che  alle  dimissioni  del  sindaco  dovcGsero 
seguire  quelle  di  tutti  gli  assessori  ;  ma  non  sarebbe 
parsa  una  diserzione  ?  Non  avrebbero  dimostrato  la 
loro  incapacità  e  dato  credito  alla  voce  che  li  diceva  al- 
trettanti burattini  mossi  dai  fili  che  il  sindaco  tirava 
a  suo  talento  ? 

—  È  un  tradimen'o  !  —  vociferavano  i  più  acca- 
niti. —  Un  nero  tradimento  !  Ci  siamo  lasciati  gio- 
care da  cotesto  birbante  ! 

—  Calmia,  di  grazia!...  Perchè  tradimento?...  Che 
interesse  avrebbe?... 

—  Come,  che- interesse  ?...  —  e  allora  gli  cannarono 
sul  muso:  —  Ma  non  capite?...  Non  capite  che  vuol 
essere  deputato,  e  che  ci  pianta  vedendo  pericolar  la 
baracca,  ora  che  ha  sfruttato  la  situazione?...  Ora  che 
ha  altro  da  fare,  con  le  elezioni  imminenti  ? 

Egli  impallidiva,  guardava  intorno  con  aria  smar- 
rita secondo  che  la  mente  gli  si  schiariva.  Si,  negli 
ultimi  tempi  aveva  ben  capito  che  il  nipote  nutriva 
anche  lui  l'ambizione  d'esser  deputato;  ma  era  sicuro 
che  non  si  sarebbe  presentato  subito,  che  gli  avrebbe 
ceduto  il  passo  almeno  la  prima  volta,  e  ad  ogni  modo 
poteva  forse  sospettare  un  tiro  di  quel  genere,  1'  imbro- 
glio in  cui  lo  metteva,  1'  eredità  di  tasse,  di  debiti, 
di  odii  che  gli  lasciava  tra  le  braccia  ?  Ora  egli  non 
protestava  più  contro  le  recriminazioni,  le  rampogne 
vivaci  che  i  suoi  colleghi  lanciavano  contro  l' ex-sin- 
daco. «Inganno!...  Tradimento!...  Birbonata!...  Azione 
degna  di  colpi  di  coltello  !...  »  tutte  queste  parole 
echeggiavano  invece  nel  suo  pensiero  ;  egli  riconosceva 
che   erano   giuste,     com.prendeva    finalmente    che    quel 


200    — - 

birbante  da  lui  iniziato  alla  vita  pubblica  gli  portava 
via  il  posto  tanto  aspettato  e  g"li  -  sparava  calci  per 
tutta  gratitudine.  É  il  duca  ?  Il  duca  che  gli  aveva 
tante  volte  promesso  ci  lasciare,  a  lui,  ritirandosi,  l'ere- 
dità politica  ?....  Il  duca,  dal  quale  egli  corse,  gli  disse  : 

—  È  vero,  t'avevo  promesso  il  mio  .appoggio,  ma 
in  altri  tempi,  quando  non  potevo  prevedere  la  situa- 
zione attuale....  Ora  che  si  presenta  Consalvo,  capisci 
tu   slesso   in  che  imibarazzo  mi  trovo.... 

«  Dunque  è  vero?  Anch'- egli  è  traditore,  peggio  del 
nipote?»  pensava   Benedetto;   m^a,   ad   alta  vece: 

—  Vostra  EccelFenza  però  non  ignora  che  Consalvo 
è  di  sinistra,  che  appartiene  alla  Progressista,  men- 
tre Vostra  Eccellenza  — 

—  Pensi  ancora  alla  Destra  e  alla  Sinistra  ?  — 
esclamò  ridendo  il  duca,  che  aveva  in  tasca  la  forma.le 
pronies-sa  d'  un  seggio  al  Senato.  —  Non  vedi  che  i 
partiti  vecchi  sono  finiti?  che  c'è  ama  rivoluzione? 
Chi  può  dire  che  cosa  uscirà  dalie  urne  a  cui  hanno 
chiamato  la  .plebe?  Un  vero  salto  nel  buio!...  Se  mi 
presentassi  io  stesso  —  per  giusiificarsi,  riconosceva 
finalmente  la  verità  —  resterei  nella  tromba!...  E  vuoi 
che  gli  elettori  ascoltino  la  mia  vóce?  L'appoggio  che 
posso  dare  è  puramnente  ideale —  fprse  sarà  una  pietra 
al  collo  che  affonderà  il  candidato. 

Allora  Giulente  corse  da  Consalvo.  Era  in  uno  stato 
d'esasperazione  violenta;  dinanzi  al  vecchio  non  aveva 
csato.  infrangere  1'  antico  rispetto,  ma  sentiva  il  bi- 
sogno di  sfogare,  di  dire  ciò  che  occorreva  a  quel 
birbante.  * 

— ■  Tu  hai  fatto...  hai  fatto  ciò  che  hai  fatto  per  i  tuoi 
fini,  per  lasciar  nell'  imbroglio  me?...  Per  rovinarmi  ?... 
Per  prendere  il  mio  iposto?... 

Consalvo  lo  guardò  con  un  ambiguo  sorriso,  fingendo 
di  non  capire. 

—  Che  avete?...    Calmatevi!...   Non   capisco — 

—  È  vero  che  presenti  la  tua  candidatura? 

—  Forse,    se   avrò   probribilità   di    riuscire 


—    201    — 

—  E  non  sapevi non  sai  che  il  posto  è  mio?  Che 

da  tana  anni  lo  aspetto?  Che  tuo  zio  me  l'aveva  pro- 
messo?... 

—  Posto  ?  —  fece  Consalvo,  con  la  stess'  aria  d'  in- 
genuo stupore.  —  Qual  posto  ?  Con  lo  scrutinio  di 
lista  non  ci  sarà  ipiù  un  posto  solo,  ce  ne  saranno  tre. 

—  E  ridi,  anch.e  ?  Mi  canzoni,  anche?  Dopo  avermi 
preso  il  posto,   a  tradimento  ? 

Il  «sorriso  scomparve  dal  viso  di   Consalvo. 

—  Vi  faccio  osservare  che  siete  riscaldato  e  che  non 
riflettete  a  quel  che  dite. 

- —  Ah,    non    rifletto? 

—  Qui  non  si  tratta  di  posti  di  platea,  dove  siede 
chi  ha  pagato  il'  ibig-lietto.  Io  non  v'  ho  preso  nulla, 
per  la  semplicissima  ragione  che  nulla  avevate.  Se 
credete  di  poter  riuscire,  nessuno  v'impedisce  di  piC- 
sentarvi.  Se  da  parte  mia  avrò  questa  persuasione,  mi 
presenterò  anch'  io.  La  ncslra  parentela  non  e  cosi 
stretta  da  renderci  incompatibili.  Non  c'è  nessun  im- 
pegno tra  noi;  ognuno  è  libero  di  far  quel  che  crede...'. 

— .  E  tu  sei  anche  libero  di  piantarci  in  asso,  ora 
che  vedi  il  baratro  spalancato?... 

—  Non  e'  è  baratro.  C'è  qualche  difficoltà  da  supe- 
rare ;  vuol  dire  che  avrete  l'agio  di  far  valere  la 
vostra   abilità 

Il   sangue   montò-  alla   testa   di   Benedetto  : 

—  Siete  tutti  d'una,  razza!  —  gridò  improvvisa- 
mente; —  tutte  birbe  matricolate.... 

Consal\o  lo  guardò  un  momento  nel  bianco  degli 
occhi.  A  un  tratto  gli  sparò  una  risata  .sul  muso,  gli 
voltò  le   spalle  e   scomparve. 

Giulcnte,  neir uscire,  non  rispose  al  saluto  dei  servi, 
non  udì  ciò  che  gli  veniva  dicendo  il  maestro  di  casa. 
Credettero  che  fosse  impazzito,  vedendolo  scappar  via, 
acceso  in  viso,  col  braccio  levato  e  il  pugno  chiuso. 
Parlava  solo:  «Falsi,  bugiardi,  traditori!...  La  rivo- 
luzione! Il  salto  nel  buio!...  Essi  però  saltano  in 
i  i'':]i  !..  S'  è  aggiustato  gli  affari  di  casa  sua  !...  Adesso 


202    

il  nipfilc!...  Il  salto  nel  buio!...  Borbonici  fin  nelle 
ossa!...  Dovevano  impiccarlo,  al  Sessanta!...  Ed  io, 
bulTonc,  che  li  ho  serxiti  tiitt' e  due!...  Gli  auguri!  a 
Francesco  II!...  Adesso  è  di  Sinistra!...  Buffone!... 
Sono  stato  sem'pre  buffone  !  »  Cocente,  insoffribile,  de- 
sta^asi  a  un  tratto  in  lui  la  coscienza  della  situazione 
subalterna  in  cui  era  stato  tenuto,  del  mal  garbo  con 
cui  lo  ave\ano  trattalo.  «  La  nostra  parentela  non  è 
cosi  stretta!,..  »  Quel  bardassa  gliel'aveva  spiattel- 
lato in  faccia!,..  Parenti?  Erano  stati  mai  parenti  per 
lui  ?  Tutti,  tutti  lo  avevano  guardato  dall'  alto,  come 
un  intruso,  come  indegno  di  loro!  Lo  avevano  dapprima 
sdegnato  per  i  suoi  studii,  quegli  ignoranti,  per 
r«  ignobile»  laurea  da  lui  ottenuta  :  ed  erano  stati 
i  soli  a  favor  dei  quali  aveva  dovuto  esercitare  la  profes- 
sione, per  sostenere  le  loro  magagne  :  la  vecchia,  il 
principe,  Raimondo —  «Chi  sono  dunque?...  Una 
mala  razza  di  predoni  spagnuoli,  arricchiti  con  le  la- 
drerie!... A  me?.,.  Io  me  li  metto  sotto  i  piedi!...» 
Invece  egli  li  aveva  serviti,  corteggiati,  piaggiati;  che 
altro  aveva  fatto  se  r^on  m(agnificare  la  loro  presun- 
zione, incoraggiare  le  loro  pazzie,  approvare  le  loro 
birbonate  ?  !<  Buffone  !  buffone  !  Sono  sempre  stato  buf- 
fone !...  » 

Arrivò  a  casa  senza  sapere  da  che  parte  e'  era  ve- 
nuto. Straippò  il  campanello,  eritrò  come  uno  spiritato. 
Lucrezia,  sdraiata  sopra  una  poltrona,  colle  mani  sulla 
pancia,  lo  guardò  un  poco  curiosamente,   poi  disse  : 

—  Che  hai  ? 

Egli  le  si  piantò  dinanzi,  con  gli  occhi  fuori  dell'or- 
bite. 

—  Che  ho?...  Che  ho?...  Ho  che  sono  una  massa 
d'  infami   traditori  !... 

—  Chi  ? 

—  Chi?  Tuo  zio,  tuo  nipote, -i  tuoi  parenti,  quella 
mala  razza,  che  maledetta  sia  l'ora  e  il  giorno.... 

Ella  lo  guardava  sempj-e  come  un  oggetto  strano  e 
ridicolo.    Più  stupita  che  sdegnata,   interruppe  : 


—  263  — 

—  Che  diavolo  dici  ? 

—  Che  dico?  Quel  che  ho  da  dire.  Vorresti  difen- 
derli ?  O  tieni  loro  il  sacco  ? 

—  Sei  proprio  un  in-i'becille,  —  esclamò  ella,  levan- 
dosi. 

Allora  Benedetto  perse  il  lume  degli  occhi.  Afferra- 
tala per  un  braccio,  gridò  : 

—  È  vero?...  Hai  ragione  di  dirlo,  tu!...  Sono  un 
imbecille.... 

E  le  lasciò  correre  un  ceffone,  tremendo,  che  la 
colse  nel  pieno  della  guancia  e  tonò  come  una  schiop- 
pettata. A  un  tratto  la  lasciò  e  andò  a  chiudersi  in 
camera. 

I  servi  che  avevano  visto  entrare  il  padrone  a  quel 
modo  inusitato,  erano  rimasti  in  ascolto  :  nessuno  di 
loro  fiatava.  La  cameriera,  finita  la  scena,  sogguardava 
tratto  tratto  dall'  uscio  rimasto  aperto,  sper  vedere  che 
faceva  la  signora.  Costei  era  immobile,  dietro  la  fine- 
stra, con  la  guancia  gonfia  ed  infocata.  Dopo  un'  ora, 
restava  sempre  nella  stessa  posizione.  Subitamente  si 
mise  a  passeggiare  guardando  per  aria  come  per  ac- 
chiappar mosche,  guardando  per  terra  come  cercando 
un  oggetto  smarrito,  arrestandosi  di  botto  in  mezzo 
alla  cariiera  quasi  colta  subitamente  da  un'  idea,  ri- 
prendendo poi  la  corsa  quasi  inseguendo  qualcuno.  Ai 
servi  che  le  chiedevano  ordini  rispondeva  brevemente, 
ma  non  in  collera.  La  guancia  le  si  sgonfiava  e  sbian- 
cava a  poco  a  poco  ;  tratto  tratto  ella  vi  portava  la 
mano. 

—  Eccellenza,  —  vennero  a  domandarle,  —  è  ora 
d'apparecchiare? 

—  Aspettate,  —  rispose;  e  andò  a  picchiare  alla 
camera   del   marito. 

Benedetto  era  buttato  sul  letto,  coi  panni  sbottonati, 
la  testa  ancora  in  fiamme.  Vedendo  entrare  la  moglie, 
non  disse  nulla.  Lucrezia  gli  si  fece  vicino  : 

—  Come  ti  senti  ?  —  gli  domandò. 

—  Bene,  —  rispose  Giuiente,  senza  guardarla. 


—  264  — 

—  Vuoi   desinare  ? 
, —  Come  ti  piace. 

—  O   credi    che    fcia    presto  ? 

—  Come   credi. 

—  Allora  posso  ordinare  ? 

Egli  fece  col  capo  un  gesto  d'  indifferenza.  Lucrezia 
dette  ordine  che  allestissero.  Poi  tornò  nella  camera 
del  marito. 

—  Perchè   resti   a   letto  ?    Hai    nulla  ? 

—  No,  nulla. 

Benedetto  s'alzò  per  andare  a  buttarsi  sopra  una 
poltrona.  Era  pentito  dell'  atto  brutale,  ma  non  espri- 
meva il  suo  pentimento.  Ruminava  continuamente  il  suo 
rancore,  considerava  i  partiti  che  gli  si  presentavano, 
non  sapeva   a   quale  appigliarsi. 

— ■  Che  avete  deciso  al  Municipio?  —  domandò  an- 
cora Lucrezia. 

—  Non  so  niente  !...  —  proruppe  egli.  —  Non  vo- 
glio sentir  parlare  più  di  nulla!...  Vadano  tutti  al 
diavolo!...  Se  qualcuno  dei  tuoi  mi  viene  innanzi,  lo 
n-.ando  ruzzoloni  per  le  scale. 

—  Hai   rag;one,   —  rispose   sua   moglie. 

Dietro  l'uscio,  il  giorno  innanzi,  aveva  compreso,  dai 
discorsi  degli  assessori,  il  tiro  giocato  da  Consalvo  a 
suo  marito  ;  aveva  capito  che  Benedetto  non  poteva 
essere  deputato.  Nel  primo  momento  era  rinata  in 
lei  l'avversione  pel  nipote,  per  quegli  Uzeda  che  pa- 
revano avessero  giurato  di  schiacciarla  e  pretendevano 
■"ccr.parrare  tutto  per  loro.  Ma  non  sapeva  ancora  con 
chi  prendersela.  Era  proprio  colpa  di  Consalvo,  o  non 
piuttosto  di  quella  bestia  di  Benedetto  ?  Ciò  che  ave- 
vano detto  gli  assessori  èra  vero?  11  duca  non  avrebbe 
riparato?...  Né  l'aspetto  sconvolto  di  Giulente  quan- 
d'  era  rincasato,  né  le  violente  parole  contro  Consalvo 
e  il  duca  l'avevano  persuasa;  forse  egli  avrebbe  par- 
lato un  giorno  intero  senza  riuscire  a  nulla.  Il  ceffone 
la  converti.  Quasi  che  il  suo  torbido  cervello  avesse 
bisogno   d'una    scossa   materiale   per   funzionare    rego- 


—  265  — 

larmente,  ella  disse  subito  tra  sé  :  «  Ha  ragione  !  »  Du- 
rante le  €ue  ore  passate  in  camera,  a  guardar  la  via 
senza  vedere,  a  passeggiare  come  una  bertuccia  in  gab- 
bia, aveva  ripetuto  mentalmente:  «Ha  ragione!...  È 
Consalvo!...  È  lo  zio!...  Mi  vogliono  schiacciare!... 
Chi  sa  che  cosa  credono!...  D'esser  padroni  proprio 
di  tutto?...  »  E  ora,  mentre  Benedetto  si  sfogava,  ella 
ripeteva:  «Hai  ragione!  Hai  ragione!...»  Durante 
il  desinare  tacquero  entrambi.  Giulente  assaggiava  ap- 
peena le  vivande  e  lasciava  la  posata  nel  piatto.  «  Ti 
senti  imale?...  Desideri  qualcosa?...  Vuoi  andare  a 
letto?...  »  Ella  gli  prodigava  ogni  sorta  d'attenzioni, 
lasciava  di  mangiare  quando  il  marito  non  mangiava 
più.  A  un  punto",  Benedetto  si  alzò.  Si  sentiva  real- 
mente male,  tutto  sossopra,  e  andò  a  letto.  Ella  1'  aiutò 
a  spogliarsi,  gli  sprimacciò  i  guanciali,  gli  preparò  il 
caffè. 

—  A'uoi   restar   solo  ?  \'uoi   riposare  ? 

—  Sì. 

Ella  se  n'andò.  Aveva  appena  chiuso  l'uscio  che  lo 
riapri  : 

— ■  Non  t'  angustiare,  —  tornò  a  dire  al  marito.  — 
Deputati  non  se  n'  ha  da  fare  uno  solo.  Ti  presenterai 
anche  tu.   \'edremo  chi  è  più  forte,  o  lui  o  noi  ! 


IX. 


La  situazione  del  collegio  era  questa  :  smantellata 
la  rocca  affaristico-conservatrice  che  per  vent'  anni 
aveva  sosienuto  il  duca  d' Oragua,  sbaragliata  1'  As- 
sociazione Costituzionale,  in  dissoluzione  la  stessa  Pro- 
gressista, floride  e  battagliere  le  società  operaie  che  tro- 
vavano finalmente,  nel  voto,  1'  arma  con  la  quale  po- 
ter scendere  in  lizza.  Mentre,  tra  la  classe  borghese, 
gli    antichi    moderali,    gli    ammiratori    di    Lanza    e    di 


—  266  — 

Sella  erano  costretti  a  nascondersi,  le  nuove  falano^i 
di  elettori  parlavano  di  più  grandi  libertà,  di  più  ra-_ 
dicali  riforme,  di  repubblica  e  di  socialismo.  Ma  queste 
parole,  spaventando  i  progressisti  timorati,  potevano 
•spingerli  tra  le  file  dei  conservatori,  dar  nuova  vita  al 
boccheggiante  moderatismo.  Il  posto  pili  vantaggioso 
era  dunque  tra  i  progressisti  e  i  radicali.  Consalvo  di 
Francalanza  lo  prese  immediatamente.  La  sua  ascri- 
zione, al  partito  di  Sinistra,  la  sua  rottura  con  lo  zio 
dopo  la  «  rivoluzione  parlamentare  »  del  1876,  legit- 
timavano il  programima  ultra-liberale  che  egli  veniva 
annunziando. 

Appena  andato  via  dal  Municipio,  aveva  cominciato 
il  lavorio  fuori  città,  nelle  sezioni  ruraH.  Popolani  e 
contadini  si  svegliavano  laggii^i  alla  politica;  c'erano 
società  operaie,  circoli  agricoli,  casini  democratici  or- 
dinati e  disciplinati,  coi  quali  bisognava  venire  a  patti. 
I  nobili,  i  borghesi,  i  facoltosi  furono  conquistati  su- 
bito. Accompagnato  da  amici  e  amimiratori  spontanea- 
mente offertisi,  egli  cominciò  il  giro  del  collegio.  Il  sin- 
daco, il  signore  più  ricco,  o  la  persona  più  influente 
dava  un  pranzo  o  un  ricevimento  in  suo  onore,  invi- 
tando gli  altri  maggiorenti.  Non  si  parlava  delle  ele- 
zioni, ma  il  principe,  affabile  con  tutti,  s'  informava 
dei  bisogni  del  paese,  ascoltava  i  reclami  di  tutti,  pren- 
deva note  sopra  un  taccuino,  e  lasciava  la  gente  am- 
maliata dai  suoi  modi  cortesi,  sbalordita  dalla  sua  elo- 
quenza e  soddisfatta  come  se  egli  avesse  scritto  il 
decreto  per  la  costruzione  della  ferrovia,  per  la  ripa- 
razione delle  strade,  per  il  traslocamento  del  pretore. 
Ma,  dopo  il  banchetto  o  la  refezione,  dopo  la  visita 
ai  capoccia.  Consalvo  andava  alla  sede  delle  società 
popolari.  Li,  in  quelle  piccole  stanze  con  mobili  so- 
spetti, "affollate  da  povera  gente  dalle  mani  callose,  co- 
minciava il  suo  tormento.  Egli  stringeva  quelle  mani, 
senza  guanti  ;  si  mescolava  a  quegli  umili,  sedeva  tra 
loro,  accettava  i  rinfreschi  che  gli  offrivano,  e  non  un 
moto  dei  suoi  -muscoli  rivelava  lo  spasimo  che  quelle 


—  267  — 

vicinanze  e  quei  contatti  gli  facevano  soffi-ire.  Istruito 
con  precedenza,  teneva  lunghi  discorsi  sui  bisogni  del 
paese,  sulla  crisi  dei  vini  o  degli  agrumi,  sulla  gra- 
vezza delle  imposte,  e  prometteva  leggi  intese  a  pro- 
teggere l'agricolttira,  assicurava  lenimenti  di  tasse, 
premii,  agevolezze  di  ogni  genere.  La  sua  teoria  era 
quella  del  progresso,  «  del  progresso  che  mai  non  s'ar- 
resta.... »  ma,  se  vedeva  pender  dalle  pareti  i  ritratti 
di  Garibaldi  e  di  Mazzini,  insisteva  sull'urgenza  di 
«  più  ampie  libertà  richieste  dallo  spirito  dei  tempi»; 
se  vedeva  quelli  della  famiglia  reale,  riconosceva  la 
necessità  di  andare  «  coi  calzari  di  piombo  ».  Quasi 
sempre  egli  trovava  qualcuno  che  gli  faceva  da  g^uida  ; 
ma  talvolta  non  c'era  nessuno  che  potesse  presentarlo 
nei  circoli  più  intransigenti  :  allora  egli  si  presentava 
da  sé,  chiedeva  del  «  s-gnor  presidente  »,  annunziava 
^  che  trovandosi  di  passag-gio  aveva  desiderio  di  visitare 
«  questo  sodalizio  tanto  benemerito  del  paese  ».  Quasi 
da  per  tutto  si  guadagnava  simpatie  e  accaparrava 
voti.  Il  solo  fatto  che  don  Consalvo  Uzeda  principe 
di  Francalanza  faceva  loro  una  visita,  dis,poneva  que- 
gli umili  in  favor  suo.  Le  strette  di  mano,  i  discordi 
famigliari,  le  grandi  frasi  e  le  promesse  convertivano 
i  più  restii.  Molti  però  recalcitravano  ;  egli  otteneva 
tuttavia  l'effetto  di  metter  la  scissura  dove  prima  era 
l'accordo.  Una  dozzina  di  società  lo  elessero,  seduta 
stante,  presidente  onorario;  egli  ringraziò  per  «l'in- 
signe onore  *di  cui  sarei  indegno  se  non  avessi  da  far 
valere  l' imimenso  affetto  per  gli  operài,  i  cui  miglio- 
ramenti, il  cui  «benessere,  la  cui  felicità  sono  stati  e 
saranno  sempre  lo  scopo  della  mia  vita  ».  Dopo  i  di- 
scorsi ufficiali  egli  soggiungeva  :  «  Quando  avrete  bi- 
sogno  di    me,    quando   verrete    in    città,    rammentatevi 

che  la  mia  casa   è  la  vostra » 

E  ancora  non  si  parlava  dell'elezione.  Esaurito  quel 
prim.o  punto  del  suo  programma,  egli  passò  al  se- 
condo, cioè  all'accordo  con  gli  altri  candidati.  Per 
tre  seggi,  c'era  una  dozzina  d'aspiranti;  ma  tolte  le 


—  268  — 

pretensioni  ridicole,  comie  quella  di  Giulente,  resta- 
vano, oltre  la  sua,  quattro  candidature  serie  :  l'av- 
vocato \'azza,  che  aveva  un'estesissima  clientela  e  si 
presentava  con  prog'ramma  «  liberale  »  senza  indica- 
zione di  partito  parlamentare;  il  professor  Lisi,  g'ih 
presidente  della  Progressista,  e  perciò  con  idee  di 
Sinistra;  Giardona  e  Marcenò,  radicali.  Consalvo  si 
mise  in  relazione  col  primo  di  questi  due,  che  era  il 
più  temperato,  per  un'azione  comune.  Dal  radicalismo 
annacquato  di  costui  al  liberalismo  avanzalo  suo  pro- 
prio c'era  tanta  disianza  da  non  potersi  intendere? 
Nondimeno,  i  fautori  di  Giardona  vollero  dichiara- 
zioni esplicite  :  egli  s'impegnò  a  dare  il  suo  voto  a 
tutte  le  rifornie  chieste  dal  partito  e  sopra  tutte  alle 
riforme  sociali.  Andò  a  dire  in  mezzo  a  loro  :  «  Io 
sono  socialista.  Dopo  che  ho  studiato  Proudhon,  mi 
sono  convinto  che  la  proprietà  è  un  furto.  Se  i  miei 
antenati  non  avessero  rubato,  io  dovrei  guadagnarmi 
la  vita  col  sudore  della  fronte  ».  Tuttavia  quelle  di- 
chiarazioni non  soddisfacevano  interamente.  I  radicali 
più  avanzati  che  sostenevano  Marcenò  gli  si  volta- 
rono contro.  A'enne  poi  fuori  un  giornaletto,  La  Lima, 
che  lo  prese  di  mira,  chiamandolo  il  «  nobile  prin- 
cipe, il  sire  di  Francalanza  »,  alludendo  ai  suoi  parenti 
borbonici,  affermando  che  un  aristocratico  suo  pari, 
discendente  dai  Viceré,  non  poteva  esser  sincero  quando 
sfoggiava  tanta  fede  democratica.  Allora  anch'egli 
fece  pubblicare  un  foglio,  //  nuovo  cletiorc.  Tutti  i 
numeri,  dal  principio  alla  fine,  erano  pieni  di  lui, 
delle  sue  gesta  al  Municipio,  dei  suoi  titoli  alla  gra- 
titudine del  paese.  I  giornali  quotidiani  anch'essi  ave- 
vano articoli  esaltanti  «  il  giovane  patrizio  democratico 
a   fatti,   non   a   parole  ». 

Stretto  il  patto  con  Giardona,  restava  da  scegliere 
tra  il  Lisi  e  il  Vaz'za  per  formare  la  triade.  Egli  vo- 
leva niettersi  con  quest'ultimo,  perchè  era  il  più  forte  ; 
m,a  .Giardona  minacciò  di  mandare  tutto  a  monte, 
perchè    il    \'azza,    proclamandosi    ambiguamente    «  libe- 


—  2bg  — 

raie  »,  era  11  più  inoderato  di  tutti  e  ben  visto  perfino 
dalla  Curia.  Invece,  l'alleanza  con  Lisi,  che  s'avvici- 
nava più  alle  loro  idee,  era  la  sola  naturale.  Egli  ri- 
conobbe questa  convenienza.  Fu  stabilito  l'accordo,  ma 
ciascuno  si  mise  all'opera  per  proprio  conto. 

.La  legge  della  riforma  era  ancora  dinanzi  al  Se- 
nato che  già  ogni  sera  riunivasi  gente  in  casa  del 
principe  :  nobili  parenti,  impiegati  comunali,  maestri 
elementari,  avvocati,  sensali,  appaltatori  :  un  veglione. 
Il  quartiere  di  gala  era  aperto  al  pubblico;  egli  non 
relegava  gli  elettori  nelle  stanzette  buie  dell'ammi- 
nistrazione, comfc  aveva  fatto  suo  zio;  spalancava  le 
nobili  Sale  Gialla  e  Rossa,  il  Salone  degli  specchi,  la 
Galleria  dei  ritratti.  Tutti  erano  animati  dal  più  vivo 
entusiasmo;  la  gente  minuta  che  veniva  la  prima  volta 
al  palazzo,  che  sedeva  sulle  poltrone  di  raso  sotto 
gli  sguardi  immobili  dei  Viceré,  si  sarebbe  fatta  ta- 
gliare a  pezzi  iper  quel  candidato  che  prometteva  n-.ari 
e  monti,  il  bene  generale  e  quello  particolare  d'ogni 
singolo  votante.  Un  perito  agrimensore  compose  un 
opuscolo  intitolato  :  Consalvo  Uzeda  principe  di  Fran- 
calanza,  brevi  cenni  biografici,  e  glielo  presentò.  Egli 
lo  fece  stampare  a  migliaia  di  copie  e  diffondere  per 
tutto  il  collegio.  Il  ridicolo  di  quella  pubblicazione, 
la  goffaggine  degli  elogi  di  cui  era  piena  non  gli  da- 
vano ombra,  sicuro  com'era  che  per  un  elettore  che 
ne  avrebbe  riso,  cento  avrebbero  creduto  a  tutto  come 
ad  articoli  ci  fede.  Un  infinito  dispre77n  di  q^lp1  grpp-g£ 
lo  animava,  e  un  rancore  violento  contro  chi  tentava 
sbarrargli  la  via.  Perchè,  infatti,  come  l'agitazione  cre- 
sceva, gii  attacchi  della  Lima  divenivano  più  acri,  e 
una  quantità  di  fogli,  foglietti  e  bollettini  elettorali, 
sorti  per  sostenere  questa  o  quella  candidatura,  o  per 
speculare  sulla  curiosità  che  induceva  la  gente  a  buttar 
via  i  soldini  in  carta  sporca,  lo  aggredivano  mattina 
e  sera,  gliene  dicevano  di  ccftte  e  di  crude.  Dinanzi 
alle  persone  ne  rideva;  dentro  s'arrovellava:  potendo, 
avrebbe  messo  il  bavaglio  a  quei  libellisti,   li  avrebbe 


—  270  — 

banditi,  imprigionati.  Ma  l'accusa  ciie  più  lo  feriva, 
che  lo  faceva  veramente  sanguinare,  era  quella  che 
cominciavano  a  lanciare  :  «  Elettori,  il  candidato  che 
noi  vi  presentiamo  non  ha  feudi  né  blasoni,  non  oro 
da  corrompere  le  coscienze;  ma  voi,  cittadini,  dimo- 
strerete che  la  vostra  coscienza  è  un  tesoro  troppo 
g-rande  perchè  un  pugno  di  monete  possa  comprarla  ». 
Era  una  menzogna,  giacché  egli  non  spendeva  altri 
quattrini  se  non  quelli  della  stampa,  della  posta,  delle 
carrozze  ;  ma  poteva  trovar  credito  più  delle  altre,  ed 
egli  voleva  esser  eletto  per  l'attitudine  alla  vita  pub- 
blica di  cui  aveva  dato  prova,  per  la  coltura  che  s'era 
affannato  ad  acquistare.  Poi,  rammentando  1'  impegno 
preso  con  sé  stesso  di  restar  calmo,  di  lasciar  dire, 
scrollava  le  spalle,  dominava  gli  impeti  di  sdegno,  ì 
moti  di  cruccio  ;  diceva  :  «  Mi  eleggano  pel  blasone 
e  pei  feudi,  che  m'  importa?  Purché  mi  eleggano!  » 
E  agli  intimi  che  s'arrabbiavano  per  lui  vedendolo 
aggredito  a  quel  modo  :  «  Hanno  ragione!  »  rispon- 
deva, sorridendo  :  «  il  mio  più  grande  titolo  all'ele- 
zione  é   quello  di   principe!  » 

Ciò  che  egli  esprimeva  con  la  facezia  era  la  verità. 
«  Principe  di  Francalanza  »  :  queste  parole  erano  il 
passaporto,  il  talismano  che  operava  il  màracolo  di 
aprirgli  tutte  le  vie.  Egli  sapeva  che  le  dichiarazioni 
di  democrazia  non  gli  poteviano  nuocere  presso  gli 
elettori  della  sua  casta,  poiché  costoro  non  lo  crede- 
vano sincero  ed  erano  sicuri  di  averlo,  al  momento 
buono,  dalla  loro;  dall'altro  canto  sentiva  che  le  ac- 
cuse di  aristocrazia  non  lo  pregiudicavano  molto  presso 
la  gran  maggioranza  di  un  popolo  educato  da  secoli 
al  rispetto  ed  all'ammirazione  dei  signori,  quasi  orgo- 
glioso del  loro  fasto  e  della  loro  potenza.  Per  lui, 
il  buon  popolo  che  si  lasciava  taglieggiare  dai  Viceré 
era  stato  pervertito  da  false  dottrine,  da  .sciocche  lu- 
singhe :  egli  era  sicuro  che  prendendo  a  quattr'occhi 
uno  di  quelli  che  più  vociavano  «  libertà  ed  egua- 
glianza »  e  dicendogli  :  «  Se  foste  al  mio  posto,  gride- 


2/1    

reste  così  ?»  il  fiero  repubblicano  sarebbe  rimasto  in  un 
beli'  impiccio.  La  quistione,  dicevano  alcuni,  era  che 
questi  posti  eminenti,  queste  situazioni  privilegiate  non 
dovevano  più  esistere  :  ma  allora  Consalvo  sorrideva 
di  pietà.  Quasiché,  ammessa  pure  la  possibilità  d'abo- 
lire con  un  tratto  di  penna  tutte  le  disuguaglianze 
sociali,  esse  non  si  sarebbero  di  nuovo  formate  il 
domani,  essendo  gli  uomini  naturalmente  diversi,  e  il 
furbo  dovendo  sempre,  in  ogni  tempo,  sotto  qualunque 
regime,  mettere  in  mezzo  il  semplice,  e  l'audace  pre- 
venire il  timido,  e  il  forte  soggiogare  il  debole!  Non- 
dimeno piegavasi,  concedeva  tutto,  a  parole,  allo  spi- 
rito dei  nuovi  tempi.  I  giornaletti  arrabbiati  lo  mor- 
devano tenacemente  con  l'accusa  di  miuffosità  «  spa- 
gnolesca »,  di  orgoglio  «  organico  »  ;  egli  diceva  agli 
elettori  che  gli  davano  del  «  signor  principe  »  a  tu!;to 
spiano  :  «  Io  non  mi  chiamO'  signor  Principe,  mi  chiamo 

Consalvo    Uzeda »    Metteva    adesso    una    specie -di 

zelo  nello  spogliarsi  di  tutto  ciò  che  poteva  offendere 
il  sentimento  dell'uguaglianza  umana,  non  parlava  più 
dei  '«  miei  viaggi  »  e  dei  «  miei  feudi  »,  pareva  volersi 
scusare  del  suo  titolo  e  delle  sue  ricchezze,  quasi 
vergognoso  del  grande  stemma  infisso  sull'arco  del 
portone,  della  rastrelliera  del  vestibolo,  dei  ritratti 
degli  avi,  come  d'altrettante  macchie,  d'altrettanti  at- 
testati d'indegnità.  Ma  egli  faceva  cosi  a  tempo  e 
luogo,  dinanzi  ai  radicali  sinceri,  ai  repubblicani  puri; 
la  più  gran  parte  del  tempo  sapeva  d'avere  intorno 
persone  che  chiamandolo  «  principe  »,  mostrandosi  in 
sua  compagnia,  credevano  di  partecipare  in  qualche 
modo  al  suo  lustro. 

Lavorava  come  un  cane,  a  far  visite,  a  scriver 
lettere,  a  dirigere  i  suoi  galoppini,  a  presiedere  le 
adunanze  del  comitato.  La  notte  stentava  a  prender 
sonno,  con  la  mano  scottata  dal  contatto  di  tante 
mani  sudice,  sudate,  ruvide,  incallite,  infette;  con  la 
mente  infiammata  dall'ansietà  della  riuscita.  Sarebbe 
riuscito?   A   momenti   ne  aveva   l'intima   e   salda   cer- 


tezza  ;  il  governo  era  per  lui:  Mazzarini,  arrivato  al 
potere,  ministro  dei  lavori  pubblici,  gli  aveva  trascritto 
da  Roma  tutte  le  lettere  con  le  quali  lo  raccomandava 
al  Prefetto.  Ma  non  si  contentava  di  riuscire,  voleva 
stravincere,  essere  il  primo  degli  eletti,  assicurarsi  sta- 
bilmente il  collegio  con  una  votazione  unanime,  ple- 
biscitaria. L'accordo  col  Giardona  g'ii  giovava  certa- 
mente, na  quello  col  Lisi  era  stato  forse  un  errore. 
La  situazione  di  \'azza  era  invece  fortissima,  molti 
assicuravano  che  sarebbe  riuscito  il  primo  :  raccoglieva 
adesioni  dovimque  e  i  clericali  specialm.ente,  senza 
sostenerne  in  pubblico  la  causa,  lavoravano  per  lui, 
sott'acqua,  ma  con  efficacia  g-randissima.  Era  stato 
un  vero  sbaglio  rinunziare  a  quest'alleanza  e  preferir 
Lisi;  per  tentar  di  riparare,  per  giovarsi  del  lavorìo 
delle  sacrestie,   egli  pensò  di   rivolgersi  alla  sorella. 

Non  la  vedeva  da  un  pezzo,  ma  sapeva  che  la  sua 
vita  severa,  austera  quasi,  la  rinunzia  totale  dopo  i 
lutti  alle  occupazioni  ed  ai  piaceri  mondani,  l'edifi- 
cante pietà,  l'avevano  messa  ancora  più  in  grazia  dei 
Monsignori.  Andò  dunque  da  lei.  Sul  punto  d'entrare 
nel  suo  salotto  udì  una  voce  squillante  che  diceva  : 

— ■  L'ho  cantato  a  tutti,  non  mi  stancherò  di  ripe- 
terlo!   Cada    Sansone   con    tutti    i   filistei! 

Era   la   zia   Lucrezia.    Egli   si   ferm.ò   ad   ascoltare. 

—  Vostra  Eccellenza  mi  perdoni  —  rispondeva  dol- 
cemente Teresa  —  ma  parlare  così  contro  suo  ni- 
pote— 

—  Mio  nipote?...  Che  nipote?...  —  vociferava  l'al- 
tra. —  A  lui  duncjue  fu  permesso  trattare  così  mio 
marito?  Pan  per  focaccia,  dice  il  proverbio!  Bene- 
detto non  risulterà,  ma  neppur  lui  :  la  vedremo!  Piut- 
tosto mi  meraviglio  di  quella  bestia  di   Monsignore 

—  Zia! 

—  Di  quel  bestione  di  Monsignore,  che  non  vuole 
appoggiare  mio  marito.  Invece  di  fare  il  giuoco  di 
Vazza,  dovrebbe  sostener  Benedetto,  che  è  stato  sem- 
pre  moderato   e    perciò   pii^i   vicino   ai   clericali!    E   mi 


—    2^1  — 

meraviglio  più  di  te,  che  non  vuoi  spendere  una  pa- 
rola per  tuo  zio!...  Ala  gli  parlerò  io!  Ho  lingua,  e 
posso  parlar  da  me!  Se  tutti  abbandonano  Benedetto, 
ci  sono  qua  io!  Io  non  l'abbandonerò!  Ho  lui  solo 
•al  mondo!...  Capisci  che  gli  hanno  procurato  una 
malattia  di  fegato?  Tirano  a  ucciderlo,  cotesti  .assas- 
sini!   Ma   riderà   bene   chi    riderà   l'ultimo! 

Contenendo  le  risa,  Consalvo  entrò.  Appena  lo  vide, 
Lucrezia   levossi. 

—  Ti  saluto,  ho  da  fare  —  disse  alla  nipote  ;  e 
senza  guardarlo,  quasi  non  l'avesse  scorto,  ma  cal- 
cando la  voce,  e  passandogli  dinanzi  gonfia  e  impet- 
tita,   ripetè  :   —   Riderà   bene   chi    riderà   l'ultimo! 

Consalvo   si   mise  a   ridere. 

—  Quella  pazza  l'ha  con  mie!...  Che  diavolo  pre- 
tendeva?   Che    le    hanno    fatto? 

—  Poveretta,  non  ne  dir  male  —  rispose  Teresa, 
con   pietosa    indulgenza. 

— ■  È  già  una  fortuna  che  tu  non  le  dia  ragione! 
Voleva  che  pei  begli  occhi  di  suo  marito  io  rinun- 
ciassi all'avvenire?  E  adesso,  tutt'a  un  tratto  arde 
d'affetto  per  cotesto  marito  prima  vilipeso?... 

Teresa  non  rispose  ;  fece  solo  un  gesto  di  grande 
•compatimento. 

■ —  E    che    voleva    da    te?    Ti    parlava    dell'elezione? 

—  Si. 

—  Voleva   il   tuo   voto,   ah!   ah! 

—  No,    credeva  che   io   potessi  giovarle. 

—  E    che    le    hai    risposto? 

—  Che  non  posso  nulla. 

—  E  per  me?  —  soggiunse  rapidamente  Consalvo. 

—  Per  nessuno,  fratello  mio!...  Io  non  mi  occupo 
di   queste   cose. 

— •  Ma  i  tuoi  Monsignori  ?  — ■  esclamò  egli  sorri- 
dendo. 

—  Né  io  né  essi  parliamo  di  queste  cose. 

—  Di  che  parlate  allora,   spiegami  un  po'? 

Al    tono    leggermente   canzonatorio    di    Consalvo,    la 

Do   Roberto.   /    Viceré   -   Il  18 


—  274  — 

duchessa  chiuse  gli  occhi  un  momento,  quasi  ad  at- 
tinger forza  per  affrontare  le  contraddizioni,  quasi  a 
pregare   pel.  miscredente. 

—  Parliamo,  in  questi  giorni,  d'un  gran  miracolo 
che  il  Signore  ha  permesso.  Non  hai  sentito  discor- 
rere  della   Serva  di   Dio? 

Egli  sapeva  qualcosa,  così  in  aria,  d'un  preteso 
prodigio  avveratosi  in  persona  d'una  contadina  di  Bei- 
passo;  ma  Teresa,   senza  aspettare  la  sua   risposta: 

—  È  un'umile  contadinella  —  proseguì  —  che  vive 
in  una  casupola,  col  padre  e  la  madre,  nelle  cam- 
pagne di  Belpasso.  È  stata  sempre  religiosissima,  ma 
da  qualche  tempo  si  manifestano  in  lei  i  segni  della 
Grazia.  Tutti  i  venerdì,  dopo  esser  rimasta  tre  ore 
in  ginocchio,  le  appariscono  sul  corpo  le  stimmate  di 
Nostro  Signore;  ella  esala  un  odore  d'incenso  soa- 
vissimo e   dalle   sue  labbra 

—  Questi  li  chiami  segni  della  Grazia?  Sono  feno- 
meni isterici! 

Teresa  tacque  un  poco,  con  la  stessa  espressione 
dell'indulgenza  che  s'accorda  ai  poveri  ignoranti. 

—  Se  fossero  fenomeni  isterici,  i  dottori  l'avreb- 
bero curata.  Invece,  nessuno  di  quanti  l'hanno  vista 
ha  saputo  spiegare  queste  manifestazioni  ;  tutti  i  loro 
pretesi  rimedii  sono  rimasti  inefficaci. 

— .  Vuol  dire  che  hanno  chiamato  dottori  asini.... 

—  No,  i  più  riputati!...  Sulla  fronte  le  appare  una 
macchia  rossa  in  forma  di  croce,  sul  costato  la  figura 
del  giglio —  A  voce  più  bassa  aggiunse:  —  Mon- 
signore andrà   a  visitarla. 

—  Vedrà  anche  il  costato? 

Ella  si  trasse  indietro,  i.suoi  sguardi  espressero 
uno  sdegnato  biasimo. 

—  Consalvo!  Sai  che  mi  duole  udirti  parlare  cosi 

—  Andiamo!  Non  si  può  scherzare?...  Ma  tu  credi 
sul  serio  ?... 

—  Credo   —    rispose    brevemente. 

Egli    la    considerò    un    poco.    Voleva    dirle  :    «  A    chi 


~  ^75  — 

la  dà!  a  intetidere?...    Sei  amimattita  come  tutti   i   no« 
stri?...  »  Ma    non    era   venuto    per   questo. 

—  Delle   elezioni,    dunque,    non   parlate? 

—  No.  Sono  quistioni  che  io  non  capisco;  e  poi, 
la   Chiesa    non   partecipa   a   queste   lotte. 

—  Né  eletti  né  elettori,  eh?  Eppure  i  tuoi  Padri 
spirituali  si  danno  un  gran  da  fare  per  un  certo  av- 
vocato.... 

—  Il  Santo  Padre  ha  ordinato  che  i  cattolici  non 
vadano  alle  urne  come  partito  — 

—  Ah!...  Dunque  sai  che  c'è  distinzione  fra  partito 
ordinato   e   cittadini   spiccioli? 

—  Non   è   difficile   intenderlo. 

— •  Va  bene,  va  bene!...  E  come  singoli  cittadini,  i 
cattolici  che  fanno? 

—  Appog-g"iano,  talvolta,  chi  più  s'accosta  a  loro. 

—  Cioè? 

—  Chi   crede. 

Le  due  parole  significavano  :  «  Tu  non  sei  fra  que- 
sti ;  ecco  perchè  io  non  posso  nulla  per  te».  Ma 
Consalvo,    che   faceva   l'ingenuo,    replicò  : 

—  Chi  crede  a  che  cosa? 

—  Prima  di  tutto  agli  eterni   principii.di  verità. 
- —  E   poi? 

—  Al   trionfo   della   Chiesa! 

— •  Anche  tu?...  —  cominciò  Consalvo,  sul  punto 
di  protestare,  di  dire  li  fatto  suo  a  quell'ialtra  sciocca. 
Ma  si  contenne  ancora  una  volta.  Che  gì'  importava 
di  quelle  sciocchezze?  L' importante  era  sapere  se  bi- 
sognava assolutamente  rinunziare  all'  intromissione  di 
lei.  —  Ah,  va  benissimo!...  —  riprese,  con  tono  di- 
verso. —  Il  trionfo  della  Chiesa!...  Ma  su  chi  deve 
trionfare,   sentiamo? 

—  Sopra   i   suoi   nemici   e   i   suoi   persecutori. 

—  Ch.i  sono?  Dove  sono?  In  Italia?  In  Francia? 
Sentiamo  un  po'  :  che  bisogna  fare?  Restituire  Roma 
al  Papa,  eh?  Dargli  tutta  1'  Italia',  tutto  il  mondo? 
Sentiamo,    spieghiamoci   una   buona   volta,    per   saperci 


—  276  — 

fegolare,  per  vedere  fino  a  qual  punto  potremo  Inten- 
derci— 

Ella  disse,   seriamente  : 

—  È  inutile  che  tu  la  prenda  su  questo  tono.  Presto 
o   tardi    il    diritto   legittimo    trionferà. 

—  Come?    Quando?    Dove? 

Eila  alzò  il  capo  e  socchiuse  gli  occhi,  quasi  ispi- 
ranccsii 

—  Nascerà  —  disse  —  un  gran  Monarca,  .  dalla 
diretta  progenitura  di  San  Luigi  di  Francia,  e  si  chia- 
merà Carlo.  Egli  farà  dell'  Europa  sette  regni,  e  rimet- 
terà  il   Santo   Padre   sulla   cattedra  di   Pietro.... 

Questa  volta  Consalvo  non  riuscì  a  frenare  le   risa. 

—  Ah!  Ah!  Ah!...  S'ha  da  chiamare  proprio  Carlo? 
E  perchè  non  Filippo,  Ignazio,  Epaminonda?...  Ma 
dove  diavolo  peschi  simili  fandonie? 

—  Che  t'importa,  se  sono  fandonie?...  Mi  duole 
che  tu  ne  rida...  Ti  ho  detto  molte  volte  che  ciascuno 
ha   le  proprie   convinzioni  — 

—  Si  !  Si  !...  Ma  donde  t'è  venuta  questa  qui  ?  Dove 
hai   saputo  che   accadranno  tutte  queste  belle  cose? 

Ella  stese  il  braccio  verso  una  scansietta  piena  di 
libri  e  vi  prese  un  volum.etto  legato  con  pelle  nera  e 
dorato  sui  tag'i.  Consalvo  lesse  sul  frontespizio  :  «  L'Eu- 
ropa liberata  ovvero  Trionfo  della  Chiesa  di  G.  C. 
su  tutte  le  usurpazioni  e  tutte  le  eresie.  Eco  dei 
Profeti  e  dei  SS.  Padri....  »  A  un  tratto  volse  il  capo, 
udendo  il  cameriere  che  annunziava,  dalla  soglia,  sco- 
stando la  tenda  : 

. —  Padre   Gentile,    Eccellenza. 

Entrò  un  prete  alto,  asciutto,  con'  forti  occhiali  sul 
naso   adunco   come   un   rostro. 

—  Il  principe  di  Francalanza,  mio  fratello  —  pre- 
sentò Teresa.    —  Padre  Antonio  Gentile... 

TI  prete  inchinossi  profondamente.  Consalvo  lo  squa- 
drava da  capo  a  piedi.  Un  altro,  adesso!  Quella  casa 
diventava   una   sacrestia! 

—  Il  Padre  —  aggiunse  Teresa,   rivolta  al  fratello 


—  277  — 

—  ha  la  bontà  di  dirigere  l'educazione  dei  miei  bam- 
bini  

—  Io'  sono  ben  lieto  —  rispose  l'ecclesiastico  — 
di   poter   servire   la   signora   duchessa — 

—  Non  è  siciliano?  —  gli  domandò  Consalvo,  per 
dire  qualcosa,  perchè  non  paresse  che  andava  via  su- 
bito, ma  impaziente  di  svignarsela  poiché  s'accorgeva 
d'aver   già    perduto   troppo   tempo. 

—  Signor  no,   sono   romano  —  rispose   il   Padre. 

—  È    da    un    pezzo   fra    noi? 

—  Da   qualche   mese   appena. 

—  Tanto   piacere —  fece   il   principe,    alzandosi. 

Il  ^reie  s'alzò  e  s'inchinò  una  seconda  volta.  Te- 
resa gli   chiese   permesso   e   accompagnò   il   frateFo. 

—  Dunque?  —  insistè  Consalvo.  — •  Che  bisogna 
fare  per  ottener  l'appoggio  della  signora  duchessa? 

—  Ma  io  non  valgo  a  nulla!...  —  protestò  Teresa, 
con   un   discreto   sorriso. 

—  Bisogna  giurare  fedeltà  a  Carlo,  al  Gran  Mo- 
narca?... Non  c'è  altro  scampo?...  Ma  se  ancora  ha 
da  venire?...  Basta,  arrivederci!...  E  quest'altro,  dove 
l'hai  pescato?   Chi   è?... 

— f  Uno  dei  Padri  più  colti  della  Compagnia  di 
Gesù!... 

«  Tempo  perduto!  Tempo  perduto!...  »  Non  c'era 
da  cavar  nulla  da  quegli  Uzeda!  I  migliori,  quelli 
che  parevano  i  più  saggi,  a  un  tratto  si  rivelavano 
pazzi,  come  gli  altri.  Questa  qui,  adesso,  si  chia- 
mava in  casa  i  Gesuiti,  credeva  alle  balorde  profezie, 
ai  pretesi  miracoli,  diventava  cieco  strumento  in  mano 
dei  preti!  Dov'era  la  fanciulla  d'una  volta,  graziosa, 
gentile,  poetica,  pietosa  ma  non  bigotta,  credente  ma 
non  accecata?  Anche  al  fisico,  aveva  perduta  l'ele- 
ganza del  portamento,  ingrassava,  era  irriconoscibile. 
La  ipazzia  soggiogava  anche  lei,  prendeva  la  forma 
religiosa,  diventava  misticismo  isterico!  Tutti  ad  u 
modo,  tutti!...   Egli  solo  pi  stiniav^  savio,  forte,  pru- 


dente,  immune  dal  vizio  ereditario,  padrone  e  g^iudice 
di  sé  stesso  e  degli  altri....  E  apparso  sulla  Gazzetta 
ufficiale  il  decreto  che  chiudeva  la  sessione,  egli  si 
buttò  a  capo  fitto  nella  lotta. 

Giorno  e  notte  la  sua  casa  parve  trasformata  in 
una  piazza,  in  un  pubblico  mercato,  dove  i  delegati 
discesi  dalle  sezioni  rurali  e  gli  elettori  cittadini  an- 
davano e  venivano,  discutendo,  contrattando,  gridando, 
col  cappello  in  testa,  con  le  mazze  in  mano.  Più  gente 
veniva,  più  egli  ne  invitava  :  i  galoppini,  per  suo  or- 
dine, rimorchiavano  lassù,  adescati  dal  marsala  e  dai 
sigari,  dalla  curiosità  di  entrare  nel  palazzo  dei  Viceré, 
gonfii  dell'  importanza  a  cui  erano  assunti  d'un  tratto, 
individui  di  tutte  le  classi,  bottegai,  scrivani,  uscieri, 
trattori,  barbieri,  gente  più  umile  ancora,  servi,  guat- 
teri,  tutte  le  infime  persone  che  per  aver  messo  una 
firma  dinanzi  al  notaro  tenevano  nelle  loro  mani  una 
frazione  della  sovranità.  Egli  stringeva  tutte  quelle 
mani,  accoglieva  tutta  quella  gente  con  un  «  grazie 
dell'adesione!  »  dava  del  lei  sopra  e  sotto;  essi  anda- 
vano via  incantati,  accesi  d'entusiasmo,  protestando  : 
K  E  lo  dicevano  superbo!  l^n  signore  tanto  alla 
mano!...  » 

Una  sera,  facendo  il  giro  delle  sale.  Consalvo  vide 

una  faccia  nuoV(a,  che  rassomigliava  tuttavia a  chi?... 

A  Baldassarre,  il  suo  antico  maestro  di  casa  !  Ma  i 
favoriti  erano  scomparsi,  e  invece  sulle  labbra  già 
sbarbate  dell'ex-scrvitore  cresceva  un  grosso  paio  di 
m.ustacchi  tinti  come  stivali. 

—  Grazie  dell'adesione  • —  gli  disse  Consalvo,  strin- 
gendogli la  mano. 

—  Niente!...   Dovere!...   —  balbettò  Baldassarre. 
Uscito  dalla  casa  del  principe,  il  maggiordomo  s'era 

buttato  alla  politica,  aveva  abbracciato  la  fede  demo- 
cratica, presiedeva  ora  una  società  operaia  di .  mutuo 
soccorso.  Giacché  il  principino  —  Baldassarre  adope- 
rava ancora  il  diminutivo  per  designare  l'antico  pa- 
droncino  —    si    presentava    con    programma    democra- 


—  279  — 

tico,  egli  aveva  indotto  i  consocii  ad  appog-g-iarlo  ; 
così  rientrava  nel  palazzo  lasciato  da  servo  con  l'im- 
portanza di  uno  che  portava  un  bel  gruzzolo  di  voti. 
Seduto  sopra  una  di  quelle  poltrone  di  raso  che  prima 
aveva  avanzato  ai  signori,  egli  si  guardava  intorno 
ed  ascoltava  con  la  gravità  dell'antico  maestro  di  casa, 
era  più  serio  e  decorativo  di  tanti  altri  ;  un  sindaco 
di   provincia   che  g'ii   stava   fianco  gli   disse  : 

—  Da  noi  la  riuscita  è  assicurata.  E  qui,  profes- 
sore, come  vanno  le  cose? 

—  Eccellente!  ■ —  fece  Baldassare,  scrollando  il  capo. 
I    membri    del    comitato,    quella    sera,    riferivano    i 

nomi  degli  elettori  amici  che  avevano  fatto  iscrivere 
nelle  liste.  L'antico  servo  s'avvicinò  a  Consalvo  : 

—  Signor  principe  —  non  gli  dava  più,  per  de- 
mocrazia, dell' Eccellensa  —  la  nostra  società  ha  fatto 
iscrivere  una  cinquantina  di  elettori.  Sono  tutti  nostri! 

—  La   ringrazio  ;    non   so  come   ringraziarla. 

—  Si  figuri,  per  carità  :  dovere!  Vinceremo  certa- 
mente!  La  vittoria  è  nostra! 

—  Accetto  di   cuore   l'augurio   cortese. 

E  Baldassarre,  dimenticato  il  torto  che  gli  aveva 
fatto  il  principe  defunto,  si  fece  in  quattro  per  assi- 
curare il  trionfo  del  principino,  divenne  in  b-eve  uno 
dei  suoi  luogotenenti.  Egli  faceva  i  suoi  rapporti  a 
Ccnsalvo,  ne  riceveva  le  istruzioni,  gli  dava  a  sua 
volta  consigli;  e  il  padrone  e  il  servo  erano  scom- 
parsi, sedevano  a  fianco  alla  stessa  tavola,  il  principe 
passava  la  carta  e  la  penna  all'antico  creato,  si  da- 
vano del  lei  come  due  diplomatici  stipulanti  un 
trattato. 

La  lotta  diveniva  frattanto  più  aspra.  Consalvo  aveva 
fatto  fare  certe  aperture  ai  capi  clericali,  ma  costoro 
avevano  risposto  che  la  sua  alleanza  con  Lisi  e  Giar- 
dona  rendeva  impossibile  qualunque  accordo.  Giulente 
boccheggiava.  Per  salvare  il  Municipio  aveva  dovuto 
imporre  nuote  tasse,  aggravare  le  antiche,  congedare 
impiegati,   lasciare   in   asso  tutte  le   opere   non   finite, 


—  28o  

ridurre  tutte  le  spese;  e  la  sollevazione  era  unanime 
contro  di  lui  per  l'odiosità  delle  imposte,  la  gretterìa 
eretta  a  sistema.  La  sua  lunga  aspirazione  all'eredità 
politica  dello  zio,  la  stessa  malattia  di  fegato  erano 
un  po'  ridicele  :  sua  moglie  finiva  di  rovinarlo  van- 
tando il  suo  patriottismo  dopo  averlo  deriso  :  «  Al  Vol- 
turno stava  per  lasciare  una  gamba!...  »  domandando 
a  tutte  le  persone,  ai  commessi  di  negozio,  ai  ven- 
ditori ambulanti:  «  Non  siete  elettore?...  Allora  andate 
a  farvi  iscrivere....  »  Ed  ella  gli  aveva  finalmente  con- 
segnato i  conti  cell'am'ministrazione,  dove  c'era  un 
baratro  peggio  che  al  Comune. 

Gli  altri  candidati,  però,  non  si  davano  vinti,  i  p'ù 
pericolanti  si  ostinavano  peggio,  ricorrevano  a  tutti  i 
mezzi,  contrattavano  i  voti,  lanciavano  accuse  violente 
ai  rivali  fortunati,  specialmente  al  principe.  e<  Noi  non 
abbiamo  nipoti  educati  dei  Gesuiti,  ne  zii  Cardinali 
di  Santa  CH^a,  né  .parenti  reazionari  ;  non  ci  ap- 
poggiamo su  tutti  i  partiti,  dalla  nobiltà  alla  cana- 
glia!... ».  Consalvo  lasciava  dire,  correva  in  provincia, 
tornava  in  città,  allargava  la  cerchia  dei  proprii  ade- 
renti. I  messi  di  Baldassarre,  dal  canto  loro,  predica- 
vano nelle  osterie  la  dem.ocfazla  del  principe,  pagavano 
da  bere  a  quanti  gli  promettevano  il  voto.  Una  sera, 
però,  la  discussione  si  fece  brutta  fra  quelli  che  sta- 
vano dalla  sua  e  gli  oppositori  che  davano  al  principe 
del  Rabagas,  del  gesuita  e  del  traditore.  Dalle  parole 
vennero  ai  fatti,  volarono  sedie  e  bottiglie,  luccica- 
rono i  coltelli,  gravi  minacce  furono  proaunziate.  Al- 
lora Consalvo  si  rivolse  agli  antichi  conipagni  di  ba- 
gordo, alla  gente  con  la  quale  aveva  fatto  vita,  un 
tempo,  nelle  taverne  e  nelle  case  di  tolleranza  :  ceffi 
spaventosi,  pallidi  bertoni  con  la  faccia  tagliata  da 
cicatrici  fecero  la  guardia  al  suo  palazzo,  alla  sua 
persona;  si  disseminarono  nei  luoghi  equivoci,  minac- 
ciando,  intimorendo «Il  candidato  di   Francesco  II 

ha  sguinzagliato  la  mafia  per  tutto  il  collegio  allo 
scopo   di    spaventare    gli   onesti   cittadini  »,    denunzia- 


rono  i  fogli  avversarli  ;  ina  nella  violenza  della  bat- 
taglia le  più  feroci  accuse  avevano  perduto  ogni  effi- 
cacia, erano  naturalmente  attribuite  all'odio  di  parte, 
al  rancore  di  chi  sentiva  mancarsi  il  terreno  sotto 
i  ,piedi.  Il  nome  di  Francalanza  era  su  tutte  le  bocche, 
nessuno  dubitava  oramai  dell'elezione  del  principe.  Eg^li 
preparava  il  discorso  elettorale. 

Grandi  cartelloni  multicolori  incollati  per  tutta  la 
città  annunziarono  l'avvenimento:  «  meeting  elettq- 
RALE.  Cittadini:  Domenica,  8  ottobre  1882,  alle  ore  12 
meridiane,  nella  Palestra  Ginnastica  (ex-convento  dei 
PP.  Benedettini)  il  Principe  di  Francalanza  esporrà 
il  suo  programma  politico  agli  elettori  del  I  Colle- 
gio. »  Seg'ui\"ano  le  firme  del  comitato  :  un  presidente, 
vecchio  magistrato  a  riposo,  ben  visto  da  tutti  i  par- 
titi e  perciò  niesso  a  quel  posto  da  Consalvo  ;  poi 
sei  vice-presidenti,  più  di  cinquecento  membri,  otto  se- 
gretari!,  ventiquattro  vice-segretarii. 

Era  una  novità,  questa  d.ei  discorsi-programmi.  Le 
elezioni  non  si  pote\ano  più  fare  alla  chetichella,  in 
famiglia,  coane  al  tempo  del  duca  d'  Oragua  :  ciascun 
candidato  doveva  presentarsi  agli  elettori,  render  loro 
conto  delle  proprie  idee,  discutere  le  quistioni  del 
giorno.  «  Almeno  è  certo  che  andranno  al  Parlamento 
solo  quelli  che  sanno  parlare!...  »  Ala  udire  il  prin- 
cipe di  Francalanza  discorrere  in  piazza  come  un  cava- 
denti :  lo  spettacolo  era  veramente  straordinario.  Gli 
altri  candidati  tenevano  i  loro  discorsi  nei  teatri,  ma 
per  quello  di  Consalvo  c'era  tanta  aspettazione,  pio- 
vevano tante  richieste  di  posti,  arrivavano  tante  rap- 
presentanze dalla  provincia,  che  nessun  teatro  parve 
sufficiente.  La  palestra  ginnastica,  che  era  il  secondo 
chiostro  del  convento  di  San  Nicola,  g-rande  quanto 
una  piazza,  aveva,  con  i  suoi  archi,  le  colonne  e  le 
terrazze,  una  ccrt'aria  di  anfiteatro;  era  l'ambiente 
più  vasto,  più  nobile,  più  adatto  alla  grandezza  del- 
l'avvenimento. E  poi  Consalvo,  da  cui  vaniva  la  scelta, 
aveva  una  sua  idea. 


282    — 

Egli  andò  a  dirigere  personalmente  l'addobbo.  Ma 
intanto  che  i  tappezzieri  lavoravano^  a  disporre  trofei 
di  (bandiere  e  festoni  d'oliera  e  tende  e  ritratti,  '1 
principe  si  guardaxa  intorno  con  un  .senso  di  stu- 
pcre,  sorpieso  a  un  tratto  dalle  memorie  della  fr,n- 
ciullez/a.  L'enorn-;e  e  nobile  monastero,  la  signorile 
icimCra  dei  Fr.dri  gaudenti,  l'aristocratico  collegio 
della  giovcnti^!  era  irriconciscibile.  Scomparsi  i  corri- 
doi che  s'allungavano  a  perdita  d'occhio,  chiusi  da 
^muri  e  da  cancelli,  convertiti  in  sale  e  gabinetti  sco- 
lastici; il  refettorio  irasformato  in  salone  di  disegno 
dell'Istituto  Tecnico,  ingombro  di  cavalietti,  ornato  di 
'stampe  e  d'i  gessi;  il  Coro  di  notte  pieno  d'attrezzi 
rautici  ;  al  pesto  dei  grandi  quadri,  sugli  usci  delle 
camere,  cartelli  con  l'iscrizione  :  Prima  Classe,  Dire, 
zione,  P  re. si  de  Vida.  GiiJ,  nel  cortile,  i  anagazzini  tras- 
Jormati  in  casern.t.  Le  generazioni  di  .soldai.  *:  di 
studenti  succedutesi  dal  Sessantasei  avevano  devastato 
i  chiostri,  rotto  i  sedili,  infronto  le  balaustrate;  i 
■muri  erano  pieni  di  figure  e  di  motti  osceni,  e  i  ca- 
lamai lanciati  come  fionde  pel  corruccio  delle  bocc'a- 
lure  o  per  la  gioia  delle  promozioni  avevano  stam- 
pato  da   per  tutto   larghe   chiazze   d'inchiostro. 

Dinanzi  a  quella  devastazione,  Consalvo  pensava 
adesso  con  un  senso  di  rammarico  alla  morte  del 
mondo  monastico,  che  egli  aveva  vista  con  vivo  tr  - 
pudio.  Ma  allora  - —  ram.mentava!  —  aveva  quindici 
anni,  era  impaziente  di  prendere  il  posto  che  lo  aspet- 
tava in  società.  Se  gli  a^^essero  detto,  allora,  che 
egli  sarebbe  tornato  un  giorno  a  San  Nicola  per  di- 
scorrervi dell'eguaglianza  sociale  e  del  pensiero  lai- 
'co!...  No,  egli  non  poteva  assuefarsi  a  quest'ideale 
democratico  contro  il  quale  protestava  la  sua  educa- 
zione ed  il  suo  stesso  sangue.  Li,  a  San  Nicola, 
forse  pii^i  che  a  casa  propria,  egli  era  stato  imbe- 
vuto di  superbia  signorile,  era  stato  avvezzo  a  con- 
siderarsi d'una  pasta  diversa  dalla  comune —  Dove 
era  la   sua  camera?   Egli  la  cercava,   al   Noviziato,   e 


-  283  - 

non  la  trovava.  Forse  dove  stava  scritto  Gabinetto 
'di  fisica.  Vn  custode,  facendogli  da  guida,  narrava 
le  magnificenze  del  conventio,  le  feste  sontuose,  l'ab- 
bondanza del  conviti,  'a  nobiltà  dei  Padri,  e  rammari- 
caAasi  n  cstrando  le  ro\ine  presenti,  m  Quii  stavano  i 
inovìzii,  tutti  figli  dei  primi  baroni  :  bei  tempi!  Adesso 
ci  vengono  i  figli  dei  ciabattini!  »  Il  preslig"io  della 
i.obiltà  e  della  ricchezza  era  dunque  veramente  impe- 
'rituro,  ise  ■quel  povero  diavolo  parlava  cosi  d'una  ri- 
'foma   che    gio^a^a    ai    suoi    pari —    Consalvo    voleva 

ni.spondere  :  «  Avete  ragione »  xna  il  rumore  di  mar- 

t€lJa»te  che  \eniva  dalla  palestra  ig-li  rammentava  la 
•necessità  di  nascondere  i  proiprii  sentimenti,  di  rap- 
■preterlar  la  parte  che  s'era  aissunta.  LI,  fra  que'le 
iirura,  egli  s'ena  messo  jcol  partito  dei  ::.orci  ai  quali 
Fra  Cola  voleva  tagliar  la  coda;  qualcuno  non  gli 
avrebbe  fatto  una  co/pa  di  quel  remotissimo  passato?... 
Bah!  Chi  si  nammentaA a  celle  monelTate  d'un  ra- 
gazzo! GioNannmo  era  miorto,  non  poteva  tornar  dal- 
l'altro  mondo    a    contraddirlo!    E    qu:;nd'anche?... 

Frattanto  i  preparativi  si  venivano  compiendo;  la 
domenica  del  comizio  tutto  fu  pronto.  L'aspetto  della 
palestra  era  grandioso.  Duemila  seggiole  erano  di- 
sjposite  in  bell'ordine  reir'arena,  e  rte'S'tava  tuttavia 
spazio  libero  per  gli  spettatori  in  piedi.  Il  lato  meri- 
dionale del  portico,  tiservato  alla  presidenza  ed  alle 
associazioni,  conteneva  una  gran  tavola  circondata  di 
poltrone  e  fanchcggiata  da  tavolini  per  la  stamipa  ic 
gli  stenografi.  Gli  altri  tre  lati  erano  per  gì'  invitati  : 
autorità,  signore,  rapfpresentanze  varie.  Tut^a  la  ter- 
razza, come  l'arena,  restava  agli  spettatori  minuti  :  per 
difender  le  teste  dal.  sole  erano  state  diis-tese  grandi 
tende  di  mussolina  tricclore.  Trofei  di  bandiere  ab- 
brackriiavsro  le  colonne,  ed  in  mezzo  a  ciascun  trofeo 
spiccava  un  ritratto  :  a  destra  e  a  sinistra  della  ba- 
lauistjiata  da  cui  avrebbe  parlato  il  candidato,  Um- 
berto e  Garibaldi;  poi  Mazzini  e  Vittorio  Emanuele; 
poi  Margherita  e  Cairoli  ;  e  cosi  tutto  in  giro  Amedeo, 


-  284- 

Bixio,  Cavour,  iCrspi,  Lamarmora,  Rattazzi,  Ber- 
tiini,  Cialdini,  la  famiglia  sabauda  e  Ja  garibaldina, 
la  monarchia  e  la  repubblica,  la  Destra  e  la  Sinistra. 
Fin  (dalle  dieci,  la  folla  cominciò  a  far  ressa,  ma 
le  porte  erano  custodite  da  buon  nerbo  di  membri 
del  Comitato,  riconoscibili  a  una  gran  coccarda  trico- 
Icre  a'pipun'tala  al  ipetto.  Giù,  nel  cortile  esterno,  si 
Tiunixano  le  società  attorno  alle  bandiene  e  ai  labari, 
per  ricevere  il  candidato  e  accompagnarlo  alla  pa- 
lestra. Ire  lande  larrivarono  una  dopo  l'altra,  coi 
sodalizii  piij  num'^rosi,  tirando'si  dietro  una  folla  di 
cui'icsi;  e  il  brusìo  saWva  al  cielo,  torrenti  di  g-ente 
s' ingolfavano  dallo  spalancato  portone  della  scala 
reale.  Gli  strumenti  dei  .sonatori  .s,pecchiavano  al  gaio 
«ole  autunnale;  pennacchi  e  bandiere  ondeggiavano  al 
vento;  i  cartelloni  sr.ulticolori  cestivano  a  festa  i  muri 
del  jiionastcro. 
/■  Baldassarre,  in  redingote  e  cappello  alto,  con  una 
"coccarda  grande  ccme  una  mota  di  mulino,  andava  e 
veniva,  sudato,  sbuffante,  come  ventotio  anni  addietro, 
Cjuando  ordinava  l'aristccratico  cerimoniale  dei  fune- 
rali della  vecchra  iprinciposisa.  Ma  allora  eg^H  era  servo 
■stipercia'to,  e  adesso  libero  cittadino  che  interveniva 
a  un  metingo  democratico,  e  che  prestava  il  suo  ap- 
poggio al  principe  non  per  quattrini  ma  per  un'  idea. 
Alla  folla  che  Aoleva  entrare  ad  cgni  costo,  diceva, 
alzando  Je   nani:   «  Signori  n-.àei,   un   po'  di  pazienza; 

c'è  temipo ci  vuole  un'ora...;  »  Era  possibile  lasciar 

entrare  la  ciurmaglia  prima  degli  invitati?...  Ma  alle 
undici  e  mezzo  la  resistenza  fu  impossibile  :  dato  or- 
dine ai  tuoi  'C'iptndenli  di  difendere  almieno  i  pasti 
riservati,  lasciò  aprire  la  terrazza  e  l'arena.  In  un 
attimo  r  onda  umana  vi  si  rovesciò.  Era  ancora  la 
folla  anonima,  il  popolo  minu'to;  ma  a  poco  per  volta 
ccjminciaA'ano  a  venine  le  persone  di  riguardo,  signori 
e  signcre  eleganti,  dinanzi  alle  cui  carrozze  s'apriva 
l'altra  folla  rimasta  nel  cortile  esterno.  Baldassarre, 
nella   palestra,    additando   alle  dame    i   loro  posti^    si 


-  --85  - 

voltava  tratto  tratito  verso  i  com;pag-ni  :  «  Dite  che  Je 
bande  vengano  qui,  che  ".prendano  pcisto!...  Non  ci  sarà 
la  naiiisica  all'arrivo  del  candidato!...  »  Quelle  bestie 
non  ne  azzeccavano  una!  Impossibile  aver  le  bande, 
neanche  dopo  essersi  sgxDl'ato  un'ora;  tanto  fche  dovè 
correre  eg-Iii  stesso  a  chiamarle  :  «  Che  fate  qui?  Non 
è  '1  vcs'trio  posto!  Venite  dentro!...  »  Egli  non  era 
•più  n.aggiordomo,  ma  le  cose  onalfatte  non  poteva 
toll'erarle.  Uno  del  comitato  non  disse  che  bisognava 
isonare  al  primo  arrivo  del  iprincipe?  Egli  si  guastò  : 
«  Il  ricevim.ento  si  fa  nella  palestra,  non  nel  cortile! 
Vol'ete  darmi  lezioni?...»  E  mise  It  bande  al  posto 
c^ppcrtuno,  orìdinando  :  «  Marci'a  reale  ed  inno  di  Ga- 
ribaldi!... » 

Ora  la  ipalestra  offriva  uno  spettacolo  veramente 
straordinario  :  1'  arena  era  un  mare  di  teste,  serrate  le 
file  delle  sedie,  stretti  come  acciughe  gli  sipettatori  io 
piedi  ;  nella  terrazza  una  folla  variopinta,  sulla  quale 
fiorivano  gli  ombrellini  di  molte  signore  che  non  ave- 
vano trovato  posto  giù.  Ma  1'  aspetto  più  sontuoso  era 
quello  dei  portici:  tutta  la  migliore  società  vi  s'era 
riunita,  le  dame  nelle  (prime  fi'e,  gli  uomini  dietro,  ed 
un  ronzio  come  d'alveare  si  levava  tutt'intorno  :  chiac- 
chiere eleganti,  profezie  sull'esito  delle  elezioni,  batti- 
becchi politici,  ma  specialmente  esclamazioni  d'  impa- 
zienza, tentativi  d'applausi  di  chiamata,  come  al  teatro, 
che  facevano  voltare  il  capo  a  tutti  e  cavare  gli  oro-' 
logi.  Scoccava  già  mezzogiorno,  il  campanone  di  San 
Nicola  dava  i  primi  tocchi,  quando  venne  da  lontano 
uin  sordo  clamore.  «È  qui,  è  qui —  Arriva ci  sia- 
mo!... »  S'udivano  adesso  distintamente  le  grida: 
(c  Viva  Francalanza!...  \'iva  il  nostro  deputato!...»  e 
siooppii  d'applausi  il  cui  fragore  cresceva,  rimìbom- 
bava  nei  corridoi,  faceva  tremare  i  vetri,  destava  tutti 
gli  echi  sopiti  del  monastero.  Dalla  palestra  la  folla 
•s'era  levata  in  piedi,  i  colli  erano  tesi,  gli  sguardi 
fissi  all'arco  d'  ingresso.  Squillarono  a  un  tratto,  into- 
nate   dalle    tre    musiche,    le    prime    note    della    marcia 


-  286  — 

reale  nientre  apparivano  le  prime  bamd'iere,  é  un  urlo 
formidabile,  un  vero  uragano  d'applausi,  di  evviva, 
di  grida  confuse  scoppiò  nel  vasto  recinto,  riecheggiò 
tempestosamente  tra  ^ 'altra  folla  che  circondava  il  can- 
didato. 

Consalvo  avanzavasi,  -pallidissimo,  ringraziaindo  ap- 
pena oon  un  cenno  del  capo,  assordato,  abbacinato, 
sgomentato  dallo  spettacolo.  Dietro  di  lui,  nuovi  tor- 
renti si  riversavano  nelle  terrazze,  nei  portici,  nel- 
l'arena, vincendo  la  resistenza  dei  primi  occupanti  ;  ma 
tuttavia  migliaia  di  mani  applaudivano,  sventolava  o 
fazzoletti  e  cappelli  ;  le  signore,  in  piedi  sulle  seggiole, 
salutavano  coi  ventagli  e  gli  om/brellini,  formavano 
gruppi  pittoreschi  sul  fondo  scuro  della  gran  folla 
mascolina;  e  l'ovazione  si  prolungava,  le  grida  sali- 
vano ad  acuti  stridenti  alle  riprese  della  marcia,  i  bat- 
timani scrosciavano  come  una  violenta  grandinata  sulle 
tegole.  Qua  e  là  piccoli  gruppi  di  avversarii  o  d'  in- 
differenti resitavano  silenziosi,  ma  dall'alto  sembrava 
che  tutta  quella  moltitudine  -avesise  una  sola  bocca  per 

urlare,  due  sole  braccia  per  applaudire.  «  Uno dtie 

due  e  mezzo —  tre  minuti »   alcuni  contavano,  con 

gli  orologi  in  mano,  e  si  vedeva  gente  con  le  lacrime 
agli  occhi,  dalla  comimozione  ;  molti  perdevano  la  voce  : 
stanchi  di  sventolare  i  fazzoletti,  se  li  legavano  ai 
colli  rossi  e  sudati.  «Basta basta....»  diceva  Con- 
salvo, a  bassa  voce,  con  un  senso  di  vera  paura  di- 
nanzi a  quel  mare  urlante,  e  Baldassarre,  da  lontano, 
non  potendo  attraversare  il  muro  vivente  che  lo  .ser- 
rava tutt' intorno,  faceva  segni  disperati  alla  musica; 
e  finalmente  i  sonatori  compresero,  la  musica  fini,  gli 
applausi  e  le  grida  si  spensero;  ma,  ad  u^n  tratto, 
mentre  il  presidente  dei  Comitato  si  faceva  alla  ba- 
laustrata presentando  il  candidato,  squillarono  le  note 
dell'inno   garibaldino,    un   nuovo   fremito   corse   per   la 

folla,    il    delirio   ricominciò Ora    Consalvo,    vinta   la 

paura  del  primo  istante,  ringraziava  piij  francamente  a 
destra  e  a  manca,  e  sorrideva,   sicuro  di  sé,   gonfio  il 


—  287  — 

cuore  di  fiducia  superba.  La  musica  cessò  nuovamente, 
la  folla  si  chetò,  le  bandiere  appoggiate  -alle  colonne 
del  portico  formarono  una  nuova  decorazione:  l'uf- 
ficio di  presidenza,  i  giornalis.i,  gli  stenografi  presero 
posto  alle  loro  tavole  e  i  segretarii  tirarono  fuori  dalle 
cartelle  i  loro  fogli.  Uno  di  essi  sorse  in  piedi,  e  iin 
mezzo  a  un  silenzio  solenne  cominciò  con  voce  stridula 
la  litania  deìle  adesioni.  Ma  la  gente  stancavasi,  ^e 
parole  si  perdevano  in  un  sordo  mormorio.  In  un 
gruppo  di  studenti  motteggiatori  discutevasi  anima- 
tamente se  il  candidato  avrebbe  cominciato  con  l'ari- 
stocratico Signori  o  il  repubblicano  Cittadini?  Uno  af- 
ferniò  :  «  Scommettiamo  che  dirà  Signori  cittadini?  » 
Ma  gli  entusiasti  lanciavano  sguardi  severi  agU  scet- 
tici, intim.iavano  il  isilenzio.  Finalmente  la  litania  fini. 
Consalvo,  con  una  mano  sul  velluto  della  balaustrata, 
voltato  di  fianco,  aspettava.  Ad  un  cenno  del  presi- 
dente, isi  volse  alla  folla  : 

—  Concittadini!...  Se  la  benevolenza  dei  miei  amici 
vi  ha  indotto  a  credere  che  io  possegg'a  le  doti  del- 
l' oratore,  e  vi  ha  qui  adunati  con  la  promessa  che  udrete 
un  vero  e  proprio  discorso,  io  sono  dolente  di  dovervi 
disingannare...  ^ —  La  voce  nitida,  fermia,  sicura,  giun- 
geva da  per  tutto,  debole  ma  chiara  anche  negli  an- 
goli più  rem.,oti.  —  Io  vi  dichiaro,  concittadini,  che 
non  posso,  che  non  so  parlare  ;  tale  è  il  tumulto  di 
impressioni,  di  aentim.enti,  d'affetti  che  sconvolge  in 
questo  mo'niento  l'animo  mio.  (Gli  istenografi  notarono  : 
Benissimo!)  Io  sento  che  fino  ai  miei  giorni  più  tardi 
non  si  potrà  più  cancellare  il  ricordo  di  questo  mo- 
mento indescrivibile,  di  questa  immensa  corrente  di 
simpatia  che  mi  circonda,  che  m'incoraggia,  che  mi 
riscalda,  che  infiamma  il  mio  cuore,  che  ritorna  a  voi 
altrettanto  viva  e  gagliarda  e  sincera  quale  viene  dai 
vx)stri  cuori  a  me.  [Applausi  prolungati.)  Ma  questa 
restituzione  è  troppo  poca  cosa  e  non  vale  a  sdebi- 
tarmi :  tutta  la  mia  vita  dedicata  al  vostro  servigio  sarà 
bastevole  appena.  (Applausi.)  Concittadini!...  Voi  chic- 


—  288  — 

dete  un  programma  a  chi  sollecita  l'onore  del  vostri 
suffragi  ;  il  mio  programma,  in  mancanza  d'altri  me- 
riti, lavrà  quello  della  brevità  ;  esso  compendiasi  in  tre 
sole  parole:  Libertà,  progresso,  democrazia....  (Batti- 
mani fragorosi  ed  en'hisiastici).  Un  superstizioso  con- 
tento occupa  r  animo  mio,  nell'  udir  voi,  liberi  citta- 
dini, coronare  d'applausi  non  me,  ma  queste  sacre 
parole,  qui,  tra  questi  vecchi  muri  che  furono  un  tempo 
cittadella  dell'  ignavia,  del  privilegio,  dell'  oscuranti- 
smo teologico {Scoppio  unanime  di  approvazioni  cla- 
morose) qui,  tra  queste  mura,  già  covo  dell'ignoranza, 
oggi  vivido  faro  da  cui  radia  la  luce  del  vittorioso 
pensiero!  {Nuovo  scoppio  di  frenetici  hattim^ani,  la 
voce  dcU'ora'iorc  è  soffocata  per  alcuni  minuti.)  Con- 
cittadini, la  nnia  fede  in  questi  grandi  ideali  umani 
non  è  nuova,  non  data  da  questi  giorni,  in  cui  tutti 
la  sfoggiano,  come  i  g-alanti  vantano  le  grazie  della 
donna  desiderata {lìaritii)  protestando  di  non  vo- 
lerne  i   favori —   {Nuova   ilarità)   ma    di    star   paghi   a 

sospirarla    da    lungi (Risa    generali.)    La    mia    fede 

data  dall'alba  della  mia  vita,  quando  i  pregiudizii  di 
casta  che  io  conobbi,  ma  che  non  mi  duole  di  aver 
conosciuti,  perchè  ora  sono  meglio  in  grado  di  com- 
batterli—  (Benissimo!)  mi  vollero  chiuso  qui,  tra 
questa  muri.  Permettetemi  eh'  io  vi  narri  un  aneddoto 
di  quei  giorni  lontani.  Erano  i  tempi  in  cui  Garibaldi 
il  Liberatore  correva  trionfalmente  da  un  capo  al- 
l'altro del  feudo  borbonico  per  farne  una  libera  pro- 
vincia 'della  libera  patria  italiana (Bravo!  beìie!)  Io 

ero  allora  fanciullo,  ed  alla  mia  mente  inesperta  ed 
ignara  il  nome  di  GaribaldS  sonava  come  quello  di 
un  .guerriero  formidabile  che  -altre  leggi  non  cono- 
scesse fuorché  le  dure,  le  violente  leggi  di  guerra. 
Un  giorno  corse  una  voce  ;  Garibaldi  era  alle  porte 
della  nostra  città  ;  i  Padri  Benedettini  si  disponevano 
ad  ospitarlo —  non  potendo  subissarlo  coi  suoi  diavol' 
rossi —  (Si  ride.)  Ed  io  quasi  temetti  di  guardare  in 
viso  quel  fulmine  di  guerra,  come  se  col  solo  sguardo 


—  289  — 

dovesse  incenerirmi.  Ed  un  giorno  i  miei  compa- 
gni .  m'additarono  l'Eroe  dei  due  mondi.  Allora  io 
vidi  quel  biondo  Arcangelo  della  libertà  intento,  sa- 
pete voi  a  qual  opera?  A  coltivare  le  rose  del  nostro 
giardino!  Da  quel  giorno,  la  rivelazione  di  quel  cuore 
vasto  e  generoso,  dove  la  forza  leonina  s'accoppiava 
alla  gentilezza  soave....  {Scroscio  di  applausi)  di  quel- 
l'uomo che,  conquistato  un  regno,  doveva,  come  Cin- 
cmnato,  ridursi  a  coltivare  il  sacro  scoglio,  dove  oggi 
aleggia  '1  magnanimo  spirito  di  Lui,  che  fu  a  ragione 
chiamato   il  Cavaliere   dell'umanità —  » 

Gli  stenografi  smisero  di  scrivere,  tale  uragano  d'  ap- 
plausi e  di  grida  si  scatenò.  Urlavano  :  «  Viva  Franca- 
lanza  !...  Viva  Garibaldi  !...  Viva  il  nostro  deputato  !...  » 
e  le  parole  del  principe  si  perdevano  nel  clamore  uni- 
versale, vedevasi  solamente  la  bocca  che  s'apriva  e 
chiudeva  come  masticando,  il  braccio  che  gestiva  ro- 
tondamente per  finire  l'aneddoto:  la  confusione  tra 
Menotti  Garibaldi  e  il  padre,  la  sostituzione  di  sé  stesso 
al  morto  cugino....  «  Silenzio  !..,  Parla  ancora  !...  Viva 
Garibaldi!...  Viva  il  principino!...  »  Tratto  di  tasca  il 
fazzoletto,  egli  lo  sventolò  gridando  :  «  Viva  Garibaldi  ! 
\'iva  r  Eroe  dei  due  inondi  !...  »  Poi,  aspettando  il  si- 
lenzio, si  terse  la  fronte  imperlata  di  sudore. 

—  Concittadini,  —  riprese  quando  fu  ristabilita  la 
calma,  —  io  sono  giovane  d'  anni,  e  la  vita  potrà  ap- 
prendermi molte  cose  e  dimostrarmi  la  fallacia  di  molte 
altre,  e  darmi  quell'esperienza,  quel  senno  maturo  che 
ancora  forse  non  ho;  ma  quali  che  sieno  le  vicende  e 
le  prove  che  l'avvenire  mi  serba,  una  cosa  posso  affer- 
mare fin  da  questo  momento,  sicuro  che  per  volger 
d'  anni  o  per  mutar  di  fortuna  non  potrà  venir  meno  : 
la  mia  fede  nella  democrazia  !...  {Salva  d'  applausi  entu- 
siastici). Questa  fede  mi  è  cara  com'è  cara  al  capitano 
la  bandiera  conquistata  nella  battaglia....  {Scoppio  di 
battimani).  AH'  alpigiano  che  passa  tutti  i  suoi  giorni 
tra  le  cime  dei  monti,  il  grandioso  spettacolo  nulla  dice, 
o  ben  poco  ;  all'  alpinista  che  è  partito  dalla  pianura,  che 

De   Roberto.   1    Viceré  -  II  19 


—  2go  — 

ha  conquistato  a  grado  a  grado  1'  ardua  vetta  sublime, 
il  cuore  s'  allarga  di  gioia,  si  gonfia  di  giusta  superbia 
nel  contemplare  il  meritato  orizzonte  {Ovazione  generale 
e  prolungata).  Cittadini  !  Io  non  voglio  turbare  la  solen- 
nità di  questa  adunanza  portando  dinanzi  a  voi  le  pic- 
cole gare  in  cui  si  affannano  le  anime  piccole  ;  ma  voi 
sapete  che  un'accusa  mi  fu  lanciata;  voi  sapete  che 
mi  dissero....  aristocratico —  Gli  stenografi  non  sep- 
pero se  notare  impressione  o  silenzio  o  movimenti  di- 
versi; ma  già  r  oratore  incalzava  :  —  Quest'  accusa  è 
fondata  sui  miei  natali.  Io  non  sono  resiponsabile  della 
mia  nascita —  {Noi  No!)  né  voi  della  vostra,  né  al- 
cuno  della   propria,    visto    e   considerato    che    quando 

veniamo  al  moiido  non  ci  chiedono  il  nostro  parere 

{Ilarità  fragorosa).  Io  sono  responslibile  della  mia  vita  ; 
e  la  mia  vita  è  stata  tutta  spesa  in  un'  opera  di  reden- 
zione :  redenzione  dai  pregiudizii  sociali  e  politici,  re- 
denzione morale  e  intellettuale;  e  nuUa  è  valso  ad  ar- 
restar quest'  opera  :  né  le  facili  seduzioni,  né  le  deri- 
sioni ironiche,  né  i  sospetti  ingiuriosi  ;  né,  più  gravi  al 
mio  cuore,  le  opposizioni  incontrate  nello  stesso  focolare 
domestico —  {Bene!  bravo!  applausi).  Voi  vedete  che 
io  non  posso  più  rinunziare  a  questa  fede  ;  essa  mi  é 
tanto  più  cara  e  preziosa,  quanto  più  mi  costa.... 
{Scoppio  di  battimani  fragoroso  e  prolungato.  Grida  di 
Viva  Francalanza  !...  Viva  la  Democrazia!...  Viva  la 
Libertà!...  L'oratore  è  costretto  a  tìacere  per  qualche 
minuto). 

Il  piacere,  l'ammirazione  erano  in  ogni  animo  :  negli 
amici  che  vedevano  assicurato  il  trionfo,  negli  avver- 
sarli che  riconoscevano  la  sua  abilità,  nella  stessa  gente 
minuta  che  non  comprendeva,  ma  esclamava  :  «  Ma  che 
avvocato  !  Non  ci  sono  avvocati  capaci  di  parlare  così  » 
e  le  signore,  animatissime,  godevano  come  allo  spetta- 
colo, scambiando  osservazioni  suH'  arte  e  sulla  persona 
del  principe  quasi  fosse  un  primo  attore  recitante  la 
sua  parte. 

—  Ma   voi,   concittadini,    —   riprese   egli,   —   giudi- 


—  291  — 

cherete  forse  che  se  questa  fede  compendia  tutto  un 
progTamfma,  è  mestieri  che  un  legislatore  si  tracci  una 
precisa  linea  di  condotta  in  tutte  le  particolari  quistioni 
riflettenti  T  orrentamento  politico,  l'ordinamento  delle 
arruministrazioini  pubbliche,  il  regime  economico  e  via 
dicendo.  Permettetemi  dunque  di  dirvi  le  mie  idee  in 
proposito.  Disciolte  le  antiche  parti  parlamentari,  non 
ancora  si  delineano  le  nuove,  io  auguro  pertanto  la  for- 
mtazione,  e  seguirò  le  sorti  di  quel  partito  che  ci  darà 
la  libertà  con  1'  ordine  all'  interno  e  la  pace  col  rispetto 
air  estero  (Benissimo,  applausi),  di  quel  partito  che  rea- 
lizzerà tutte  le  riforme  legittime  conservando  tutte  le 
tradizioni  rispettabili  [Bravo  !  bene  !)  ;  di  quel  part"to 
che  restringerà  le  spese  folli  e  largheggerà  nelle  pro- 
duttive {Vivissimi  applausi),  di  quel  partito  che  non 
presumerà  colmare  le  casse  dello  Stato,  vuotando  le 
tasche  dei  singoli  cittadini  [Ilarità  generale,  applausi), 
di  quel  partito  che  proteggerà  la  Chiesa  in  quanto  po- 
tere spirituale,  e  la  infrenerà  in  quanto  elemento  di  ci- 
vili discordie  [Approvaaioni) ,  di  quel  partito,  insomma, 
che  asisicurerà  nel  m.odo  piìi  equo,  per  la  via  più  diritta, 
nel  tempo  fpiti  breve,  la  prosperità,  la  grandezza,  la 
forza  della  gran  patria  comune  [Applausi  getìerali). 

Veramente  gli  applausi  non  furono  generali  a  questo 
passo,  e  anzi  qualche  colpo  di  tosse  partito  da  un 
angolo  fece  voltare  mdlte  teste. 

—  Voi  mi  direte,  —  proseguiva  però  l'oratore,  — 
che  questo  ^programima  è  troppo  vasto  ed  eclettico  ; 
perchè,  secondo  un  proverbio,  è  impossibile  avere  ad  un 
tempo  la  botte  piena  e  la  moglie  ubbriaca  (Ilarità). 
La  botte  piena,  c^enza  poterne  spillare  1'  inebbriante  li- 
quore, rappresenterebbe  una  ricchezza  inutile,  e  tanto 
varrebbe  che  contenesse  acqua  o  un  altro  fluido  qualun- 
que ;  ma  quanto  ad  avere  anche  la  moglie  ubbriaca, 
sarebbe  in  verità  troppa  grazia  :  mie  ne  appello  a  tutti 
i  mariti.  (Scoppio  d' ilarità  clamorosa,  battimani  vivi  e 
replicati.)  Bisogna  attingere  dalla  botte  quel  tanto  di 
vino  che  basti  a  saziar  la  sete,  a  letificare  io  spirito-. 

De  Roberto.  I   Ttcef»  -  Il  19* 


—  292  — 

Dicono  i  Francesi  :  Si  jeuneusse  savaitl  Si  vieiUesse  pou~ 
vait  !  Questo  che  è  impossibile  nella  vita  d'  un  sol  uomo» 
non  solo  è  possibile,  ma  necessario  nella  vita  collett'va 
dei  popoli.  Il  legislatore  deve  possedere  le  audacie  della 
gioventù  accoppiate  ^1  senno  della  vecchiaia  ;  la  legge 
deve  tener  conto  di  tutti  gli  interessi,  di  tutte  le  cre- 
denze, di  tutte  le  aspirazioni  per  fonderle  e  armoniz- 
zarle :  essa  è  necessariamente  regolata  sull'esperienza 
del  passato,  ma  non  deve  né  può  tarpar  1'  ali  all'  avve- 
nire !  (Ovazione.)  Pertanto,  invidiabili  e  invidiate  sono 
le  nostre  istituz.'oni,  che  mediante  un  prudente  equili- 
brio tra  i  due  rami  del  Parlamento  e  il  potere  esecutivo, 
permettono  che  ci  s'  avvicini  alla  suprema  conciliazione. 
Ma,  come  tutte  le  cose  umane,  queste  istituzioni  non 
sono  perfette,  bensì  perfettibili,  e  a  tal  opera  di  continuo 
miglioramento  io  dedicherò  tutte  le  mie  forze,  scevro 
come  sono  e  di  paure  e  di  feticismi.  Lo  Statuto  può  e 
deve  essere  migliorato.  Questa  necessità  è  intesa  da 
tutti  :  dal  popolo  che  reclamia  intera  la  sua  sovranità, 
al  Re  che  riconosce  la  sua  dal  popolo.  (Approvazioni.) 
Per  nostra  fortuna,  Popolo  e  Re  sono  oggi  in  Italia 
tutt*  uno  (Applausi)  e  la  monarchia  democratica  di  Casa 
Savoia  spiega  e  legittima  i  sentimenti  democraticamente 
monarchici  degli  Italiani.  (Benissimo  !)  Fin  quando  se- 
deranno su]  trono  principi  leali  e  re  galamtuomini,  il 
dissidio  sarà  impossibile,  la  nostra  fortuna  sicura  ! 
(Scroscio  di  applausi  prolungati,  grida  di  :  Viva  il  Re!... 
Viva  r  Italia  !...  La  voce  dell'  oratore  è  coperta  dai  bat- 
timani.) Ma  poiché  l'assetto  creila  sovranità  popolare 
e  il  benessere  delle  classi  laboriose  debbono  essere  scopo 
precipuo  dei  legislatori,  sarà  impossibile  raggiungerlo 
se  non  verranno  a  sedere  alla  Camera  i  più  legittimi,  i 
più  diretti  rappresentanti  del  popolo.  Lasciatemi  quind* 
augurare  che  molti  candidati  operai  riescano  eletti. 
Molti  combattono  le  candidature  operaie,  forti  del 
motto  inglese  che  ^uona  :  the  righi  man  in  the  tight 
place.  Ma  essi  dimenticano  che  questa  citazione  è  una 
spada  a  due  tagli,   e  che  allorquando   il    Parlamento 


—  293  — 

dovesse  occuparsi  di  quistioni  operaie,  the  rigìit  men 
in  the  righi  pìaces  sarebbero  appunto  i  cittadini  ope- 
rai {Bene  !  Bravo  .')  Una  volta  un  parrucchiere  s'  im- 
pancò a  critico,  e  il  celebre  Voltaire,  seccato  da  tanta 
presunzione,  gli  disse:  «Mastro  Andrea,  fate  piut- 
tosto parrucche.  »  {Ilarità).  Ma  se  si  fosse  trattato  di 
dover  fare  parrucche,  e  Voltaire  avesse  voluto  dire  la 
sua,  mastro  Andrea  avrebbe  potuto  rispondere  al  ce- 
lebre poeta  :  «  Signor  Voltaire,  fate  tragedie  piuttosto  ! 
{Ilarità  fragorosa,  applausi  prolungati).  Concittadini, 
la  quistione  sociale,  bisogna  riconoscerlo  francamente, 
preme  in  questo  momento  più  che  tutte  le  altre.  È  essa 
nuova?   No,    certo.    Facciamone   un   poco   la   storia — 

—  Ci  siamo!  Adesso  stiamo  freschi!...  —  mormo- 
rarono qua  e  là  gli  avversari!,  gli  studenti  ;  ma  voci 
crucciate  ingiunsero;  «Silenzio!»  mentre  l'oratore, 
prese  le  mosse  da  Adamo  ed  Eva  e  da  Caino  ad  Abele, 
galoppava  per  la  Babilonia,  l' Egitto,  la  Grecia  e 
Roma,  saltava  a  pie'  pari  il  medio-evo,  piomibava  nel- 
r  Ottantanove,  si  arrestava  al  principe  di  Bismarck  ed 
al  socialismo  della  cattedra.  L'  attenzione  del  pubblico 
cominciava  a  diminuire,  tuttavia  molti  si  sforzavano  dì 
seguirlo  in  quella  corsa  pazza.  «  Lo  Stato  dovrà  dun- 
que essere  l' incarnazione  della  divina  Provvidenza  ? 
(Ilarità.)  y^  No,  dove  lo  Stato  non  può  arrivare,  deve 
supptlire  r  iniziativa  Individuale;  quindi  Trade-unions, 
probiviri,  cooperative,  libertà  di  sciopero.  Era  cosi 
sciolta  la  quistione  sociale  ?  «  No,  ci  vuol  altro  !  » 

Qualche  signora  sbadigliava  dietro  il  ventaglio  la 
gente  che  desinava  all'  una  se  la  svignava.  Ma,  final- 
mente, dichiarato  che  i  problemi  sociali  «  sono  nodi 
gordiani  che  nessuna  spada  deve  tagliare,  ma  che 
l'amoroso  studio  e  1' industre  pazienza  possono  scio- 
gliere, »  r  oratore  passava  alla  politica  estera.  «  L'  as- 
setto dell'  Europa,  sarebbe  vano  celarlo,  risente  ancora 
delle  preoccupazioni  della  ,Santa  Alleanza.  »  L'  unità 
germanica  doveva  soddisfare  gì'  Italiani,  ma  forse  il 
panslavismo  era  un  fenomeno  non  scevro  di  pericoli* 


—  294  — 

((  Io  credo  che  s'  apponesse  il  principe  di  Metternich 
quando  diceva....  Non  sfug-gi  tuttavia  all'acuto 
so uardo  del  conte  di  Cavour....  È  certo  che  il  con- 
celto  del  celebre  Pitt....  »  Sfilavano  tutti  gli  uomini  di 
Stato  passati  e  presenti,  entravano  in  /ballo  Machiavelli, 
Gladstone,  Campanella,  Macaulay,  Bacone  da  Verula- 
mio;  l'oratore  chiedeva  a  sé  stesso:  «  Qual  è  la  m's- 
sione  storica  dell'Inghilterra?...  Però  la  Spagna,  se 
udisse  la  voce  del  sangue?...  »  Tutto  questo,  pel  tra- 
dimento di  Tunisi  !  «  No,  non  è  stata  la  Francia  dì 
Magenta  e  Solferino  ;  è  stata  la  Francia  di  Brenno 
e  di  Carlo  \  III  !...  »  L'uditorio  isi  scosse  un  poco; 
gli  stenografi  annotarono  :  grandi  applausi.  Ma  gli 
antagonismi  di  razza  si  sarebbero  un  giorno  composti; 
allora,  .sarebbero  sorti  gli  Stati  Uniti  d'  Europa.  «  Però, 
come  ottimamente  disse  Camillo  Benso,  »  la  pace  an- 
dava cercata  nelle  fide  alleanze  e  nei  forti  battaglioni 
(Beniss'im^o).  «  Ferve  la  lotta  tra  i  sostenitori  delle 
grandi  navi  e  delle  piccole  :  io  credo  che  le  une  e  le 
altre  siano  necessarie  all'odierna  guerra  marittima. 
Caio  Duilio  distrusse  la  flotta  cartaginese  mutando  la 
battaglia  navale  in  terrestre.  [Bravo  !  applausi.)  »  Cosi, 
«  un  igiorno  non  lontano,  rivendicati  i  nostri  naturaJi 
confini  (Applausi  vivissimi),  riunita  in  un  sol  fascio  la 
gènte  che  parla  la  lingua  di  Dante  {Scoppio  di  ap- 
plausi) stabilite  le  nostre  colonie  in  Africa  e  forse 
anche  in  Oceania  [Benissimo  !)  noi  ricostituiremo  1'  Im- 
pero romano  !  [Ov'a:;ione). 

Subito  dopo  passò  alla  quistione  delle  finanze. 

—  Quivi   sospiri,   pianti  ed  alt!  guai —  [Ilarità). 

Ma  i  guai  non  erano  senza  riparo.  «  Non  facciamo  per 
carità  di  patria  confronti  con  gli  Stati  Uniti  d'  Ame- 
rica.... ))  Prima  di  .tutto  occorreva  riformare  il  sistema 
tributario.  «Paul  Leroy  Beaulieu  dice Secondo  l'o- 
pinione dell'illustre  Smith »  Citazioni  e  cifre  si  ac- 
cavallavano. Pochi  lo  seguivano  ormai  in  quelle  elu- 
cubrazioni, altra  gente  andava  via,  le  signore  sbadi- 
gliavano  francamente.    «  Passiamo   adesso   ai    trattati 


—  295  — 

di  com,mercio. ...  Consideriamo  l'ufficio  dei  comizii 
agrarii...  »  Ad  ogni  annunzio  di  nuovo  argomento,  pic- 
coli gruppi  di  spettatori  seccati  se  ne  andavano  :  «  Bel- 
lissimo d'i'scorso,  ma  dura  troppo —  »  Gli  uscenti  co- 
string^evano  la  folla  a  tirarsi  da  canto,  i  fedeli  ingiun- 
gevano :  u  Silenzio  !  »  e  Baldassarre  non  si  dava  pace, 
vedendo  1'  ineducazione  del  pubblico.  «  Amministra- 
zione della  giustizia Giustizia  nell'amministrazio- 
ne. Discentrare  accentrarydo,  accentrare  discentran- 
do.... »  Quanto  alla  marina  mercantile,  il  sistema 
-dei  premii  non  era  scevro  d'  inconvenienti.  Poi,  «  ri- 
forma postale  e  telegrafica,  Jegislazione  dei  telefoni  ; 
non  bisogna  neppure  dimenticare  l' idra  della  buro- 
crazia.... » 

Adesso  si  vedevano  larghi  vuoti  nell'  arena  e  nei 
portici,  specialmente  nelle  terrazze  dove  il  sole  arro- 
stiva i  cranii.  «  Ma  questo  non  è  un  programma  elet- 
torale, è  un  discorso  ministro  !...  »  sogghignavano  al- 
cuni; l'uditorio  era  schiacciato  dal  peso  di  quell'eru- 
dizione, di  quelle  nomenclature  monotone  ;  la  luce 
troppo  chiara,  il  silenzio  del  monastero  ipnotizzava  la 
gente;  il  presidente  del  comizio  abbassava  lentamente 
la  testa,  vinto  dal  isonno  ;  ma,  ad  uno  scoppio  di  voce 
del  candidato,  la  rialzava  rapidamente,  guardando  at- 
tonito attorno;  i  musicanti  sbadigliavano,  morendo  dì 
fame,  Baldassarre  dava  di  tanto  in  tanto  il  segnale 
degli  applausi,  incorava  i  fedeli  anch'essi  accasciati  e 
vinti;  si  disperava  vedendo  passare  inosservate  le  bel- 
Tissiime  cose  dette  dall'  oratore.  Questi  parlava  da 
un'ora  e  mezza,  era  tutto  in  sudore,  la  sua  voce  s'ar- 
rochiva, il  braccio  desLro  infranto  dal  continuo  gestire 
si  rifiutava  oramai  al  suo  ufficio.  Egli  continuava  tut- 
tavia, deciso  ad  andare  sino  in  fondo,  nonostante  la 
stanchezza , propria  e  del  pubblico,  perchè  si  dicesse  che 
aveva  parlato  due  ore  difilato.  A  un  tratto  alcune 
seggiole  rovesciate  dalla  gente  che  .scappava  fecero  un 
gran  fracasso.  Tutti  si  voltarono,  temendo  un  mciden- 
te  spiacevole,   una   rissa;  l'oratore  fu  costretto  a  ta- 


29^   

cere  un  momento.  Riprendendo  a  parlare,  la  voce  g^H 
lisci  rauca  e  fidca  dalla  strozza  ;  non  ne  poteva  più, 
ma  era  alla  perorazione^ 

—  Queste  ed  altre  riforme  io  vagfheggio,  non  ciedo 
tuttavia  di  dover  abusare  della  vostra  pazienza.  — 
Sospiri  di  sollievo  uscirono  dai  petti  oppresisi.  —  Con- 
cittadini !  Se  voi  mi  manderete  alla  Camera,  io  dedi- 
cherò tutto  (mie  stesso  all'  attuazione  di  questo  pro- 
gramma. {Bene  !  Bravo  !).  Io  non  presumo  di  essere 
infallibile,  perchè  non  sono  né  profeta  né  figlio  di  pro- 
feta {Si  ride)  accoglierò  pertanto  con  lieto  animo,  anzi 
sollecito  fin  da  ora  i  miei  concittadini  a  suggerirmi 
quelle  idee,  quelle  proposte,  quelle  iniziative  che  cre- 
dono giuste  e  feconde  (Benissimo).  Il  nostro  motto 
sia:  Fiat  lux!  {Applausi).  Luce  di  scienza,  di  civiltà, 
di  progresso  costante  {Scoppio  di  applausi).  Il  pensiero 
della  patria  stia  in  cima  ai  nostri  cuori  {Approvazioni). 
La  patria  nostra  é  quest'  Italia  che  11  pensiero  di  Dante 
divinò,  e  che  i  nostri  padri  ci  diedero  a  costo  di  san- 
gue {Vivissimi  applausi).  La  nostra  patria  è  anche 
quest'  isola  benedetta  dal  sole,  dov'  ebbe  culla  il  dolce 
tstil  noA'o  e  donde  partirono  le  più  gloriose  iniziarive 
{Nuovi  applausi).  La  nostra  patria  è  finalmente  que- 
sta cara  e  bella  città  dove  noi  tutti  formiamo  come 
una  sola  famiglia  {Acclamazioni).  Dicesi  che  i  depu- 
tati rappresentino  la  Nazione  e  non  i  singoli  collegi. 
(Ma  in  che  consistono  gì'  interessi  nazionali  se  non 
neMa  somma  degli  interessi  locali  ?  {Benissimo,  ap- 
plausi) Io,  quindi,  se  *^ol,gerò  la  mente  allo  studio  dei 
g:randi  problemi  della  politica  generale,  credo  di  po- 
tervi promettere  che  avrò  a  cuore  come  i  miei  proprii 
g-li  affari  più  specialmente  riguardanti  la  Sicilia,  que- 
sto collegio,  la  mia  città  natale  e  tutti  i  singoli  miei 
concittadini  {Grande  acclamazione).  Grato  a  voi  tutti 
dell'  indulgenza  con  la  quale  m'  avete  ascoltato,  io  fi- 
nisco invitandovi  a  sciogliere  un  triplice  evviva.  Vìva 
l'Iitalia  !  {Scroscio  d'  applausi,  grida  di  :  Viva  1'  Italia  !) 
Viva  il  Re  !   {Generali  e  fragorosi  hattimayii.)  Viva  la 


—  297  — 

iibertà  !  {Tutto  il  pubblico  in  piedi  applaude  e  acclama. 
Si  .sventolano  i  fazzoletti,  si  grida  :  Viva  Francalanza  ! 
Viva  il  nostro  deputato  !  Il  presidente  abbraccia  V  ora- 
tore. Commozione  generale,  entusiasmo  indescrivibile). 
Consalvo  non  ne  poteva  più,  sfiancato,  rotto,  esau- 
sto da  una  fatica  da  istrione  :  parlava  da  due  ore  da 
due  ore  faceva  ridere  il  pubblico  come  un  brillante,  lo 
-commoveva  come  im  attor  tragico,  si  sgolava  come 
un  ciarlatano  per  vendere  la  sua  pomata.  E  mentre  la 
anarcia  reale,  intonata  per  ordine  di  Baldassarre,  spro- 
nava l'entusiasmo  del  pubblico,  nel  gruppo  degli  stu- 
denti canzonatori   domandavano  : 

—  Adesso  che   ha   parlato,    mi   sapete   ripetere   che 
ha  detto? 

.< 
Negli  ultijTii  giorni,  1'  ansietà  di  Consalvo  divenne 
febbre  scottante.  La  riuscita  non  poteva  mancare,  ma 
egli  voleva  essere  il  primo.  Il  suo  comitato  oramai  era 
tutta  la  città,  tutto  il  collegio,  elettori  e  non  elettori. 
I  cartelloni  con  la  scritta  :  Votate  pel  Principe  di  Fran- 
calanza, Eleggete  Consalvo  Uzeda  di  Francalanza,  E 
candidato  al  primo  Collegio  il  Principe  Consalvo  di 
Francalanza  crescevano  di  dimensioni,  erano  lenzuola 
di  carta  con  lettere  d'  una  spanna  :  sembrava  che  gli 
stessi  muri  gridassero  il  suo  nome....  Il  primo!  il 
primo!   Egli  voleva  essere  il  primo!... 

La  sera  della  vigilia  e'  era  al  palazzo  un  vero  pan- 
demonio :  tutti  domandavano:  «Il  principe?...  Dov'è 
il  principe?...»  ma  la  gente  di  casa  rispondeva  che 
egli  era  presso  lo  zio  duca,  il  quale  stava  poco  bene. 
Nondimeno  il  lavoro  progrediva  alacremente,  come  se 
egli  ci  fosse.  Erano  venuti  i  rappresentanti  di  Giar- 
dona  e  Lisi,  per  concretare  la  lista  degli  uffici  eletto- 
rali; frattanto  si  preparavano  a  partire  coloro  cui  toc- 
cava andare  a  vigilare  nelle  sezioni  rurali.  A  mezza- 
notte arrivò  il  principe.  L'  adunanza  si  protrasse  fino 
alle  due,  quando  partirono  le  prime  carrozze  per  le 
sezioni  lontane. 


—  298  — 

E  il  domani,  costituiti  gli  ufficii,  coininciata  la  vota- 
zione, insieme  con  la  notizia  della  vittoria  del  principe 
—  perchè  gli  elettori  dichiaratisi  per  lui  erano  migliaia» 
venivano  apposta  dalle  villeggiature,  si  facevano  tra- 
scinare alle  urne  sopra  le  seggiole  se  non  potevano  an- 
dare coi  loro  piedi  —  una  voce  si  sparse,  dapprima 
sorda,  poi  sempre  più  alta  fra  i  seguaci  di  Lisi  :  «  Tra- 
aJmento  !  tradimento!...»  Il  principe,  affermavano,  si 
era  messo  d'accordo,  nelJe  ultime  ore  della  sera  in- 
nanzi, con  Vazza;  alcuni  precisavano  :  L'abbiamo  visto 
noi  entrare  in  casa  dell'avvocato,  verso  le  undici —  » 
e  sostenevano  che  li  si  fosse  complottato  il  tradimento, 
l'accordo  coi  clericali,  l'abbandono  di  Lisi,  fors'anche 
quello  di  Giardona.  «Come,  quando?  Che  diavolo  in- 
fiinocchiiate  ?  II  principe  è  stato  in  casa  del  duca,  non 
si  è  mosso  di  11  !....  »  rispondevano  i  suoi  fautori  nel 
tripudio  della  vittoria  già  assicuraita. 

Al  palazzo,  verso  il  tramonto,  arrivarono  i  primi  te- 
legramimi  delle  sezioni  di  prov'incia  ;  ma  quei  risliltati 
non  erano  tutti  egualmenfte  favorevoli  :  i  candidati  lo- 
cali avevano  forti  maggioranze;  il  posto  del  principe, 
nelle  prime  somme,  oscillava  fra  il  secondo  ed  il  terzo. 
Consalvo,  pallidissimo,  aveva  la  febbre.  Ma,  come  ve 
nivano  i  risultati  delle  sezioni  urbane,  la  sua  posi- 
zione si  consolidava  ;  del  terzo  posto  non  si  parlava  più  ; 
egli  stava  con  Vazza  tra  il  primo  e  il  secondo.  Quando 
arrivarono  gli  ultimi  telegrammi  e  gli  ultimi  messi  con 
le  cifre  definitive,  non  vi  fu  più  dubbio  :  egli  era  il 
primo  con  6043  voti;  veniva  dopo  Vazza  con  5989; 
poi  Qiardona  con  4914;  il  radicale  Marcenò  restava 
fuori  con  3309;  Lisi  precipitava  con  meno  di  3000  voti; 
gli  altri  erano  tu'tti  a  distanza  di  migliaia  di  voti,  con 
2000,  con  1000  appena.  Giulente  non  ne  aveva  più 
di  700  ! 

Era  notte  alta,  ma  il  palazzo  Francalanza,  illumi- 
nato a  giorno,  risplendeva  da  tutte  le  finestre.  Una 
folla  «(terminata  traeva  a  coingratularsi  «  cOl  primo 
eletto  del  popolo  »  ;  per  le  scale  era  un  brusio  ince** 


—  299  — 

sante;  nelle  sale  non  si  respirava.  Consajvo,  raggiante, 
circolava  a  st&nto  in  mezzo  alla  folla  comipatta,  affer- 
rava tutte  ìe  mani,  .si  s'trilhgeva  addosso  a  tutte  le 
persone,  guarito  interamente,  come  per  incanto,  dalla 
mania  dell'  isolamento  e  dei  contagi,  nella  pazza  gioia 
del  magnifico  triomfo.  E  quando  una  grande  fiacco- 
lata, un'  imniensa  dimostrazione  con  imusiche  e  ban- 
diere, venne  ad  acclamarlo  freneticamente,  egli  sì  fece 
al  balcone,  arriìngò  la  folla,  si  diede  novamente  in 
pascolo  alla  sua  curiosità,  come  un  tribuno. 

Per  tre  giorni  la  città  fu  in  un  continuo  fermento  : 
ogni  sera  la  dimostrazione  si  rinnovava,  V  entusiasmo 
invece  di  raffreddarsi  cresceva.  Fra  il  basso  popolo, 
una  canzonettia,  sull'aria  del  Mastro  Raffaele,  furo- 
reggiava : 

Evviva  il  iprincipino 
Che  paga   a  tutti    il   vino; 
Evviva    Fraoalanza 
Che  a  tutti  empie  la  panza. 

Gruppi  di  ubbriachi  gridavano  :  «  Viva  ^''ittorio  Ema- 
nuele !  Viva  la  rivoluzione!  Viva  Sua  Santità!...» 
cose  ancora  più  pazze.  Per  tre  gionni  il  palazzo  restò 
ancora  invaso  dalla  gente  che  veniva  a  congratularsi  : 
una  prccessicine  incessante  dalle  dieci  del  mattino  a 
mezzanotte,  con  appena  due  ore  di  sosta  per  la  cola- 
zione ed  il  pranzo.  Modestamente,  egli  tentava  par- 
lare dei  risultati  generali,  d'eir«  ottimo  esperimento  » 
che  aveva  fatto  la  nuova  legge,  del  senno  di  cui  ave- 
vano dato  prova  gii '  Italiani;  ma  non  lo  lasciavano 
dire,  .gli  parlavano  soltanto  di  lui,  della  «sua  clamo- 
rosa, meritata  vittoria. 

Il  quarto  giorno  usci  nelle  vie.  Si  spezzò  il  braccio, 
dalle  tante  .scaippellate,  dalle  tante  strette  di  m'ano.  La 
gio)ia  gli  si  leggeva  in  viso,  traspariva  da  tutti  i  suoi 
atti  e  da  tutte  le  sue  parole,  nonostante  lo  studio  per 
contenerla.  Stanco  di  veder  gente,  per  assaporare  altri- 
menti il  proprio  trionfo  pensò  dì  far  viteita  ai  parenti. 


—  300  — 

Cominciò  dal  duca,  che  veramente  stava  male,  con  gli 
ottanta  anni  di  maneggi  e  d'intrighi  sulle  spalle. 

—  È  contenta  Vostra  Eocellenza  dei  risultati  ?  — 
gli  domandò  Consalvo. 

Ma  il  vecchio,  quantunque  aveisise  raccomandato  a 
tutti  il  nipote  perchè  il  potere  restaase  in  famiglia, 
pure  non  sapeva  difendersi  da  un  senso  d'  invidia  ge- 
losa pel  nuovo  astro  che  sorgeva,  mentre  egli  non  solo 
era  tramontato  politicamente,  ma  (sentiva  di  aver  poco 
eia  vivere. 

—  Ho  sentito....  va  bene.... — borbottò  seccamente. 

—  Ha  vilsto  pure  che  nel  resto  d'  Italia  tutto  è  an- 
dato benissimo  ?  Pareva  dovesse  cascare  il  mondo,  e 
'}  radicali  sono  appena  qualche  dozzina.  Anche  la  De- 
stra ha  guadagnato.... 

Egtll  piaggiava  un  pcKo  lo  zio,  del  quale  aspettava 
adesso  V  eredità.  A  Roma  avrebbe  avuto  biisogno  di 
denari,  di  jnolti  denari  ;  quanto  più  ricco  sarebbe  stato, 
tanto  più  presto  avrebbe  conquistato  il  suo  posto  alla 
cajpitale.  E  la  specie  di  freddezza  che  gli  dimostrava 
il  duca  non  lo  inquietava  :  a  chi  avrebbe  dovuto  la- 
sciare la  sua  sostanza,  .se  non  all'  erede  del  nome  degli 
Uzeda  ?  Ai  figli  di  Teresa,  forse  ? 

'Lasciata  la  casa  dello  zio,  egli  andò  dalla  sorella. 
Se  doveva  esser  grato  a  costei  per  la  generosità  con 
la  quale  s'  era  visto  trattato  al  tempo  della  morte  del 
padre,  non  le  ave^-a  tuttavia  perdonato  il  rifiuto  di 
aiutarlo  durante  la  lotta  :  voleva  ora  farle  vedere  che 
anche  da  solo  aveva  saputo  trionfare.  Ma  Teresa  non 
c'era.  Il  portinaio  gli  disse  che  la  duchessa  nuora  era 
uscita  con  la  carrozza  di  campagna,  insieme  con  Mon- 
signor A'icario.  Egli  sali  tuttavia,  e  trovò  la  vecchia 
duchessa  con  Padre  Gentile. 

—  Teresa  è  andata  a  Belpa'sso  a  visitare  la  Serva 
di  Dio —  sai  bene,  quella  contadlnella  dei  miracoli..,. 
Monsignor  Vescovo  n,on  ha  permesso  a  nessuno  que- 
sto genere  di  visite;  ha  fatto  un'eccezione  solo  per 
tua  sorella 


—  30I  — 

—  La  isantità  della  duchessa  —  disse  compunta- 
ir.ente  il  Padre  gesuita  ■ — •  spiega  e  legittima  questa 
accezione. 

Consalvo  credè  di  dover  chinare  un  poco  il  capo,  in 
atto  di  ringraziamento^  come  per  una  cortesia  detta 
a  lui  stesso. 

—  E  quando  tornerà  ? 

—  Stasera,   certo. 

—  Monsignore,  —  continuava  a  spiegare  il  Padre, 
—  ha  provvidamente  impedito  che  questo  spettacolo 
alimentasse  la  malsana  curioìsità  della  folla;  ma  i  sen- 
timenti cri(stia:ni  che  animano  la  .giovane  signora  e  la 
distinguono  fra  tutte.... 

La  'conversazione,  sempre  sullo  stesso  soggetto,  con- 
tinuava fra  il  g;^esuita  e  la  duchessa.  Consalvo,  visto 
sul  tavolino  da  lavoro  accanto  al  quale  era  seduto  un 
foglietto  stampato,  lo  «scorreva  con  la  coda  dell'  oc- 
chio :  «  Formule  du  serment.  En  prósenice  de  la  Tròs- 
ce Sainte  Trinité,  de  la  Sainte  Vierge  Marie  et  de  tous 
«  les  Saints  qui   sont  nés  ou  qui  ont  véfcoi  sur  le  sol 

«de au  nom  des  pays  de ici  rerprésentés,  et  àe- 

«  vant  notre  vènere  pasteur  pére  et  chef  spirituel,  moi, 
<t  délégué  a   cet   effet,   je   déclare  formée   la   province 

«  chrétienne  du som s  le  patronage  special  de  Saint — 

«  Au  nom  de  cette  nouvelle  province  je  reconnais  libre- 
«  ment  et  solennellement  le  Christ  Jesus,  fìls  de  Dieu 
K  vivant,  vrai  Dieu  et  vrai  homme,  dans  l'hostie 
«  sainte  exposée  sur  cet  autel,  comme  notre  Seigneur 
«et  maitre  et  comme  le  Chef  suprème  du....  Au  pied 
«  d'U  Chriist  Jesus  nous  jetons  nos  biens,  no<s  familles, 
«  nos  personnes,  notre  vie,  notre  honneur,  en  un  mot 
«  tout  ce  qui  tient  le  plus  au  coeur  de  1' homme....  » 
Contenendo  a  fatica  il  sorriso,  Consalvo  sorse  in  piedi. 

—  Non  sai  che  Ferdinanda  sfa  male  ?  —  gli  disse 
la   duchessa. 

—  Che   ha  ? 

—  Un'infreddatura.  Ma  alla  sua  età  tutto  può  es- 
ser grave....   Perchè  non  vai  a  trovarla? 


—  30-'  — 

Egli  ascoltò  il  consiglio.  Anche  da  quella  parte  po- 
teva venirgli  qualcosa,  un  mezzo  milioncino.  Se 
fosse  Sitatb  piij  accorto,  avrebbe  preso  con  ]e  buone 
la  vecchia,  senza  rinunziare,  beninteso,  a  nessuna  delle 
proprie  ambizioni.  L'ostinazione,  la  durezza  di  cui 
aveva  dato  prova  anche  con  lei  erano  sciocche,  degne 
d'un  Uzeda  stravagante,  non  dell'onorevole  di  Fran- 
icalanza,  dell'  uomo  nuovo  che  egli  voleva  essere.  E 
arrivando  in  casa  della  vecchia,  in  quella  ciasa  dov'  er,? 
"venuto  tante  volte  bambino,  a  veder  gli  stemmi,  a  udire 
le  storie  dei  Viceré,  ad  abbeverarsi  d'albagia  aristo- 
cratica, un  muto  sorriso  gii  'spuntò  isulle  labbra.  Se  gli. 
elettori   avessero   saputo  ? 

—  Come  sta  la  zàa?  —  domandò  alla  cameriera, 
una  faccia  nuova. 

—  Cosi  così —  rispose  la  donna,  guardando  cu- 

ricnsamtente  quel  signore  sconosciuto. 

—  D'itele  che  il  principe  suo  nipote  vorrebbe  vedeila. 

La  \iecohia  era  capace  di  non  riceverlo;  egli  aspet- 
tava la  risposta  con  una  certa  ansietà.  Donna  Ferd'- 
niando,  udendo  che  o'  era  di  là  Consalvo,  rispose  alla 
cameriera,  con  voce  arrochita  dal  raffreddore  :  «  La- 
scialo entrare.  »  Ella  aveva  saputo  gli  ultimi  vituiperi' 
commesisii  dal  nipote,  la  parlata  in  pubblico  come  un 
cavadenti,  i  principii  di  casta  sconfessati,  l'inno  alla 
libertà  e  alla  democrazia,  il  palazzo  Francalanza  invaso 
dalla  folla  dei  mascalzoni,  Baldassarre  ammesso  al^a 
tavola  del  principe  che  prima  aveva  iservito  :  Lucrezia 
le  aveva  narrato  ogni  cosa,  per  vendicarsi,  per  rovi- 
nare Consalvo,  per  portargli  via  l'eredità.  E  donna 
Ferdinanda  aveva  sentito  rimescolarsi  il  vecchio  san- 
gue degli  Uzeda,  dallo  (sdegno,  dall'ira;  ma  adesco 
era  lamimaliata,  l' egoismo  della  vecchiaia  e  dell'  in- 
fermità temperava  i  suoi  bollori.  E  Consalvo  veniva 
a  trovarla;  dunque  s'umiliava,  le  dava  questa  soddi- 
sfazione negatale  per  tanto  tempo.  Poi,  nonostante  le 
apostasie  e  i  vituperii,  egli  cria  tuttavia  il  principe  di 
Francalanza,  di  capo  della  casa,  il  suo  protetto  d'  una 
volta —  «Lascialo  entrare » 


—  303  — 

Egli  le  andò  incontro  /premuroofamente,  isi  chinò  sul 
lettu'ocio  di  ferro,  quello  di  tant'anni  addietro,  e  do- 
mandò : 

—  Zia,   come   sta? 

Ella  fece  isolo  un  gesto  ambiguo  col  capo. 

— .  Ha  febbre?  Mi  lasci  sentire  il  ipolso. ...  No,  sol- 
tanto un  po'  di  calore.  Che  cosa  ha  preso  ?  Ha  chia- 
miato   un   dottore? 

—  I  dottori  sono  altrett^anti  aisini,  —  g-li  rispose  bre- 
vemente,  voltandosi  con  la  faccia  contro  il  muro. 

—  \'otstra     Eccellenza     ha     ragione....     sanno     ben 

poco ma  qualcosa  più  di  noi  sanno  pure —   Perchè 

non  curarsi   in  principio? 

La  A'^ecchia  rispose  con  uno  scoppio  di  tos'se  ca\€r- 
nosa  che  fini  con  uno  scaraoch'io  giallastro. 

—  Ha  la  tasse  e  non  prende  null'a  !  Le  porterò  io 
certe  pastiglie  che  sono  davvero  miracolose.  Mi  pro- 
miette  di  prenderle  ? 

Donna  Ferdinanda  fece  il  solito  cenno  col  capo. 

—  Io  non  sapevo  nulla,  altrimenti  sarei  venuto 
prima.  M'hanno  detto  ohe  \'ostra  Eccellenza  stava 
poco  bene  a  momenti,  in  casa  Radali —  Sa  che  m,ia 
sorella  è  andata  oggi  a  vedere  la  Serva  di  Dio,  quella 
di  cui  'si  niarrano  tante  cose  ?  È  andata  col  Vicario, 
lei  isolamente  ha  av^uto  il  permesso.  Pare  che  sia  un 
favore  insigne —  A'ostra  Eccellenza  crede  a  tutto  ciò 
che  si  narra  ? 

Non  ebbe  risposta.  Pure  continuò  a  parlare,  com- 
iprendendo  che  alla  vecchia  dovev^a  far  piacere  ud'r 
chiacchier'e  e  notizie,   vedersi  qu'alcuno  vicino. 

—  Io,  col  rispetto  dovuto,  non  ne  credo  niente.  È 
forse  peccato  ?  Lo  stesso  San  Tomim^aiso  volle  vedere  e 
toccare,  prima  di  credere....  ed  era  santo!...  Ma  fran- 
camente, certe  storie!...  Teresa  adesso  è  infatuata 

Basta,  ciascuno  ha  da  vedersela  con  la  propria  co- 
scienza.... E  la  zia  Lucrezia  che  l'ha  con  me?  Che 
cosa  voleva  che  io  facessi  ?...  Mi  va.  sparlando  per  ogni 
dove,  quasi  fossi  l'ultimo  degli  uomini.... 


—  304  — 

La  vecchia  non  fiatava,  gli  voltava  le  spalle. 

—  Tutto  pel  grande  amore  del  marito  improvvisa- 
mente divampatole  in  petto!....  Prima  dichiarava  ridi- 
coli gli  atteggiamenti  di  Giulente,  —  non  lo  chiamava 
zio  sapendo  di  farle  piacere,  —  adesso  sono  tutti  infami 
coloro  che  non  l'hanno  sostenuto! 

Un  nuovo  scc^ppio  di  tosse  fece  sofìSare  la  vecchia 
come  un  mantice.  Quando  oalmosisi,  ella  disse  con 
voce  affannata,  ma  con  accento  di  tamaro  disprezzo  : 

— ■  Tempi  obbrobriosi!...   Razza  degenere! 

La  botta  era  diretta  anche  a  lui.  Conjialvo  tacque 
un  poco,  a  capo  chino,  ma  con  un  sorriso  di  beffa  sulle 
labbra,  poiché  la  vecchia  non  poteva  vederlo.  Poi,  fio- 
camente, con  tono  d'umiltà,  riprtese  : 

—  Forse  Vostra  Eccellenza  l'ha  anche  con  me.... 
Se  ho  fatto  qualcosa  che  le  è  dispiaciuta,  gliene 
chiedo  perdono Ma  la  mia  coscienza  non  mi  rim- 
provera nulla —  Vostra_Eccellenza  non  può  dolersi  che 
uno  del  suo  nome  sia  di  nuovo  tra  i  primidel  p^ese^^^.. 
j^orse Je_duole_n_mezzQ  col_C[uale  questo  risultato  &l_è. 
raggimvto.j_:^^_Creiiauch£ .duole  a  me  prima  che  _a_lei^. . . 
Ma  noi  non  sceg'liamo  il  tempo  nel  quale  veniamo  al 
mondo:  lo  troviamo  com'è,  e  com'è  dobbiamo  accet- 
tarlo._  Del  resto,  se  è  vero  che  oggi  non  si  sta  molto 
bene,  forse  che  prima  si  stava  d' incanto  ? 

Non  una  sillaba  di  risposta. 

—  Vostra  Eccellenza  giudica  obbrobrio&ia  1'  età  no- 
stra, né  io  le  dirò  che  tutto  vadia  per  il  meglio;  ma 
é  certo  che  il  passato  par  molte  volte  bello  solo  perchè 
è  fpassato —  L'importante  è  non  lasciarsi  sopraffare.... 
Io  mi  rammento  che  nel  Sessantuno,  quando  lo  zio 
duca  fu  eletto  la  prima  volta  deputato,  mio  padre  mi 
disse  :  «  Vedi  ?  Quando  e'  erano  i  Viceré,  gli  Uzeda 
erano  Viceré  ;  ora  che  abbiamo  i  deputati,  lo  zio  siede 
in  Parlamento  ».  Vostra  Eccellenza  sa  che  io  non  andai 
molto  d'accordo  con  la  felice  memoria;  ma  egli  disse 

allora  una  cosa  che  m'é  parsa  e  mi  pare  molto  giusta 

Un    tempo    la    potenza    della    nostra    famiglia    veniva 


dai  Re;  ora  viene  dal  popolo....  La  differenza  è  più  dì 

nome  che  di  fatto Certo,   dipendere  dana_jDanaglia 

non  è  piacevole;  ma  _  neppure  molti  di  quei  sovrani 
erano  stinchi  di  santo.  E  un  uomo  solo  che  tiene  nelle 
proprie  .mani  le  redini  del  mondo  e  si  considera  inve- 
stito d'un  potere  divino  e  d'ogni  suo  capriccio  fa 
leg-g-e,  è  più  difficile  da  guadagrere  e  da  serbar  pro- 
pizio che  non  il  gregge  umano,  numeroso  ma  per  na- 
tura servile E  poi,  e  poi  il  m.utamento  è  più  appa- 
rente che  real'e.  Anche  i  Viceré  d'  un  tempo  dovevano 
propiziarsi  la  folla  ;  se  no,  erano  ambasciatori  che  an- 
davano a  reclamare  a  Madrid,  che  ne  ottenevano  dalla 

Corte  il  richiamo o   anche  la  testa!...   Le  avranno 

forse  detto  che  un'elezione  adesso  costa  quattrini; 
ma  si  rammenti  quel  che  dice  il  Mugnòs  del  Viceré  Lo- 
pez Ximenes,  che  dovette  offrire  trentamila  scudi  al  re 

Ferdinando  per  restare  al  proprio  posto e  ci  rimise 

i  quattrini  !  In  verità,  aveva  ragione  Salomone  quando 
diceva  che  non  e'  è  niente  di  nuovo  sotto  il  sole  ! 
Tutti  si  lagnano  della  corruzione  presente  e  negano  fi- 
ducia al  sistema  elettorale  perché  i  voti  si  comprano. 
Ma  sa  Vostra  Eccellenza  che  cosa  narra  Svetonio,  ce- 
lebre scrittore  dell'  antichità  ?  Narra  che  Augusto,  nei 
giorni  dei  comizii,  distribuiva  mille  isesterzii  a  testa 
alle  tribù  di  cui  faceva  parte,  perché  non  prendessero 
nulla  dai  candidati  !... 

Egli  diceva  queste  cose  anche  per  sé  stesso,  per  af- 
fermarsi nella  giustezza  delle  proprie  vedute;  ma,  po'- 
chè  la  vecchia  non  si  muoveva,  pensò  che  forse  s'  era 
assopita  e  che  egli  parlava  al  muro.  S'  alzò,  quindi, 
per  vedere  :  donna  Ferdinanda  aveva  gli  occhi  spalan- 
cati.  Egli  continuò,  passeggiando  per  la  camera  : 

—  La  storia  é  una  monotona  ripetizione  ;  gli  uom'ni 
sorto  stati,  sono  e  saranno  isenipre  gli  stessi.  Lecon- 
dizioni  esteriori  mutano;  certo,  tra  la  Sicilia  di  primja 
del  Sessanta,  ancora  qua^i  feudale,  e  questa  d'oggi 
pare  ci  sia  un  abisso  ;  ma  la  differenza  è  tutta  este- 
riore.   Il   primo   eletto   col   suffragio   quasi   universale, 


—  3o6  — 

non  è  ne  un  popolano,  né  un  borghese,  né  un  demo- 
cratico :  sono  io,  perchè  mi  chiamo  principe  di  Fran- 
calanza.  II  prestigio  della  nobiltà  non  é  e  non  può 
essere  spento.  Ora  che  tutti  parlano  di  democraz'a, 
sa  qual  è  il  libro  piia  cercato  alla  biblioteca  dell'  Uni- 
versità, dove  io  mi  reco  qualche  volta  per  i  miei  studii? 
L'Araldo  Sicolo  dello  zio  don  Eugenio,  felice  memoria. 
Dal  tanto  maneggiarlo,  ne  hanno  sciupato  tre  volte 
la  legatura!  E  consideri  un  poco  :  prima,  ,ad  esser 
nobile,  uno  godeva  grandi  prerogative,  privilegi,  im- 
munità, esenzioni  di  molta  imiportanza.  Adesso,  se 
tutto  ciò  è  finito,  se  la  nobiltà  é  una  cosa  pura- 
mente ideale  e  nondimeno  tutti  la  cercano,  non  vuol 
forse  dire  che  il  suo  valore  e  il  suo  prestigio  sono 
cresciuti?...  In  politica,  Vostra  EcceHen2ia  ha  serbato 
fede  ai  Borboni,  e  questo  suo  sentimento  è  certo 
rispettabilissimo,  considerandoli  come  i  sovrani  le- 
gittimi   Ma  la  legittimità  loro  da  ch'e  dipende?  Dal 

fatto  che  sono  stati  sul  trono  per  più  di  cento  anni 

Di  qui  a  ottarit'anni,  \'ostra  Eiocellenza  riconosce- 
rebbe dunque  come  legittimi  anche  i  Savoia....  Certo, 
la  monarchia  assoluta  tutelava  m'eglio  gì'  interessi  della 
nostra   qasta;    ma   una   forza   superiore,    una   corrente 

irresistibile    l'ha   travolta Dobbiamo   farci   mettere 

il  piede  sul  collo  anche  noi?  Il  nostro  dovere,  in- 
vece di  'iprpz7are  le  nuovte  leggi,  mi  pare  quello  di 
servirceneL.. 

Travòlto  dalla  fo;gia  oratoria,  nel  tripudio  del  re- 
cente trionfo,  col  bisogno  di  giustificarsi  agli  occhi 
proprii,  di  rimettersi  nelle  buone  grazie  della  vecchia, 
egli  improvviisava  un  altro  discorso,  il  vero,  la  con- 
futazione di  quello  tenuto  dinanzi  alla  canaglia,  e  la 
vecchia  stava  ad  (ascoltarlo,  senza  più  tossire,  soggio- 
gata dall'eloquenza  del  nipote,  divertita  e  quasi  cul- 
lata da  quella  recitazione  enfatica  e  teataalc. 

—  Si  rammenta  Vostra  Eccellenza  le  letture  del 
Mugnòs?...  —  continuava  Consalvo.  —  Orbene,  ima- 
giniamo  che  quello  storico  .sia  ancora  in  vita  e  voglia 


-  307  — 

mettere  a  giorno  il  suo  Teatro  genologico  al  capi- 
tolo :  Della  famiglia  Uzeda.  Che  cosa  direbbe?  Di- 
lebbe  press 'a  poco  :  «  Don  Gafpare  Vzeda  ■ —  egli 
Dronunziò  /  la  is  e  i;  la  it  —  fu  promosso  ai  maggiori 
carichi,  in  quel  travolgimento  del  nostro  Regno  che 
ipasisò  dal  re  don  Francesco  II  di  Borbone  al  re  don 
\  ittorio  Emanuele  II  di  Savoia.  Fu  egli  deputato 
al  -\  azionai  Parlamento  di  Torino,  Fiorenza  e  Roma, 
(  t  ultimamente  dal  re  don  Umberto  bave  stato  subli- 
mato con  singoiar  dispaccio  al  carico  di  Senatore. 
Don  Consalvo  de  Uzeda,  VIII  prencipe  di  Franca- 
lanza,  tenne  poter  di  Sindaco  della  sua  città  nativa, 
indi  Deputato  al  Parlamento  di  Roma  et  in  prosie- 
guo.... »  —  Tacque  un  poco,  chiudendo  gli  occhi: 
si.  vedeva  già  lal  banco  dei  miinistri,  a  Montecitorio; 
poi  riprese:  —  Questo  direbbe  il  Mugnòs  redivivo; 
questo  diranno  con  altre  parole  i  futuri  storici  della 
nostra  casa.  Gli  antichi  Uzeda  erano  commendatori 
di  San  Giacomo,  ora  hanno  la  commenda  della  Co- 
rona d'  Italia.  È  una  cosa  diversa,  ma  non  per  colpa 
loro!  E  Vostna  Eccellenza  li  giudica  degeneri!  Scusi, 
perchè? 

La  vècchia  non  rispose. 

—  Fisicamente,  si  ;  il  nostro  sangue  è  impoverito  ; 
eppure  ciò  non  'mpedisce  a  molti  dei  noistri  di  arri- 
vare sani  e  vegeti  all'  invidiabile  età  di  Vostra  Eccel- 
lenza!... Al  morale,  essi  sono  spesso  cocciuti,  strava- 
ganti, bislacchi,  talvolta....  —  voleva  aggiungere 
«pazzi....  ))  ma  passò  oltre.  —  Non  stanno  in  piace 
tra  loro,  si  dilaniano  continuamente.  Ma  Vostra  Eccel- 
lenza pensi  al  passato!  Si  rammenti  di  quel  Blasco 
Uzeda,  «  cognominato  nella  lingua  siciliana  Sciarra, 
che  nel  tosco  idioma  Uissa  diremmo»;  si  rammenti 
di  quell'altro  Artale  Uzeda,  cognominato  Sconza,  cioè 
Guasta!...  Io  e  mio  padre  non  siamo  andati  d'accordo, 
ed  egli  mi  diseredò;  ma  il  viceré  Ximenes  imprigionò 
suo  figlio,  lo  fece  condannare  a  morte Vostna  Ec- 
cellenza vede  che   sotto  qualche  aspetto  è  bene  che  i 


—  3o8  — 

tempi  siano  mutati!...  E  rammenti  la  fellonia  dei  figli 
di  Arlale  ili;  rammenti  tutte  le  liti  tra  parenti,  pei 
beni  confiscati,  per  le  doti  delle  femimine....  Con  que- 
sto, non  intendo  giustificare  ciò  che  accade  ora.  Noi 
isiamo  troppo  volubili  e  troppo  cocciuti  ad  un  tempo. 
Guardiamo  la  zia  Chiara,  prima  capace  di  morire  piut- 
tosto che  di  sposare  '1  marchese,  poi  un'anima  in  due 
corpi  con  lui,  poi  in  guerra  ad  oltranza.  Guardiamo 
la  zia  Lucrezia  che,  viceversa,  fece  pazzie  iper  sposare 
Giùlente,  poi  lo  disprezzò  come  un  servo,  e  adesso  è 
tutta  una  coisa  con  lui,  fino  al  punto  di  far  la  guerra 
a  me  e  da  spingerlo  al  ridicolo  del  fiasco  elettorale! 
Guardiamo,  in  un  altro  senso,  la  stessa  Teresa.  Per 
obbedienzia  filiale,  per  farsi  dar  della  santa,  sposò  chi 
non  amava,  affrettò  la  pazzia  ed  il  suicidio  del  po- 
vero Giovannino  ;  e  adesso  va  ad  inginocchiarsi  tutti 
i  giorni  nella  cappella  della  Beata  Ximefta,  dove  arde 
la  lampada  acceca  per  la  salute  del  povero  cugino! 
E  la  Beata  Ximena  che  cosa  fu,  se  non  una  divina 
cocciuta  ?  lo'  stesso,  il  giorno  che  mi  proposi  di  mutar 
vita,  non  vissi  se  non  per  prepararmi  alla  nuova.  Ma 
la  storia  della  nostra  famiglia  è  piena  di  simili  con- 
versioni repentine,  di  simili  ostinazioni  nel  bene  e  nel 
male —  Io  farei  veramente  divertire  Vostra  Eccel- 
lenza, scrivendole  tutta  la  cronaca  contemporanea  con 
lo  stile  degli  antichi  autori  :  Vostra  Eccellenza  rico- 
n£)iscerebbe  subito  che  il  suo  giudizio  non  è  esatto. 
No,  la  nostra  razza  non  è  degenerata  :  è  sempre  la 
stessa.  » 


FINE. 


ROMANZI  ITALIANI 

EDIZIONI  TREVES. 

I  voluvìi  segnati  con  *  sono  in  corso  di  ristampa. 


Adolfo  Albertaxzl. 

Ora  e  sempre  .  .  ,  L.  2  — 
Novelle  umoristiche  .  .2  — 
In  faccia  al  destino  .  .5  — 
11  zucchetto  rosso.  .  .5  — 
Il  diavolo  nell'ampolla  .  3  — 
Sibilla  Aleramo. 

Il  passaggio 5  — 

Una  donna 5  — 

Riccardo  Alt. 

0  uccidere,  o  morire.     .  2  — 

Ciro  Alvi. 

Gloria  di  re 2  — 

Guglielmo  Anastasl. 

Eldorado 2  — 

La  rivale 2  — 

La  vittoria;  La  sconfitta.  2  — 
Diego  Angeli. 

L'orda  d'oro ó  — 

Centocelle ó  — 

Il  crepuscolo  degli  Dei  .  5  — 
Il  Confessionale     .     .     .4  — 

Luigi  Archintl. 
Il  lascito  del  Comunardo.  2  — 

Massimo  d' Azeglio. 

Niccolò  De  Lapi.  2  voi.  .  4  — 

Ettore  Fieramosca     .     .2  — 

À.  6.  Barrili. 

Capitan  Dodèro     .     .     .2  — 

Santa  Cecilia    .     .     .     .2  — 

*I1  libro  nero     .    .    .     .8  — 

1  Rossi  e  i  Neri.  2  voi.  4  — 
Confess.  di  FraGualberto.  2  — 

Val  d'Olivi 2  — 

Semiramide 2  — 

Notte  del  commendatore.  2  — 
Castel  Gavone  .  .  .  .2  — 
Come  un  sogno  .  .  ,2  — 
Cuor  di   ferro   e  Cuor  d'oro. 

2  volumi 4  ^ 

Tizio  Caio  Sempronio  .  2  — 
L'Olmo  e  l'Edera  .    .    .  2  — 


A.  G.  Barrili. 

Diana  degli  Embriaci  L 
il  merlo  bianco     .     . 

—  Ediz.  in-8  illustr. 
La  donna  di  picche  , 
Conquista  d'Alessandro 
Il  tesoro  di  Golconda . 
L'XI  comandamento. 
11  ritratto  del  diavolo 
11  Biancospino  .  .  . 
L'anello  di  Salomone. 

0  tutto  0  nulla  .  . 
Amori  alla  macchia  . 
Monsù  Tome  .  .  . 
Fior  di  mughetto.  . 
Dalla  rupe  .... 
Il  Conte  Rosso.  .  . 
Lettore  della  Princi  pessa 

—  Ediz.  in-8,  illustr. 
Casa  Poli  dori  .  .  . 
La  ]\Iontanara.  2  voi. 

—  Ediz.  in-8,  illustrata, 
Uomini  e  bestie    .     . 
Arrigo  il  Savio.     .     . 
La  spada  di  fuoco     . 
Un  giudizio  di  Dio  . 

Il  Dantino  _.  .  .  . 
La  signora  Àutari     . 

La  sirena 

Scudi  e  corone.  .  . 
Amori  antichi  .  .  . 
Rosa  di  Gerico.  .  . 
La  bella  Oraziana.    . 

—  Ediz.  in-8,  illustr. 
Le  due  Beatrici  .  . 
Terra  Vergine .     .     , 

1  figli  del  cielo  .  . 
La  castellana  .  .  . 
Il  prato  maledetto     . 

Galatea 

Il  diamante  nero  .  . 
Raggio  di  Dio  .  .  , 
Il  ponte  del  Paradiso 


4- 

2 

0  50 
2  — 
2  — 
2  — 

2 

2  — 
2  — 
2  — 
2  — 
5  — 
2  — 
2  — 
2  — 
2 

5  — 

6  50 
2 

4  — 
3- 
2  ^ 
2  — 
2 

2  — 
2  — 
2  — 

2  — 

2 

2 , 

2 

2 

3  — 

2 

y 


Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  Milano 


A.  G.  Barrili. 
Fior  d'oro     .     .     .     .  L.  2  — 
Tra  cielo  e  terra  .     .    .2  — 

Re  di  cuori 2  — 

La  figlia  del  re    .    .    .2  — 


T suoi  tre  capolavori:  Capitan 
Dodèro.  -  Santa  Cecilia.  -  11 

libro  nero 3  5' 

Carlo  Emanuele  Basile. 

La  Vittoria  senz'ali  .     .5  — 

Ambrogio  BazsetO. 

Storia  di  un'anima    .     .5  — 

Giulio  Bechi. 

I  racconti  d' un  fantaccino. 
In-8,  con  64  illustr.    .  5  — 

Lo  spettro  rosso    .    .     .5  — 

II  capitano  Tremalaterra.  5  — 
I  Seminatori  .  .  .  .5  — 
Caccia  grossa  .  .  ,  .2  — 
I  racconti  del  bivacco   .  5  — 

Antonio  Beltramelll. 
Anna  Perenna  .     .     .     .  ó  — 

I  primogeniti    .    .     .     .  5  — 

II  cantico 5  — 

L'alterna  vicenda  .  ,  .5  — 
Gli  uomini  rossi  .  .  .2  — 
Le  Novelle  della  Guerra,  'i  — 
La  vigna  vendemmiata  .  .3  — 

Silvio  Benco. 
La  fiamma  fredda.    ,     .2  — 
Il  castello  dei  desideri  .  2  — 

Leo  Benvenuti. 
Racconti  romantici    .     .2  — 
Serenada,  race,  sardo     .  2  — 

Eugenio  Bermasl. 
Spunti  d'anime     .     .     .3  — 

Vittorio  Beriezlo. 
Aristocrazia.  2  voi.    .     .4  — 

P.  Bettoli. 
Il  processo  Duranti  .    .2  — 
Giacomo  Locampo.     .     .2  — 
La  nipote  di  don  Gregorio.  2  — 

Maso  Blal. 

La  Sorgente 5  — 

Alberto  Boooardl. 
Cecilia  Ferriani     .     .     .  .'>  — 
11  peccato  di  Loreta ,     ,2  — 
L'irredenta  .     ,    ,     ,     .  2  — 


Camillo  BoltO. 
Storielle  vane  .    .    .  L.  2  — 
Senso 2  — 

Virgilio  Brocchi. 

Le  aquile 5  — 

La  Gironda 5  — 

L'Isola  sonante.     .     .     ,5  — 

I  sentieri  della  vita .     .  .5  — 

II  labirinto 5  — 

La  coda  del  Diavolo  .  .5  — 
La  bottega  degli  scandali  ó  — 

Mit'i 6  — 

Secondo  il  cuor  mio .  .5  — 
L'amore  beffardo  .    .     .5  — 

E.  A.  Butti. 
L'Incantesimo  .     .     .     .5  — 

L'Automa 2  — 

Antonio  Cacclanlga. 
Bacio  della  cont.  Savina.  2  — 

—  Ediz.  di  lusso,  in-8,  ili.  5  — 

—  Ediz.  econ.,  in-8,  ili.  3  — 
Villa  Ortensia  .  .  .  .2  — 
Il  Roccolo  di  Sant'Alipio.  2  — 
Sotto  i  ligustri.  .  .  .2  — 
Il  Convento  .  .  .  .  .2  — 
Il  dolce  far  niente  .  .2  — 
La  famiglia  Bonifazio    .  2  — 

Rafiaeis  Calzini. 
La  vedova  scaltra     .    .3  — 

Luigi  Capranica. 
Papa  Sisto.  4  voi. .     .     .8  — 

Racconti  .    .    .    .    .    .  2  50 

Re  Manfredi.  3  voi.  .     .6  — 
Giovanni  Bande  Nere.  2  v.  4  — 
*Fra  Paolo  Sarpi.  2  voi.  .  4  — 
*La  congiura  di  Brescia  2  vo- 
lumi   4  — 

Giulio  Caprln. 
Gli  animali  alla  guerra.  4  — 

Luigi  Capuana. 
March,  di  Roccaverdina.  5  — 
Rassegnazione  .     .     .     .5  — 
Passa  l'amore   .    .    .    .5  — 
La  voluttà  di  creare.    .  5  — 

Enrico  Castelnuovo. 

.Velia  lotta.  In-8,  ili. .  .  5  — 
Due  convinzioni  .  .  .5  — 
r.P.a  Ultime  novelle  .  5  — 


Mn.ANO  —  Fratelli  TRÉVES,  Editori  —  Milano 


Bulico  Castelnuovo. 

I  Mon calvo  .  .  .  .  L.  6  — 
L'on.  Paolo  Leoiifovte  .  3  — 
Dal  1.*  piano  alla  soffitta.  3  — 

Moisd  Cecconl. 

II  primo  bacio  .  .  .  .  2  ~ 
Il  taccuino  perduto  .  .5  — 
Racconti  pei  convalescenti  3  50 

Giovanni  ChigglatO. 
Il  figlio  Vostro.     .     .     .  5  — 

DomeDico  Clàmpoll. 
Diana 5  — 

Guelfo  Clvlnlni. 
La  stella  confidente  .     .3  — 

R.  P.  Clvlnlni. 

Cente  di  palude  .    ,    .  5  ^ 

G.  p.  Oleriol. 
Il  più  lungo  scandalo  del  seco- 
lo XIX.  2  V.  con  illustr.  4  — 
Luigia  Codèmo. 
La  rivoluzione  in  casa  .  3  — 

Cordella. 
Dopo  le  nozze  .    .    .    .4  — 

Vita  intima 2  — 

Racconti   di  Natale,  ili.  4  — 

Casa  altrui 2  — 

Catene 2  — 

Per  la  gloria  .  .  .  .5  — 
Il  mio  delitto  .  .  .  .  8  — 
Per  vendetta  .  .  .  .2 — 
Verso  il  mistero  .  ,  .5  — 
L'incomprensibile  ...  .2  — 
Le  donne  che  lavorano  .  4  — 

Enrico  Corradlnl. 
La  patria  lontana.     .    .5  — 
La  guerra  lontana    .     .5  — 

Carlo  Dadone. 
La  forbice  di  legno  .    .2  — 
La  casa  delle  chiacchiere.  2  — 
Come  presi  moglie    .    .4  — 

Lucio  d'Ambra. 
n  Re,  le  Torri,  gli  Alfieri  5  — 

Danieli  e  Manfro. 

Nel  dubbio 5  — 

Gabriele  D' Annunzio. 

Il  Piacere     .     .    ...    .  fi  50 

L'innocente «50 


Gabriele  D'AnnunzlO. 

Trionfo  deUa  Morte  .  L.  7  — 

Il  Fuoco 7  — 

Le  Vergini  delle  Rocce.  7  — 
Le  novelle  della  Pescara.  5  — 
Forse  che  si  forse  che  no.  6  60 
La  Leda  senza  cigno.  3  v.  14  — 

Ippolito  Tito  D'Aste. 
Mercede 2  — 

Edmondo  De  AmlclS. 

La  vita  militare    .     .    .5  — 

—  Edizione  economica  .  2  — 
Alle  porte  d'Italia  .  .5  — 
Romanzo d'unmaestro.2v.  4  — 
Fra  scuola  e  casa.  .  .5  — 
La  carrozza  di  tutti.     .  5  — 

Memorie 5  — 

Capo  d'anno 6  — 

Nel  Regno  del  Cervino .  5  — 
Pagine  allegre .  .  .  .5  — 
Nel  Regno  dell'Amore  .  6  50 
Nuovi  racconti  e  bozzetti.  5  — 
Cinematografo  cerebrale.  5  — 
Gli  amici.  2  voi.  .  .  4  — 
Ricordi  infanzia  e  scuola.  5  — 
Pagine  sparse  .  .  .  .2  — 
Ricordi  del  1870-71  .  .  2  — 
Novelle.  Ediz.  di  lusso  .  5  — 

—  Edizione  economica  .  2  — 

Anita  De  Donato. 
Donne  di  mare.     .     .     .3  — 
Grazia  Deledda. 

I  giuochi  della  vita  .  .5  — 
Sino  al  confine.    .    .    .5  — 

II  nostro  padrone .     .     .5  — 

Cenere 6  — 

Anime  oneste  .  .  .  .4  — 
Il  vecchio  della  montagna  5  — 

Nel  deserto 5  — 

Colombi  e  sparvieri  .     .5  — 

Chiaroscuro 5  — 

Canne  al  vento.  .  .  .5  — 
Le  colpe  altrui.    .    .    .5  — 

Nostalgie 5  — ' 

Il  fanciullo  nascosto .  .5  — 
Marianna  Sirca  .  .  .5  — 
La  via  del  male  .  .  .5  — 
Elias  Portolu  ....  5  — 
L'incendio  nell'oli  veto.  5  — 


Milano  —  Fratblli  TREVES,  Editori  —  Milano 


Gian  Della  Quercia. 

U  Risveglio  .     .     .     .  L.  2  — 
Sul  meriggio    .     .     .     .5  — 

Emilio  De  Marchi. 
Il  cappello  del  prete.  .  3  — 
Giacomo  l'idealista  .  .4  — 
Storie  d'ogni  colore  .  .4  — 
Nuove  storie  d'ogni  colore  4  — 
Arabella.  2  voi.  .  .  .4  — 
Col  fuoco  non  si  scherza.  5  — 

Redivivo 2  — 

Demetrio  Pianelli.  2  voi.  4  — 

Federico  De  Roberto. 
Una  pagina  della  storia  del- 
l'amore  2  — 

La  sorte 2  — 

La  messa  di  nozze;  Un  sogno; 

La  bella  morte  .    .    .5  — 

L'albero  della  scienza    .  4  — 

Le  donne,  i   cavalier'...  In-8, 

con  100  incisioni  .     .10  — 

Salvatore  Di  QiaCOmO. 

Novelle  napolitaue     .    .  .5  — 

Paola  Drigo. 

La  Fortuna 5  — 

Codino 5  — 

Paulo  Fambri. 

Pazzi  mezzo  e  serio  fine.  3  — 

Onorato  Fava. 

Per  le  vie 2  — 

La  Rinunzia     .    .    .    .  2  — 

Gazzella 5  — 

Ugo  Fletei. 

L'anello .2  — 

FolohettO  <J.  Caponi). 

Novelle  gaje         .    .    .5  — 

Ferdinando  Fontana. 
Tra  gli  Arabi  .     .     .     .  2  — 

T.  Oallarati-Scotti. 
Storie  dell'amore  sacro  e  del- 
l'amore profano.     .     .5 — 
Piero  Oiaoosa. 
Specchi  dell'enigma  .    .6  — 
D  gran  cimento    .    .     .4  — 

Anteo 5  — 

Cosimo  Giorgieri-Contri. 
L'amore  oltre  l'argine  ,  5  — 

Adolfo  de  Giillmbertl. 
Ilsacrificiod'un'anima    .  2  — 
Il  mistero  di  Valbrnna.  2  -  ' 


Guido  Gozzano. 
L'altare  del  passato  .  L.  3  - 
L'ultima  traccia   .     .     .  ó  - 

0.  Grandi. 

Macchiette  e  novelle.     .  2 

Destino 2 

Silvano 2 

La  nube 2 

Per  punto  d'onore     .     .  4  - 

—  Edizione  economica  .  2  - 

Eleonora   Grey. 
Della  vita  di  un  Pierrot  4- 

Luigi  Gualdo. 
Decadenza    2 

F.  D.  Guerrazzi. 

Labattaglia  di  Benevento.Ve 

ronica   Cybo.  2  voi.     .  4  - 

L'assedio  di  Firenze.  2  v.  4  - 

Amalia  Gugrlielminettl. 

I  Volti  dell'Amore  .  .  5  - 
Anime  allo  specchio.  .  5  — 
Le  ore  inutili  .     .     .     .3  — 

Andrea   GustaroUi. 
Le  mie  peccatrici.     .     .  5  — 

Rosalia  Gwis-Adaml.  . 
La  Vergine  ardente  .    .  5  — 

Haydée  (Ida  fìdzD. 
Faustina  Bon,   romanzo   tea- 
trale fantastico.     .     .5  — 
Jarro. 
L'assassinio   nel   vicolo  della 
Luna 2  — 

II  processo  Bartelloni  .  2  — 
Apparenze.  2  voi. .  .  .4  — 
La  duchessa  di  Naia.  .  2  — 
Mime  e  ballerine  .  .  .  2  — 
La  moglie  del  Magistrato  3  — 

Paolo  Lloy. 
*Chi  dura  vince.     .    .     .  4  — 

Giuseppe  Lipparlnl. 
Il  filo  d'Arianna   .     .     .  2  — 

Paola  Lombroso. 
La  vita  è  buona  .     .     .6  — 

Cesarina  Lupati. 
La  Leggenda  della  spada.  2  — 

Manetty. 
Il    tradimento    del    Capitano. 
2  volumi 4  — 


Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  Milano 


Giuseppe  Mantlca4 
Figurinaio,  ln-8.  illus.  L.  6  — 

0.  Marc  otti. 
11  conte  Lucio  .     .     .     .2  — 
La  Giacobina.  2  volumi.  6  50 
Le  spie.  2  voi 6  50 

Ferdinando  Martini. 
Racconti 2  — 

Luigi  Materi. 
Adolescenti 2  — 

Dora  Melegrari. 
Caterina  Spadaio  .     .     .5  — 
La  piccola  ni. Ha  Cristina.  5  — 
La  città  del  giglio    .     .  6  50 

Meroedes. 
Marcello  d'Agli  ano    .     .2  — 

Maria  Messina. 
Le  briciole  d.-l  destino.  3  — 

Guido  Milanesi. 

Thàlatta 5  — 

Nomadi 5  — 

Àuthy,  romanzo  di  Rodi.  5  — 

Nella  scia 5  — 

Paolo  Emilio  MintO. 
Ombre,  uomini  e  animali  5  — 

Marino  Moretti. 

I  pesci  fuor  d'acqua .     .5  — 

II  sole  del  sabato  .  .  .5  — 
La  bandiera  alla  finestra.  5  — 

Guenda 5  — 

Conoscere  il  mondo   .     .3  — 

E.  L.  Morselli. 
Storie  da  ridere....  e  da  pian- 
gere   3  — 

Luigi  Motta. 

(Edizioni  inS,  illas'rafe). 
Dominatore  della  Malesi  a.  6  50 

—  Edizione  economica  .  4  — 
L'onda  turbinosa  .     .    .  5  — 

—  Edizione  economica  .  3  — 
L'occidente  d'oro  .     .    .  6  50 

—  Edizione  economica  .  4  — 
La  principessa  delle  rose.  5  — 

—  Edizione  economica  .  3  — 
Il  tunnel  sottomarino  .  H  50 
Fiamme  sul  Bosforo  .    .  6  — 

—  Edizione  economica  .  3  - 
Il  Vascello  aereo  .    .    .  5   - 

—  Edizione  economica  .  3  — 


Luigi  Motta. 

(K'iizioni  in--<,  illustrate). 
L'Oasi  Rossa     .     .    .  L.  5  — 
11  Leone  di  San  Marco .  5  — 
—  Edizione  economica  .  4  — 

I  tesoli  del  Maelstrom  .  5  — 

II  Demone  dell'Oceano  .  2  — 

Neera. 

Crevalcore 5  — 

L'Indomani.  In-8,  illus.  .  3  — 
Una  passione  .  .  .  .  -'  — 
La  vecchia  casa  .  .  .4  — 
Duello  d'anime.  .  .  .5  — 
La  sottana  del  diavolo  .  5  — 
Rogo  d'amore  .  .  .  .5  — 
Crepuscoli  di  libertà.  .  5  — 
Ada  Negri. 

Le  Solitarie 6  50 

Dario  Niccodemi. 
Il  romanzo  di  Scampolo  .  5  — 

Ippolito  NieTO. 
Le   confessioni    di    un   ottua- 
genario. 3  voi.  .     .     .6  — 
Angelo  di  bontà   .     .     .2  — 

A.  s.  Novaro. 
L'Angelo  risvegliato  ,     .4  — 

Ugo  OJetti. 
Donne,  uomini  eburattini  5  — 
L'Amore  e  suo  figlio.     .  5  — 
Mimi  e  la  Gloria  .     .     .5  — 

Antonio  Palmieri. 
Novelle  Maremmane  .    .5  — 
I  racconti  della  Lupa    .  5  — 

Alfredo  Fanzini. 
Piccole    storie    del   Mondo 

grande 4  — 

La  lanterna  di  Diogene.  5  — 
Le  fiabe,  della  virtù.     .  5  — 

Santippe 5  — 

La  Madonna  di  Mania  .  5  — 
Novelle  d'ambo  i  sessi  .  3  — 
Viaggio   di   un  povero  lette- 
rato .......  6  — 

Ferdinando   Paolieri. 


Novelle  selvagge 


3  — 


Conte  G.  L.  Passerini. 

11    romanzo   di   Tristano   e 
Isotta ù  — 


Milano  —  Fkatelli  TREVES,  Editori  —  Milano 


5  — 


Francesco  Pastonchl. 
Le  Trasfigurazioni    .  L.  5  — 

Emma  Ferodi. 

Caino  ed  Abele.    .    .    .  2  — 

*Suor  Ludovica .    .    .    .2  — 

Petrucoelll  della  Gatti  uà. 

Il  sorbetto  della  Regina.  2  — 
Memorie  di  Giuda.  2  voi.  4  — 

Il  Re  prega 2  — 

Le    notti    degli    emigrati    a 

Londra 2  — 

Lui£:i  Pirandello. 
Erma  bifronte  .... 

L'esclusa 

La  vita  nuda  .... 
Il  fu  Mattia  Pascal  .  . 
Terzetti 

I  vecchi  e  i  giovani.  2  v. 
La  trappola 

II  turno  ;  Lontano.    .     . 

S4  gira 

E  domani,  lunedì 

Un  cavallo  nella  luna  . 
Quand'ero  matto 

Carlo  PlaCCi. 
Mondo  mondano    .    .     . 
In  automobile  .... 

Marco  Prag^a. 
La  Biondina 

Mario  Pratesi. 
Le  perfidie  del  caso  .    . 

Carola  Prosperi. 
La  Nemica  dei  Sogni     . 

L'Estranea 

Vocazioni 

DiBo  Provenzal. 
Uomini,  donne  e  diavoli. 

Egisto  Boi^g^ero. 
Le  ombre  del  passato    . 
Komokokis.  In-8,  illus.  . 

I  racconti    della   mia 
viera    

Gerolamo  Bovetta. 
^Sott'acqua 

II  primo  amante  .    .    . 

*Novelle 

*I1  processo  Moutegù  .     . 


0  — 
5  — 

5  — 

6  50 
5  — 

4  — 

5  — 
5  — 
3  — 
3  — 

2  — 

o 


2  — 
2  — 

5  — 

6  — 
3- 

3- 

2  — 
4  — 

Ri- 

3  — 

5- 
5- 
2  — 
2 


Ferdinando  BttSSO. 

Memorie  di  un  ladro.  L.  2  — 

li  destino  del  Re.    .    .2  — 

Roberto  Sacchetti. 

Candaule 4  — 

Fausto  Salvatori. 
Storie  di  parte  nera  e  Storie 

di  parte  bianca.     .     .6  — 
Baron.  di  S.  Maria  (Fides). 

Vittoriosa! 5  — 

Vie  opposte 5  — 

Rosso  di  Saa  Secondo. 
Ponentino     .     .     ...     .5  — 

La  fuga 5  — 

La  morsa 6  — 

10  commemoro  Loletta  .  3  — 

Michele  Saponaro. 

Peccato 5  — 

Francesco  Sapori. 

La  Trincea 5  — 

Terrerosse 5  — 

o.  A.  Sartorio. 
Romse  Carrus  Navalis    .  2  — 
Tre  novelle  a  Perdita  .  5  — 

Augusto  Schipplsi. 

La  colpa  soave.     .     .     .5  — 

Isabella  ScopolÌ-BÌaSÌ. 

L'erede  dei  Villamari    .  2  — 

Matilde  SCraO. 
SuorGiovannadellaCroce  5  — 
La  Ballerina  .  .  ,  .5  — 
Ella  non  rispose  .  .  .5  — 
Dopo  il  perdono  .  .  .  .*>  — 
Evviva  la  vita!  .  .  .6  — 
La  vita  è  così  lunga!    .  3  — 

Serra-Grreci. 

Adelgisa 2  — 

La  fidanzata  di  Palermo.  2  — 

Sfinge. 
Dopo  la  vittoria    .    .    .  2  — 
La  costola  di  Adamo.    .  .')  — 

11  castigamatti.    .    .    .  :ì  — 

Valentino  Soldani. 
Viva  TAngiulo!    ,     ,     ,  j,  -—■ 


Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  Milano 


Flavia  Steno. 
L'ultimo  sogno.  .  .  L.  2  — 
Il  pallone  fantasma  .  .2  — 
Così,  la  vita!  .  .  .  .  2  — 
Fra  cielo  e  mare  .  .  .2  — 
La  veste  d'amianto  .  .2  — 
La  nuova  Eva  .  .  .  .2  — 
n  gioiello  sinistro  .  .2  — 
Il  sogno  che  uccide  .     .2  — 

Jl  miraggio 2  — 

Oltre  l'odio 2  — 

.ice  Tartafarl. 
Rete  d'acciaio  .    .    .    .5  — 

Térésah  (Teresa  Ubertis). 

Il  corpo  e  l'ombra     .     .5  — 

Il  salotto  verde     .     .     .5  — 

La  casa  al  sole.    .     .    .5  — 

Federigo   Tozzl. 

Bestie 5  — 

Con  gli  occhi  chiusi .     .  5  — 

I.  Trebla. 
Volontario  d'un  anno.  -  Sotto- 
tenente di  complein.    .  4  — 
Alessandro  VaraldO. 
Un  fanciullo  alla  guerra .  ó  — 
Le  avventure   .     .     .     .  3  — 

L.  A.  Vasaallo. 

La  signora  Cagliostro  .  4  — 
Guerra  in  tempo  di  bagni.  3  — 
La  famiglia  De-Tappetti.  3  50 
Uomini  che  ho  conosciuto.  5  — 
Dodici  monologhi  .  .  .  3  50 
Ciarle  e  macchiette  ,  .  4  50 
Diana  ricattatrice.  .  .  3  50 
Parla  Gandolin  .  .  .4  — 
*I1  pupazzetto  tedesco  .  3  — 
Il  pupazzetto  spagnolo  .  3  — 
Il  pupazzetto  francese  .  3  — 

Giovanni  'VttgA. 
Storia  di   una  capinera.  4  — 

—  Edizione  economica  .  2  — 

Eva ■.     .  3  — 

Cavalleria  rusticana  .     .5  — 

—  Ediz.  in-8,  illustr.     .12  — 

Novelle 2  — 

Per  le  vie 2  — 


Giovanni  Verg^a. 

11  marito  di  Elena    .  L.  2  — 

Eros 2  — 

Tigre  reale 2  — 

Mastro-don  Gesualdo.  .  5  — 
Ricordi  del  capit.  d'Arce.  2  — 

I  Malavoglia  .  .  .  .5  — 
Don  Candeloro  e  C.  .  .  2— - 
Vagabondaggio.  .  .  .  4  — 
Dal  tuo  al  mio.     .     .     .  5  — 

G.  Visconti-Venosta. 

II  curato  d'Orobio.  .  .  5  — 
Nuovi  racconti .    .    .     .5  — 

Mario  Vugliano. 
Gli  allegl'i  compari  di  Borgo- 
drolo.  Con  disegni  ,    .  2  — 

Anita  Zappa. 
La  Notte,  race,  del  1915.  6  50 

Remigio  Zena. 
La  bocca  del  lupo     .    .2  — 
L'apostolo 5  — 

Luciano  ZÙCCOli. 
La   Compagnia   della    Leg- 
gera   5  — 

L'amore  di  Loredana.     .  5  — 

Farfui 5  — 

Ufficiali,  sott'utficiali,  caporali 

e  soldati 5  — 

Il  Designato 5^ — 

Donne  e  Fanciulle    .    .5  — 

I  lussuriosi 4  — 

Romanzi  brevi .     .     .     .5  — 

Primavera 5  — 

La  freccia  nel  fianco  .  5  — 
L'Occhio  del  Fanciullo  .  5  — 
La  vita  ironica  .  .  .5  — 
Novelle  prima  della  guer-~ 

ra 5  — 

La  volpe  di  Sparta  .  .5  — 
Roberta    ......  5  — 

II  maleficio  occulto  .  .  5  — 
Per  la  sua  bocca  .     .    .5  — 

Baruffa 5  — 

L'amore  non  c'è  pivi.     .  5  — 


ROMANZI  STRANIERI 

EDIZIONI  TREVES. 

1  volumi  segnati  con  *  sono  in  corso  di  ristampa. 

FRANCESI. 


Amedeo  Achard. 
Giorgio  Bonaspada,  2  v.L.  4  — 

Matthey  Arnauld. 
*Lo  Stagno  delle  suore  grigie. 

2  volumi 4  — 

Giovanni  senza  nome.  2  v.  4  — 
Gli  amanti  di  Parigi.  2  v.  4  — 
La  rivincita  di  Clodoveo.  2  — 
*La  Brasiliana  .  .  .  .2  — 
La  bella  Nantese  .  .  .2  — 
La  figlia  del  giudice  d'istru- 
zione. 2  volumi.  .  .4  — 
Zoe.  2  volumi  .  .  .  .4  — 
Un  punto  nero.     .    .     .2  — 

Un  genero 2  — 

*La  bella  Giulia     .    .     .2  — 

*La  vergine  vedova    .     .2  — 

Dieci  milioni  di  eredità.  2  — 

La  figlia  del  pazzo    .     .2  — 

CastellodellaCroix-Pater.  2  — 

*Zaira 2  — 

L'impiccato  della  Baumette. 

2  volumi  .    .         .    .  4  — 

Arnoald  e  Fournler. 

Il  Figlio  dello  Czar  .    .  2  — 

L'erede  del  trono  .    .    .2  — 

Balzac. 
Mgmorie  di  due  giovani 

spose 2  — 

Piccole  miserie  della  vita  co- 
niugale  2  — 

Papà  Goriot 2  — 

Eugenia  Grandet  .  .  .2  — 
Cesare  Bi  rotto  .  .  .  .2  — 
I  celibi: 

I.  Pierina    .     .    .     .2  — 
li.  Casa  di  scapolo     .  2  — 
I  parenti  poveri: 

I.  La  cugina  Betta     .  2  — 
II.  Il  cugino  Pons.     .  2  — 


Balzao. 

Illusioni  perdute: 

I.  I  due  poeti;  Un  gran- 
d' uomo    di    provincia    a 
Parigi    .     .    .    .  L.  2  — 
II.  Un  grand'uomo  di  pro- 
vincia a  Parigi;  Eva   e 

David 2  — 

Splendori  e  miserie  delle  cor- 
tigiane   2  — 

Giovanna  la  pallida  .     .2  — 

L'ultima  incarnazione  di  Vau- 

trin  .......  2  — 

Il  deputato  d'Arcis   .    .2  — 

L' Israelita 2  — 

Orsola  Mirouet.     .    .     .2  — 
Il  figlio  maledetto.  -  Gambara. 
-  Massimilla  Doni  ,    .2  — 
Adolfo  Belot. 

Due  donne 2  — 

Alessandro  Bérard. 
Cj'pris;  Marcella  .    .     .2  — 

Elia  Berthet. 
La  tabaccaia     .     .    .     .2  — 
11  delitto  di  Pierrefitte.  2  — 

Fortunato  BolSgObey. 
L'avvelenatore  .  .  .  .2  — 
La  canaglia  di  Parigi  .  2  — 
L'orologio  di  Rosina  .  .2  — 
La  casa  maledetta  .  .2  — 
Il  delitto  al  teatro  dell'Opera. 

2  volumi 4  — 

Maria 2  — 

Albergo  della  nobile  Rosa.  2  — 
Cuor  leggero.  2  volumi.  4  — 
Il  segreto  della  cameriera.  2  — 
La  decapitata  .  .  .  .2  — 
La  vecchiaia  del  signor  Locoq. 

2  volumi 4  ^ 


Mir,ANo  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  j\Iilano 


Paolo  Bourget. 
Un  delitto  d'amore    .  L.  2  — 
Andrea  Cornelis    .     .     .2  — 

—  Ediz.  in-8  ilhistr.  .  1  50 
Enimma  crudele    .     .     .2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.      .  1  50 

3Ienzogne 2  — 

L'irreparabile  .     .     .    .2  — 

Il  discepolo 2  — 

Il  fantasma 2  — 

La  Duchessa  Azzurra    .  4  — 

Alessio  Bouvier. 
Madamigella  Olimpia     .  2  — 
Il  signor  Trumeau    .     .2  — 
Discordia  coniugale  .     .2  — 

Buanach  e  Chabrlllat. 

La  figlia  di  Lecoq     .     .2  — 

Alfredo  Capu*. 
Robinson 4  — 

Enrico  Chavotte. 

Quondam  Eriche  ti.    .     .2  — 

*La  stanza  del  delitto    .  2  — 

In  cerca  d'un  perchè     .  2  — 

Un  notaio  in  fuga     .     .2  — 

Vittorio  CherbuUez. 

Miss  Rovel 2  — 

L'avventura  di  L.  Bolski.  2  — 
Samuele  Brohl  e  comp.  2  — 
L'idea  di  G.  Testaroli  .  2  — 
Fattoria  della  cornacchia.  2  — 

Giulio  Claretle. 

Il  milione     .     .     .     .     .2  — 

S.  E.  il  Ministro  .     .     .  2  — 

♦Laura  la  saltatrice    .     .2  — 

*La  casa  vuota  .    .     .    .  2  — 

♦L'amante 2  — 

Roberto  Burat  .     .     .     .  2  ^ 
.  La  commediante.  2  voi,  4  — 

I  Moscardini.  2  voi.  .  .4  — 
La  fuggitiva  .  .  .  .2  — 
Michele  Berthier  .  .  .  2  — 
Troppo  bello!  (Puyjoli).  2  — 

II  9  termidoro .  .  .  .2  — 
Maddalena  Bertin.     .     .  2  — 

Noris 2  — 

Il  bel  Solignac.  2  voi.   .  4  — 

Beniamino  Constant. 
Adolfo 2- 


Aifonso  Daudet. 
*Ditta  Fromont  e  Risler  L.  2  — • 
*I  re  in  esilio    .     .     .     .2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.  .  3  — 
Numa  Roumestan .  .  .  2  — 
Novelle  del  lunedì     .     .2  — 

♦L'Evangelista  .     .     .     .2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.      ,  3  — 
Pietro  De  Coulevain. 

Su  la  frasca 2  — 

Delpit. 

Il  figlio  di  Corali  a    .     .2  — 

Teresina 2  — 

Il  padre  di  Jlarziale.  .  2  — 
Appassionatamente     .     .2  — 

6.  De  Lys. 

Duplice  mistero     .    .     .2  — 

F.  De  Klon. 

Giovanna  e  Giovanni     .  2  — 

L.  De  Robert. 

Il  romanzo  del  inalato  .  4  — ■ 

Melchiorre  De  VogÙé. 
Giovanni  d' Agrève     .     .2  — 

Gustavo  DrOZ. 

Attorno  lina  sorgente    .  2  — 

♦Marito,  moglie  e  bebé    .  2  — 

Alessandro  DuUiaB  (figlio). 
♦Teresa;  L'uomo-donna   .  2  — 

Erckmann  e  Chatrian. 

L'amico  Fritz   .     .     .     .2  — 

♦I  Rantzau 2  — 

La  casa  del  guardaboschi.  2  — 

Ottavio  Feulllet. 
Il  signor  di  Camors  .     .2  — 
♦La  vedova.  11  viaggiatore.  2  — 
Storia  di  Sibilla    .     .     .  2  — 
Un   matrimonio  nell'  alta  so- 
cietà  2  — 

Giulia  di  Trecoeur     .     .2  — 

Paolo  Féval. 
La  regina  delle  spade    .  2  — ■ 

Gustavo  Flaubert. 
Madame  Bovary    .     .     .2  — 

Anatole  France. 

♦Taide  ; 2  — 

Il    delitto   di    Silvestro  Bon- 
nard  2  — 


10      ^IiLANO  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  ]Milano 


Emilio  Qaborlau. 
11  signor  Lecoq.  3  voi.  .  6  — 
La  cartella  113  .  .  .  2  — 
Il  processo  Lerouge  .  .2  — 
La  vita  infernale.  2  voi.  4  — 
*I1  misfatto  d'Orcival,  .  2  — 
Gli    amori    d' una    avvelena- 

trice 2  — 

Edmondo  de  Ooncourt. 
Maria  Antonietta.     .     .2  — 

La  Faustin 2  — 

Carina 2  — 

Suor  Filomena .     .     .     .2  — 
Emani;£le  OonzaleS. 

La  strega  d'amore.  2  voi.  4  — 
La  principessa  russa.  .  2  — 
Le  due  favorite.  2  voi.  4  — 
Il  vendicatore  del  marito.  2  — 
E.  GrévlU». 

Niania 2  — 

Clairefontaine  .  .  .  .2  — 
Maritiamo  la  figlia  .  .2  — 
Amore  che  uccide.  .  .2  — 
Il  voto  di  Nadia  .     .     .2  — 

Nikanor 2  — 

Perduta 2  — 

Un  violinista  russo   .     .2  — 

Dosia 2  — 

Il  romanzo  d'un  padre  .  2  — 
La  via  dolorosa  di  Raissa.  2  — 
La  principessa  Ogherof.  2  — 

Sonia 2  — 

Ariadna 2  — 

Halévy. 

*L' abate  Constantin    .     .2  — 

Grillina  (Criquette)  .     .2  — 

Paolo  Hervleu. 
Lo  sconosciuto .     .     .     .2  — 
L'Alpe  omicida.     .     .     .2  — 

Arsenio  Houssaye. 
Diane  e  Veneri     .     .     .2  — 

Vittor  Hugo. 

Nostra  Donna  di  Parigi  o  E- 

smeralda.  Con  72  incis.  5  — 

Han  d'Islanda.  Illustrato.  3  50 

Buff-Jargal.  Con  36  ine.  3  50 

Enrico  Lavedan. 

I  bei  tempi 4  — 

Hugui's  Le  Boux. 

II  Padrone  dell'ora    .     .  2  — 


Pierre  Lotl. 
Mio  fratello  Ivo    .     .  L.  2  — 

Renato  Maizeroy. 
Piccola  regina  .     .    .     .2  — 

L'adorata 2  — 

Camilla  Mallarmé. 

Come  fa  l'onda 4  — 

Ettore  MalOt. 
Il  dottor  Claudio,  2  voi.  4  — 
Un  buon  affare.  .  .  .2  — 
Il  luogotenente  Bonnet.  2  — 
*iIilioni  e  vergogne  .  .2  — 
Paolina 2  — 

Paolo  Marguerite. 

*La  tormenta 2  — 

Amor  nel  tramonto  .     .2  — 

La  Principessa  Nera.  2  v.  7  - 

p.  e  Y.  Margueritte. 

Il  Prisma 2  — 

Florence  Marryat. 
Stirpe  di  vampiri.     .     ,  2  — 

Giulio  Mary. 

*Le  notti  di  fuoco .     .     .2  — 

La  famiglia  Danglard   .  2  — 

L'amante  del  banchiere.  2  — 

M.  Maryau. 
Guénola.  In-8,  illnstr.     .  2  — 

Guy  de  Maupassaut. 

Forte  come  la  morte.     .  2  — 

Bei-Ami 2  — 

Una  vita 2  — 

Il  nostro  cuore.'    .     .     .2  — 
Racconti  e  novelle     .     .2  — 

Casa  Tellier 2  — 

Prospero  Mérimée. 
La  contessa  di  Turgis  .  2  — 

Carlo  Mérouvel. 
Priva  di  nome.  2  voi.  .  4  — 
Febbre  d'oro.  2  voi.  .  .4  — 
L'inferno  di  Parigi.  2  v.  4  — 
L'amante  del  Ministro  .  2  — 
La  signora  Marchesa.  .  2  — 
Figlioccia  della  duchessa.  2  — 
La  vedova  dai  cento  milioni. 

2  volumi 4  — 

Teresa  Yaliguat    .     .     .2  — 
Cu  segreto  terribilp  .     .  2  — 

Pari  e  patta 2  — 

Fior  di  Corsica.     .     .     .2  — 


Mii-ANO  - —  F'k.vtki.i.i  'riìKV'ES,  Editori  —    Mikamp 


G.  Méry. 

Un  delitto  ig-norato  .  L.  2 


Il  maledetto 

Marco  Monnler. 
Novelle  napoletane    .    . 

Saverio  MOntépln. 

••La  veggente 

*J1  condannato  .  .  .  . 
♦L'agenzia  Rodille .  .  . 
*L'ereditiera 

Il  ventriloquo.  3  voi.     . 

*I  delitti  del  giuoco  .  . 
*I  delitti  dell'ebbrezza    . 

Espiazione 

*La  bastarda.  2  voi.  .  . 
*La  Casina  dei  lillà    .     . 

La  morta  viva.  2  voi.  . 
*L'impiccato.  3  voi.  .  . 
■*I1  marchese  d'Espi nchal. 
*Un  fiore  all'incanto  .  . 
^Compare  Leroux  .  .  . 
*L'ultimo  dei  Courtenay. 
*Dna  passione  .  .  .  . 
*I  fanti  di  cuori  .  .  . 
*Due  amiche  di  St.-Denis. 
♦L'avventuriero  .     .     .     . 

Il  segreto  del  Titano  . 
*L'amante  del  marito.  . 
*L'awelenatore  .    .    .    . 

S.  M.  il  Denaro.  2  voi. . 

♦Ammaliatrice  bionda.  2  v. 

♦Donna  Rovina  .... 

♦Segreto  della  contesse.  2  v. 

Giorgio  Ohnet. 

II  padrone  delle  ferriere. 

—  Edizione  illustrata  . 
La  contessa  Sara  .     .     . 

—  Edizione  illustrata  . 
Sergio  Panine  .... 
Lisa  Fleuron     .... 

—  Edizione  illustrata  . 
Debito  d'odio  .... 
Il  diritto  dei  figli.  .  . 
Vecchi  rancori .... 
I.a  sig.*  vwitita  di  grigio. 
I/indomani  degli  amori. 
Il  curato  di  Favières  . 
i  Gaudenti 


2 


2  — 


Vittorio  Perceval. 

*10,000  franchi  di  mancia.  2  — 

Le  vivacità  di  Carmen  .  2  — 

Il  nemico  della  signora.  2  — 

Renato  de  Pont-Jeat. 

L'eredità  di  Satana  .  .  2  — 
Le  colpe  di  un  angelo  .  2  — 
Un  nobile  sacrificio   .     .2  — 

Giorgio  Pradel. 
Compagno  di  catena.  2  v.  4  — 

Abate  PrévOSt. 
Manon  Lescaut.     .     .     .2  — 

Marcello  PrévOSt. 
Lettere  di  donne  .  .  .2  — 
Nuove  lettere  di  donne.  2  — 
Ultime  lettere  di  donne.  2  — 
Coppia  felice  .  .  .  .2  — 
Il  giardino  segreto  .  .2  — 
L'autunno  d'una  donna.  2  — 
Pietro  e  Teresa  .  .  .  3  — 
Le  Vergini  forti: 

I.  Federica  .    .    .    .4  — 

IL  Lea 4  — 

La  principessa  d'Ermiage  4  — 

Donne 4  — 

A  passo  marcato  .  .  .4  — 
GU  angeli  custodi  .  .  4  — 
Herr  e  Frau  Moloch.  .  4  — 
Lettere  a  Francesca  .  .3  — 
Lett.  a  Francesca  marit.  4  — 
Lettere  a  Frane,  mamma.  4  — 

L.  Beybaud. 
Il  bandito  del  Varo  .    .2  — 

Emilio  Blohebourfp. 

♦L'idiota.  2  voL     .    .     .  4  — 

Innamorate  di  Parigi.  2  r.  4  — 

Carlo  Blohet. 

Fra  cent'anni   .    .    .    ,  2  — 

Edoardo  Bod. 

*I1  senso  della  vita    .    .2  — 

La  vita  privata   di   Michele 

Teissier 2  — 

La  seconda   vita  di  Michele 

Teissier 2  — 

Lo  zio  d'America  .  .  .2  — 
Taziana  Leilof .  .  .  .2  — 
L'acqua  che  corre.     .    .2  — 

Arnaldo  Buge. 

♦Bianca  della  Rocca   .    .2  — 


12      Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  Milano 


Remy  Saint-MauTice. 

Gli    ultimi    giorni    di    Saint- 
Piene  L.  2  — 

Giorgio  Sand. 

*Mauprat 2  — 

Giulio  Sandeau. 
*Madam.'''  della  sJeiglière.  2  — 

—  Edizione  illustrata    .  5  — 

—  Nuova  ediz.  illustr.  .  3  — 
Texler  e  Le  Senne. 

Memorie  di  Cenerentola.  2  — 
Andrea  Theurlet. 

Elena 2  — 

Un'Ondina;  I  dolori  di  Claudio 

Blouet 2  — 

Amor  d'autunno    .     .     .2  — 

Sacrifizio  d'amore .     .     .2  — 

Marcelle  Tlnayre. 

Hellè 2  — 

Giulio  Verne. 
Il  giro  del  mondo  in  ottanta 
giorni 2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.  .  3  50 
*Dalla  terra  alla  luna  .  2  — 
*20  000  leghe  sotto  i  mari.  2  — 
♦Novelle  fantastiche    .     .2  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.  .  4  — 
*I  figli  del  capitano  Grant  e  Una 

città  galleggiante.  2  v.  4  — 

*Avvent.  delcap.Hatteras.  2  — 

Il  faro  in  capo  al  mondo.  In-8, 

illustrato 5  — 

Il   dottor   Oss;  I  violatori   di 
blocco.  In-8,  illustr.    .  2  — 
Vincent. 
Il  cugino  Lorenzo.     .     ,2  — 


Giovanni  Wachenhasen. 

Per  vii  denaro  .     .     .  L.  2  — 

L'inesorabile 2  — 

Pietro  Zaccone. 
Bianchina 2  — 

Emilio  Zola. 
L'assommoir.  2  volumi 

—  Edizione  illustrata 
Il  ventre  di  Parigi    . 

—  Edizione  illustrata 
La  fortuna  dei  Rougon 
La  cuccagna  (La  Curée).  2 
La  conquista  di  Plassans.  2 
11  fallo  deirabate  Mouret.  2 
S.  E.  Eugenio  Rougon  . 
Una  pagina  d'amore.     . 
Teresa  Raquin .... 

♦Racconti  a  Ninetta  .  . 
♦Nuove  storielle  a  Ninetta. 
♦Nantas  ed  altri  racconti. 
♦Misteri  di  Marsiglia.  2  v 


4  — 
4  — 

2  — 

3  50 

9 


2 

2  — 

2 

2 

2  — 

2 

4 


Pot-Bouille  (Quel  che  bolle  in 


pentola).  2  volumi 
Il  voto  di  una  morta 
11  Denaro.  2  volumi . 
La  Guerra.  2  volumi 

—  Edizione  in-8  illus. 
La  Terra.  2  volumi  . 
Germinai.  2  volumi  . 
Vita  d'artista (L'(Euvre).  2  — 

—  Edizione  illustrata  .  5  — 
Il  dottor  Pascal.  2  voi.  4  — 
Il  sogno 2  — 

—  Edizione  illustrata  .  6  — 
Maddalena  Ferat  .     .    .2  — 


4  — 

2 

4  — 
4  — 
6  — 
4  — 
4 


INGLESI  E  AMERICANI. 


Edoardo  Bellamy. 
Nell'anno  2000.     .     .     .2 
Guy  Boothby. 

Il  dottor  Nikola    .     .     .2 
Miss  Braddon. 

Per  la  fama 2 

Verrà  il  giorno     .     .     .  2  • 
La  zampa  del  diavolo.  2  V.  4- 
Asfodelo.  2  voi.     .     .     .  4- 
Un  segreto  fatale .     .     .2 
Una  vita,  un  amore  .     .2 
Fra  due  cognate  ,    .    .  2 ■ 


Carlotta  BrOUte. 
Jane  Eyre.  2  voi. .     .     .4 
Rhoda  Broug^hton. 

Addio,  amore    .     .     .     .2 

Edoardo  Bulwer. 
La  razza  futura    ,     .     .2 

Delannoy  BurfOrd. 

L'assassino 2  ■ 

Roberto  Byr. 
La  legge  del  taglioue   .  2- 


Milano  —  Fratelli  TREVES.  Editori  —  Milano        13 


Wilkie  Collins. 
>  Le  vesti  nere.  2  voi,  L.  4  — 

No.  2  voi 4  — 

Il  segreto  di  morte  .  .2  — 
11  cattivo  genio  .  .  .2  — 
L'eredità  di  Caino     .     .2  — 

Ugo  Conway. 
Il  segreto  della  neve     .  2  — 
Un  segreto  di  famiglia.  2  — 

Novelle.  2  voi 4  — 

Vivo  0  morto    .     .     .     .2  — 
Maria  Corelli. 

Vendetta 2  — 

Francis  Marion  CrawfOrd. 
Saracinesca.  2  voi.  .  .4  — 
Sant'Ilario.  2  voi. .  .  .4  — 
Don  Orsino.  2  voi.  .  .4  — 
Coiieone.  2  V(ii.  .  .  .4  — 
Paolo  Patoff.  2  voi.   .     .  4  — 

Carlo  Dickens. 

*Storia  d'amor  sincero     .  2  — 

Il  Circolo  Pickwick.  2  v.  4  — 

*Grandi  speranze.  2  voi.     4  — 

*Tempi  difficili  .     .     .     .  2  — 

Memorie    di    Davide    Copper- 

field.  2  volumi  .     .    .4  — 

—  Ediz.  in-8  illustr.     .  4  — 

*La  piccola  Dorrit.  3  voi.  6  — 

*L'abisso -  50 

Le  ricette  del  dottor  Marigold; 
Il  mistero  degli  specchi  2  — 
Beniamino  Disraell. 
Alroy  0  il  Liberatore     .  2  — 

Dick  Donovan. 
Caccia  a  fondo .     .     .     .2  — 

Conan   Doyle. 
D    dramma    di     Pondichery- 

Lodge  

F.  EUiot. 
Gli  Italiani  .... 

Lanoe  Falconer. 
Mademoiselle  Ixe  .     . 
F.  G.  Farrar. 
Tenebre  e  albori  .     , 

Fergua  Hume. 

La  dama  errante  .     . 

Il  13.°  commensale    .     .2 

Lady  FuUerton. 
L'Uccellino  di  Paradiso.  2 


Rider  Hagg;ard. 

Beatrice L.  2  — 

*Jess,  0  Un  amore  nei  Trans- 

vaal 2  — 

Il  popolo  della  nebbia.  2  v.  4  — 
Giovanna  Haste.  2  voi.  .  4  — 
La  fanciulla  dalle  perle.  2  — 

Hall  Calne. 

Il  figliuol  prodigo,  .  .3  — 
La    donna    che    Tu    mi    hai 

dato.  3  voi 8  — 

Hamllton-Shields. 
Tre  novelle  di  Van  Dyke.  4  — 

Hill  Headon. 

La  storia  d'un  gran   segreto. 

Con  2  incisioni  ,     ,     .2  — 

M,  Hewlett. 

Gli  amanti  della  foresta.  -2  — 

Siias  Hocklng. 
La  figlia  del  signorotto.  In-8, 

illustrato 3  — 

Il  cappuccio  rosso,  In-8,  illu- 
strato     1  50 

Le   avventure   di   un   curato, 
In-8,  illustrato  .     ,     ,4  — 
Miss  Hung^erford. 
Dalle  tenebre  alla  luce,  2  — 

Giorgio  James. 
L'Ugonotto.  2  volumi    .  4  — 

Yallace  LewlS. 
Ben  Hur,  racconto  storico  dei 
tempi  di  Cristo.  2v.  ili.  5  — 
William  John  LOCke. 

Idoli 4  — 

Stellamaris 4  — 

E,  Marlltt. 
La  Contessina  Gisella    ,  2  — 
Elisabetta  dai  capelli  d'oro  2  — 

Mayne-Beid. 
La  schioppettata  mortale.  In-8, 

illustrato 4  — 

Giorgio  Meredith. 
Diana  de'  Crossways,     ,  4  — 

L.  G.  Moberly. 
Il  passato  che  ritorna    .  2  — 
Florence  Morse  Klngsley. 
Il  Compagno  della  Croce  2  — 

Miss  Mnlock. 
Zio  e  nipote 2  — 


•14      Milano  —  Krateli.i  TREVES,  Editori  —  Milano 


F.  Oppenheim. 

La  spia  misteriosa     .  L. 
Misterodi  Bernard  Browu 

Oulda. 

Affréschi.  Con  biogtafi*. 

*In  maremma     .     .     .     . 

Bl  vington-Pyke. 

Il  viaggiatore  misterioso. 

M.  Boberts. 
Il  segreto  della  marchesa. 
Bianca  BOOSevelt. 
La  regina  del  rame.  2  v. 

R.  H.  Savage. 
Una  moglie  d'occasione. 
Conquista  d'una  sposa  . 
Una  sirena  americana   . 

Walter  Soott. 
Ivanhoe.  In-8,  illustrato. 
Kenihvorth.  In-8,  illustr. 
Quintino  Durward.  lUus. 
R.  L.  Stevenaon. 

Rapito 

La  strana  avventura  del 

tor  JekyU 

w.  M.  Thackeray. 
La  fiera  della  vanità.  .3  v. 


2  — 
2  — 

2  — 
6  — 

2 

2 

4  — 

2 

2  — 

2 

6  60 
6  50 
6  50 

2 

dot- 
o 


Guy  Thorne. 

Nelle  tenebre    .     .    .  L.  2  — • 

Mrs.  Humphiy  Ward. 
Miss  Bretherton    .    .     .  2  — 

H.  G.  Wella. 
Novelle  straordinarie.  In-8,  con 
11  incisioni  a  colori  .  4  — 
Nei  giorni  della  cometa.  4  — 
La  visita  meravigliosa  .  2  — 
Storia  d'un  uomo  che  digeriva 
male  (Tlie  history  of  Mr. 
Polly).  Con  1  incis.   .  4  — 
Gli  amici  appassionati.  2  vo- 
lumi  7  — 

La  signora  del  mare.  .  4  — 
Anna  Veronica.  .  .  .4  — 
La  guerra  nell'aria.  2  v.  4  — 
Quando  il  dormente  si  sve- 
glierà. Con  3  incisioni.  4  — 
—  Edizione  economica  .  2  — 

Guglielmo  Westall. 
Come  fortuna  volle   . 

Miss  H.   WOOd. 

Nel  labirinto     .     .     . 

£.  Yates. 
La  bandiera  gialla    . 


TEDESCHI 


Pietro  Beyerleln. 
Il  cavaliere  di  Chamilly  .  2 
Ida  Boy-Ed. 

Serti  di  spine  .     .     .     .2 

E.  De  Kerzollo. 

Nella  Montagna  nera     .  2  ■ 

s.  Deval. 

Una  gran  dama    .     .     .2 
Giorgio  Ebers. 

Homo  sum 2 

Ernesto  Eckstein. 

I  Claudii 2 

Cuor  di  madre .     .     .     .2 

Afrodite 4 

A.  Fleming:. 
Matrimonio  strano.  2  v.  4 

Alfredo  Friedmann. 
Due  matrimoni.    .    .    .2 
Federico  Oerit&oker. 
Casa  d'angolo    ....  2 


Voifango  Goethe. 
*Le  affinità  elettive    .    . 
Guglielmo  Hauflf. 
La  dama  piumata.     .     . 
Sofia  Jnnghans. 
La  fanciulla  americana. 

R.  Labacher. 
*La  scritta  di  sangue.     . 
Paul  Maria  Lacroma. 
La  modella;  Formosa    . 
Deus  Vicit 

Rodolfo  Lindau. 
Roberto  Ashton     .     .     . 

Lindner. 

La  marchesa  Irene    .     . 

Corrado  Meyer. 
Giorgio  Jenatsch  .     .    . 

Eugenio  Bichter. 
Dopo  la   vittoria   del   soi: 


2 

2 

2 

2  __ 

2 

2  — 

2 

2  — 
2  — 

2  — 

2  — 

9 


lah- 
2-- 


Milano  —  L^ratelli  TREVES,  Editori  —  Milano       Ih 


Ermanno  Sudermauu. 


2 

4  — 

2  — 


La  fata  del  dolore     .  L 
L'Isola  doir Amicizia.  2  v 
Il  ponte  del  g'atto    . 
Fratelli  e  Sorelle  .    . 

Berta  de  Suttner. 
^Abbasso  le  armi!  2  voi.  4 

Clara  Vleblg. 
L'esercito  dormente  .    .2 

Wagner. 
Sotto labandieradei  Boeri  2 

E.  Werner. 
Un  eroe  della  penna.     .  2 

San  Michele 2 

Il  fiore  della  felicità.     .  2 
Fiamme 2 

POLACCHI 

Kratzewakl. 

Sulla  Sprea 2  — 

Saoher-Maaooh. 

Racconti  galliziani    .    .2  — 

Enrico  Slenklewlcz. 

Quo  Vadis?  Ed.  di  lusso.  8  — 

—  Edizione  cinematografica. 

Illustr.  da  78  quadri  .10  — 


E.  Werner. 

Rejetto  e  redento.  .  L.  2  — 
Via  aperta 2  — 

—  Ediz.  ili.  con  41  dis.  3  50 

Vineta 2  — 

Catene  infrante  .  .  .2  — 
Verso  l'altare  .  .  .  .2  — 
Buona  fortuna!  .  .  .2  — 
Fata  Jlorgana.  2  volumi.  4  — 

—  Ediz.  ili.  da  89  incis.  4  — 
A  caro  prezzo  .  .  .  .2  — 
La  fata  delle  Alpi  .  .2  — 
Messaggieri  di  primavera.  2  — 
Caccia  grossa    .    .     .     ,2  — 

Rune 2  — 

Il  Vincitore 4  — 

E  RUTENI. 

Enrico  Slenkiewlcz. 

Quo  Vadis?  Ediz.  pop.  .  2  — 

—  Edizione  in-8,  illustr,  4  — 
Oltre  il  mistero  .  .  .  2  — 
Invano 2  — 

*I  Crociati.  3  volumi .     .6  — 

*Per  il  pane 2  — 

Stefano  ZeromskI. 
Fiume  fedele    .     .     .     .4  — 


UNGHERESI. 


Maurus  Jòkai. 
Amato  fino  al  patibolo.    .  2  — 

Elisa  PolkO. 
Lontani  !  .     .     .     .     .     .2  — 


Max  Nordau. 

Battaglia  di   parassiti.   2  vo- 
lumi      4  — 

Morganatico.  2  volumi  .  4  — 


SPAGNOLI. 


Pio  Baroja, 

La  scuola  dei  furbi  .     . 

A.  De  Alar^on. 

L'ultimo  amore.     .     .     . 

Juiio  Nombela. 
La  carrozza  del  diavolo. 


2  — 


Armando  Palacio  Valdés. 

Suor  San  Sulpizio.     .     .  4  - 
Benedetto  Perez-Galdós. 

Donna  perfetta.     .     .     .  2  - 
Marianela;  Trafalgar.     .  2- 

Don  Juan  Valera. 
lUusioai  dei  d.'  Faustino.  2  - 


ARGENTINI. 


Duàyeu 

(Emma  LI  nos  do  la  Barra). 
Stella,  con  prefazione  di  Ed- 
mondo De  Aniicis  .     .  .">  — 


Manuel  Ugarte. 
Racconti  della  Pampa. 


16      Milano  —  Fratelli  TREVES,  Editori  —  Milano 


RUSSI. 


Pietro  Boborykin. 
Battaglie  intime   .     .  L.  2  — 

Anton   CeCOW. 

Racconti  russi  .     .     .     .2  — 

Cernlcevikl. 

Che  fare? 2  — 

Feodor  DostoJeWSkl. 
Dal  sepolcro  dei  vivi.  .  2  — 
Il  delitto  e  il  castigo.  3  v.  6  — 
Povera  gente!  .  .  .  .2 — 
*I  fratelli  Karaniazoff.  2  v.  4  — 
L'idiota.  2  voi.  .  .  .  .4  — 
Principe  Galytzln. 

11  rublo 2  — 

Senz'amore 2  — 

Il  contagio 2  — 

Maxim  Gorkl. 
Lavitaè una  sciocchezzai  2  — 

I  coniugi  Orlow    .     .     .2  — 

w  Korolenko. 

II  sogno  di  ilakar     .     .  2  — 
Demetrio  Mereshkowsky. 

*La  ilorte  degli  Dei.  2  v.  4  — 
La    Resurrezione   degli    Dei. 

3  volumi 6  — 

—  Edizione  di  lusso.     .  8  — 


Principessa  01g^&. 
*Lavita  galante  in  Russia 
Greg-or  Samarow. 
In  cerca  di  una  sposa 

Oaslp  Schubin. 

Ali  spezzate.     .    .     .  L 

Un  cuore  stanco  .     . 

Gloria  Vietisi    .     .     . 
A\>    0  Tolstol. 
*Ivan  il   1 .  rribile  .     . 
Leone   TolStOl. 

Anna  Karenine.  2  voi. 

La  sonata  a  Kreutzer 

La  guerra  e  la  pace.  4  v, 

Ultime  novelle .     .    . 

I  Cosacchi    .... 

Padrone  e  servitore  . 

Che  cosa  è  l'Arte?     . 

Resurrezione.  2  volumi 
Ivan  Targhenleff. 
♦Fumo;  Acque  primavera 
♦Racconti  russi  .     .     . 
♦Nidiata  di  gentiluomini 

Terre  Vergini  .     .     . 

Padre  e  tìgli     .     .    . 


RUMENI. 


BELGI. 

Couacleuce. 

♦Statua  di  le^no    .     .     .2 


SCANDINAVI 


Bjòrnstìerne  BJdrnSOIl. 

*Mary 2  — 

Johan  Bojer. 
Potenza  della  Menzogna.  2  — 
Un  cuore  ferito    .     .     .2  — 
La  coscienza  (Erik  Evje).  2  — 
Vita 4  — 


Selma  Lagerlóf. 

La    leggenda    di    Costa 

ling.     . 

La  casa  di  Liljecrona    . 

Otto  Moeller. 
Oro  e  onore  


Maria  Th.  Jonaesco.  Un  amore  traoico 4 


OLANDESI. 

Luigi  Couperus. 

Maestà 2 

Pace  universale     ...  2 


Ber- 
4  — 

9  — 


2  — 


GIAPPONESL 

Kenjiro  Tokutoml.  Nami  e  Takeo 2  — 


l>irigere  commissioni  e  vaglia  ai  Fratelli  Treves,  editori.  Milano. 


»Ju.. 


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